| ♦ Horus R. Sekhmeth
~ Horus si voltò lentamente, in direzione della donna, non appena le sue parole spezzarono il silenzio che, leggero, si era insinuato tra di loro scandendo i momenti di quella strana serata. Erano parole incredule, esasperate, stanche, ironiche e una miriade di altri aggettivi che Horus non poté (e non volle) carpire e analizzare fino in fondo, come avrebbe invece fatto in altre occasioni. "La storia della mamma apprensiva", così Camille aveva definito —con forse troppa enfasi e il tatto di un ippopotamo danzerino— il preambolo del racconto del ragazzo. Avrebbe dovuto offendersi? Sì, avrebbe dovuto. Invece, con tranquillità, Horus sorrise: un angolo della sua bocca si incurvò nella sua tipica espressione divertita. Camille aveva ragione, del resto. Fra tutte le cose che gli erano successe, non solo quella sera, ma da un po' di mesi a quella parte, il raggiungimento di quella verità e la consapevolezza dell'atteggiamento di sua madre erano un po' come la classica goccia che faceva traboccare il vaso. Eppure, nonostante tutto, nonostante anche lui si sentisse enormemente stanco ed esasperato, Horus si sentiva assai più leggero rispetto a quando quell'avventura era cominciata. La testa doleva, così come il corpo, ora che l'adrenalina era sparita, bruciava per i colpi presi, ma la mente no, quella correva, esplorava avida ogni singola frase di Camille, ogni probabile risvolto e piega che le cose avrebbero potuto prendere da quel momento. E lì, in quel giardino Babbano, sotto le vaghe stelle del quartiere di Dulwich, Horus si rese finalmente conto di quanto fosse vicino a prendere realmente le redini della propria vita nelle sue mani. Istintivamente, strinse entrambi i pugni, come se potesse sentirla lì, fra le dita, palpabile, reale in un'ordinata matassa fino a quel momento impicciata di nodi. Suo padre, i suoi timori, la sua stessa oscura forza cominciavano a trovare posto in un quadro, complicato certo, ma ora dai contorni più definiti. E quella nuova immagine di sé, più consapevole, cozzava, invece, con quella che Camille aveva ipotizzato per lui. Mentre lei parlava, citando rancore e vendetta, Horus si rese conto che non erano quelli i sentimenti che lo animavano, e se ne stupì. Provò a pensare a gli uomini di quella sera, all'inquietante Signore Oscuro che, come un grottesco burattinaio, buttava nel fango della Paura la popolazione magica; no, capì Horus, non provava quei sentimenti. Provava ribrezzo e disgusto per coloro che imbrattavano così le vite altrui e per averlo messo in mezzo, volenti o nolenti, nei loro cazzo di comodi. Tuttavia, il Tassorosso rimase in silenzio, non osando interrompere il discorso della donna che, dal canto suo, era animata dallo sguardo più intenso e convinto che le avesse mai visto. I suoi occhi, al di là dei fiochi lampioni, brillavano come animati di luce propria e il calore che emanavano gli infondevano davvero quel coraggio di cui lei parlava. Quando quella coltre di silenzio tornò a calare su di loro, quando Camille si avvicinò per osservarlo e per confermargli, tramite semplici gesti, ciò che gli aveva appena detto, Horus sorrise; un sorriso, questa volta, nascosto, celato dalle ombre che si dipingevano sul suo viso e generate dal gioco delle luci e del buio. Chinò appena il capo, sostenendosi con la mano destra al fragile fusto di quell'alberello: lo guardò per un istante, sfuggendo allo sguardo indagatore della donna, e si rese conto di sentirsi così. Non era la grossa quercia che avrebbe voluto essere, né era il fragile stelo di una pianta effimera a cui, invece, si era sempre immaginato di assomigliare. Era come un giunco che, morbido e flessuoso, si piegava alle tempeste senza mai spezzarsi, tornando sempre e comunque in piedi. * È pur sempre un inizio...* « Beh... » Esordì; la sua voce risuonava eccessivamente roca, la gola era secca, ed il ragazzo se la schiarì leggermente. I suoi occhi tornarono a posarsi sul viso di Camille, senza spostarsi di un millimetro dalle sue iridi dannatamente familiari.« In realtà no. Dubito seriamente che se avessi saputo tutto ciò fin dall'inizio, sarei andato a farmi ammazzare come un agnello al macello a casa di... Voldemort e compagnia bella. » Nuovamente, la sua bocca si incurvò in un sorriso sghembo; non era il tipo, si disse, semplicemente. « Non sono animato da sentimenti distruttivi quali rancore e vendetta, semplicemente perché non so se davvero mio padre sia o meno stato implicato nei loro sporchi affari. Non nascondo di essere amareggiato... per tutto questo » Allargò appena le braccia, in un segno eloquente« e anche solo per l'idea che mio padre possa essercisi imbattuto, quello sì e non voglio nasconderlo. Ma probabilmente, se avessi saputo prima di questa faccenda, avrei fatto esattamente ciò che il mio istinto mi ha comunque spinto a fare ogni volta che sentivo il nome del Signore Oscuro e dei suoi seguaci mormorati nei corridoi e... nei giardini. » Il ricordo della bionda Serpeverde amica di Sivra gli piombò nella testa, come se fosse sempre stato lì, naturale, pronto a uscire allo scoperto. « Avrei indagato, avrei cercato informazioni per comprendere realmente da che punto partire e come arrivare. L'unico problema è che ho sempre dimenticato tutto, nel giro di qualche... ora credo. » Horus si strinse nelle spalle, lasciando che un piccolo sospiro si animasse sulle sue labbra e si perdesse nell'aria. Parlarne gli faceva uno strano effetto: aveva sempre saputo certe cose, per quanto il sigillo di sua madre gliel'avesse tenute celate, e la naturalezza con cui uscivano ora dalla sua mente e passavano per la sua bocca lo inquietava. Sembrava tutto dannatamente... normale? Come se nulla fosse accaduto, come se nessun incanto lo avesse tenuto prigioniero di un distruttivo amore materno. « Ma effettivamente, sebbene ora io sia come... libero, so che non posso arrivare a certe informazioni da solo. È per questo, Camille, che ti ho confidato questa parte del mio passato. » Tacque, guardandola con ostinazione, resistendo alla tentazione di muovere ancora un passo a colmare la distanza che li separava. « Non voglio che tu compatisca mia madre e io stesso posso immaginare il motivo per cui abbia voluto proteggermi nella sua... sciocca follia di donna. Ma ho davvero bisogno del tuo aiuto per fare chiarezza. » *E mi scoccia, chiedere aiuto a qualcuno, anche se sei tu.* Ma questo, Horus, non lo disse. Si limitò a rimarcare ciò che la donna aveva già capito e che aveva già assicurato: non avrebbe dimenticato, avrebbe potuto far luce sulla scomparsa di suo padre, avrebbe persino avuto protezione... già. Ma chi l'avrebbe protetto? Camille in persona? Figuriamoci. Auror? Guardie? Altri stupidi idioti che l'avrebbero protetto come un infante? E soprattutto...« A che prezzo? » Parole ruvide, quasi ostili se lui stesso non avesse deciso di ammorbidirle, muovendo un passo verso la donna, gli occhi limpidi e un tono forse troppo sincero. « Non so fino a a che punto quello che ho combinato stasera possa essere pericoloso per me, ma visto che mi hanno quasi ammazzato pur non sapendo nulla, posso solo immaginarlo e prenderne atto. Ma il tuo aiuto, così come tutto, deve avere un prezzo. Allora... » Le sue parole si persero nel leggero vento notturno che fece stormire le foglie degli alberi e dei cespugli. Da qualche parte, in lontananza, un cane abbaiava e delle macchine passavano sulla strada, vite straordinariamente distanti e per un attimo, ambite.« ... Permettimi di essere la tua arma. » *Come suona... strano, stupido, idiota, cretino.* « Voglio dire. Non sono un Mago potente, mi limito ad essere uno studentello qualunque. Ma... dalla Battaglia di Ottobre mi è rimasto qualcosa, una specie di lascito della Runa di Aster e che per poco non mi ha divorato. E solo ora, grazie a te, ho capito come usarlo. » Si sarebbe pentito di quella confessione? Probabile. Ma era inutile mentire: probabilmente, anche Camille possedeva un residuo della Runa che l'aveva posseduta e con con altrettanta probabilità, vedendo il corpo dell'uomo martoriato, avrebbe compreso che un incantesimo non sarebbe riuscito a fare ciò che Hagalaz —ed Horus— avevano fatto. « Permettimi di essere al tuo fianco, di impiegarlo per uno scopo. » *Il mio* « Non voglio essere nascosto ancora nella bambagia, protetto dagli altri. Voglio imparare a proteggermi da solo, perché quello che è accaduto stanotte lo devo al mio Istinto, e ho avuto... fortuna. L'Istinto, senza la Ragione non è niente. È solo... divenire bestie. »«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. »
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