In a coat of gold or a coat of red, a ℓισи ѕтιℓℓ нαѕ ¢ℓαωѕ.
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« Stop your crying Helpless feeling Dry your eyes and start believing, There’s one thing they’ll never take from you (One day, like this, we’ll never be the same, never, forever… like ghosts in the snow, like ghosts in the sun…) » Settembre. E Settembre, per lei, voleva dire soltanto una cosa: fine delle vacanze. Sospirò, poggiando la valigia sul letto; mentre la apriva, si guardò intorno. Aveva lasciato il Castello un mese e mezzo prima, per tornare in America dalla sua famiglia, ed ora eccola di nuovo lì. La camera, che divideva con la collega e amica Kim, era rimasta invariata, esattamente come l'aveva lasciata poco tempo prima. Del resto, non era mai stata una stanza particolarmente originale: lei e Kimberly erano molto ordinate, e non avevano mai appeso poster alle pareti o decorato l'ambiente attorno a loro, come invece facevano molte altre studentesse. Era sempre stata una camera semplice e pulita, quasi anonima in realtà, se non fosse stato per i colori sgargianti della loro Casata che classificavano quel luogo come parte del dormitorio Grifondoro. Essere tornata le faceva uno strano effetto: la nostalgia di casa non la affliggeva più come i primi tempi al Castello, eppure non poteva fare a meno di sentirsi un po' malinconica. Complice il periodo e la stagione, con l'estate che volgeva al termine, le foglie che iniziavano a ingiallire sui rami degli alberi, e l'aria che si faceva sempre più fresca e frizzante, complice il fatto che le lezioni stavano per ricominciare e Kim, l'unica con la quale avrebbe potuto ammazzare un po' il tempo, non era ancora tornata, il suo umore non era proprio un granché. Diede un'occhiata scocciata alle valigie: disfare i bagagli era la cosa che più in assoluto odiava fare. Felix, il suo gattino tigrato, la guardava, adagiato e comodo sul cuscino, con circospezione, come se avvertisse lo stato d'animo non esattamente allegro della sua padroncina, ma senza muovere una zampina per fare qualcosa di utile. - Nella prossima vita, voglio rinascere gatto anch'io. - sbuffò, mentre ordinatamente riponeva abiti, vestiti e biancheria nel guardaroba e nei vari cassetti, e poggiava la divisa sulla spalliera di una sedia lì accanto, stando ben attenta che non si formassero pieghe. Sbadigliò sonoramente; era stanca per il viaggio, e il dover mettere tutto a posto non aiutava, ma non avrebbe lasciato perdere per nulla al mondo: da brava perfezionista, le procuravano fastidio le cose lasciate a metà. Di buona lena, si mise a riordinare tutto con attenzione e con occhio critico; il disordine uccideva le persone come lei. Probabilmente soffriva di quello che i babbani chiamano "disturbo ossessivo-compulsivo", ma era più forte di lei, e comunque, non riteneva che l'ordine quasi maniacale potesse far male a qualcuno. Al massimo, poteva migliorarlo. - Ecco fatto. - mormorò con soddisfazione, quando anche l'ultimo libro fu rimesso al suo posto sullo scaffale; aveva finalmente terminato, e poteva concedersi un po' di relax prima dell'inizio delle lezioni, anche se in realtà era rimasto solo quel pomeriggio, visto che la mattinata era quasi completamente andata. Chiuse valigia e borsone e le ripose sotto il letto; non sarebbero uscite di lì prima di Natale, pensò con una punta di tristezza. Scacciando quei pensieri, si affacciò alla finestra: era una bella giornata, valeva la pena uscir fuori in giardino e godersi quegli ultimi raggi di sole estivi, prima che pioggia, vento e neve tornassero ad affliggere Hogwarts e i suoi studenti. L'inverno avrebbe impiegato veramente poco ad arrivare, e dubitava fortemente che sarebbe stato clemente. Lei era abituata agli inverni freddi: in Oklahoma era frequente che tempeste di ghiaccio e a volte trombe d'aria si abbattessero sulle città, e a Juneau, dove aveva trascorso una parte della sua vita, gli inverni erano lunghi e bui e con temperature polari. Mentre scendeva le scale, Felix che le trotterellava accanto, ripensava alla sua infanzia, prima di Hogwarts, prima di venire a conoscenza del Mondo Magico. Da quel che poteva ricordare, la magia aveva sempre fatto parte della sua realtà, anche se in modo leggermente diverso. Era la sua stessa religione che permetteva le pratiche magiche, i culti pacifici e dedicati alla natura dei Wiccan erano sempre stati una costante della sua vita, e di ciò era grata. Aveva imparato molte cose. Varcò il portone aperto, ed uscì alla luce del sole; gli studenti in giro erano pochi, probabilmente a fare colazione in Sala Grande. Lei non aveva molta fame, e comunque preferiva stare al sole finché poteva. Ringraziò di essersi vestita leggera, con una camicia di flanella bianca dalle maniche arrotolate sui gomiti, un paio di jeans nient'affatto pesanti, e delle ballerine di stoffa pratiche e comode. Mentre attraversava il parco, si guardava attorno, cercando di riconoscere ogni albero e cespuglio che aveva attorno. Era un gioco che faceva da quando era piccina e aveva paura di perdersi nei boschi della riserva. Pensava che se avesse potuto riconoscere la vegetazione, non si sarebbe mai perduta e avrebbe sempre ritrovato la via di casa. Adesso che di anni ne aveva sedici, non aveva più paura di smarrirsi, ma l'abitudine era rimasta. Poi, un suono cristallino la scosse dai suoi pensieri; era una risata chiaramente femminile, gioiosa e spensierata. Sorrise a sua volta, contenta che almeno qualcuno non si facesse avvilire dalla fine delle vacanze. Facendo piano, per non far prendere uno spavento a chiunque fosse, si avvicinò alla fonte della risata. Appoggiandosi alla corteccia di un albero, osservò la scena che le si presentava davanti: c'era una ragazza, più piccola di lei, voltata di spalle che raccoglieva fiori. Non riusciva a scorgerne il viso, ma poteva vederne le chioma e le mani che indugiavano sugli steli, ed erano molto chiare. Bianche, quasi. Certamente capelli e carnagione simili non erano comuni; e pensava anche di sapere a chi appartenessero, solo che era meravigliata. Si avvicinò un po' di più; la ragazza sembrava completamente assorbita nel suo mondo, e in quel contesto, sembrava uscita da una fiaba. Il suo candore la fece sorridere, e le dispiaceva disturbarla, ma a quel punto era davvero curiosa di sapere come stesse, dall'ultima - ed unica - volta in cui si erano incontrate. Solo che allora, la ragazza era un maschio. O meglio, lo sembrava: aveva un'uniforme maschile ed era truccato e si comportava in modo da apparire come un ragazzo. Zoey, malgrado il suo senso del dovere, si era sentita così coinvolta e dispiaciuta, che alla fine l'aveva lasciato andare, con la promessa che però avrebbe smesso di celare la sua vera natura, imposta da un padre tirannico e ben poco affettuoso. E Zoey, di padri tirannici e poco affettuosi, ne sapeva qualcosa. Si schiarì la voce piano, per avvertirla della sua presenza, e poi disse: - Buongiorno, Chrisalide. Vedo che hai mantenuto la promessa alla fine. Ti trovo bene, sono contenta; spero che tu stia meglio, adesso. - Sorrise, in attesa. Quello sì che era stata una bella sorpresa.
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