Non era di sicuro l'accoglienza che doveva aver immaginato. Qualunque cosa si aspettasse di trovare, certamente non poteva essere quella.
Cosa aveva segretamente desiderato, lì, nello scrigno occulto del suo cuore, recandosi sin sulla soglia di una dimora che mai aveva veduto e di cui mai si era interessata? Quali confessioni aveva sussurrato nel silenzio dei propri passi, mentre brandelli logori di ricordi pungevano gli angoli degli occhi e delle labbra? Aveva forse sognato la grande riconciliazione? Abbracci lacrimevoli e sorrisi puliti? O aveva puntato ad un chiarimento, preparandosi persino ad esser cacciata, ad accogliere accuse ed improperi, e tutto solo per essere certa di come stessero realmente le cose, del fatto che la frattura fosse ormai davvero troppo profonda? Poteva essere lì per mero altruismo, le sarebbe mai bastato vedere quelle persone vivere una vita felice lontana dalla sua, assicurarsi della loro salvezza ed accettare di buon grado il sacrificio, la pugnalata d'essere irrimediabilmente esclusa?
Perché, davvero, era lì? Era stata abbandonata, due volte, e se la scomparsa del padre era stata di per sé una dura prova, un'ultima spinta nel vortice del declino e dell'oblio che si era andato ingigantendo sin dal momento dell'orrenda scoperta di una notte lontana, ancora peggiore era stato il tradimento di vedersi lasciar sola dalla sua stessa madre, sola ad affrontare tutto quello, nel momento del più grande bisogno, quando la percezione che i punti saldi del proprio mondo stessero crollando si era fatta concreta.
Lei, sì, Lilian, era stata un'egoista: quale madre poteva arrogarsi il diritto di non essere abbastanza forte per la propria figlia, quale madre avrebbe permesso che ogni antica speranza degenerasse fino a quel punto? Che ogni più piccola bellezza fosse così brutalmente mutilata, ogni gentilezza appassita e lasciata ad annerirsi nella consunzione del rimpianto? Sciocca, vanesia Lilian. Così ingenua. Aveva preferito dimenticare, tornare essa stessa bambina tra le braccia dei genitori piuttosto che stringere al petto la propria. Perché le aveva scritto?
"Maledetta la tua nascita! Sei bella? La mia piccola era bella. Aveva capelli dorati che danzavano nel sole e denti bianchi da cui si libravano risa argentine. Non l'ho mai amata. "
Così aveva scritto. Eppure anche dove la mano di lei metteva nero su bianco l'aberrazione più grande, si scorgeva ancora una qualche tenerezza ben celata, il cogliere di quei frammenti d'immagine che restano solo nel cuore di chi ti ha voluto intensamente, di chi ha preso il meglio dal tempo speso assieme.
Aveva sofferto scrivendo quelle parole? Aveva voluto allontanarla con la morte nell'anima? Proteggerla? Ma perché allora abbandonarla già quella prima volta? Così poco era valso il suo amore? E perché ricordarglielo ora, quando avrebbe potuto spegnere la propria vita nell'indifferenza della figlia che aveva ripudiato? A tal punto era peggiorata la sua follia? Che quell'addio, vergato con calligrafia trattenuta, non fosse altro che la crudele conferma attesa? Quanto potevano essere attendibili le ossessioni di una pazza? Qual era stata la reale entità del dolore che una vita di affanni e segreti le aveva portato? Delusioni, amarezze, rabbia, impotenza: che posto aveva avuto Hope nei pensieri della donna? Cosa aveva rappresentato per Lilian Gordon quella bambina? E cosa rappresentava, ancora quel giorno, in quella casa, senza la provvidenziale maschera di distanza e inchiostro a nascondere il viso?
Eppure, Hope era lì. Non l'Ispettrice, non la Vice Preside, semplicemente Hope. Accolta dal vuoto e dal silenzio, nell'indifferenza di tutti, col suo bagaglio di perché, di ansie, di collera. Quell'apatia pareva quasi uno sgradevole invito ad andar via, un affronto personale che sapeva di disinganno. Una lettera mal interpretata? O forse non capita davvero? Cosa avevano nascosto le righe frettolose, quale nuovo triste male si annidava ad un soffio dall'anima vulnerabile di una figlia preoccupata vincolata al richiamo imprescindibile del sangue?
"Pare facile, conoscere perché si piange. "
Oh sì, in fondo, Lilian aveva ragione. Le sue parole erano più taglienti di quanto chiunque sarebbe stato disposto ad ammettere.
Era poi così facile capire i motivi dei loro rapporti deteriorati? Quali variabili avevano lavorato assieme in modo che tutti soffrissero? Poteva mai esservi un unico colpevole? Era forse stata tutta colpa di Frederick, l'ingannatore, il crudele? Aveva seguito degli ideali, una volta, orgoglio, successo, aveva ottenuto rispetto, riconoscimenti. Era forse stata colpa di Lilian, la fragile, bella Lilian, che aveva amato nel modo sbagliato, che era vissuta e sopravvissuta senza macchia e senza lode? O era forse stata colpa di Hope, la forte, la giusta, che aveva condannato una madre e l'aveva abbandonata alla propria follia, senza mai tentare di trattenerla con convinzione al proprio fianco, senza poi cercarla una volta cresciuta, senza mai porsi e porle i giusti interrogativi, lasciando che fosse un problema dei nonni?
Sì, Lilian, con quelle poche parole, aveva forse intravisto la verità: tutto quel supporre, quei perché... erano poi così rilevanti? Le conseguenze erano state talmente enormi che la causa aveva perso di significato. Tutto quel che restava era uno strappo al cuore, l'unico fatto reale e presente attorno al quale rannicchiare il proprio dolore.
Un passo avanti. La schiena della donna premette contro il legno della porta, un gesto rapido e fluido che non desse modo al piccolo Cristopher di dubitare della bontà del progetto, che le permettesse di avere le spalle coperte, e anche di ampliare la sua visuale sull'interno della casa.
Ma non c'era nessuno all'interno ad attenderla: l'uscio si apriva su un corridoio che proseguiva alla sua destra per sei o sette metri. Di fronte a lei, i pochi oggetti intravisti quando la porta era scivolata indietro: la giacca, il portaombrelli. Le macchie su di esso parevano ora, alla luce del giorno proveniente dall'ingresso, più diluite e brillanti di quanto fossero parse a prima vista nei contrasti d'ombra dell'ambiente.
Una nuova spinta all'uscio e quello si richiuse, lasciando la giovane Auror apparentemente sola all'interno della dimora. Aveva così schermato la luce del sole ormai lavatosi oltre le cime degli alberi, e concesso ai suoi occhi di abituarsi più celermente alla penombra delle lampade. Si era anche definitivamente sottratta alla possibilità di essere osservata da Cristopher, che se avesse tenuto fede alla sua parola sarebbe rimasto nascosto al limitare della radura per tutto il tempo necessario, ignaro di tutto ciò che si muoveva e accadeva all'interno della casa.
Il corridoio si presentava in modo piuttosto neutrale, scarno, antiquato. Ma vi erano alcuni dettagli che mal si inquadravano in un'idea di ordinario disordine. Un vecchio scrittoio proprio accanto all'ingresso pareva esser stato frugato da mani poco delicate: un cassetto era a terra, alcuni fogli sparsi sul pavimento. Che fosse opera degli abitanti o di un estraneo, pareva evidente che qualcuno avesse perso la pazienza senza poi curarsi di mettere tutto a posto.
Sul fondo del corridoio, una porta aperta segnava l'accesso ad una stanza. Doveva esservi una bella finestra in quella parte della casa, la luce scivolava calda sul pavimento fin oltre il suo campo visivo, al di là del quadro della porta stessa. Poteva intravedere una bella vetrinetta, sulla parete di fondo, una poltrona, e a terra, le gambe di una sedia rovesciata.
L'incantesimo proruppe con semplicità ed efficacia. C'era davvero da aspettarsi la presenza di intrusi? Erano i segni di un'effrazione, quelli? Era sensato supporre che chiunque fosse stato si aggirasse ancora per la casa? Poteva trattarsi di un litigio familiare? E lei, lei che entrava di soppiatto con grandi pretese e grandi intenti, in che posizione era lei?
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Isobel, sei tu? Hai un messaggio per me, vero? Da parte di Damon? -
La voce giunse all'improvviso, nel silenzio, inaspettata e orribilmente familiare, dalla stanza sul fondo. Era una voce mite, leggera, sottile, portava in sé una fragilità che in qualche modo stringeva il cuore. Vi era una punta di aspettativa nel piegarsi dell'intonazione, ma il tutto produceva nient'altro che un senso di infinita tristezza. Era una voce pronta a spezzarsi, una voce che forse aveva posto quella domanda più di una volta. Una voce che chiedeva più di quanto avesse pronunciato.
L'incantesimo si dipanava dalla bacchetta e percorreva rapidamente le distanze, vagliando ogni ombra. Infine la consapevolezza la pervase: un solo individuo era in casa. Il proprietario di quella voce, a soli pochi metri da lei, in quella stanza, appena al di là della sua visuale. Lilian.