L'altro lato del negozio
«M
i sono dato poi da fare per trovare la porticina e ho racimolato tutte le gelatine che avevo. Anche se mi hanno detto che, volendo, lì si può giocare d’azzardo, Nicholas!» Il mago ridacchiò.
«Sono tornato tre o quattro volte, ma non sono mai riuscito a prendere uno di quegli oggetti e i miei debiti sono… be’, mannaggia, non ho la minima idea di come potrò liberarmene!»L’uomo di buonsenso sui cinquanta rivolse allo sventurato un’occhiata che esprimeva disapprovazione, poi, con un freddo interesse domandò:
«Ne valeva davvero la pena?»Lui sgranò gli occhi e immediatamente rispose:
«Vuoi scherzare? I Weasley hanno roba che manco ti immagini! Credimi, non la troveresti in nessun altro negozio!» Lo spendaccione rise di nuovo, ancora più allegramente, e per Dorian – che stava fisso davanti alla vetrina e che ascoltava senza farsi notare – fu una sorpresa sentire qualcuno che lo urtava lievemente e che, congedandosi, si scusava.
Midnight era bronzo e interesse, miele e curiosità, la severità di due zigomi taglienti e un sorriso affilato come la punta di un pugnale. Era tutto questo, più lo schiocco smorzato di braci invisibili.
Doveva mettere le mani su quel corredo, e doveva farlo alla svelta se era favoloso come si diceva.
Riflettendo, si convinse che avrebbe potuto far finta di niente e tornare in seguito, ma a quel punto era già entrato nella bottega e si era confuso tra i clienti. Stanco del chiasso e di tutta quella gente, con
nonchalance decise di avvicinarsi alla porticina di cui aveva sentito parlare, ma proprio in quel momento la ressa davanti a lui era particolarmente impenetrabile e la corrente della folla lo trascinò dall’altra parte del negozio.
«Ah, professore! Come sta, signore?» Dorian salutò gli studenti e strinse la mano a diversi genitori. Pareva di ottimo umore, sorrideva, salutava e cercava di farsi largo passeggiando avanti e in dietro di continuo, tanto che dopo dieci minuti non rimaneva nell’emporio nemmeno una persona con cui non avesse scambiato un convenevole, un ninnoletto o un libro che non avesse sfiorato con la mano, specchio nel quale la sua immagine non avesse – deliziosamente – svolazzato, commesso al quale non avesse rivolto uno sguardo sorridente.
Girò di qua e di là come una foglia secca afferrata dal vento e in uno di quei giri intorno alla sala scoprì un angolo tranquillo in cui prendere fiato.
Saltellava sul filo sdrucciolevole che separa ragione e follia come un funambolo cieco. Il sorriso di un altro bambino, l’offerta di un altro bisunto dolcetto disgustoso e sarebbe stata la fine. Avrebbe perso il senno.
Ripensò a quando, in Sala Grande, l’elfo aveva preteso che bevesse un bricco di cioccolata, lui che per colazione gustava compostamente solo un bicchiere di acqua frizzante, e rabbrividì.
Controllò di avere il borsellino con sé, contò nuovamente le gelatine d’oro e meravigliato si domandò se gli avrebbero fruttato qualcosa per davvero, al di là di una colica intestinale.
Poi, scivolò dietro la porta e si ritrovò sull’
altro lato.
I suoi occhi gli mostravano lo stesso negozio completamente trasformato e migliorato al punto da essere irriconoscibile. Vi erano tutti gli oggetti possibili e immaginabili – gli parve persino di scorgere un bastone magico che se ne andava a spasso da solo – e alcuni avevano effettivamente un pregio enorme.
Posandovi sopra i suoi occhi di studioso, si domandò se avrebbe potuto, in qualche modo, acquistarli. Immediatamente cercò di richiamare l’attenzione del commesso.
«Mi pare di aver capito che non accettiate denaro contante. Ho abbastanza gelatine per questi?» chiese, indicando tre articoli dall'aspetto particolarmente prezioso.
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