Il vento freddo soffiava tra i cardini usurati della porta. Il giovane Serpeverde era sicuro che gli spifferi provenissero unicamente da lì, perché le due ampie vetrate che incorniciavano l’ingresso alla bottega erano pressoché incrostate da un ecosistema unico al mondo che impediva il passaggio della semplice aria. Quanto ci aveva provato a pulire via quella sporcizia lo sapeva solo lui. Aveva sprecato così tanto olio di gomito nel tentativo di rendere quel posto quantomeno vivibile, finendo col fare solo peggio. Si strinse nel giubbino, le spalle ricurve nel tentativo di tenere al caldo le membra. Non era uno che soffriva il freddo e, anzi, gli piaceva la sensazione bruciante del gelo; bilanciava perfettamente con la temperatura del suo corpo sempre un po’ più alta della norma. Pensò di aver preso un’influenza o che quel vento avesse qualcosa di magico, magari uno scherzo della fattucchiera che aveva cacciato via dall’acciottolato di fronte il negozio quella stessa mattina. Sicuramente era colpa sua. Non si ammalava tanto facilmente, per fortuna, e non riuscì a trovare altre giustificazioni a quel disagio.
La giornata si prospettava lunga e passò gran parte del suo turno a sbuffare. Quando vide entrare il Professor Drake, però, si ricompose. Quantomeno per educazione.
Salve, Professore. – lo salutò, distendendo le labbra in un sorriso mesto. La sua estrosità gli faceva simpatia, forse anche perché gli piaceva quando era lui a occuparsi delle lezioni di Rune Antiche. Annuì alla sua richiesta e si spostò oltre il bancone per andare a prendere il ciondolo. Lo impacchettò con cura e glielo porse.
***
Una volta congedato il Professor Drake, fu il turno di occuparsi dell’ordine di un gufo. I rapaci, di solito, palesavano la loro presenza picchiettando su una delle vetrine, ma questo superò in picchiata la testa di un omuncolo tarchiato che si ritrovò ad aprire la porta in quel preciso momento. Draven vide come a rallentatore il parrucchino dell’uomo scostarsi dalle tempie per via dello spostamento d’aria e strinse i denti quasi con forza, pur di trattenere una risata che sentì caricarsi dal fondo della gola. Di sicuro il cliente non avrebbe apprezzato l’insolenza.
Cercavo un anello… - esordì, lasciando appesa l’affermazione come se fosse Draven a doverla completare. Il ragazzo si affrettò ad accogliere il rapace atterrato sul bancone con un biscotto gufico, prima di alzare lo sguardo sull’uomo davanti a lui. Porca miseria, aveva ancora i capelli spostati.
Arrivo tra un attimo. Gli anelli in vendita sono tutti esposti in quella vetrina laggiù, ma devo consigliarle di non toccarli. – rispose, abbassando lo sguardo perché quel parrucchino scomposto rappresentava la cosa più divertente che gli fosse mai accaduta dentro quel negozio. A pensarci, forse era l’unica.
Per non indispettire il gufo, si volse a prestare di nuovo attenzione a lui e lesse l’ordine che gli era stato chiesto di recapitare. Volse il foglietto e lasciò un messaggio per Lyvie, poi prese quanto richiesto dalla ragazza, lo impacchettò e lasciò che il gufo glielo recapitasse. Si assicurò di scortarlo fino alla porta per evitare di disturbare ulteriormente il povero parrucchino.
CITAZIONE
Grazie per la mancia!
Draven
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Aveva raggiunto Nocturn Alley passando per Diagon, come di consueto, dato che non c’era altro modo a lui conosciuto per arrivare fino al negozio di Magie Sinister. Ma, a differenza del solito, in cui la massima preoccupazione erano bambini urlanti e/o fattucchiere dal fetish discutibile, quel giorno gli era toccato superare un’aria tutta diversa; potenzialmente più inquietante e fastidiosa di qualsiasi marmocchio o pazzo su di giri. Tra bollicine a forma di cuore, gelati di tutte le tonalità di rosa e rosso così accesi da ferire le retine, palloncini colorati e rose di ogni tipo, gli ci volle comunque un bel po’ per realizzare che periodo dell’anno fosse. Incredibile come il consumismo babbano fosse stato inglobato anche nel mondo magico. Con una tale smorfia rabbiosa in viso, che avrebbe tenuto a debita distanza anche il più coraggioso dei maghi, aveva letteralmente corso per raggiungere Magie Sinister e rintanarcisi dentro nella speranza di dimenticare quanto visto nel breve tragitto.
Si era piazzato dietro il bancone con un libro di incantesimi poggiato sul legno sudicio e non aveva alzato il naso oltre quelle pagine, se non per accogliere e servire i clienti. Non per un ritrovato senso del dovere nei confronti dei compiti, quanto per la necessità di tenersi mentalmente impegnato per non pensare all’eventualità che quel ciarpame romanticoso potesse piacere a Megan. Ecco cosa aveva comportato la vista di quei festeggiamenti in strada: una sfilza di riflessioni ridondanti e incoerenti.
Stava ancora decidendo se parlargliene o fingere ignoranza a riguardo, quando i toni soavi di Camille Donovan attirarono tutta la sua attenzione. Si costrinse ad alzare la testa dal libro per poter incontrare il suo sguardo e, nonostante tenesse pronto un bel ghigno di saluto, si limitò a osservarla in maniera apatica. Forse nella speranza che una di quelle cappe su cui aveva posato gli occhi l’asfissiasse accidentalmente.
Se, solitamente, avvertiva i clienti di non toccare nulla per evitare brutti incidenti, con Camille non ne sentì l’esigenza.
Fai come fossi a casa tua. – disse, piuttosto, dando libero sfogo al ghigno che aveva trattenuto fino a quel momento. Scoprì i denti con un luccichio ferale negli occhi. Non sapeva spiegarsi nemmeno lui come o perché, ma quella povera ragazza era in grado di cacciare la parte peggiore di lui, quella più recondita e crudele, completamente priva di empatia e sensi di colpa. Gli dava un senso di libertà che provava di rado.
Purtroppo, durò per un breve momento, e il luccichio luttuoso nei suoi occhi si spense non appena posarono lo sguardo sul coupon sconto. Lui stesso aveva sfruttato quel buono della Gazzetta, ma lo aveva fatto nel negozio in cui lavorava la sua ragazza e non in un posto a caso. Forse un po’ giudicandola, si chiese perché lei non avesse fatto lo stesso da Zufolo piuttosto che andare a rompere le pluffe a lui.
Oh. No. Non ci pensare proprio. – si ritrovò a ribattere, con un brivido che gli scosse le spalle alla sola idea di essere sfiorato da Camille Donovan. Le avrebbe accettato lo sconto pur di mandarla via il prima possibile.
Ma dato che, proverbialmente, “non c’è mai fine al peggio”, gli porse una lettera… d’amore? Per un brevissimo istante, prima che si decidesse a chiarire, si agghiacciò all’idea che potesse essere da parte sua.
La guardò con sdegno e non la sfiorò nemmeno con un dito.
Non appena Camille fosse uscita dal negozio, avrebbe fatto in modo di bruciarla.
Accetto il buono, ma sparisci immediatamente dalla mia vista.***
Fu costretto a sollevare di nuovo lo sguardo dal libro quando sentì la porta d’ingresso cigolare e avvertirlo dell’arrivo di nuovi clienti. Riconobbe subito la “ragazzina Sonorus” e, pur non avendo la minima idea di chi fosse la rossa al suo fianco, pensò che fosse una qualche parente, sicuramente più a suo agio di lei a curiosare tra gli scaffali. Forse l’aveva già servita in passato, ne ebbe il sentore, ma non la sicurezza; magari era una cliente abituale e si sforzò di riaffiorarne il ricordo, continuando a fissarla anche quando incontrò il suo sguardo. Non batté ciglio, nessuno di loro due lo fece: fu una sorta di lotta di sguardi silenziosi finché non gli si avvicinò per chiedergli di Emma.
Non è di turno oggi. – si limitò a risponderle, asciutto. Nemmeno osservandola da così vicino riuscì a ricordarsi di lei. Un viso anonimo, per quanto i capelli attirassero l’attenzione. Chiuse il libro di studio e si sporse sul bancone, incrociando le braccia sul legno opaco per protendersi in avanti e osservare la ragazzina. La indicò con un cenno del capo, senza togliere lo sguardo da lei.
Se perde un dito o due per curiosare, non voglio responsabilità. – commentò, senza degnarsi di volgere la propria attenzione sulla rossa per osservare una sua eventuale reazione a quelle parole. Di solito, la gente che non era abituata a trattare con articoli simili, si stizziva quando faceva notare loro di essere entrati in un negozio pericoloso. Come se tutto lì dentro, dal cigolio della porta alle mani tranciate e avvizzite macchiate di sangue, non fosse un chiaro segnale di allarme.
Quando la ragazzina si avvicinò, per istinto abbassò lo sguardo a contarle le dita delle mani, ma lo rialzò sui suoi occhi durante lo scambio con la rossa. Una dura battaglia, dettata da quello che interpretò come imbarazzo, imperversò dentro di lei al punto da iniziare praticamente a balbettare scuse.
Avrebbe scritto una lamentela alla Gazzetta per far sapere a chi di dovere che quel buono sconto aveva causato più danni che piaceri.
Era rimasto a fissarla sconcertato per tutto il tempo del suo blaterare, con un sopracciglio inarcato.
Senti, rilassati. Consideralo accettato. – esordì, dopo quello che gli sembrò un tempo infinito. Aveva iniziato a diventare pietoso già quando aveva pronunciato il suo nome a mo di supplica, ma non aveva ben colto dove volesse andare a parare, se nel chiedergli lo sconto a prescindere dalle condizioni del buono o se di portare a compimento le condizioni dello stesso per essere ligia alle regole, per cui aveva esitato a interromperla per darle modo di esprimersi.
Grave, gravissimo errore di valutazione, perché nel momento in cui provò a tranquillizzarla – seppur a suo modo – con quelle parole, si ritrovò le labbra della ragazzina su una guancia. Si rizzò con la schiena praticamente di scatto, scostandosi da lei per riflesso, in concomitanza con lo schiocco leggero del bacio.
Con gli occhi iniettati di sangue da un’immediata ondata di nervosismo, gli ci volle ogni goccia del suo autocontrollo per mantenere l’espressione del viso indifferente e non ringhiarle addosso. E lo fece solo perché la sensazione che la sua accompagnatrice fosse una cliente abituale era ancora molto forte e non voleva perdere l’opportunità di fare soldi.
Impacchettò i suoi articoli in un silenzio funereo e in risposta al suo sorriso tirato, quando lo ringraziò palesemente a disagio, si assicurò di guardarla in modo che quel disagio le impedisse di avvicinarsi a lui un’altra volta.