In a coat of gold or a coat of red, a ℓισи ѕтιℓℓ нαѕ ¢ℓαωѕ.
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| Aveva forse detto qualcosa di sbagliato? No, di sbagliato no, in fondo non c'era nulla di male in quell'invito, né c'erano secondi fini che Zoey neppure riusciva a immaginare. Chissà cosa passasse per la testa bruna della Serpeverde, fatto stava che la sua espressione mutò radicalmente, in un mix tale che la Prefetta Grifondoro non riusciva a identificare. Sorpresa? Disappunto? Stupore? Imbarazzo? Confusione? Cosa era andato a dipingersi su quel giovane volto? Probabilmente, era stata un po' troppo avventata, questo sì; ed era strano, perché generalmente Zoey era una persona riflessiva, sulle sue, e per niente impulsiva...cosa anomala per un Grifondoro. *Perché il Cappello Parlante mi ha smistato in questa Casata?*, arrivò a chiedersi, sapendo di non possendere molte delle principali caratteristiche dei Rosso-oro. Vedeva i suoi compagni, osservava i loro comportamenti e come si rapportavano agli altri, e notava una profonda differenza fra loro e lei. Ma non era il momento per porsi certi quesiti; per ora, bastava che fosse orgogliosa della propria Casa, e che si prodigasse volentieri per essa. Sì, quello bastava, si ripeteva, mentre contemporaneamente ascoltava Arya, ne studiava i movimenti del corpo, ne guardava con occhio critico le espressioni facciali per capire cosa pensasse davvero. - No, non devi declinare l'invito, se non vuoi - replicò, sbattendo finalmente le palpebre; si accorse in quel momento che le bruciavano un po' gli occhi. La Primavera era nell'aria, e lei risentiva dell'allergia tipica di quella stagione. - Beh, sai...folle la mia proposta, folle la tua risposta. Direi che tra folli ci intendiamo più che bene - continuò, rivolgendole un sorriso smagliante; era contenta, infine, che Arya avesse accettato. Aveva bisogno di un'amica...o quantomeno di qualcuno con cui parlare. Buffo come non avesse mai proposto una cosa del genere a Kim, sua compagna di stanza, sua amica e adesso sua collega, e come adesso invece avesse rivolto un invito a quella ragazza che sì, conosceva, ma affatto bene, in fondo. Ma raramente il suo istinto si sbagliava, e nel suo caso, l'istinto si combinava benissimo con il suo inconscio, e dunque non poteva essere una proposta affrettata e priva di basi. Altrimenti non avrebbe mai neppure rivelato ad Arya quei particolari su suo padre. Almeno credeva. Oppure, poteva benissimo essere impazzita e avere qualche serio problema cerebrale. - Affare fatto. Prometto di non ucciderti né durante il sonno, né da sveglia, ma solo se tu mi prometti di fare lo stesso. - disse, ridendo; - In fondo, se dobbiamo continuare a basarci sui pregiudizi fra Casate, l'assassina più probabile dovresti essere tu, in quanto discepola di Salazar. E io, mmh, sono l'anima pura, coraggiosa e audace eccetera eccetera a cui spetta il compito di fermare la tua macabra impresa di massacro dettata da un ideale del tutto infondato e malato. - Okay, d'accordo, stava ricominciando a straparlare; per come l'aveva raccontato, sembrava trattarsi di una fiaba di tempi antichi, che però non recava tutte le caratteristiche di una fiaba: nessuna donzella in pericolo, nessun drago o qualche altra creatura magica pronta a divorare/bruciare vivi i protagonisti, non spade ma semplici bacchette. E con due fanciulle per protagoniste, il ché andava a minare alle basi piuttosto maschiliste delle fiabe di epoche antiche. Poi si accorse che l'espressione di Arya era mutata ancora, mantenendo l'usuale mix di prima, ma fondamentalmente cambiato. Preoccupata, stupita che potesse averle fatto una simile confessione, dispiaciuta, a disagio...sincere, non lo metteva in dubbio, ma non voleva che si rovinasse l'umore per lei. Non era giusto, semplicemente. Così la sua mano destra si mosse e compì un gesto immaginario, colpendo l'aria accanto a sé, come se stesse scacciando concretamente quei fastidiosi pensieri in maniera definitiva. - Nah, non perderci il sonno. - disse, facendo spallucce; non era davvero il caso rimuginarci sopra più del dovuto. - Il passato è passato. Tornerò a farci i conti prima o poi, e spero più poi che prima, ma per adesso preferirei guardare a mio padre come a uno sbiadito ricordo di tempi andati. Che sia morto o vivo, in ogni caso è una cosa che non mi riguarda più. Il male che ha fatto, lo ha fatto ad una bambina indifesa che non se lo aspettava e che sperava sempre che tornasse, nonostante tutto. Ma vedi, non ho più otto anni, so cosa aspettarmi da lui nel caso tornasse, ma non credo, e certamente sono tutt'altro che indifesa. Semplicemente, si cresce, si avanti, e più si impara, meno gli altri hanno occasione di coglierci impreparati. Io almeno la penso così. - E alzando di nuovo le spalle, chiuse il discorso, forse definitivamente o forse no, per quella serata. Ma ora era il turno della compagna di aprirsi e rivelarle particolari della sua storia che Zoey non poteva immaginare. Dunque, la remota ipotesi fatta inizialmente, cioè che fosse orfana, era esatta; lo credeva bene che la cosa le pesasse. Lei almeno poteva dire di conoscere suo padre, ma Arya non sapeva neppure come fossero fatti, che carattere avessero, se le volessero bene. Lei sapeva per certo di aver preso i capelli castani ondulati da sua nonna e gli occhi scuri, grandi e di forma allungata da sua madre, la carnagione dorata dal padre, e gli zigomi alti, la bocca larga e il naso abbastanza importante erano tratti sematici tipici dei cherokee, e così aveva la certezza della sua discendenza; ma Arya? Si chiedeva mai a chi assomigliasse, da chi avesse preso, per esempio, il colore degli occhi o la tonalità di carnagione? Doveva essere stato tutt'altro che facile per lei crescere senza punti di riferimento e certezze; pensava di comprendere anche il conflitto interiore che la affliggeva. Del resto, i genitori erano perfetti sconosciuti per la giovane e talentuosa Serpeverde. - Forse a questo punto dovresti smettere di porti tante domande, e andare avanti solo per te stessa, e per le persone che ti circondano e a cui tieni. Questo farà sentire meglio te, e anche i tuoi genitori, se sei credente. - Ricambiò il suo sorriso, e sperò vivamente che Arya non considerasse la sua risposta troppo sintetica, affrettata o invadente; ma era ciò che pensava realmente. Doveva quantomeno tentare di essere serena, e per farlo, doveva necessariamente superare quest'ostacolo del passato. - Spero anche io di non...beh, di non deluderti. E per quanto riguarda me, non chiedermi come faccia a saperlo, o perché io ne sia così sicura, né tantomeno perché io senta di potermi fidare di te così in fretta, non lo so nemmeno io, ma, per quel che vale, so che non mi deluderai. - Le sorrise sinceramente e di cuore, e arrivò persino a sfiorarle la spalla, in un gesto più o meno affettuoso, anche se goffo, dovuto all'imbarazzo che sempre la coglieva quando subentrava il contatto fisico con qualsivoglia persona. - Io invece in Erbologia me la cavo piuttosto bene, e mi piace anche parecchio. Direi che sarebbe uno scambio equo! Ma sappi che casa mia è immersa nel verde, e mia madre e mia nonna sono entrambe erboriste esperte e praticamente con le piante ci viviamo. Magari con un po' di fortuna il pollice verde verrà anche a te...- affermò, ridendo; poi, si chiese a chi si riferisse Arya, chi intendesse con "non di così ampie vedute". Si riferiva forse alla Caposcuola delle Serpi, la rossa e statuaria Emily Rose? Zoey la consoceva, ormai, ma doveva ammettere che, nonostante i vari incontri, e nonostante se ne fosse fatta un'idea più o meno chiara, doveva ammettere che la sua era comunque una conoscenza superficiale. Emily rimaneva, ai suoi occhi come per quelli di moltissimi altri, una sconosciuta dall'aria familiare. Ecco, sì: l'intera sua persone poteva benissimo essere definita e riassunta in quell'espressione. - Beh, dai, in realtà, non sono così osceni...anche se in effetti qualcuno potrebbe dire il contrario. - rispose, ridendo ancora; poi imitò il gesto della Verde-argento, e allentò il nodo della cravatta e la tolse del tutto. Aveva indossato soltanto una giacca che si era portata dietro dall'Oklahoma, dunque, tolta la cravatta, neppure lei aveva altri segni distintivi della sua Casata. - A volte ho la sensazione che mi strangoli. - confessò, indicando col capo la cravatta. - E' una delle poche cose a cui non mi abituerò mai, credo. Il mio popolo ha sempre indossato abiti leggeri e il più traspiranti possibile per mantenere il contatto con la Natura e con gli elementi, e quella dannatissima cravatta mi dà davvero fastidio. E' sempre un sollievo toglierla. Il momento più bello della giornata, anche se non lo ammetterei mai. Per molti la cravatta recante i colori della propria Casata è motivo d'orgoglio, per me significa sentirmi oppressa. - Ennesima confessione del giorno; stava veramente superando se stessa, forse era il caso di preoccuparsi. Soprattutto perché non è da tutti sognare di venire strangolati con una cravatta colorata.
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