| Uhm provo più a scrivere per me, che per gli altri. Quando mi chiudo con i racconti è sempre così. Tuttavia, vediamo un po' come me la cavo con questo qui, è un genere che non ho mai tentato di affrontare e mi è venuto in mente ieri notte. Giorno 1 La prima cosa che ho visto, non appena ho aperto gli occhi, è stata la mia mano. Non ho idea del perché, ma nell'incoscienza devo aver alzato il braccio e allungato le dita verso il cielo. Sapere cosa stavo sognando... impossibile. A dirla tutta è impossibile per me capire anche troppe cose: non solo non ricordo chi sono, ma anche dove sono. "Banalità" direte voi, no, dico io! Perché credetemi, se anche voi vi risvegliaste dove mi sono risvegliato io... beh, neanche chi ha la memoria a posto ne verrebbe a capo! La mia mano era rivolta, come ho detto, verso l'alto. Eppure ciò verso cui le dita si allungavano non era il cielo, né un tetto. Era un mare di foglie. Turchesi. Per sicurezza mi son tastato la testa alla ricerca di qualche trauma, taglio, bernoccolo o chi per loro. Ma il mio cranio sembra integro, quindi suppongo io non me lo stia immaginando. Mi sono alzato un po' barcollante dal giaciglio di paglia su cui ero sdraiato e mi sono guardato intorno, stupito. Mi sono risvegliato nella radura più strana che possa esistere. Intorno a me ci sono alti alberi di una tonalità più scura delle foglie che mi sovrastano. Fitti, creano quasi una barriera naturale, a terra una sottile erba cresce rigogliosa di un bel bianco abbacinante, quasi fosse fatta di neve. È fredda al tatto, ma non eccessivamente. La luce credo filtri attraverso il fogliame degli alberi, tuttavia non riesco a intravedere il sole; i raggi sono omogenei, bianchi, e rischiarano l'ambiente egregiamente. Su questo non ho dubbi. Appurato che il luogo in cui mi trovo non sia terrestre (lo pensereste anche voi se vi ritrovaste in una foresta azzurra!), mi è sorto un dubbio. Sono umano? Di primo acchitto ho pensato di sì, guardandomi e tastandomi mi sembra di essere umano, sebbene il concetto di "persona" sia insito in me come il fatto che gli animali sanno di essere animali. Forse un topo non sa proprio che è un topo, ma sa che è diverso da un gatto, da un cane o da qualsiasi altro. Sì, credo di essere diverso da tutto ciò che mi circonda, e qui, non vedo umani. Per sicurezza esploro un po' la zona, mantenendomi sempre all'interno della radura. Raggiungo un piccolo specchio d'acqua, molto modesto direi, posso giusto sciacquarmici il viso. Così, mi sporgo e osservo il mio riflesso. Sulla superficie mi osserva un volto pallido, forse un po' scavato, ma la barba sfatta copre un po' la magrezza. Degli occhi azzurri, quasi bianchi, mi fissano malinconici, sono un po' cerchiati. I capelli sono lunghi, forse un po' troppo, mi dice una vocina dentro di me, come se non stesse bene per un uomo avere certi capelli. Allungo titubante la mano e tocco il riflesso che pian piano svanisce in piccoli cerchi. Indubbiamente la figura sono io. Ed ora? Certo ho compreso cosa sono e dove sono, ma i dettagli mi sfuggono. Per sicurezza ho deciso di scrivere con ciò che sono riuscito a trovare. Non so se qualcuno troverà questi scritti, ma non si sa mai. Sospiro e torno al giaciglio e lì, mi addormento.
Giorno 2 Mi sono svegliato affamato. Dalla ricognizione precedente non è emerso che ci siano alberi da frutto o bacche. Vorrei esplorare a fondo dentro la foresta d'alberi azzurrini, ma non mi sento sicuro. Sento che di solito, al fianco, ho sempre avuto qualcosa. Come una... piccola spada. O un pugnale. Mi sento sguarnito, senza difese. Sono dunque tornato alla piccola pozza d'acqua e ho bevuto un po', osservandomi ancora cercando di ricordare. Niente da fare. Poi d'un tratto, un odorino ha attirato la mia attenzione. Mi sono voltato e al limitare della foresta è comparso un piatto pieno di brodaglia. Non mi sono chiesto né perché né come, mi ci sono fiondato e l'ho mandato giù con avidità. Solo dopo mi sono chiesto da dove sia spuntato. Ho provato a chiedere al nulla se ci fosse qualcuno, ma niente. Nessuna risposta. Forse sono creature timide? Forse sono un prigioniero? Sono in guerra? Mi chiedo automaticamente. Sono concetti che in un certo senso corrispondono nella mia mente, sento il sangue ribollire. Faccio due più due. Ero in guerra, visto il peso che immagino al mio fianco. Contro chi o cosa, non saprei dire. I miei sensi sono troppo vigili, sento che non è qualcosa da tutti. E il pensiero di prigionieri mi brucia, all'altezza del braccio. Poi, un frinire di foglie. Mi metto in posizione afferrando un ramo. Un'ombra esce dai cespugli, non ha viso, né forma. Allunga solo delle protuberanze verso di me, credo siano braccia. All'improvviso si accavallano nella mia testa tante persone, magre come scheletri, fantasmi. Mi vogliono morto, credo. Urlo, cerco di combattere, ma eccone due, tre, quattro, cinque. Quante sono? Non ce la faccio, e cado.
Giorno 3. Questa volta a svegliarmi è stato un dolore atroce alle tempie. Mi sono sfiorato e ho sentito tanto caldo e bruciore. La testa mi gira, non riesco a capire. Tuttavia, sono vivo. E sono ancora nella foresta. Vorrei il mio pugnale. Vorrei anche la mia pistola. Sì, improvvisamente mi sono ricordato. Avevo un fucile, una volta. E ora, anche se ora i miei abiti si limitano a semplici brache bianche e una maglia di lino, ricordo che portavo una divisa. Se prima avevo dubbi, ora non li ho più. Dovevo essere un soldato. E non uno qualunque. La consapevolezza mi fa comprendere che sento un altro peso, all'altezza del braccio. Cos'è? Prendo un bel respiro e tiro su la manica. Sul polso ho un numero, ma non capisco. Salgo su con lo sguardo e all'altezza dell'incavo dell'avambraccio un simbolo svetta, nero come la pece. La testa comincia a vorticare. Non so se riesco a scrivere ancora. I ricordi affluiscono alla mia mente come se quel simbolo fosse la chiave di tutto. Mi tappo le orecchie, sento urla disumane e credo di star urlando anche io. Un'odore di bruciato e poi di medicina si alternano nelle mie narici. Vedo tanti uomini, un vasto campo, sangue inzuppa la mia divisa nera e rossa. Indietreggio. Non ce la faccio, vedo sangue ovunque. No! Le ombre sono tornate, escono dalla foresta, sono troppe, non so se riuscirò a sopravvivere! Sembrano comandarmi, sono tornate dal passato per farlo. Sono folli, folli! Credo vogliano farmi impazzire per vendetta, ma io so, SO di essere sano. So che tutto è reale. Ma non riesco a reagire, il mio corpo è stanco e pieno di ferite. Una volta credo che qualcuno mi abbia detto che il mio corpo era perfetto, con la pelle bianca, gli occhi azzurri, i capelli biondi e una bell'altezza. Una razza perfetta, l'uomo perfetto. Sorrido, fiero. In fondo, sì. Io sono un Dio. Cosa posso temere quelle ombre? Irradio luce, è per questo che loro sono misere ombre. Io non cadrò. Mai. Improvvisamente so cos'era la guerra: Io, Divinità, combattevo contro i miseri umani. Guardo il simbolo sul braccio, il nero sul candore e finalmente tutto torna al suo posto, ora che comprendo a pieno le sue forme. Una svastica.
Anno Domini XXXX - Mese X Giorno X - Londra Il paziente 62213 è finalmente giunto in ospedale. È un ufficiale del Fuhrer ormai decaduto. Alcuni prigionieri che gli americani hanno liberato ci hanno detto che è lui, quello delle sperimentazioni umane. C'è qualcosa che l'ha deviato. Bachmanner, questo il suo cognome, sembrava un uomo perfettamente normale. Se così vogliamo chiamare un nazista. L'orrore della guerra che i tedeschi hanno provocato rimane vivido come inchiostro su carta e la follia di Hitler ha contagiato la nazione e i suoi uomini (e non solo) come un virus. È per questo che io mi prendo cura dei malati. Ma loro non sanno che sono malati. Il paziente 62213 ad esempio credo sia convinto di stare benissimo e di esser stato catturato dagli ebrei. Non so se ricordi il suo passato, ma ho ragione di credere che la memoria si alterni ai suoi stati di pazzia. L'infermiera Jensen ha riferito di averlo visto comportarsi in maniera strana e per questo (dannata!) ha ricorso all'elettroshock per punirlo di essersi ribellato. Ah, è una donna giovane, lavora qui da poco. "Signorina Jensen, cosa si aspetta da un ospedale psichiatrico?" le ho detto e lei si è limitata a rispondere con una risatina nervosa. Sciocca. Non riderei di questi uomini. Non riderei assolutamente su nulla, specie su Bachmanner. Con lucidità dicono che abbia sterminato centinaia di soldati nemici. Un autentico Dio della Guerra, come suole definirsi nei suoi scritti. E io gliene do atto. Il Vice-Direttore, a proposito, si ostina a volergli mettere una camicia di forza. "Rovina le pareti che abbiamo appena fatto piastrellare", dice. Ma non mi interessa. Quell'uomo sta riempiendo tutti i metri di parete con i suoi scritti. Non so dove abbia preso la penna ma per ora sembra innocuo e non sembra intenzionato a ficcarselo nella trachea, come ha fatto il paziente 45771 la settimana scorsa.
Bachmanner mi affascina, è lucido nella sua follia. Forse è più vicino alla natura umana di quanto si creda.
DISCALIMER(per gli ignoranti): NON sono nazista. Non voglio mancare di rispetto neanche ai malati. Prendete il racconto (per chi leggerà) per quello che è senza fare moralismi sulla mia scelta.
I tempi verbali sono volutamente confusionari.
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