Era buffo pensare che con ogni probabilità all'età di undici-dodici anni, Niahndra avrebbe preferito pulire il pavimento sudicio della Guferia piuttosto che intrattenersi a socializzare con dei perfetti sconosciuti in conversazioni neanche troppo brillanti - *La Casata dell'amicizia, proprio.* - mentre adesso, a quindici anni compiuti da poco, eccola lì tranquilla ad intavolare allegre disquisizioni con un primino qualsiasi. Certo, c'era sempre il discorso della "sfida" - perché a lei, quella di William, era sembrata una sfida troppo esplicita perché potesse sottrarsi dal coglierla - a mitigare la faccenda, ma era sicura che comunque quella situazione fosse il frutto di un ben più ambio processo di maturazione a cui la ragazza era stata sottoposta; impossibile dimenticare le batoste prese soprattutto durante il suo primo anno, con Daddy e tutto il resto, ma doveva ammettere che adesso tutto sommato non se la cavava affatto male. *Se non altro gestisci la situazione. Sono fiera di te.*
Colse con la coda dell'occhio la mano del ragazzino che andava a coprire quella che avrebbe giurato essere l'ombra di un sorriso, a quanto pareva a qualcuno piaceva il sarcasmo, specie se rivolto a terzi al momento assenti. Un po' meschino, ma in fondo aveva cominciato lei.
Se tuttavia si aspettasse o meno che lei restasse, Niahndra non avrebbe saputo dirlo; non c'era molto da carpire dalle sue espressioni o dai suoi modi, se si escludevano appunto la piega sardonica sulle labbra e l'impettito inchino di poc'anzi. A dire il vero, l'assenza stessa di reazioni evidenti la diceva lunga su di lui; poteva essere timidezza, il frutto di un'educazione che lasciava poco spazio ai sentimenti, poteva essere discrezione, il desiderio di rendersi ermetici alle analisi altrui, o ancora poteva rivelarsi sinonimo di altezzosità, quella superbia annidata nell'animo sempre pronta a mostrarsi nei gesti più comuni. La Alistine per esempio era abbastanza sicura di rientrare in una speciale categoria a metà tra la prima e la seconda opzione, anche se non negava che di tanto in tanto il peggiore dei peccati sfiorava anche lei. Ma il rampollo Black? A quale apparteneva lui?
*Presto detto.* Escludeva a priori la prima, altrimenti non avrebbe azzardato un così inusuale modo di presentarsi, al contrario quell'attaccamento all'etichetta potevano invece denotare desiderio di attenzione e/o completo assoggettamento ad una ferrea e tradizionale educazione, ma in quel caso con ogni probabilità sarebbe stato altrettanto fiero di esprimere il desiderio di finire nella stessa Casata del padre, della madre, del nonno, del fratello del cugino del nipote del postino o chi per loro.
*Altre domande, Niah.* Quella sul cognome le parve perfetta, diretta, precisa, candida; colpì evidentemente un tasto suscettibile. Sarebbe bastato un semplice "No" e invece. *Lascialo parlare.*
Sembrava proprio che la risposta al suo interrogativo fosse l'ultima, la superbia; ma quale genere di superbia, se si potevano distinguere dei generi, non avrebbe ancora saputo dirlo. Di sicuro però, in un certo senso, comprendeva il suo bisogno di unicità, il suo desiderio di distinguersi: capita quando si ha una forte personalità.... o quando si crede di averla. In ogni caso aveva una brutta notizia per lui: aveva come l'impressione che più si cerca di fare la differenza, più è facile cadere in banali e scontati cliché. Ne aveva già visti - o così le pareva, data la minima conoscenza del ragazzino - di tipi come lui, così come era consapevole del fatto che neppure lei costituiva proprio una categoria tutta sua.
Erano tutti destinati a ricalcare le orme dei grandi del passato.
« O magari ne siete così tanti da dare semplicemente l'impressione di avere una certa predilezione per il cromosoma Y. » *Tanti bei maschietti che portino avanti il nobile cognome, uhu.*
Suonava senz'altro meglio nella sua testa, tuttavia ormai era tardi.
Si lasciò distrarre dal tentativo di arrampicata del gatto, osservando con curiosità i suoi movimenti, la tenacia con cui saliva.
« E' un cognome come un altro. » Fece una pausa, concentrandosi ora completamente sul volto dell'interlocutore. « Famiglia e casata assumono l'importanza che tu vuoi conferir loro, ma ci penserei bene prima di giungere a conclusioni affrettate: queste... "discriminanti" sono armi a doppio taglio. » Schioccò la lingua spostando poi il peso da un piede all'altro e battendo un po' sulle mattonelle prima di tornare a parlare. « Alle persone non interessa di te come individuo, non sei nessuno ai loro occhi, inutile farsi troppi problemi; la maggior parte si fa un'idea della persona che ha difronte nei primi cento secondi, se non si basa su pettegolezzi, quindi se vuoi essere riconosciuto come individuo, beh, non ti basterà lamentarti. Dovrai fare qualcosa che loro non potranno ignorare, qualcosa che non sapranno etichettare. » Fece spallucce, non che importasse granché il giudizio della gente, no?