Stava vivendo quell’incubo a metà, alternando la consapevolezza di se stessa e di ciò che stava facendo, a momenti in cui agiva cercando di estraniarsi completamente, cercando di non pensare, puntando solo e semplicemente a quell’unico obiettivo, uscire da quel luogo.
L’ennesimo tonfo, l’ennesimo corpo smembrato e lasciato cadere a terra, il rosa delle sue mani era impossibile da distinguere, completamente ricoperto dal sangue quasi nero di quelle creature e, in quel momento, quasi si lasciò cadere sulle ginocchia, non credeva più che sarebbe riuscita ad arrivare a una fine, non vedeva una fine, solo quell’orrore, il suo fisico poteva ancora farcela, ma lo stesso non poteva dire della sua mente, non avrebbe retto ancora a lungo, non avrebbe sopportato di farlo nuovamente, non senza uno scopo almeno, non se tutto doveva esser fine a se stesso e, guardandosi intorno, sembrava essere così.
Poteva sembrare assurdo e mai avrebbe ammesso con nessuno di essersi sentita in colpa mentre si difendeva, eppure era così, erano mostri, le avevano aggredite, ma aveva avvertito qualcosa, intravisto qualcosa nei loro occhi, forse semplicemente l’eco della loro umanità, ma era lì, c’era e per quanto si ripetesse che non poteva agire diversamente, non riusciva ad evitare di provar pena per loro.
Anche ora, mentre stringeva il piccolo pezzo di stoffa e osservava il corpicino di quella che, una volta, doveva essere solo una bambina, non poteva fare a meno di pensare che non l’avevano scelto loro, che erano solo vittime, un po’ come lei e la compagna e nuovamente si ritrovò a temere che, quella, sarebbe stata anche la loro fine, intrappolate lì insieme a loro, perdendo lentamente la loro umanità e tramutandosi in quei mostri dai quali stavano tentando di scappare.
*No* se una parte di lei voleva arrendersi e accettare quel destino, l’altra, sembrava trovare ancora la forza di opporsi *Muoviti, torna indietro, vai avanti, ma muoviti, reagisci, fai qualcosa, se ti arrendi è davvero la fine*
Fu in quel momento che decise, nuovamente, di seppellire quelle sensazioni, in realtà voleva tornare indietro, ma la compagna non sembrava dello stesso avviso, non aveva le forze per combattere anche contro di lei, così, semplicemente, acconsentì a quella follia, ma non intendeva indugiare oltre, qualsiasi fosse la direzione da prendere, dovevano farlo subito, prima che una delle due considerasse davvero l’idea di unirsi definitivamente a quella compagnia di dannati.
Proseguirono, cercò di non guardarsi troppo intorno, le scritte sulle pareti sembravano farsi più fitte e, man mano che avanzavano, un senso d’oppressione tentava di travolgerla, doveva evitare di lasciarsi condizionare da quel luogo, ma l’impresa pareva impossibile, le scritte, quel suono, quel ritmico e mai mutato tonk che le accompagnava fin dal primo passo in quelle gallerie, ora, sembrava farsi sempre più presente, sempre più chiaro, sempre più vicino, così come la sensazione di esser circondati dalla morte, quell’odore che le penetrava le narici, tutto sembrava indicar loro di star sprofondando sempre più nell’abisso.
D’un tratto arrestò il passo, incapace di proseguire, un uomo o ciò che di lui restava, dava loro le spalle, non sembrò accorgersi del loro arrivo, continuava...continuava a dondolare sbattendo ritmicamente la testa contro una tubatura...tonk tonk...e in quel momento realizzò che il suono macabro udito fino a quel momento altro non era che il cranio dell’uomo che cozzava contro il metallo.
Chi era? O cos’era? E perchè se ne stava lì? Sembrava diverso dagli altri, non le stava attaccando e, per quanto fosse difficile asserire con certezza che qualcosa di umano fosse sopravvissuto, sembrava meno cadavere degli altri.
Quella consapevolezza avrebbe potuto rincuorarla eppure, per qualche motivo, quella figura sembrava infonderle più insicurezza che altro.
Una cosa appariva però certa, che quella cosa fosse inutile o no, che potesse aiutarle o no, che volesse attaccarle o no, la strada sembrava averle condotte ad un punto morto, niente uscite, solo l’uomo e un muro.
Si voltò verso la compagna, forse sperando in una qualche idea brillante o, più semplicemente, per sincerarsi che fosse ancora lì, la trovò con lo sguardo rivolto verso il basso, qualcosa aveva catturato l’attenzione di lei, lo seguì, notando prima una bacchetta spezzata e, successivamente, il ritaglio di un giornale.
Si avvicinò per leggerle, ma arrivata alla fine, l’unica cosa che quell’articolo le aveva lasciato, era nuovamente il senso di sconforto già provato in precedenza, quel luogo, quelle persone, non erano vittime di chissà quale macabro scherzo, erano vittime della disperazione di un uomo, un uomo che, in preda al dolore, aveva deciso di condividerlo portando tutti con sé nell’abisso e, avrebbe aggiunto, sembrava esserci riuscito benissimo.
Tonk, tonk, riportò lo sguardo verso la figura poco distante da loro, era dunque lui l’unico supersite, quello mai ritrovato, l’artefice di tutto? Ecco perchè quella strana sensazione di insicurezza, si trovavano di fronte al mostro che aveva creato tutto quello, impossibile credere di potersi sentire tranquille, eppure, mentre lo guardava, ripensando a ciò che aveva appena letto, per quanto da una parte lo stesse odiando e il desiderio di saltargli alla gola fosse predominante, dall’altra, non poteva fare a meno di provar pena per lui, aveva perso sua figlia e quello lo aveva fatto impazzire.
Cercò nuovamente lo sguardo della compagna, realizzando che, anche lei, stava facendo lo stesso, osservò i suoi movimenti un po’ perplessa, cosa stava cercando di dirle? La vide stringere il pugno e indicargli quello dell’uomo, sussurrandole poi poche parole, non riusciva a capire, ma la seguì comunque e, osservando meglio, riuscì a notare il gessetto che teneva nella mano, tentò di concentrarsi, di capire perchè quell’affarino bianco fosse tanto importante, era forse impazzita anche lei? Aveva forse deciso di ridecorare le pareti dell’attrazione per renderla più adeguata come sua casa? *Oh dai, concentrati* doveva per forza esserci un motivo.
Avevano un obiettivo, fin da quando erano entrate avevano sempre e solo avuto un unico obiettivo, uscire, dunque perchè quel gessetto sembrava essere tanto importante per la compagna? *Disegnare una porta funziona solo nei cartoni babbani* ma in quel momento si ricordò un piccolo dettaglio, dettaglio che mai le sarebbe tornato in mente se non fosse stato per quell’ironia fuori luogo *Eppure c’ha fatto entrare* solo in quel momento ripensò a come tutto era cominciato, si trovavano alla stamberga strillante e... *Se non impari a metterti le mani in tasca* e Emily aveva posato la mano su una porzione di muro incorniciata da una linea bianca e da lì tutto era precipitato.
Okey, ora c’era, cioè, più o meno aveva capito il motivo che spingeva la caposcuola a pensare che quella potesse essere la soluzione ai loro problemi, ma, se anche fosse stato così, come intendeva sottrarlo all’uomo?
La risposta non si fece attendere, sentì la compagna sfiorarle il polso, tentando di sfilarle lo straccetto che ancora teneva in pugno, perplessa allentò la presa *E’ una follia* una volta realizzato cosa volesse fare, una volta realizzato quello che per Emily sembrava ormai sicuro *Quella creatura era sua figlia* tentò di afferrarla per un braccio per bloccarla, ma era già troppo distante *E’ una follia* ma tutto era già in movimento, non poteva far altro che adeguarsi.
La osservò allontanarsi, mentre si faceva sempre più vicina all’uomo, avrebbe mentito a dire che, in quel momento, non fosse assolutamente pietrificata, era tutto in mano ad una folle intuizione, ad un folle piano e se non avesse funzionato?
Cercò di scrollarsi di dosso quella domanda, doveva crederci, doveva almeno provare ad avere un minimo di fiducia nella compagna, se non altro, doveva almeno ridestarsi da quel torpore per poter reagire nel caso ce ne fosse stato bisogno.
Strinse la mano destra sull’impugnatura della bacchetta, cercando sicurezza nella sua arma, ma lo sguardo cadde nuovamente su quella spezzata a terra, doveva essere quella dell’uomo, non poteva attaccarle, non magicamente almeno, così lasciò la presa sulla sua *Un’ultima volta* se fosse stato necessario, avrebbe terminato così, come aveva iniziato, facendo affidamento sulla sua maledizione, se qualcosa fosse andato storto, semplicemente, gli avrebbe fatto fare la fine di sua figlia, anche se sperava di non dover arrivare a tanto.
Al momento, comunque, la priorità era un’altra, il gessetto, se Emily fosse riuscita a convincerlo, se l’uomo l’avesse lasciato, non avrebbe perso tempo, cercando di non attirare l’attenzione dell’artefice di quell’orrore, l’avrebbe raccolto o avrebbe atteso che la compagna glielo lanciasse e avrebbe tentato di realizzare quel folle piano, disegnando una porta sul muro e tentando di varcarla portandosi dietro anche Emily e l’uomo nel caso in cui non avesse opposto resistenza, in caso contrario, in un modo o nell’altro, semplicemente allontanandolo e scappando o, se necessario, ponendo fine alle sue sofferenze, si sarebbero sbarazzate di lui prima di procedere.
Per quanto folle, stava davvero iniziando ad aggrapparsi a quella speranza, per la prima volta da quando erano entrate, l’uscita non sembrava poi così lontana.