| ♦ Horus R. Sekhmeth
~ Sala Comune — h. 19.27Il suo riflesso lo osservava. al di là dello specchio; un'espressione indecifrabile sul viso. Occhi chiari come cristallo opaco, severi, il sinistro circondato da una rosea voglia, l'acqua che gocciolava dai capelli rossi, colando lungo la schiena, le spalle, il petto. Quel petto solcato da una lunga, sottile cicatrice che spiccava a malapena sulla pelle candida; al centro un nero glifo che le dita del ragazzo sfioravano come fosse qualcosa di incredibilmente fragile. Sentiva, sotto i polpastrelli, la carne in rilievo della cicatrice, liscia ed innaturale, ma l'ipotetico inchiostro di quel bislacco tatuaggio nato dal nulla, sembrava essersi fuso con l'epidermide stessa. Horus sospirò, alzando il viso e guardando il riflesso, allungando una mano verso il vetro, appoggiando il palmo aperto sulla superficie, osservando i contorni del viso di colui che lo osservava, resistendo alla tentazione di fuggire il suo stesso sguardo. Estraneo, diverso: a volte faticava persino a riconoscersi in quell'immagine, in quel corpo. Straniero.* Andiamo, Ra, muoviti.* Il Caposcuola si voltò, il riflesso lo seguì; volente o nolente, era il suo nuovo Io e nulla poteva fare se non cercare di non perdersi. Osservò il completo bianco adagiato sul letto del dormitorio vuoto. Probabilmente Kevin e Paul erano già andati al Ballo, o forse no, l'importante era, comunque, che fosse da solo. L'abito che aveva scelto per quella serata aveva uno stile diverso, forse più moderno, rispetto ai soliti che indossava in certe occasioni e che, certamente, risultavano un po' antiquati. Lo guardò piegando da un lato la testa, mordendosi il labbro inferiore. Più osservava gli eleganti fermagli, le stoffe pregiate, i bottoni d'argento, più saliva il dubbio: andare o non andare? Ora che era arrivato il momento di indossare quell'abito, non era più sicuro di voler andare al Ballo. In un modo o nell'altro, i Balli della Scuola si erano susseguiti in un trionfo di sfighe ed eventi malaugurati. Al primo, lo ricordava come se fosse stato ieri, era andato con Sivra: dov'era scomparsa, che fine avesse fatto, Horus non era ancora riuscito a saperlo. E una parte di lui bruciava di rabbia, per come lei l'aveva trattato: un ragazzino lo era a quel tempo, vero, ma non era sciocco o indifeso come lei aveva voluto vederlo e crederlo. Eppure quella sera, lui si era sentito grande, accompagnando la fanciulla, danzando con lei... fino a quando la gelosia non gli aveva stretto il cuore. E non era perché Sivra aveva osservato un ragazzo dai capelli blu. Soltanto ora capiva che quel sentimento non era per lei, ma per la compagna di quel giovane. La stessa che quel giorno, dopo anni, sarebbe entrata in Sala Grande al suo fianco, che avrebbe danzato con lui. La stessa che appena un anno e mezzo prima, era lì, con un altro ragazzo. Quanti diamine ne aveva avuti, Mya Lockhart, di ragazzi ai suoi piedi? Era bella, incredibilmente bella, si era detto, era normale... eppure odiava il pensiero che qualcun altro l'avesse sfiorata, che qualcun altro fosse stato accanto a lei. E il solo pensiero di Crowell gli faceva salire l'embolo. * Che ragazzina che sono diventato...* Horus sorrise ironicamente, lasciando scivolare l'asciugamano a terra e cominciando a vestirsi lentamente. Ma sì, si rimproverò, al diavolo Random, al diamine quel Corvonero. Quella serata era loro.~ Sala da Ballo — h. 20.34Quando entrò nella Sala da Ballo, Horus trovò che fosse incredibilmente più rumorosa di quanto ricordasse. Nei precedenti balli, il ragazzo se n'era stato in un angolo, bevendo in solitaria, non prestando nessun'attenzione a chi o cosa vi fosse in Sala, nulla al di fuori dei suoi pensieri. Ora che vi rimetteva piede, un'enorme cacofonia di suoni imperversò nelle sue orecchie, centinaia di abiti variopinti si mescolavano formando una piccola folla sparsa qui e là. In alto, il soffitto incantato di Hogwarts mostrava uno splendido cielo nero, punteggiato da migliaia e migliaia di stelle, una falce di luna semi-oscurata da una nuvola solitaria. Gli occhi di Horus si posarono inevitabilmente verso il centro della Sala, inquadrando appena un tavolo di bevande posto ad un lato. Nella mente, il Caposcuola rivide il fantasma di sé stesso dodicenne che volteggiava con Sivra, il mantello di lui e i veli di lei che vorticavano dietro di loro come piccoli sipari. E quel ricordo, quel fantasma di sé, gli sembrò incredibilmente piccolo e fragile. Le labbra si incurvarono ironiche; ora, mentre procedeva lentamente verso quello stesso luogo, era davvero più grande. Incamminandosi verso il tavolo, dominando il centro della Sala v'era un gruppo di starnazzanti ragazzine —primine, nessun dubbio al riguardo—, cui Horus passò vicino alzando gli occhi al cielo. Una di loro in particolare, alzando d'improvviso le braccia verso l'alto, provvedé quasi a tirargli una manata sullo stomaco —vista la sostanziale differenza d'altezza—, che il Caposcuola schivò appena in tempo, il timpano forato a suon di "PANDALOOOOVE" che la fanciulla aveva d'un tratto urlato. Benedetta gioventù si disse, scoccando loro un'occhiata severa e scuotendo leggermente il capo. * Che pensiero da vecchio... Sedici anni e non sentirli, proprio.* Pensò ironico. Raggiunse finalmente il banco delle bevande, prendendo un calice di Acquaviola, per poi accostarsi poco più in là, verso una colonna. Il déjà vu di quando era lì appoggiato, ammantato di nero, alla ricerca di Sivra lo investì. Anni dopo, notevolmente più alto, vestito di bianco, attendeva la sua dama che avrebbe varcato, di lì a poco, quei grandi portali per raggiungerlo. Portò il calice alle labbra, sorseggiando la bevanda e guardandosi attorno, lo sguardo distratto che si posava sui vari, disparati volti senza tuttavia osservarli realmente. Prendeva tempo, cercando di non pensare al cuore che, sotto gli indumenti eleganti batteva incredibilmente forte, al pensiero di veder Mya, soprattutto in quell'occasione. D'un tratto, quasi cogliendolo a tradimento, un dubbio attraversò la testa, il pensiero gli fece quasi andare di traverso l'Acquaviola, facendolo imprecare mentalmente con poca grazia. Se la ragazza ci avesse ripensato? Già l'idea di Mya di voler arrivare dopo di lui, e non insieme, gli aveva fatto storcere il naso. Era un chiaro segnale che ci aveva ripensato, che non aveva saputo trovare una motivazione per rifiutare di andare con lui al Ballo? In effetti, non gli sembrava una ragazza affine a certi eventi. E se non fosse davvero venuta?* Oh no, me lo devi gattaccia selvatica. Me lo devi, dopo ciò che mi hai fatto patire, lo scorso ballo. * pensò innervosito, glissando bellamente il fatto che, in parte, fosse stata anche colpa sua, gli occhi fissi sulla grande porta della Sala da Ballo. Piuttosto, sarebbe andato a prenderla direttamente in Sala Comune, affrontando qualsivoglia meccanismo di difesa dei dormitori femminili, abbattendo la porta a pedate e caricandosela in spalla come un sacco di patate. Avrebbe continuato ad attendere. Lei era sua, nessun altro, che fosse un ragazzo, il Tempo, la Paura poco importava, gliel'avrebbe più portata via.« And before I knew it, she poisoned my heart»
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