| ♦ Horus R. Sekhmeth
~ Una solitaria civetta senza padrone si alzò improvvisamente in volo quando il ramo su cui era appollaiata oscillò pericolosamente. L'animale, innervosito, lanciò un acuto strillo di dissenso, facendo accapponare la pelle di Horus. Un fruscio di foglie che segnalò la dipartita della bestiola, la chioma dell'albero che dondolava, un sonoro scricchiolio ed un conto alla rovescia nella mente del ragazzo.* Trhee, two, one...* Rapido, con la mano destra, mal abituata a tenere la bacchetta, la puntò goffamente contro il tronco, tranciato in due, in procinto di schiantarsi al suolo con gran fracasso.* Silencio.* Un silenzioso raggio impattò sulla corteccia e l'albero si abbatté sul terreno, senza produrre alcun suono, come se esso fosse fatto di piume e l'erba e i rami a terra altro non fossero che batuffoli d'ovatta. Qualche piccola goccia di sudore scese dalla fronte del ragazzo, percorrendo la pelle e scivolando sul collo. Horus sospirò, abbassando al contempo bacchetta e braccio sinistro, il palmo della mano ancora aperto, lì dove una lama di vento si era appena liberata. Il ragazzo barcollò per qualche istante, appoggiandosi al tronco di un altro albero che, guarda un po', ancora non aveva abbattuto. Osservò la mano sinistra, soffermandosi sui punti illuminati da quei pochi raggi lunari che penetravano dalle folte chiome degli alberi, creando piccoli filamenti di luce. Quanti ne aveva abbattuti, si chiese, stringendo il pugno, le nocche che sbiancavano velocemente. Più di una dozzina, sicuro: le prime volte era stato incredibilmente difficile. Come un attrezzo dalla lama arrugginita, aveva faticato a tranciare gli spessi tronchi degli alberi della Foresta Proibita, allenandosi fino ad affilare il filo invisibile di quelle armi. Bastava, ora, solamente il pensiero, una goccia di sangue sulla Runa, e lui e Hagalaz si univano, come unica entità. Il vento che esplodeva, i capelli aranciati che si muovevano nell'aria, il mantello che svolazzava dietro di lui e la lama che si coagulava davanti al suo palmo aperto, percorrendo la distanza che la separava dall'obiettivo a velocità incredibile. Poi, preciso, come strumento chirurgico, tranciava di netto corteccia, filamenti e vita, abbattendo l'albero. Qualche volta Horus aveva avuto come l'impressione di esser osservato: forse, gli spiriti della Foresta che lo studiavano e lo giudicavano per l'estremo atto impuro a cui, ogni notte, sottoponeva la Natura. E lui, Horus, aveva accusato, inizialmente, quel senso di colpa con amarezza. Si sentiva profano, certo. Ma a lungo andare, aveva indurito il suo cuore e si era fatta largo in lui la consapevolezza che "il fine giustifica i mezzi". Il Caposcuola chiuse gli occhi, regolarizzando il respiro e sentendo, nel petto, il legame con Hagalaz sciogliersi. Era ora di andare. Lentamente si allacciò il mantello, assicurò il Pugnale Normanno —ormai, il suo più fedele compagno insieme alla bacchetta— alla cintura e si allontanò dall'albero, voltandosi solo un'ultima volta verso la pianta abbattuta che giaceva a terra come il cadavere di un soldato caduto in battaglia. Non una stretta al cuore, non un pensiero di rimorso, nulla di nulla attraversò il suo corpo. Aveva, definitivamente, raggiunto il controllo del suo animo e del suo potere, constatò, prima di dare le spalle alla radura in cui si era nascosto e incamminarsi verso l'uscita dalla Foresta. Era l'ultima notte in cui si sarebbe addentrato di nuovo nella macchia proibita agli studenti; l'ultima notte di allenamento. * Si torna a dormire...* Pensò con insolito menefreghismo, uscendo finalmente dai cespugli che delimitavano il confine con il giardino e ritrovando la figura del Castello illuminato dai raggi della luna davanti a sé. Una rapida occhiata per convalidare il via libera ed Horus percorse il parco della Scuola, costeggiando dapprima il Lago e poi, successivamente, le mura di cinta di Hogwarts. La brezza notturna arruffava dolcemente i capelli e accarezzava il viso e, anche se incredibilmente fredda, Horus l'accolse con gioia, sorridendo scioccamente al nulla. Fosse stato uno studente qualsiasi, probabilmente, non sarebbe stato così tranquillo. Probabilmente, se qualcuno l'avesse beccato durante quelle sue scappatelle notturne, avrebbe non solo fatto perdere una quantità immane di punti alla Casata, ma, con suo sommo dispiacere, sarebbe finito nelle grinfie di Gazza. Invece, la spilla che teneva appuntata al petto fungeva come una sorta di metaforico scudo: le ronde da Caposcuola erano un'ottima copertura. "Ero in ronda e mi era sembrato di vedere uno studente nella Foresta" era la scusa che si era preparato nel caso in cui un suo collega o lo stesso Gazza l'avessero incrociato. * Seh proprio in ronda... * Sbadigliò, stiracchiando le braccia verso l'alto. Fortunatamente, quella sera, non toccava a lui rigirarsi giardini e corridoi, bensì a qualche altro disgraziato di cui neanche aveva voluto informarsi. Dritto di filato a letto, si disse, crogiolandosi al pensiero che di lì a poco si sarebbe tuffato tra le braccia di Morfeo. D'altronde, pensò, voltandosi pigramente verso i cinghiali alati posti vicino il cancello d'ingresso * Brrr, chi ce li ha messi aveva davvero il gusto dell'orrido* anche se fosse stato di ronda, avrebbe potuto andarsene a dormire prima del tempo lo stesso. Chi mai era così scemo da decidere di andarsene in giro, di notte, a metà novembre, con un vento gelido e con qualche Prefetto o Caposcuola in giro pronti a pescare chiunque avesse violato le regole? A parte lui, si rispose, nessun--- * Oh.* Horus inchiodò di colpo, a qualche metro di distanza dal cancello: sulla strada principale che portava al Castello, una figura si muoveva rapida. Il ragazzo assottigliò lo sguardo, cercando di capire se chi aveva di fronte fosse un collega o un docente in ronda o lo scemo di turno. La figura, dal canto suo, non si accorse né di essere osservata, né, tantomeno, della presenza di Horus poco più in là, perfettamente illuminato dalla luna. Proseguì dritta, aprendo il grande cancello di ferro battuto e uscendo fuori dalla Scuola. Il corpo di Horus reagì nell'immediato, i riflessi allenati dal Quidditch: con un veloce scatto, raggiunse l'inferriata e, bloccandola con una mano, riuscì ad infilarsi fuori prima che il cancello si chiudesse, azzerando la distanza col fuggitivo, ora di spalle davanti a lui, inspiegabilmente fermo. Nonostante fosse più basso di Horus, era innegabile che la figura altri non era che un ragazzo.« Ehi, tu! Dove diamine credi di andare? » Sbottò il Tassino, a voce chiara e ben udibile, richiamando l'attenzione dello sconosciuto. * Dove credi di scappare?* « Ehi! » Ripeté stizzito quando il soggetto non si degnò di rispondere o, quantomeno, di accorgersi di lui. Senza rendersene conto, Horus allungò un braccio, cingendo quello dello sconosciuto, con il tentativo di costringerlo a voltarsi. Ma, ancor prima di poterlo fare, Horus sentì una dolorosa compressione all'altezza dei polmoni. Fu come se tutto il suo corpo venisse spinto dentro uno stretto tubo di gomma; tutt'intorno il paesaggio sfumò in un vorticare caotico di colori, il respiro che si rarefaceva. Conosceva quella sensazione, scoprì in quegli istanti di panico in cui la voce si era mozzata in gola: una sola volta, quando aveva otto anni, aveva effettuato la Smaterializzazione Congiunta con sua madre. E ricordava bene pure ciò che si era ripromesso: "MAI PIU' CON QUALCUNO." Promessa che venne prontamente infranta dal Caso. Qualche secondo dopo, la sensazione di esser strizzato come uno straccio svanì e i suoi piedi toccarono il suolo. La testa girava ed Horus spinse con insolita forza il braccio dello sconosciuto, quasi con ribrezzo, lasciandolo andare. Indietreggiò di un paio di passi, barcollando a malapena e osservandosi, con orrore, intorno: Hogwarts era sparita. Al suo posto un'ignota strada costeggiata da una fila di alberi dalla folta chioma e da giardini curati, qualche lampione ad illuminare fiocamente la via.« Dove... » Mormorò spaesato, riportando lo sguardo verso lo sconosciuto e riconoscendolo, finalmente, per la prima volta grazie alla luce artificiale che ne illuminava i lineamenti.« White? » Sirius White, il Caposcuola Grifondoro, incrociato qualche volta nell'ufficio e in ronda, nonché sul Campo di Quidditch, era in piedi, di fronte a lui. Un immane senso di colpa rovinò addosso ad Horus che ebbe come la sgradevole sensazione di aver sbagliato qualcosa. Mille domande si affollarono nella mente del ragazzo, mentre osservava di sbieco il giovane. E se Sirius avesse avuto un permesso per lasciare Hogwarts e lui si fosse impicciato? No, si disse subito, non poteva essere qualcosa di organizzato, altrimenti perché andarsene nel cuore della notte? Perché non rispondere, quando lui l'aveva richiamato?« Scusa, io non...» *Scusa un par di cacchi, Ra! Non è contro le regole una cosa simile?* «... Cosa diamine ci fai qui? E soprattutto... dov'è "qui"? »«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. » Edited by Horus Sekhmeth - 14/11/2013, 01:24
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