Five O' Clock

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view post Posted on 9/1/2015, 22:16
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Horus R. Sekhmeth

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Horus abbassò lo sguardo sul giornale che teneva fra le dita: la foto di un anziano uomo, il viso distinto tra le rughe e gli occhi vispi, di chi certo non si fa abbattere dall'età e dalle intemperie del passato e del futuro, nonché del presente, spiccava vicino alla firma di colui che aveva scritto l'articolo che il giovane stava leggendo.Il ritorno ad Hogwarts dell'ex Capocasa Tassorosso, sir Ignotus Albus Edward Peverell, oramai, non era più una —discussa e movimentata— novità. Dimessosi (questa, la versione ufficiale; scomparso, secondo le voci; accoppato dalla Pompadour, secondo i pettegolezzi) improvvisamente durante il secondo anno di Horus, Peverell aveva annunciato il suo ritorno dapprima tramite la Gazzetta del Profeta, ove un tempo ricopriva un ruolo più che di spicco come Direttore ed in seguito col riprendersi la sua cattedra di storia (facendo tremare gli studenti). Per gli studenti totalmente ignari di chi fosse non fu altro che l'ennesimo cambio di docenza (che ultimamente sembrava essere all'ordine del giorno, quasi una maledizione colpisse dopo tot di tempo i nuovi insegnanti della Scuola), ma i suoi ex studenti, nonché i veterani di Tassorosso, avevano aggrottato le sopracciglia, domandandosi un eloquente: "Ma non era morto?"
*Bah* Horus lanciò la copia del Profeta sul comodino, scavallando le gambe e scendendo dal letto. Ignotus Peverell era un nome conosciuto nel Mondo Magico che lo descriveva come un eccentrico bizzarro vecchietto dalle passioni un po' antiquate: filologo, scrittore, storico, professore, giornalista dalla piuma pronta per gli argomenti politici e didattici e con un certo talento a scovare giovani brillanti. Un uomo dal passato sconosciuto, ma che era più che mai noto nel presente per ciò che aveva lasciato nel bagaglio letterario di studenti e non solo. Inutile dire che la sua figura suscitava un certo interesse, in coloro che erano più che mai avidi di possedere il Sapere che Egli celava, consci che molte domande —una volta tradotte in inglese corrente— avrebbero trovato risposta nel suo ufficio. Horus, era tra questi: giovanissimo fanciullo, nonché neo-Studente giallo-nero, era sempre rimasto affascinato dalla cultura dell'uomo e sempre desideroso di scambiare con lui quattro chiacchiere. Un pensiero che infine era andato a dissolversi nel vento degli accadimenti, quando Peverell era dipartito.
Horus si stiracchiò piacevolmente, dirigendosi verso il baule aperto ai piedi del suo letto; un piuma auto-inchiostrante color borgogna e un ordinatissimo blocchetto di fogli di pergamena spiccavano sopra una pila di abiti accuratamente piegati. Horus li prese e li adagiò nella borsa svuotata dai libri di scuola.
Nonostante Peverell avesse descritto —nel suo stile criptico— in un articolo di giornale il motivo della sua dipartita, c'era qualcosa che non quadrava, al ragazzo. Non era sicuro che volesse saperlo o meno e in un primo momento, aveva ignorato l'insana curiosità che ogni tanto gli montava, durante l'ora di Storia o osservando l'anziano mangiare in Sala Grande. C'era una domanda, fra tutte, che lo martellava ostinatamente, più un fantasma di un risentimento che un vero e proprio quesito esistenziale; qualcosa che aveva sempre voluto esporre, fin dal suo arrivo a Tassorosso, e che mai aveva trovato il coraggio di formulare davanti l'uomo.
Così, infine, aveva deciso di assecondare la sua curiosità, e aveva scelto la scusa (più per se stesso, che per il docente) più plausibile per giustificare una visita nell'ufficio di Peverell: un'intervista. Di buona lena, aveva prenotato il suo articolo alla Redazione, aveva inviato un Gufo all'insegnante richiedendo un appuntamento e specificando, sommariamente, il motivo, e aveva stilato infine una lista di domande più o meno banali da esporgli. Horus le guardò, scritte nella sua calligrafia minuta su una pergamena, scorrendole una ad una e quando arrivò alla fine, si sentì insoddisfatto. Rimase col foglio sospeso per mezzo minuto finché, scuotendo appena il capo, accartocciò la carta e lanciò anch'essa sul comodino. Troppo pilotato, troppo vincolato: era uno stile che non faceva per lui, amante del Caso e avido delle pieghe che i discorsi talvolta prendevano da quella o quell'altra parola.

*Come andrà, andrà.Si disse. Poi, dal baule, Horus estrasse una scatolina di legno intarsiato. Al suo interno, v'erano delle bustine di tè, una miscela particolare, tra le sue preferite, che aveva deciso di portare in dono all'uomo. Niente di troppo ruffiano, a dir la verità, benché l'idea avesse fatto tentennare il giovane più volte. Infine, aveva optato per portarglielo comunque: il tè è sempre ben apprezzato, calma gli animi e rilassa la mente: niente di più perfetto per un'intervista che, Horus lo sapeva bene, sarebbe stata interessante. Infilata la scatola in borsa, il Caposcuola la prese e uscì dalla Sala Comune. Piccoli gruppi di studenti affollavano i corridoi e le scale, tutti intenti a godersi il loro sabato pomeriggio in compagnia; l'anno scolastico era appena iniziato e i compiti non erano ancora un mostro tanto grande da gravare sulle loro spalle, guastando i momenti di libertà.
*Seh, beati loro. Gli Dei solo sanno i metri di pergamena che devo fare per Rune.* Horus sospirò, mentre saltava uno scalino farlocco e infine raggiungeva il pianerottolo del piano designato. Dopo qualche passo nello stretto corridoio di pietra, si ritrovò infine davanti la porta in legno massiccio dell'Ufficio del Professore, una lucida targhetta dorata spiccava ad identificarla.
*Ci siamo.*
Il Caposcuola prese un bel respiro, bussando un paio di colpi secchi. Era nervoso? No, si disse: era incredibilmente tranquillo. E la cosa lo stupiva non poco. Del resto, si era aspettato una certa agitazione per il suo primo incarico giornalistico —per quanto fosse una mera scusa— e per una chiacchierata a tu per tu che attendeva da diversi anni.
« Professor Peverell, sono Sekhmeth. » Si annunciò subito dopo i tocchi alla porta, come voleva l'educazione. Horus sollevò il polso, guardando l'orologio che sua madre gli aveva regalato per la sua maggiore età: il quadrante, di un cangiante blu notte, era puntellato da stelle brillanti che riluceva anche alla fioca luce delle candele del luogo; le lancette in argento erano orientate verso i numeri romani, finemente disegnate nel medesimo materiale.
*Le cinque in punto.*

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view post Posted on 10/1/2015, 15:32
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Con il passare del tempo, e l'andare degli anni, il sabato pomeriggio era andato assumendo un nuovo senso, inedito, colorandosi lentamente di sfumature del tutto inattese, come se in fondo il Demiurgo avesse improvvisamente deciso di darsi ad un tardo Manierismo di matrice impressionista, sfidando le più note ed acclarate regole compositive, alla base della civile e moderna convivenza. Così doveva essere? Smettere di scorrazzare su e giù tra Londra ed Hogwarts era stata una sorta di tacita benedizione, nuovi margini di intermediazione erano possibili, scenari inediti si aprivano, non era più perennemente in affanno, non aveva troppi impegni arretrati, il che era un sollievo, più psicologico che altro, e passate una lunga serie di boe non poteva che esserne grato al cielo. Certo, da lì a trascorrere il sabato in un pur prolifico Otium letterario ne sarebbe sempre corso, le abitudini erano dure a morire, e probabilmente non lo avrebbero mai abbandonato, ma era comunque un notevole passo avanti. Certo, restava il Wizengamot, presto o tardi l'avrebbero chiamato, era nell'aria. La quiete prima della tempesta. Non era plausibile che la scampassero incolumi, qualcosa sarebbe tornato a succedere, qualcosa bolliva in pentola, come sarebbe stato possibile ipotizzare il contrario? Crisi economica, sfaldamento morale e sociale della coesione della loro bella e classista Societas, -ismi in rapida quotazione, attacchi circostanziati ed isolati, che come goccio d'olio bollente ricadevano lentamente da una lanterna preda di un vento troppo forte, mal assicurata, e rassicurata. Ne avrebbero pagate le conseguenze, certo, lo sapevano, ma cosa era possibile fare? Probabilmente nulla. Fare nulla non era certo la migliore e più profetica delle possibili soluzioni, ma l'arsenale era terribilmente scarno, e tragicamente costoso. E se agendo, avessero scongiurato la minaccia ad Est? Urla e proteste del popolino, geloso di quei diritti violati, in nome di quella stessa sicurezza tanto acclamata in piazza. Qual era il giusto prezzo? Probabilmente nemmeno il Re degli Scolasti ne sarebbe uscito vittorioso, se ne sarebbe dipartito, oltraggiato, offeso, sdegnato dalla perdita di tempo sofferta e patita, in nome di quegli ideali che in fondo non interessavano veramente più a nessuno, di cui restavano solo i nomi, significanti vuoti, svuotati, di qualsiasi significato, sacrificati in nome di una qualche stramba, e vetusta tolleranza culturale e politica. Nomi invocati a gran voce, da tutti, salvo poi tirarsi ineluttabilmente indietro all'ultimo minuto, giunti inesorabilmente al momento di pagarne le conseguenze. Che fosse la politica del ben godi? La cuccagna? Il cui albero si pretendeva mai sfiorisse, in una congiunzione ideale di intenti e nobili moventi che poteva vantare tranquillamente di affondare le proprie radici nella notte dei tempi, in quelle elargizioni che già Caligola in bronzo versava in quel primigenito idillio plebeo, alle folle al Circo. Chi doveva pagare il conto? Qualcuno avrebbe dovuto, presto o tardi, non si poteva uscirne. I soliti noti? Ce l'avrebbero fatta? A quale costo avrebbero incassato quell'ultima tegola? Certo, il Bene Comune, erano solo 4000 anni, perché non proseguire su quella strada per ulteriori 4000? Ma ci sarebbero stati davvero? Il Bond Hobbesiano avrebbe retto quell'ultima estrema tensione? I fedeli servitori dello Stato avrebbero retto il fronte ancora una volta?
Erano forse le due del pomeriggio, di un tiepido Settembre, quando aveva cominciato, era già trascorso del tempo, ma la situazione non era cambiata più di quel tanto. Il Mago svettava sulla stanza, a cinque gradini di altezza, sulla piattaforma di una comoda scala, armato di spolverino intento a rimuovere la polvere in eccesso, dalla prima occupante del suo Ufficio: la libreria. Un'operazione lunga, meticolosa, certosina, intervallata ed accompagnata da grugniti soddisfatti, di vecchi Amici ritrovati, commenti estasiati, vecchie conoscenze dimenticate, e riscoperte, e puntigliose annotazioni, mentalmente trascritte, dal giovane assistente, che ai piedi della scala, sudava freddo, da ormai almeno un paio d'ore, rimirando il Mago volteggiare a qualche metro d'altezza, in veste da camera. Il tenue lilla della lunga veste ricamata del Mago, si sposava bene, con la semplice ma elegante tunica immacolata e candida del giovane fanciullo, dalla pelle quasi ebano, ognuno aveva la sua funzione, ed un compito preciso, che evidentemente stavano assolvendo, come una squadra ben rodata, ed affiatata, da anni di pratica. Una delle finestre provvidenzialmente aperta lasciava uscire dalla stanza un vorticante pulviscolo, sospinto all'esterno, da una brezza che di naturale sembrava non aver molto, il camino andava, il fuoco lì albergava, come in qualsiasi altro giorno dell'anno, gregario costante di quell'alcova incantata. Le fiamme danzavano, spettatrici di quelle pulizie autunnali, non troppo improvvisate, ma ugualmente efficaci e radicali, per quanto procedessero non propriamente alacremente, di quel passo avrebbero impiegato qualche anno. Ma in fondo, era anche un buon modo per fare ricerca, per quanto i libri fossero meticolosamente catalogati, non c'era registro che reggesse il confronto con una rapida ed approfondita occhiata di persona, da parte di chi li aveva amabilmente collezionati, ereditati, e scritti, nel corso di una pur lunga esistenza. Amici di un lungo viaggio, certo, una minima selezione, ma pur sempre fedeli gregari, insostituibili, scarrozzati con amorevoli cure su e giù per il Mondo, tra Londra e Samarcanda, tra Edimburgo e Kyoto, àncora con il passato, con ciò che era stato, con la Storia, più o meno lontana che fosse. Certo, qualche noia, non poteva dire che viaggiare leggero rientrasse tra le sue possibilità, una biblioteca ambulante aveva qualche inconveniente, forse più d'uno, ed anche a sistemazioni c'erano quel minimo di prerogative da soddisfare, ma in fondo... Ciò che andava fatto, andava fatto, non ce n'era, era così.
Tra gli svolazzi dello spolverino, ed un sorriso ora ampio, ora sghembo, ricordava con una certa precisione di avere un impegno quel pomeriggio, o meglio, un appuntamento, avrebbe notevolmente risparmiato sul tragitto. Però, ora delle Cinque, di tempo ne mancava! Atlante aveva insistito meccanicamente per le prime mezz'ore, da lì la freschezza del ricordo di quell'appuntamento, prima che infine placasse gli animi focosi, che la natura gli aveva donato in sorte, ennesimo tiro mancino della Tuke, Ora che giungesse l'ora del The ci sarebbe ben stato tempo e modo di darsi una ripulita, dopo un lavoro tanto spossante, di darsi un tono, di riprendersi il suo trono, ed imperturbabile attendere la venuta del giovane visitatore, da dietro la sua incantata, e fedele linea Maginot, pronto a resistere all'ultimo sangue, sino all'ultima stoccata, o al primo sangue. Certo, c'era tempo, avevano pranzato di buon ora, i privilegi tutti nordici, ben lungi dalle tardure mediterranee, il tempo non mancava, almeno un altro paio di scaffali, almeno un altro paio di scoperte! Sembrava che in seconda fila, nascosti nella penombra della già soffusa luce della stanza si annidassero, e celassero alla vista, i più cari amici di quella che era stata una ormai lontana e distante giovinezza, le sorprese si affastellavano, numerose, copiose, come fiori e frutti nella tarda primavera, come caduti al termine di una Grande Battaglia. Del resto, aveva riavuto il suo ufficio, tanto lavoro gli era costato la prima volta arrangiarlo come si sarebbe convenuto, troppo lavoro pensare di rifarlo una seconda volta! La giusta luce, la giusta inclinazione dei raggi del sole, e della luce che filtrava dalle finestre su quell'unica facciata a solatio, che sì baciata dal sole, ma abbastanza in basso, da non lasciare che i raggi dell'Astro battessero direttamente sulle costole dei libri. La luce, ed i libri non erano mai andati troppo d'accordo, in più d'un senso, o meglio, era sempre stato un rapporto più complesso di quanto non fosse lecito attendersi, servivano un minimo di cure, attenzioni particolari, che non tutti erano disposti a prestarvi, e pazienta, che i giovani non potevano avere, o vantare. Non troppa luce, quindi, un'aria viziata quel tanto che bastava, non troppo fresca, ma neanche troppo calda, un leggero strato di polvere, in quella loro alcova incantata, riparata da nefaste influenze esterne, pronti ad aprirsi e svelarsi a chi avesse l'ardire di prestarvi orecchio, attenzione, e cuore. Polvere che non andava rimossa con irruenza, ma anzi, coltivata con pazienza e cura, alleata di quell'estrema opera di salvaguardia, a patto, certo, che non andasse ad intaccare quel sottile quanto fragile equilibrio dei sensi, e delle potenti forze chiamate lì a concilio, coacervo di inaudita potenza, in unione d'intenti con chi era stato, un Tempo, ancora lì presente, indirettamente, con quanto di più nobile potesse restare, come traccia, il Pensiero. In fondo, a ben vedere, era un Santuario, un reliquiario, di estrema potenza, il Sancta Sanctorum difeso e protetto con abnegazione dal suo Sacerdote.
Un colpo secco.
Un secondo colpo secco.
Il giovane impallidì, al pericoloso tentennare dell'Anziano Mago, colto alla sprovvista, catapultato improvvisamente nelle sue comode, basse, scarpe, da quel più confortevole ed avvezzo Iperuranio. Nemmeno il tempo di lanciarsi in sperticate, e spericolate elucubranti elucubrazioni su chi fosse, che già si era annunciato. Chi aspettava, era arrivato. Delle due, l'una: o questi era terribilmente in anticipo, il che sarebbe decisamente stato sgarbato, o era lui ad essere quel filo in ritardo, su una tabella di marcia non più aggiornata ormai dal passato Giugno. Ma che importava, in fondo? Non attendeva nessun Ministro, o il Plenipotenziario di un qualche strambo Paese del centr'Asia, eccessivamente fissato sul protocollo, e l'etichetta. Un'intervista, e molto altro. Uno sguardo fugace alle spalle, il trespolo vuoto, solitario, quel senso di incompiuto cronico, quella sensazione che in fondo mancasse davvero qualcosa, non era del tutto erronea.


Avanti!

Ecco.
Anche quello era fatto.
Un'altra cosa fatta?
Restava un piccolo cruciale dettaglino, calarsi incolume dalla sua torre d'avorio...

 
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view post Posted on 19/1/2015, 19:00
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Horus R. Sekhmeth

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Passò qualche istante, prima che la voce del docente, attutita dalla pesante porta, giungesse al giovane in attesa. Ed ovviamente, nulla che facesse presagire quello che di lì a poco il Caposcuola avrebbe appurato con i suoi stessi occhi.
Ignaro, dunque, Horus poggiò la mano sul pomello d'ottone, aprendo la porta ed entrando nell'ufficio. Prima ancora che i suoi occhi si abituassero alla morbida luce dell'ambiente, che penetrava da suggestive finestre gotiche dai classici vetri colorati, e prima ancora che il ragazzo rintracciasse l'uomo, il suo naso prese a pizzicare e per poco uno starnuto non si affacciò a sostituire —malamente— un cortese saluto. Era chiaro cosa fosse l'artefice di quel pizzicore alle narici: la polvere. Poca o tanta, smossa o meno, bastava un pizzico per risvegliare la tenue allergia del ragazzo (forgiata, comunque, dalla convivenza in quel Castello spesso così dannatamente polveroso). Ripresosi in tempo, bastarono pochissimi attimi per rintracciare, con una certa sorpresa, la figura dell'uomo non esattamente nel luogo dove Horus si aspettava di trovarlo. Poiché, effettivamente, chi mai si immaginerebbe Sir Ignotus Albus Edward Peverell in una delicata mise lilla in cima ad una scala, piumino alla mano? Con tanto di giovane fanciullo
*E tu da dove diamine salti fuori?* a mo' di reggi-scala.
« Buonasera, professore. » Esordì, semplicemente, con un sorriso, mascherando ad arte il suo stupore e prendendo parola in un lasso di tempo tra il breve e il rapido, perfettamente il giusto che intercorreva fra educazione e maleducazione. Un cenno educato del capo, fu invece rivolto al giovanissimo (e presunto) assistente dell'uomo, troppo impegnato a sudare quattro (o anche venticinque) tuniche che egli stesso indossava, nel vedere il proprio maestro in una così instabile posizione. Chiudendosi piano la porta alle spalle, Horus si rivolse nuovamente al professore, assumendo un'espressione preoccupata resa appena nota dalle sopracciglia corrugate.
« Chiedo scusa, forse vi ho disturbato. Desiderate che vi dia una mano? » Propose, con un certo tatto. Era sempre un terno al lotto comprendere come comportarsi in certi frangenti. Innanzitutto se l'uomo gli aveva detto di entrare, pur essendo conscio del proprio déshabillé, allora Horus non avrebbe dovuto preoccuparsene. Se non lo faceva Peverell, perché doveva farlo lui? Il punto più ostico era approcciarsi alla sua... rialzata posizione: offrirsi con troppa enfasi di aiutarlo, porgendo addirittura una mano, sarebbe stato deleterio per l'orgoglio di un uomo, vecchio o giovane che fosse; invece, negarsi dall'offrire un aiuto sarebbe stato scortese e contro la buona educazione. Una discreta proposta, ecco, quello sì che sarebbe stato un buon compromesso. Lo sguardo di Horus, rivolto verso l'anziano, si posò per un istante sulla grande libreria di legno scuro che occupava gran parte della parete, intervallata qua e là da antichi arazzi. Numerosi libri dalle copertine più o meno colorate, più o meno scritte, si susseguivano sulle mensole, decorate da qualche astruso oggetto di chissà quali curiose provenienze. Era inevitabile non rimanere affascinati da così tanto sapere stipato in una sola stanza. Oh, certo, aveva visto la biblioteca della Scuola, quella di Londra, quella della sua Contea, quella di casa sua, e svariate altre, ma ognuna era un universo a sé e privarsi del piacere di guardare i vari titoli e coste, solo perché in un certo senso poteva intervenire la routine, era da pazzi e da poveri di spirito e d'animo.
« O forse, preferite che io ripassi in un secondo momento? » Aggiunse un momento dopo, più per scrupolo che per altro. Sapeva già la risposta, o meglio, l'intuiva sull'onda di quella sorta di onore che immaginava animare, in parte, l'uomo. Ignotus Peverell, d'altronde, era un signore d'altri tempi (quali, non era dato sapere. Le scommesse clandestine sulla sua età giravano ancora, di tanto in tanto, fra gli studenti annoiati durante le lezioni). Tuttavia, nonostante tanta sicurezza, una vocina si fece largo in Horus, mormorando un maligno: "e se invece avessi completamente sbagliato impressione, su di lui? La tua formidabile analisi potrebbe benissimo far acqua da tutte le parti, non trovi?"
Beh effettivamente sì, le sue precedenti elucubrazioni sulla presunta personalità di Peverell potevano essere datate, o errate, e in quei pochi secondi, naturalmente dilatati dall'attesa, che lo separavano dalla risposta del docente, Horus cominciò a chiedersi se non avesse sbagliato, se non avesse dovuto lasciar perdere la sua insana curiosità. No, no, si disse, ormai era lì e basta con i maledetti "se". In fondo, già solo vedere che quell'ufficio rientrava nel suo immaginario, rinsaldò quella sua sicurezza minata, risanando inoltre la curiosità. Sì, un inizio particolare, quello, e inaspettato, al di là della vestaglia pastello: non poteva che esserne, a suo modo, interessato da quell'eccentrica figura.


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Una situazione peculiare.
Non rientrava nei piani, certo, eppure, la frittata era ormai fatta, tanto valeva non darvi più di quel peso che tanto non avrebbe avuto. Era vero anche che lo attendeva, ma da lì a smarrire la bussola di qualche ora, ne correva. La funzionalità di Atlante? Se la sarebbe potuta prendere con lui, ecco, anche se per la verità il povero disgraziato aveva fatto del suo meglio per avvertirlo, per tempo. Non ci fossero stati di mezzo i Libri, probabilmente l'avrebbe anche vinta. Atlante, vuoi per la sua natura, era più preciso di uno Svizzero dell'Elvezia, quella vera, era in grado di spaccare il secondo, efficiente dal primo all'ultimo, ed a volte riusciva ancora nel contagiarlo, certo, non dovevano esservi di mezzo Libri, o The, in tal caso, lo sapevano, la battaglia era persa. Non v'era soluzione alcuna percorribile, privarsene l'avrebbe ucciso, ed in fondo, a che pro? Perchè farlo dopo tutto? Perchè insistere su quella strada dannata, lastricata di dolore, della fretta? Non ne sarebbe mai potuto uscire nulla di buono, lo sapevano tutti. Eppure, abbracciare la fretta, per inseguire un'efficienza perduta, e forse mai padroneggiata veramente, era una tentazione troppo grande per molti, che ne cadevano schiavi, del vizio prima, del peccato poi, dannati infine. Un lungo inesorabile processo di corruzione, lento, distruttivo, annichilente.
Ma la porta si era aperta, ed il giovane ospite atteso, e non atteso, era arrivato. Era lui. Sorrise compiaciuto, dominando almeno in un senso la scena, certo, non era propriamente andata come pensava, come si sarebbe convenuto andasse, ma che importava? Non era candidato ad alcuna carica pubblica, non c'era possibilità di scandali, la sua eccentricità lo precedeva ormai di qualche continente, inutile turbarsene. E si poteva dire tutto, meno che l'Anziano risultasse a disagio, se non del tutto divertito, sciabolando soddisfatto gli ultimi colpi, prima dell'onorevole ritirata. Avrebbe concluso in un secondo momento, il giorno successivo? Non c'era fretta, perchè avrebbe dovuto averne? Non sarebbero sicuramente scappati, e l'avventato profanatore avrebbe sicuramente avuto di meglio da pensare che non la polvere, una botte di ferro? Forse, ma anche quello non era troppo rilevante in quel momento. Questi era giunto, presumibilmente in orario, come sembrava voler trasparire dalla soddisfatta sicurezza innegabile che la gestualità del corpo lasciava trasparire, ed era del tutto in diritto di essere lì, a pretendere la sua giusta quotidiana razione di attenzione, gliel'avrebbe concessa? Certo, c'era sempre una seconda via, ma a che prezzo, e per quale ragione? Una scusa era lì, a portata di mano, sarebbe bastato afferrarla, distendere la mano, stringere il pugno, e sventolarla al Mondo, certo, ci avrebbe rimesso la faccia, del tutto inutilmente, senza una qualche valida ragione, senza nulla che anche solo giustificasse quell'estremo ultimo peccaminoso rifiuto. E rimetterci la faccia era qualcosa di estremamente spiacevole arrivati a determinati traguardi, un'intera esistenza di reputazione conquistata con la cappa e la spada, nel Bene e nel Male, gettata alle ortiche, per proseguire i diletti di un bambino? Non era ancora giunto quel giorno, non poteva pioverci.


Ah! Mr Sekhmeth, ma che piacere!
Nono, si figuri, sono subito da lei, ci mancherebbe altro.


Il tono di voce di sempre, forse solo incredibilmente alto, quasi si sentisse in dovere di compartecipare a quella comunione di spiriti con le alte quote, se non con l'elevazione di spirito, benchè avesse toccato il cielo con un dito non meno di una mezz'ora prima, almeno con qualcosa di tangibile, ed evidente per tutti, anche il nuovo arrivato, che forse proprio nuovo non era. Sì, ecco, il tempo di rimettere a posto? Cavarsi fuori dall'impiccio, evitando possibilmente di rompersi qualcosa, il che certo non avrebbe guastato, riguadagnando la sicurezza del I piano, un salto di pochi metri, in fondo, che poteva mai essere? Ecco, forse per uno sbarbato del II Anno avrebbe anche costituito un certo fascino tentare l'impresa, qualcuno l'avrebbe sicuramente soccorso, ed avrebbe sempre potuto addurre le frivolezze squisitamente giovanili a scusanti di quasi ogni genere di idiozia, all'opposto della linea del tempo, tutto era terribilmente cambiato, ingessato, per un'infinità di ragioni, in più, ultimo ma non ultimo, era un Peverell. Qualcosa doveva pur contare, ancora. L'ultimo della sua stirpe, a fronte dei recenti sviluppi. Tiri mancini della Tuke.
La comparsa repentina di una seconda sottile asticella di legno, ed il rapido scambio di mano con la sfortunata quasi gemella alla nascita, sembrò essere il là definitivo perchè infine qualcosa stesse per accadere. La brezza cessò istantaneamente, come se un talentuoso muratore avesse infine alzato quel vallo d'Adriano tanto a lungo invocato, tanto grande e forte da bloccare il passo anche ai venti, in un'angusta valletta delle Highlands. La finestra si socchiuse, la luce tornò a farsi ferma, stabile, baluardo contro le insidie che si sarebbero potute celare nell'oscurità, o nella troppa luce. Gli assoluti erano tutti da scartarsi a priori, qual era in fondo la differenza tra oscurità, e troppa luce? Passata in rassegna l'intera curvatura delle possibili declinazioni dell'animo umano, i due estremi sembravano minacciosamente coincidere, quasi toccandosi, come inesorabilmente non potevano fare a meno di fare Alaska e Kamchatka, negarlo, le avrebbe private della loro stessa essenza, senza la loro essenza, avrebbe avuto senso continuare e perdurare nell'essere?
Senza perdere ulteriore tempo, senza destare alcuna reazione nel giovane assistente che imperturbabile assisteva, prese a galleggiare aggraziatamente a mezz'aria, percorrendo una seconda scala, decisamente meno irta di quanto non sarebbe stata la precedente, riguadagnando in breve tempo quello che sino a prova contraria era il suo Ufficio. Ottimo, che fosse quindi tempo di proseguire? Riguadagnò il mantello viola, dimenticato sulla bassa poltrona di destra, senza non poter constatare di come già il capo riottenuto in parte gli desse un tono decisamente diverso, più presentabile? Quanti inutili formalismi, in fondo! Certo, una questione di apparenze, ed un sacco di Storie. Ormai il giovane, l'Anziano, e l'assistente non erano molto distanti, confinati in quella ristretta area dell'Ufficio, tra la soglia, le poltrone, e la scala. Tempo di muoversi?


Semplicemente splendido, la aspettavo, ma quando ci si diverte, il Tempo vola, per così dire! Prego, si accomodi, sospetto che sia proprio l'ora del The, come potrebbe non esserlo? Son certo che Atlante proseguirà con i suoi altri incarichi, intanto. Ma prego, veniamo a noi.

Con fare pratico, tornò a riguadagnare la posizione di sempre, dall'altro lato della Maginot, spiccando in contrasto alla luce alle spalle. Il tono di sempre, rotacismi, francesismi, vocalismi, pause, accenti, sfumature sorprendenti ed inaspettate, perchè per quanto la modernità l'avesse scordato, anche parlare era un'Arte, il Verbo aveva una Sua alta dignità, era potenzialmente tutto, e gli andava tributato il giusto rispetto. Tutto stava con una certa innata calma tornando alla normalità, il giovane avrebbe preso posto, su una delle poltrone di sempre, ed avrebbero iniziato una pacifica discussione, qualche colpo di scena, non poteva mancare, qualche insolita richiesta, calorosi ringraziamenti, ed un sentito arrivederci? Che tutto fosse destinato a sublimarsi in un'unica bolla di sapone? Che fosse prematuro tirare le somme, prima di aprire il bilancio? Tornò a sorridere al giovane, indicando le sedute, mentre il secondo giovane scompariva oltre la seconda porta, in fondo avevano tutti qualcosa da fare, ed era bene che lo facessero. L'iniziativa tornava nelle mani del giovane, mentre l'Anziano Mago prendeva posto in poltrona, affondando lentamente nell'imbottitura, rilassandosi infine. Il sollievo?
Era tempo di tirare un sospiro.

 
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Ed ecco che l'arzillo vecchietto, dopo un'ultima passata di spolverino sulle antiche mensole, non mancò di dimostrare la sua gentilezza e la sua classe, con il diniego previsto dal Tassino: nessun cenno di imbarazzo, nessuna difficoltà, forse un tono troppo alto, magari dato dall'entusiasmo. Horus si limitò ad annuire, spostando educatamente lo sguardo dalla figura rialzata —intenta a scender le scale a mo' di scalata dell'Everest— per osservare i magnifici vetri colorati delle finestre a sesto acuto. Quel particolare elemento architettonico gli ricordò quelle antiche cattedrali dell'epoca gotica che tuttora si trovano sparse per tutta l'Inghilterra, la Scozia e l'Irlanda (questo, per volersi limitare alla sola Gran Bretagna). Ah, quanto avrebbe desiderato andare a farsi un giro per tutti quei fantastici posti: pur non condividendo la fede cristiana, cattolica o protestante che fosse, Horus aveva sempre riconosciuto che i luoghi di culto religioso spesso e volentieri erano grandiosi per arte e costruzione. E poi, inaspettatamente, mentre Horus era perso nei ricordi e nelle immagini di vecchi libri di storia dell'arte, le finestre si chiusero, mettendo fine alla piacevole brezza che rinfrescava (e arieggiava, con tanti ringraziamenti del giovane) l'ufficio. Il Caposcuola, dunque, si voltò, constatando che l'anziano uomo si era infine riappropriato della sua quota standard e di un elegante mantello viola che, una volta indossato, rendeva Peverell nuovamente il professor Peverell. Inevitabilmente, alla sua affermazione, Horus sorrise nuovamente, annuendo con un leggero cenno del capo.
« Non posso che darvi ragione, Professore. Buffo il Tempo e la sua percezione, di questo ormai siamo tutti a conoscenza, ma rimango sempre stupito al riguardo. Mi auguro che anche la nostra intervista risulterà piacevole tanto da ingannarlo. » Sottile allusione? Forse, chi poteva saperlo. Del resto era opinabile il divertimento e di conseguenza, anche la velocità del tempo. Horus non avrebbe mai definito troppo divertente una pulizia con il naso sempre avvolto da nuvolette di polvere, ma d'altronde, Peverell avrebbe potuto definire quell'incontro come una noia mortale, ora che era stato sottratto al passatempo pomeridiano di quel giorno.
« A proposito di tè, professore. La vostra fama di cultore di questa bevanda vi precede ormai dovunque. Vi ho dunque portato un pensiero di bentornato, in un certo senso, fra queste mura. Ammetto un po' in ritardo, ma ho trovato che questa fosse l'occasione propizia. » Annunciò, una volta che si fu accomodato sulla morbida poltrona offertagli. Con delicatezza, Horus aprì la borsa che si era appoggiato sulle gambe, ed estrasse la scatolina di legno. L'appoggiò con cautela sulla scrivania, lasciando al docente il piacere di aprirla. Una volta che l'uomo l'avesse presa fra le mani, sollevando il coperto intarsiato di eleganti motivi geometrici, avrebbe scoperto al suo interno dei piccoli scomparti, sei per la precisione, al cui interno c'erano delle foglie essiccate dall'intenso sentore di tè nero, ananas, ed altre spezie.
« È una delle mie miscele preferite, proviene dall'Africa. Tè nero africano, ananas, karkadè e un pizzico di rooibos. E quando vorrete provarlo, ve lo consiglio con un goccino di latte, senza limone o zucchero. » Spiegò, con naturalezza. Quella miscela proveniva direttamente da una vastissima collezione di sua madre che, del resto, aveva tramandato la sua passione per la bevanda al figlio, insegnandogli a gustare diversi tipi di miscele con questo o con quell'altro metodo. A dirla tutta, anche ora che si trovava davanti l'uomo, pur essendo conscio dei modi affabili del docente, e sicuro che egli non gli avrebbe mai sputato in faccia il tè che lui gli aveva regalato, Horus sentiva ancora una punta di titubanza per quella scelta così... particolare. Avrebbe potuto portare il classico Earl Grey o un Royal Blend, che tanto stava bene con quel goccio di latte in più. Eppure... aveva osato, se così voleva dire. Del resto, poteva essere un assaggio di quel colloquio-intervista che Horus, sperava, si rivelasse fruttuoso, curioso, incoraggiante e tanti altri epiteti che preferiva tacere, più che altro per non deludere le sue aspettative.
*Ma questo, dipende anche e soprattutto da me.*
Si rimproverò, estraendo dalla borsa anche la sua piuma scarlatta prendi-appunti e autoinchiostrante e il preciso blocchetto di pergamena. Per un secondo, un lampo di indecisione lo trapassò da parte a parte: doveva, poteva cominciare? Poi, tuttavia, la curiosità ebbe la meglio ed Horus diede quel cosiddetto... La.
« Mentre magari preparate il tè, in cui mi unirei a voi, se non vi dispiace, nel degustarne una tazza, posso chiedervi da cosa deriva questa ormai vostra leggendaria passione, tra le tante altre passioni? Andate pure tranquillo, se preferite prima preparare il tutto. Comprendo la minuzia di certe cose. » Si azzardò a chiedere, con scioltezza, ma con un pizzico di umiltà. Non voleva certo pressare l'uomo, ma i silenzi sanno essere piuttosto imbarazzanti, anche durante la preparazione del tè che, di fatto, poteva esser sacra. Meglio provare a suonare una nota, in attesa di sentirne un'altra: il suo eco avrebbe certamente riempito l'intervallo di tempo necessario, risuonando piacevole.

The Time you enjoy wasting is not wasted time.»

 
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Ottimo, era già arrivata l'ora. Non poteva che convenire con il giovane che fosse tempo di iniziare, procrastinare il procrastinabile, a che pro? Certo, avrebbero potuto tentare un qualche interessante gioco di società, una disquisizione dotta su qualcuno dei tanti libri che la biblioteca sembrava voler tanto orgogliosamente sfoggiare, discutere del più e del meno, forse persino di Storia? Certo, non aveva mai avuto la sensazione che il giovane impazzisse per la sua materia, ma a tutto si sarebbe facilmente potuto trovare un'ingegnosa soluzione, perchè non lo si sarebbe dovuto fare? Detto altrimenti, perchè avrebbe dovuto? In fondo, era stato interrotto, per quanto se la fosse andata cercando, nella piena consapevolezza che sarebbe accaduto, aveva comunque insistito per iniziare, quando avrebbero finito? L'avrebbero fatto? Anche lì, non si poteva certo affermare vi fosse una certa fretta, ma era tempo di riordinare qualche idea, tra una cosa e l'altra era tempo di farlo, tempo di rimettersi in carreggiata, smettere di vivere di rendita, e tornare a produrre qualcosa. Era già trascorso un anno, o quasi, non avrebbe mai nemmeno finito di disfare i bagagli, se non avesse delegato ad altri il compito, e non erano solo i bagagli. Che fosse solamente una questione di pigrizia? Di vecchiaia? Non si sarebbe certo potuto definire acciaccato, certo, magari qualche dolorino al ginocchio dopo una certa ora, o prima di un'altra, magari il polso, magari qualche altro piccolo fastidio, ma non era poi chissà quale problema. Era più che altro un problema di abitudine, con ogni probabilità. Era tornato ad avere orari fissi, regolari, difficilmente sgarrabili, il che era semplicemente un ritorno al passato, com'era stato per molti anni, ma dopo una lunga vacanza dedita all'Otium, non si poteva dire fosse tutto indolore, e senza costi di transizione.
Ecco, Minerva che fine aveva fatto? Anche su quello, non se ne poteva fare una colpa del giovane Tassorosso, in fondo l'aveva proposto, e lui aveva accettato, ma non avrebbe potuto affermare gli piacessero le interviste. E Minerva aveva ben pensato di sfruttare la giornata, cogliendo l'attimo, per fare altro? A meno che non fosse a recapitare una lettera? Probabile? A chi aveva scritto? Non si occupava più di quelle, come di molte altre cose. Del resto, il peccato originale dell'intera costruzione era proprio lì: iniziato a delegare, era difficoltoso fermarsi, ed impossibile tornare indietro, tutto procedeva come sarebbe dovuto andare, a che scopo tornare ad occuparsene di persona, quando poteva investire lo stesso tempo, facendo altro? Uno Swap, sempre più scoperto e temerario, si era fatto prestare del Tempo da Thanatos stessa, per proseguire con quanto di bello avesse sempre fatto, per il piacere di continuare a farlo, ancora ed ancora, un privato cittadino, ormai in pensione, prossimo ad una seconda forma di pensione, eppure ancora febbrilmente occupato di tutto, e tutti. In fondo, non lo faceva per sè stesso, per quanto avrebbe stretto un patto con Thanatos, dopo aver valicato i limiti del prestito oneroso, avrebbe bussato anche all'Arcinemico, tutto era perdonabile, tutto era giustificabile, serviva ancora del tempo, molto, e l'avrebbe avuto.
Lo sguardo perso parve infine cogliere la figura del giovane, lì, poche spanne più in là, oltre la Maginot, era davvero tempo d'iniziare. Sarebbe davvero risultata piacevole? Quanto era probabile? Detestava molto o molto poco cordialmente le interviste, aveva avuto la grazia di ricevere la prima dopo un anno, un regalo inaspettato. Da lì, a confessarlo beatamente al giovane, quanto ne sarebbe corso? L'avrebbe già fatto correre, ancora prima della prima domanda? Dire che aveva anche accettato. Vecchiaia, dannata vecchiaia? No, in fondo no. Era sempre stato così. Qualche armadio di troppo, ecco, era quello il problema. E non si poteva traslocare. Ma inaspettato, giungeva un presente, un nuovo infuso. Una scatoletta di legno, a motivi geometrici, lì, ad osservarlo, dal basso, in cerca di quella che sembrava essere approvazione? Sorrise, tra il sorpreso, e lo stupito, afferrando la scatola, legno, pochi pollici, motivi geometrici, colori forti, sgargianti, che fosse africana? Non aveva mai avuto un buon rapporto con quel Continente, troppo caldo, troppa gente, troppa ressa, per quanto il primo fosse anche il principale dei problemi. Il secondo ed il terzo sarebbero sempre stati facilmente risolvibili, il caldo, decisamente meno. Ciò non toglieva, che ne parlassero decisamente bene, degli ottimi Caffè, dell'ottimo The, insomma, era pur sempre un regalo!


"Perder tempo, a chi più sa, più spiace"*.
Certo, mi rendo conto possa non dirle molto, e la resa inglese per contrapposizione e ridondanza perda molto dell'efficacia lessicale iniziale, ma il concetto penso resti comprensibile anche alle nostri latitudini. Immagino sia africana, il motivo è tipico, ma non posso che ringraziarla. Mi coglie quanto meno alla sprovvista, ed ammetto non sia facile, in più credo possa avere il primato per l'idea, dovrebbe chiedere ai miei assistenti, per essere sicuro. A me hanno il vizio di regalare libri, ecco, non se ne esce, ma non mi lamento, sono tanto un teinomane, quanto un bibliofilo. Ad ogni modo la ringrazio del pensiero, per me è sempre un piacere essere ad Hogwarts.


In fondo era vero, innegabile, per lui era un piacere. Magari non per tutti, Ma il consenso universale era del tutto inutile, o pleonastico. Certo, si sarebbe potuti procedere con una pulizia etnica degna del più efferato dei Flavi, ma forse era meglio non mettere sul chi vive il giovane, ancora prima che iniziasse. O era meglio già chiarire il tutto sin dall'inizio? In parte già sapeva dove stava andando a ficcarsi. Se l'era andata cercando. E non si sbagliava, The africano, con il latte? Una scelta indubbiamente singolare, non si poteva negarlo, ma un tentativo avrebbe anche potuto farlo. Il latte nel The, una parte degli antenati sarebbe rabbrividita! Certo, erano morti.

Sì, in effetti se ne sente il profumo, rooibos, ananas, una scelta quanto meno singolare, mi consentirà, e confesso di averne poca esperienza, e conoscenza. Ciò non toglie che proverò sicuramente, una tazza tira l'altra, è presto fatta! Ma ecco, è l'ora del The, temo il mio sia quello di sempre, e dovremmo esserci, l'attendavamo per le 5.oo. Ho però trovato uno sfizioso servizio da The, serve una mano ferma, ma ci si fa l'abitudine.

Uno sguardo, quello che aveva tutta l'aria di essere un servizio da The, cinese, in classica ceramica bianca e blu, era lì, in docile attesa, in attesa di quelle che sarebbero state istruzioni precise. La teiera fumante, già pronta a dar battaglia. Efficienza, non era necessaria la fretta, era sufficiente essere efficienti, ed assistenti sciatti, e cialtroni erano perfettamente inutili. Chi lo avrebbe negato?
Passioni, il The. Una domanda a tema, inaspettata, ma prevedibile.
Partire da Adamo, o da Eva?


Perchè il The?
Potrei tenerla qui sino a Natale, probabilmente, ma mi sento particolarmente clemente, e tenterò di farla breve. In parte, forse una delle principali, il The mi ricorda incredibilmente una figura famigliare, che a sua tempo mi iniziò ai segreti di quest'Arte, bere una tazza di The, per molti versi mi fa ricordare questa persona. Immagino lei non abbia di questi problemi, è giovane, ma non esserlo più, ed essere improvvisamente gli ultimi di un incredibilmente longevo Casato, lascia molto da pensare. In secondo luogo, più banalmente adoro il sapore del The, qualcosa che ovviamente trascende la profondità di una dottrina, o una religione, ma banalmente mi piace il sapore, mi è sempre piaciuto, mi ricorda ancora i miei anni da Studente, qui ad Hogwarts. In terzo luogo, se si interessa un minimo a tali argomenti le suonerà famigliare, anche questo, la Cerimonia del The racchiude una polivalenza di significati, che potrebbe essere terribilmente lungo esporre dal principio, ma che reputo essere validi, in buona parte, nonostante appartengano ad una cultura apparentemente molto distante dalla nostra. Da ultimo, adoro procurarmelo, per quanto sia qualcosa che ormai faccio personalmente dai miei primi viaggi in Asia, continuare a farlo, ritengo mi aiuti nel tenermi almeno nello spirito ancora in minima parte giovane. Può sembrarle banale, certo, ma non lo è. La nostra società è ancora vessata da leggi assurde, e glielo può garantire un Giudice del Wizengamot.
Ma venendo al The, le dicevo, mano ferma!


Procedeva tranquillo, ora serio, ora ilare, ora risoluto, ora marmoreo, affastellando, ed infilando una dietro l'altra una serie di pietre, studiate, preparate ad arte, lucidate, pronte ad essere inanellate, da mani esperte, e dai ferri del mestiere. Così come aveva iniziato, quasi restio a voler guadagnare una qualche conclusione, quasi la fine avesse e vantasse un potere annichilente, e nichilistico, concluse. Seguito dal crollare di un ciocco nel camino, nell'indifferenza totale, seguito nuovamente da altre parole, a quella che sembrava una nuova interlocrutrice.

Una tazza, grazie, ed un cucchiaino di zucchero.

Il raffinato, ed insospettabile servizio, si animò. La teiera sbuffando prese a riempire una tazzina, già in movimento, con tanto di piattino, in direzione del primo grazioso cliente, inseguita a ruota dalla delicata zuccheriera, che mulinando un cucchiaino d'argento, sembrava ansiosa di voler portare a compimento il suo uffizio, stanca di quella forzosa quiescienza, stanca delle chiacchiere, ma obbediente agli ordini impartiti. Come se ne avesse avuto scampo. Compiaciuto, il Mago, sorvegliava l'operazione. Più d'un grattacapo, ne era già emerso! Insopportabile d'una zuccheriera.
Era quasi giunta l'ora del The.



* Ché perder tempo a chi più sa più spiace.
[The more you are learned, the more you dislike losing your time]
Divina Commedia, Purgatorio, III, 78
 
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Horus R. Sekhmeth

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Horus si limitò a sorridere con pacatezza nell'osservare la reazione dell'uomo intento a scoprire il contenuto della scatola regalatagli. Fu quietamente soddisfatto quand'egli gli rivelò che, con molte probabilità —e andava bene così, preferiva non arrischiarsi a chiedere al misterioso assistente scomparso poco prima dietro una porta—, era stato il primo a regalargli una miscela di tè, anziché un libro. Certo ci aveva pensato, ma aveva come l'impressione che l'uomo avesse letto più o meno ogni libro esistente sulla terra. Al contrario, invece, capì la citazione di Peverell e decise di rispondere: poteva essere un'allusione quella del docente? Decise di non volerlo sapere.
« In realtà, dice molto. Non posso dire di essere un gran cultore di Dante, ma lessi un libro con varie citazioni sul Tempo e fra questi, c'era anche quella da Voi espressa. » Leggermente, il sopracciglio sinistro si incurvò, nascosto dai ciuffi lunghi della frangia. « Sebbene il concetto di sprecar tempo possa avere una valenza decisamente negativa, spero non sia questo il nostro caso. Del resto, tanto per fare un esempio più... in tema, si può dire che lo sprecar Tempo sia quasi come un buon momento del tè: conoscere raffinate miscele e viaggiare per esse a volte potrebbe risparmiarci dall'usarle, giudicandone l'uso uno spreco in paragone al tempo (e danaro) perso per recuperarle. Eppure, bevendo quel tè, consumarlo, ci fa comprendere che sì, abbiamo effettivamente perduto tempo e miscela, ma che ne è assolutamente valsa la pena. » Ammise, candidamente, aggiungendo un pensiero decisamente estemporaneo. Ma c'era un'espressione pronunciata dall'anziano docente che ad Horus non sfuggì e che, anzi, quasi attendeva. Con discrezione, segnò un piccolo trattino sulla pergamena: era solo un mero memorandum, ma era certo che l'avrebbe sfruttato.
Ascoltò con attenzione il racconto dell'uomo, scrivendo qualche parola chiave, tanto per non perdere il filo, e affidando la conversazione alla sua buona memoria. Era come una lezione, un insegnamento individuale per comprendere colui che aveva davanti. Scrisse, appuntò, ma soprattutto sentì ogni tono, ogni titubanza, ogni esaltazione. Motivi banali, che poteva immaginare, eppure al contempo, affascinanti: i Peverell erano un'antica Casata e mai Horus avrebbe immaginato che Ignotus fosse l'ultimo. D'improvviso s'accese anche la curiosità per quella misteriosa figura di cui l'uomo aveva parlato: era in un certo senso... strano, pensare ad un giovane Peverell dalla mente libera, ma pronta come una spugna, inizialmente vuota e poi riempita a mano a mano dall'esperienza, dalle persone, dagli incontri, dai libri e da una miriade di altre cose. E questo, era un classico errore dei giovani e degli stessi adulti: dimenticare che una volta anche i vecchi erano stati fanciulli. Tuttavia, questi pensieri vennero interrotti dal curioso servizio da tè presentato da Peverell qualche momento prima: delle tazzine in ceramica blu e bianca incantate al punto da svolazzare pigramente in aria. Horus sorrise, lanciando loro un'occhiata incuriosita. A proposito di storia dell'arte, il motivo del servizio da tè gli ricordò quei vasi cinesi dell'epoca Ming; probabilmente condividevano la stessa origine.

« Davvero interessante.» Esordì, osservando divertito la zuccheriera così arzilla e volenterosa di sparger zollette per tutto l'ufficio. « Una tazzina e... niente zucchero per favore! » Si rivolse, con cortesia, al bislacco servizio. Si sentì quasi in colpa per quella povera zuccheriera che non avrebbe potuto assolvere il suo compito, ma d'altronde il tè puro era ciò che più preferiva. Raramente il latte (e solo in alcune miscele), mai il limone. Quando la tazzina giunse svolazzando, Horus la prese e la portò alle labbra, sorbendo un sorso di quella deliziosa bevanda: scivolò calda e vellutata nella sua gola, riscaldandolo e procurandogli un piacevole senso di benessere in grado di sciogliere i nervi ancora anchilosati.
« Davvero delizioso, professore. Il tè, il racconto, il servizio, soprattutto. In realtà, no, non penso affatto sia banale e "solito" e mi riferisco al suo discorso e alla miscela scelta. In realtà, trovo, che spesso il banale e l'abitudine intercorrano a rovinare quella sorta di routine che in fin dei conti apprezziamo e ci fa ritrovare in momenti di caos. Certo è che è sicuramente insolito recarsi per lande lontane alla ricerca di miscele di tè. Ammetto sia comunque molto affascinante, non mi dispiacerebbe, più in là, affrontare certi viaggi. » Convenne, bevendo un altro goccino e stringendo più saldamente la piuma scarlatta.
« Ma ditemi: alla Gazzetta, anticipando il vostro ritorno, avete proprio citato un viaggio in Oriente. Questo curioso servizio da tè, la miscela e la voglia di sentirvi giovane vi han spinto fin lì e a lasciare, in completa privacy certamente, la Gran Bretagna, salutando i vostri posti di lavoro e Hogwarts, fra le altre cose? Senza dimenticare le ricerche che avete ovviamente citato. » Domandò; ah ecco, forse era lì nascosto un quesito insidioso, magari anche scomodo, ma pur sempre dovuto.
Horus doveva cercare di non dimenticare il motivo principale della sua visita, sebbene fosse piuttosto difficile non andare a parare su un discorso assai più ampio, cogliendo citazioni, spiegandole e disquisendone al riguardo. Nuovamente, quasi si pentì di quella scelta, di quel colloquio-intervista che poteva porre dei paletti oltre i quali Horus non poteva andare, eppure non si biasimò. Era un assaggio, si tranquillizzò: se non si fossero mandati a quel paese a vicenda, se il tempo sprecato, in realtà, non fosse stato giudicato affatto sprecato come quel tè di cui lui stesso, prima, aveva accennato, allora sarebbe certamente tornato, più curioso di prima, più interessato di prima, più avido di prima.


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Dante? Sì, ecco, non si poteva negare che non se le cercasse. Perché non un classico Shakespeare? Un Hamlet, com'era di moda fare, tra i finti acculturati di quella simil cultura d'importazione, feticcio di questo e quello, sarebbe stato sicuramente meno ingombrante, più semplice, meno ricercato, più alla mano. Eppure, era sempre stato una figura terribilmente ingombrante, e non gli riusciva il buonismo da quattro soldi che andava molto per strada, certo, pur avendo a che fare buona parte della giornata con dei giovani fanciulli, non poteva nemmeno negare sé stesso, in un estremo tentativo di trovare una quadra, che aveva comunque sempre trovato, pur facendo quello che aveva sempre fatto, né più, né meno. Certo, Dante restava un azzardo. E come poteva non esserlo? Come sarebbe potuto essere altrimenti? Il Genio fiorentino più che tradotto, era tradito, quella che veniva spacciata era talmente lontana dall'essere una traduzione, che tanto sarebbe valso saltarla, e basarsi sul solo commento. Che fosse tutto giustificabile? Tutto era perdonato? Si poteva perdonare in una qualche sua forma l'ignoranza? Per quanto avesse per un'intera esistenza difeso il No, e fattolo fieramente, era ormai del tempo che propendeva per il Sì. In fondo, anche l'ignoranza aveva un suo senso, una sua utilità. Poteva succedere, meglio non sapere, a volte. Certo, non era la migliore delle soluzioni, ma poteva capitare che fosse meglio così.
E la sorpresa non tardò ad arrivare, il giovane conosceva Dante. Certo, da parte di uno che si chiamasse Sekhmeth, questo ed altro, ma non si poteva negare una certa soddisfazione, nasconderla? Sorrise, soddisfatto. Si sarebbe fregato da solo? Più il tempo dell'eloquio veniva protratto nel tempo, più era alto il numero delle parole, più era anche probabile che presto o tardi anche il più entusiasta degli interlocutori finisse con il fregarsi, il tradirsi. Era una semplice constatazione statistica, verificata nella maggior parte dei casi, era probabile che si sarebbe riverificata. Perché non avrebbe dovuto? Quanti anni poteva avere? Di che anno era? Una buona via di mezzo, ma non troppo in là, quello no.
Il The, mentre il giovane intentava la sua strada, un esempio quanto meno azzardato, era giunto tempo di provare il The. Il cucchiaino che si immergeva nel liquido, bolle e mulinelli che prendevano vita, prima che tutto tornasse alla quiescenza iniziale. La tazza alle labbra, l'infuso tiepido, il tintinnare della ceramica, era fatta. Lo zucchero non c'entrava nulla, ogni volta ne prendeva atto con una tacita divertita frustrazione, ma per l'armonia della casa era bene che i giochi rimanessero tali. Qualche sacrificio, era anche tollerabile in fondo, come deluderla così biecamente nella sua ingenua eccitazione sbarazzina? Una volta lo zucchero, un'altra il limone, possibilmente riparandosi da schizzi, e tiri sinistri. Eppure, mano ferma.


Ah! Conosce Dante, i miei complimenti, è quanto meno insolito. Per la verità non avrei scelto il suo esempio, molto difficilmente riuscirei a pensare al The, ed a perdere Tempo, per le ragioni che le dicevo, ma ho comunque capito quanto volesse dire. Perdiamo talmente tanto tempo, nelle nostre esistenze, e lo facciamo con tale disinvoltura ed abitudine, che solo andati oltre una certa soglia, la consapevolezza ci assale, diventiamo più parchi, quasi frettolosi, in cerca di una tardiva redenzione. Il Tempo è una delle cose più preziose di cui disponiamo, ed il più delle volte è anche nelle mani di altri, oltre che noi stessi. Ma non voglio angustiarla inutilmente!

Niente zucchero.
Gabbato.
Ma in fondo, era nelle sue possibilità chiederlo, la zuccheriera aveva già fatto esercizio, al più si sarebbe sacrificato qualche altro, un Elfo, sarebbe andato bene anche quello. Ma qualcuno, doveva. Volevano evitare una crisi internazionale dello zucchero, no? Ed annichilire la zuccheriera, per il mancato esercizio, e per lo sfogo di una notte in solitaria sarebbe stato troppo, anche per lui. In fondo, lo divertiva. Certo, almeno inizialmente, l'insistenza e la pertinacia dimostrata nel cercare di zuccherare ogni superficie liquida alla lunga poteva dimostrarsi irritante, se non proprio innervosente, e non era certo che comprendessero ancora del tutto le lingue più occidentali, ma non sapendo il Mandarino, non v'erano soluzioni di ripiego. Un interprete per ogni tazza di The sarebbe stato troppo? Atlante l'avrebbe fatto, certo, bastava chiedere, ma si offriva già spontaneamente per il latte. Andava bene così.


Trova anche lei? L'ho visto, a Pechino, non ho resistito, per quanto mi avessero messo in guardia dall'indisponenza di qualche elemento, ma mi è valso un ottimo prezzo. Ecco, preferisco anch'io di gran lunga il The liscio, ma a turno, per accontentare tutti, e non trovare zucchero, o limone ovunque, devo per così dire adeguarmi. Sino al mese scorso erano in diversi a sacrificarsi quotidianamente, da quando son riprese le lezioni siamo rimasti a corto di personale, per così dire. Dovrei invitare gli Elfi, immagino accetterebbero, e penso che per loro sia abbastanza indifferente latte, zucchero, o limone...

Era un'idea. Si zittì pensieroso.
Come si poteva fare? Mandarli a chiamare? O a tradimento, con l'inganno? Agli Elfi piaceva il The? O magari qualche Studente? Magari alzando qualche voto, e svendendo qualche punto, avrebbe piazzato sul mercato qualche tazza di The, a buon mercato, così da compensare gli utili dell'altra attività, e potenzialmente raggiungere un imponibile decisamente inferiore? In linea con un'attività più tranquilla? Ecco, potenzialmente. Il commercio era prospero, sin tanto che nasi ed occhi indiscreti ne fossero rimasti fuori, e discutere di imponibile era sicuramente indiscreto, se non proprio maleducato. Era sempre tempo delle Tasse. Altro che secessione, e zotici villani delle montagne!
Eppure il giovane sembrava risoluto nel voler puntare ad altro. In fondo, era anche meglio così, un minimo di idee le aveva, tanto valeva seguirlo. Le interviste a braccio, il più delle volte sfociavano nel nulla di fatto, salvo un gran cianciare, quante ne aveva già svangate? Comunque la si volesse mettere, non si poteva affermare che fosse partito per il The, o alla ricerca di una giovinezza perduta. In fondo, certo, essere idealisti era una bella cosa, ma ne correva comunque parecchio, troppo.


Mi fa piacere, posso concordare con lei, ma anche qui sino ad un certo punto. Vede, in Oriente si respira un'aria diversa dalla nostra, gli Amici Orientali hanno avuto l'abilità di fare quello che noi Europei abbiamo fallito. Ha mai provato a trattare su un prezzo con un mercante cinese, o giapponese? La ricerca del The, può tranquillamente essere metafora di qualcosa di più, in fondo cercandolo, potremmo imbatterci anche in altro. Magari in noi stessi. Capisce? Terminati gli studi qui ad Hogwarts, ai miei tempi, era usanza iniziare un Tour mondiale per vedere e conoscere quanto il Mondo avesse da offrirci, e nel fare ciò imparare a conoscere sé stessi, ed i propri limiti. Qualcosa che difficilmente si può davvero fare nel salotto di casa, o anche qui ad Hogwarts, per quanto negli anni della mia vacanza siano accaduti fatti del tutto inediti, per i dieci secoli di Storia del castello.
Ma comunque sia non credo che il The possa avermi spinto così lontano, ormai ritengo di conoscermi nei limiti delle umane possibilità, una delle tante ragioni potrebbe essere piuttosto il Tempo, di cui poc'anzi, perché perdere tempo, aldilà di quanto possa sapere, mi è sempre spiaciuto, ed ormai che non sono più giovane, come penso talvolta di essere ancora, la mia tolleranza rischia di non essere più delle migliori, nei confronti di molto, e molti. In più, se vuole, bisogna saper leggere e comprendere quando il nostro Atto è concluso, ed è Tempo di passare il testimone, la Storia va compresa, più che saputa.


In fondo, era stato onesto.
Lui aveva avuto una risposta.
Che non era neanche scontato ricevesse, per quanto, certo, non fosse nemmeno la risposta che si sarebbe aspettato. O forse sì? No guardi, sono partito per il Giappone, avevo finito pere, ed insalata. Non suonava particolarmente credibile, in fondo. Che poi fosse o meno vero, era quanto mai pleonastico, era una questione di credibilità.

 
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« Credo di intuire a quale elemento fate riferimento. » Esordì divertito, abbassando la tazza da tè da cui aveva appena sorbito un sorso. Lanciò un fugace sguardo alla povera e offesa zuccheriera: che smacco doveva aver subito, nel comprendere che nessuno dei due voleva usufruire dei suoi servigi. Eppure era così ligia al dovere, così entusiasta, così graziosa nel suo galleggiare a mezz'aria, che era quasi un peccato deluderla.
Horus sorrise, ironico.

« Beh, via, mi sacrificherò, così vi tolgo il disturbo di andare a chiamare qualche Elfo. Del resto, il tè potrebbe raffreddarsi e allora sì, che l'onta passerebbe da zuccheriera a teiera. » Alzò il braccio, in direzione del panciuto oggetto, offrendogli la tazza e, trattenendo un tono ironico, bensì assumendo un pizzico di autorità, chiese: « Per favore, un cucchiaino di zucchero. » Si trattenne dall'aggiungere un "signorina zuccheriera", ma decise che era osare un po' troppo e giocare in maniera decisamente pericolosa col senso d'umorismo non solo di Peverell, ma anche dell'oggetto: quanto mai poteva averne, di umorismo, un affarino cinese?
Si sentiva scemo, nell'osservare la zuccheriera ricevere la richiesta? Sì, davvero. Eppure, l'imbarazzo era mitigato dal divertimento: non capita a tutti di osservare un simile servizio, nonché comportamento, anche nel Mondo Magico.
Tornò dunque ad ascoltare, a scrivere, ad osservare l'uomo nel suo discorso e ad assaporare, di tanto in tanto, quel tè ora macchiato, corrotto, ma in ogni caso, sempre delizioso. Fu quando Peverell citò un paese che il collegamento nella testa del Caposcuola cominciò a lampeggiare, chiaro, eccitante a modo suo. Horus attese cortesemente finché la voce del docente non si spense, e poi, riprese parola.

« Effettivamente no, non ho mai avuto il piacere di contrattare alcunché né con cinesi né con giapponesi, sebbene provengano da due paesi molto affascinanti e che un giorno mi piacerebbe molto visitare. So qualcosa, giusto idee generali, qualche Dinastia, qualche opera d'arte, ma tutto molto blando. Certamente, spero di saperne più del classico pensiero comunque che li ritiene due paesi identici, quando di identico non c'è ben nulla. Anche se, a dirla tutta, l'interesse per l'Asia è stata più o meno riscoperto, appena un anno fa, quando il Profeta rilasciò ulteriori dettagli sulla misteriosa Battaglia d'Ottobre che sconvolse Hogwarts e i precedenti... incidenti in giro per il mondo, in Asia in primis per l'appunto. » Tacque. Una pausa strategica, un altro sorso di tè: Peverell aveva capito a cosa si riferiva? Sicuramente. Non era uno sprovveduto e se non altro, era stata una notizia che aveva sconvolto tutto il Mondo Magico. Un altro respiro, un punto sulla pergamena, e riprese: « Stando da quanto voi stesso avete raccontato, eravate comunque nel continente, quando la Scuola di Magia e Stregoneria Mahoutokoro è stata rasa al suolo dai golem runici di Aster. Se non mi sbaglio, potete dirmi le vostre impressioni? Non pensavate minimamente che l'attacco si sarebbe potuto protrarre anche ad altre Scuole, come la stessa Hogwarts —e come accadde, del resto—? » *Scappaste, professore? O le vostre ricerche riguardavano proprio quello?* Congetture, su congetture. Horus trattenne ad arte i numerosi ricordi che sopraggiunsero non appena citò la Battaglia dove molto, della sua vita, era cambiato. La carica di Caposcuola, il suo nuovo essere, il rapporto con Mya, il Potere Runico, Aster, il Viaggio e tantissime altre cose. Ora, semplicemente, tutto era rivolto all'uomo, a quel punto di vista diverso e lontano che spesso tutti avevano ignorato ma che ora si presentava lì, seduto nel suo mantello violetto, la stessa tazza di tè che Horus stringeva tra le mani. Il dubbio si insinuò, suo malgrado: e se Peverell non avesse sentito niente? Se era perso in lande molto più lontane, come del resto era probabile conoscendo l'indole del professore? Certo le voci girano e un uomo informato come Albus non poteva non sapere, non conoscere: doveva esser così!
Il Tassorosso cinse la tazza con la mano destra, le pallide iridi rivolte verso il suo interlocutore. Ora, sentiva —sperava!— che il tono di quell'intervista poteva prendere una piega diversa.


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Sorrise, un momento di inaspettata gloria per la zuccheriera? Che parve cogliere immediatamente la palla al balzo, com'era del resto ampiamente prevedibile avrebbe fatto. Che gli ricordasse qualcuno, in fondo? Quello strambo e strano sentimento di simpatia che sembrava quasi doveroso dover provare per quello sbarazzino elemento, filiazione inaspettata capitata tra capo e coda, quasi per caso, sembrava voler essere giorno dopo giorno un marmoreo richiamo ad una serie di doveri mancati, di uffizi traditi, aspettative inevase. Imperdonabile? Era davvero necessario che la zuccheriera fosse lì, con la sua conturbante presenza, a ricordarglielo, ad ogni tazza di The? Ma che colpe poteva avere? La tragedia giapponese, poteva davvero essere considerata predittiva, di quanto sarebbe accaduto poi nelle Isole, lì, in Scozia? Quanto era probabile? La notizia era giunta, comunque, non aveva avuto colpe, nel non informare personalmente nessuno, opporsi in prima persona era fuori discussione, non erano più gli anni della baionetta, e dell'arma bianca. Se tanti avevano fallito, in base a cosa si poteva pensare che qualcosa sarebbe cambiato? Se tanti non erano riusciti, nel salvare quanto di bello, e nobile, la Storia avesse tramandato nel corso dei secoli, che colpe poteva averne? Eppure, una colpa l'aveva, e sapeva di averla.
Ma non era il momento di tornarci.


Immagino di doverla ringraziare, allora, Mr Sekhmeth.
Per quanto possa non sembrare, mettere d'accordo tutti, in quest'allegra famigliola, è un'attività estremamente laboriosa!


Ecco che il giovane quanto meno non sapeva tutto, in fondo, da parte di uno che avesse l'ardire di chiamarsi Sekhmeth, come si poteva pretendere l'Asia? The africano, da parte di un apologeta dell'Africa stessa? O forse, com'era sempre stato, l'Egitto non era Africa, e quindi il discorso era ancora differente, ed il The una semplice parentesi, qualcosa di nettamente smarcato, e non un riferimento incrociato ennesimo a quella stessa Africa. Quasi una nuova accusa, silente, garbata, ma pur sempre un'accusa. L'Africano, che dava del cornuto all'Asiatico? Oppure stava semplicemente correndo troppo, cercando di leggere tra le righe, quanto in realtà non era mai stato scritto? Puntualmente l'argomento stava emergendo, inesorabile emergeva dalle acque, quasi evocato, da singolari arte arcane, era arrivato, soltanto pensato, nominato, era stato sufficiente, a spingerlo sino alla superficie. Ed era lì. Indifferenza? Silenzio? Svicolare? Non era stata gettata alcuna accusa, in fondo. Avrebbe potuto tranquillamente aggirare l'ostacolo, prenderla alla lontana, e tenersene ben distante. Come avrebbe anche potuto gettarsi a capofitto nella diatriba, e rischiare di non uscirne, del tutto indenne, almeno personalmente. In fondo, le colpe che poteva vantare di aver avuto, non erano certo pubbliche, erano tutto fuorché quello. Se aveva lasciato per tempo gli incarichi a dei bambini incompetenti, come potevano infine fargliene una colpa? E c'erano pur sempre i motivi che l'avevano spinto alla partenza? Una meritata pensione, una pausa, un Otium letterario che dopo un'intera esistenza consacrata ad altro, era pur tempo che si prendesse. Che dovesse attendere l'oltre ad ogni costo? Il trapasso?
Una garbata guerra di sguardi, uno scontro al fioretto, non sarebbe morto nessuno, ma se uno doveva fare le domande che si sentiva in dover di fare, anche per non rendere del tutto vano il sacrificio di una sequoia, l'altro si sentiva del tutto motivato a svicolare il più possibile, nel maggior numero di modi pensabili. Le domande erano affascinanti a farsi, una volta fatte avevano già perso buona parte del loro fascino, e le risposte non reggevano, e non l'avrebbero mai fatto, il paragone. Lo lasciò concludere, il riferimento implicito a Mahoutokoro, divenne presto esplicito. A bomba, sull'argomento.


Vede, l'Asia è un continente incredibilmente grande, e vario, all'epoca dei fatti di Mahoutokoro, che come immagino sappia già era una Scuola giapponese, mi trovavo da poco in Cina. Le notizie dal Giappone, soprattutto in Cina, filtrano con una certa difficoltà, ed un certo ritardo, forti tensioni politiche sono in atto ormai da decadi, di cui in parte mi occupai per un certo periodo in gioventù. Le notizie che filtrarono in un primo momento furono allarmanti, anche secondo le logiche orientali, ma con il passare dei giorni la notizia andò lentamente con lo sgonfiarsi. Lei deve capire che la concezione stessa di Magia che vige in Oriente è radicalmente diversa dalla nostra, noi siamo moderati in tutto, anche nelle Arti Magiche, operiamo all'interno di limiti che ci siamo imposti nel corso del tempo, in una sorta di contratto sociale, i Maghi vivono segregati, per loro autonoma decisione, abbiamo reputato sconvenienti tutta una serie di branche, e le abbiamo gettate alle ortiche, preferendone altre, che probabilmente non hanno futuro, mi segue?

Sì, ecco, una risposta diplomatica, dove si lasciava intendere molto, ma non la risposta che il giovane si sarebbe evidentemente aspettato. Avrebbe insistito? C'era margine? Era già tempo di proseguire? Rimandare ancora il ristoro invitante offerto dalla tazza? Era pericoloso lasciarla in balia della zuccheriera in attività troppo tempo, il The avrebbe ceduto il passo ad una fanghiglia marroncina, simile a sabbie mobili?
Ecco, concludere.


Penso di aver già ampiamente dichiarato, che tra le altre ragioni che mi spinsero in Giappone, casualmente subito dopo i tragici accadimenti, vi erano anche squisite ragioni di studio. Come penso saprà, insieme ad altri amici e colleghi, sono uno dei massimi esponenti della Teoria sul Decadimento della Magia nell'Era Moderna, ed il Giappone, costituendo una notevole eccezione, almeno in apparenza, a tale Teoria, tale da precluderle il rango di Legge, mi costringe da ormai diverso tempo a lunghi felici soggiorni, anche presso colleghi della Mahoutokoro. Come penso di averle già detto, prima che mi dedicassi all'ambito più accademico, solo nell'ultima fase della mia esistenza, ho militato per la restante nel corpo diplomatico, in particolare in Asia, nell'interesse dell'Impero, e del Ministero della Magia, ciò mi ha permesso di creare una rete di conoscenze che sono andate consolidandosi negli anni, com'è normale che accada. Come le dicevo, per la peculiare foggia che Magia è andata assumendo nel corso degli anni in Oriente, manifestazioni di incredibile violenza, come la distruzione di una Scuola, o di un insediamento, non sono così incredibili come potrebbero invece suonare da noi, il rapporto che hanno con Magia è diverso, più selvaggio, più arcano, meno vincolato, e quindi incredibilmente più potente, ancora atavico. I risultati sono conseguentemente molto diversi dai nostri. Ma il succedersi di tali eventi è abbastanza frequente, tale da non destare eccessivo clamore, ed il più delle volte limitato nello spazio, e nel tempo, episodi circostanziati, esplosivi, ma che tendono a quietarsi in breve tempo.
Come già le ho detto, una volta che la notizia giunse in Cina, era praticamente quasi arrivata anche a Londra, ed il Governo può contare su mezzi più potenti per raccogliere le eventuali allerte attentati, che ritenesse attendibili, che non i gufo di uno Storico in pensione, concorderà con me. Prima della mia vacanza, come giustamente mi faceva presente, mi sono dimesso pubblicamente da ogni incarico, e per quanto possa sentire il peso di qualche senso di colpa, per quanto sia poi accaduto qui, immagino, che aldilà delle tragiche fatalità che sfuggano certo al controllo, i responsabili esistano, e vadano perseguiti con ogni mezzo.


Ora, già meno diplomatico.
Ma andava pur dato a Cesare, quello che era di Cesare.
Qualche incompetente c'era stato, ed era tempo che pagasse.
Prima o poi.
Un modo di fare squisitamente mediterraneo, l'insabbiamento.
Non era stato nessuno.
Cause di forza maggiore.
Certo.
Il The.
Era tempo di un The.

 
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Horus R. Sekhmeth

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Poteva dirsi soddisfatto della risposta ricevuta?
No.
Nascosto dalla tazza, intento a bere un altro goccio di tè, dimezzandolo, Horus arricciò le labbra, socchiudendo appena gli occhi e metabolizzando con quel gesto le nozioni che aveva appena appreso. Sì, certo, immaginava che sarebbe stata una notizia fin troppo straordinaria sapere che Peverell si trovasse proprio nei paraggi della Mahoutokoro, così come deduceva che l'uomo si trovasse più in Cina che in Giappone, testimoniato dai piccoli indizi di parole e servizio da tè disseminati in quella stanza e infine da quella confessione (che procurò ad Horus una certa soddisfazione nell'avere un ulteriore aggancio e un'altra informazione da aggiungere al suo archivio). Eppure, la risposta non lo soddisfò. Certo, Albus c'era andato per vie quasi filosofiche, in continui paragoni fra Oriente et Occidente, citando giustamente come causa principale la posizione Cina contro Giappone. Era risaputo quel conflitto che si ergeva tra ambo le parti, come un gigantesco muro. Il Giappone doveva molto alla Cina, ma, a differenza della Corea che era uno Stato confinante con la potenza sinica, la posizione insulare del Paese del Sol Levante era stato fondamentale per mantenere quelle ispirazioni storiche, artistiche, militari, politiche e linguistiche al loro posto: ispirando, non forgiando. In passato due volte e poco più la Cina aveva tentato l'attacco, fallendo miseramente. Il Giappone era indipendente, un Paese chiuso benché volesse dimostrare il contrario, forte di un nazionalismo senza pari; consci di ciò, decisamente la sconfitta di Mahoutokoro era costata parecchio, non solo in termini umani, ma anche in orgoglio.

« Immagino, effettivamente, la barriera culturale e geografica che separa i due Paesi. Una volta qualcuno mi aveva accennato i vari scontri al riguardo. » Convenne il ragazzo, appuntando velocemente giusto qualche parola chiave sul suo taccuino. « E sì, professore, vi seguo. » Aggiunse, puntando il freddo sguardo in quello dell'uomo. Percepiva un certo pizzicore, in quelle parole, quasi egli lo reputasse uno sciocco, dando per scontato che certe cose non le conoscesse (Dante, ad esempio?). Certo, certo, quella era una precisazione retorica, era ovvio che Horus seguisse e non fosse così sprovveduto —altrimenti non sarebbe andato ad impelagarsi con Peverell, uno dei docenti più temuti in un confronto diretto—, eppure quella fastidiosa impressione rimaneva e si insidiava. Albus Peverell lo riteneva uno sciocco, uno studentello qualunque, un giornalista da quattro zellini, una mente mezza vuota e mezza piena, come tanti?
Sì, Horus, quel Sekhmeth, seguiva: e lui, seguiva il filo del suo discorso? Si era disarticolato egregiamente, Horus dovette ammetterlo, piegando leggermente il capo per scrutare ulteriormente il suo interlocutore. Tuttavia, ciò che seguì, lo stupì più di quanto Horus stesso avesse immaginato, e allora sì, che dovette ammettere a se stesso di essersi sicuramente perso un pezzo. Cosa intendeva Peverell con: "Il succedersi di tale eventi è abbastanza frequente, tale da non destare eccessivo clamore"? Discretamente, Horus si morse l'interno della guancia per frenare la lingua che, irriverente, era pronta a saettare come quella di un serpente.

« Perdonate la mia arroganza, professore, ma da alcune vostre parole quasi si potrebbe evincere che per voi radere al suolo una Scuola, uccidendo e ferendo numerosi minori, uomini e donne, con dei grossi golem runici (che se mi permette una parentesi, erano una leggenda degna dei tempi dei miei antenati e di Atlantide stessa), è un evento normale, in Oriente. » Un pungolo; le labbra di Horus si incurvarono in un tenue sorriso, gli occhi fissi.
« Il problema è che, certamente, come dite voi, il Ministero della Magia Britannico, e non solo, raramente avrebbe scoperto la cosa prima tramite Voi che attraverso i vari sistemi di sicurezza internazionali, spie e via discorrendo.» *E non è questo ciò che ho chiesto.* « Com'è vero il ritardo di informazioni tra Giappone e Cina. Il problema, è che la strage di Mahotokoro è stato solo la sublimazione di una serie di attentati accaduti proprio in Cina e nel Medio-Oriente. Stragi, sangue e villaggi devastati che fin da subito lasciavano adito a fin troppe voci. E di certo, concorderete con me, in quelle località, le tradizioni folkloristiche e leggendarie avranno avuto un largo margine, al di sopra della censura. La gente mormora e poco importa se i giornali e le autorità dicano di no. » Un altro momento di pausa, un altro sorso, e riprese la parola, riappellando alla mente nomi e circostanze ripassati qualche giorno prima, ma che ormai aveva imparato a memoria per tutte le volte che le aveva lette tempo addietro, nella speranza e nel tentativo di raccapezzarci qualcosa in quel marasma, prima del fatidico Viaggio. « Anche se un po' vecchiotto, rimane un must e avrete sicuramente letto l'articolo del Profeta di Mrs. Iggulden, sull'Epilogo della battaglia del 21 ottobre. » Sì, no? Non poteva saperlo con certezza, lo sperava, ma da qualche parte nella borsa aveva qualche ritaglio accuratamente preparato per l'occasione, nel caso a Peverell sfuggisse qualche cosa. « Fra le vittime degli attacchi, c'erano molti Sigillatori dello Stato Magico Cinese. » Tacque. « Non dubito che le cose non abbiano cercato di esser state nascoste, eppure trovo alquanto difficile che dei giornalisti siano riusciti a sapere determinate cose e voi, essendo nell'epicentro, per quanto la Cina sia grande e quasi un continente a se stante, ne foste completamente all'oscuro. » Dove voleva andare a parare, non ne era propriamente sicuro. Era certo che la risposta di Peverell non l'aveva affatto soddisfatto e, anzi, aveva lasciato una sorta di amaro, un'espressione esposta dall'uomo decisamente aperta a incomprensioni di sorta, ambigua.
« Per questo professore, proprio non capisco cosa ci sia di così normale, sforzandomi ad avere una mente asiatica, in sterminii del genere. Permettemi di riformulare la mia domanda: Cosa avete pensato, essendo nel pieno fulcro degli attacchi, al riguardo? C'erano certo connessioni fra Hogwarts e Mahoutokoro e gli attacchi in Oriente, questo sicuramente è stato assicurato dopo e voi stesso mi avete detto che non potevate immaginarlo. Eppure, non avete provato nulla, al riguardo? Per voi era una banalità orientale da non tenere in conto? Anche con l'idea che una Magia Superiore, dimenticata da tantissimi anni, possa aver fatto la sua comparsa in ere così moderne? » Camminava sul filo del rasoio, eppure non c'era rancore, accusa o amarezza in Horus, né nelle sue parole. E questo era chiaro dal tono serafico utilizzato. Era una pura, scremata curiosità, incurabile certo. Horus era avido di sapere, a prescinder eda che parte esso provenisse: più conosceva, più si sentiva completo. E in questo caso, voleva assolutamente sapere, al di là dello sciocco giornale: era una cosa personale, oramai. La logica lo tormentava, la ragione bussava e chiedeva spiegazioni per far collimare l'idea, l'analisi di quell'uomo, e le voci su quella magia runica potentissima che conservava, in una stilla nel suo petto e appesa al collo. Doveva sapere!

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Non l'aveva soddisfatto. Lui lo sapeva, e lo sapeva anche il giovane. L'avrebbe saputo anche Minerva, se solo fosse stata lì. Ma non c'era. Un test? Avrebbe piegato la testa? Silente, e tacito, avrebbe proseguito, come se nulla fosse, prendendo la via della seta, ed andando oltre con una nuova domanda? O qualcosa sarebbe scattato nel subconscio, tale da non poter essere fermato? Che non provasse gran simpatia per le interviste doveva averlo ormai colto, o che avesse frainteso? Poteva anche darsi. Che mal tollerasse la di lui presenza? Se si fossero scambiati i ruoli, cos'avrebbe pensato? Cosa sarebbe stato spinto a pensare? Con diverse decadi di anni in meno, quanto radicalmente sarebbe mutato tutto? Avrebbe osato lo stesso? Probabilmente no. I tempi erano cambiati. Certe libertà non se le sarebbe prese nemmeno con suo padre, figurarsi con un professore. Ma non tutti i cambiamenti, venivano per nuocere. La situazione era cambiata, e tanto valeva prenderla per quello che era diventata. Era tornato a sorseggiare il The, a sorsi morigerati, centellinandolo, come le parole del giovane, lasciandole scivolare, parimenti divertito, ed interessato, dalla furia covata che graziosamente emergeva, veniva in superficie. Arroganza? Era un problema di arroganza, o era altro? Gelosia intellettuale? Cosa covava tra le ceneri, che non era ancora venuto a galla? Eppure ci stava riuscendo, era solo questione di tempo, lasciarlo andare, lasciargli corda, allentare la gomena, lasciare che si spingesse ancora un poco al largo, prima che la galea prendesse definitivamente fuoco, animata da sentimenti belligeranti, istigata da un imprevisto incidente con il fuoco greco, l'arma destinata agli infedeli, che le si ritorceva all'ultimo contro? Un tragico epilogo? Qual era il destino della filippica del giovane?
Una decisione. Aveva dato la sua parola. Era inequivocabile. E ci stavano andando dritti a sbattere. Tanto valeva metterlo sul tavolo, ed aggirare l'ostacolo? Ormai aveva ottenuto quello che voleva, tirare ulteriormente il gioco, alimentare ulteriormente l'incendio? Avvisare i soccorsi di tenersi pronti? Oltre un certo limite, non era possibile andare, checchè se ne volesse, dicesse, ed ambisse, il limite era tracciato. Una riga, retta, invalicabile. E non l'avrebbero passata. Se era davvero così ricco di buon senso, ed acume, era giunto il momento di metterlo alla prova.
Sorrise, e non era cortesia, poggiando la tazzina prima sul piattino, a mezz'aria, tenuto dall'altra mano, e poi il tutto sulla scrivania.


Dunque Mr Sekhmeth, mi consenta di essere il più franco possibile con lei. Ho accettato questa intervista, pur detestandole io con tutte le forze, perchè la reputo essere una persona intelligente, degna della mia attenzione, e del mio tempo. che come le ho già detto, essere prezioso. Ciò nonostante, ho dato la mia parola a diverse persone, tra cui la Preside, di non trattare determinati argomenti con i miei Studenti, fin tanto che ricoprirò la Cattedra di Storia della Magia, ed allo stato attuale delle cose, lei prima che Giornalista, è un mio Studente. Capirà quindi che la nostra conversazione abbia dei limiti, molto precisi, e vi siamo anche molto prossimi. Da ultimo, ma non ultimo, ho deciso di fidarmi di lei, non tutto quello che le dirò è bene che diventi di dominio pubblico, lascio a lei il compito di secernere l'uno dall'altro, il molto nobile ed illustre Casato dei Peverell ha un'onorabilità da difendere e preservare immacolata ad ogni costo, e qualora fosse necessario saremmo pronti a qualsiasi azione, anche di natura legale, per mantenerla tale.

Il peso marmoreo di quelle che non erano certe leziose parole, era di gran lunga controbilanciato dal tono pacato, ed ironico, e dal viso disteso, e rassicurante. Per quanto suonasse come una minaccia, aveva più il tono di un tacito riconoscimento, ed un bonario monito, a quanto fosse seguito, eventualmente, in un secondo tempo. In fondo, l'intera faccenda, era stata delegata alla piuma del giovane, ed al suo rotolo di pergamena, facessero un po' loro. In fondo, i Giornali andavano e venivano, farne chiudere uno, a seguito di un'annosa battaglia legale, era sì una triste Storia, ma sarebbero sopravvissuti quasi tutti, meno che il Giornale stesso, certo. Dalle ceneri, qualcuno sarebbe tornato, ed il testimone sarebbe stato trasmesso, senza colpo ferire. Il trapasso era qualcosa di tranquillo, sereno, inevitabile. Forze inimmaginabili erano trattenute oltre la cataratta, attendevano un gesto, per inondare i tribunali di ricorsi. Aveva un che di già sentito, ma poteva sempre risuccedere. Dopo un tragico seppuku, sembrava che il malaugurio dovesse imperversare ad ogni costo a quelle quote?
Ma era tempo di proseguire. Il giovane voleva delle risposte, e forse era anche tempo di dargliene, almeno una parte. Certo, l'annosa questione dei limiti. Ma si sarebbe potuto fare. Con un po' di ginnastica. Un po' di abilità, un passo qui, uno là. Avrebbe lasciato a lui poi di sbrogliare la matassa, come l’avrebbe fatto uscire? Poteva anche dimostrarsi divertente, in fondo. Avrebbe apprezzato?


Non sia troppo affrettato nei suoi giudizi, Mr Sekhmeth, probabilmente quando avevo vent’anni avrei reagito con sgomento alla notizia, come ha fatto lei, ma alla mia età, ho il dispiacere di stupirmene meno. Come già le ho detto, e come probabilmente sapeva, sono un noto Teinomane, ed un Bibliofilo, probabilmente invece non sa che sono anche un collezionista di armi, in prevalenza bianche, ammetto, e soprattutto alabarde. Durante i miei anni in Oriente, al servizio dell’Impero Britannico, mi sono anche dovuto sporcare le mani, sedare rivolte, districare affari non sempre puliti, intende? Avevo un certo talento nel farlo, il che mi valse una certa reputazione, ed avevo già un nome, che in determinati ambienti può fare comodo. Mio padre aveva combattuto in Africa, durante le Guerre Boere, non potevo essere da meno, per quanto se avessi potuto liberamente scegliere, probabilmente avrei fatto altro. Sono fatti che hanno un loro peso, volenti o nolenti agli ordini si obbedisce, un Impero non si regge sul buon senso dei suoi rappresentanti.

Una piega inaspettata. Non poteva aspettarselo, eppure stava ricevendo una signora risposta, più di quanto in fondo fosse previsto dalle sue più rosee aspettative. E forse anche oltre. Il Vecchio proseguiva, ora stanco, ora fermo, un ricordo cedeva il passo all’altro, un volto all’altro, era passato molto tempo, del resto, quanti anni? Le Guerre Boere, come dovevano suonare alle orecchie di un giovane dell’ormai tardissimo XX secolo? Ne serbavano ancora il ricordo? Si era già perso? Erano ieri, eppure, era già quasi trascorso un secolo. Ed ecco, il Ministero della Magia Britannico. Una parte del problema era lì. Come poteva non esserlo? Il Castello era sotto la sua responsabilità. Dov’erano? Dove si erano cacciati? Dormivano? Scappatella al mare? A sciare?

Ha ragione, la strage di Mahotokoro è stata la sublimazione, imprevista da tutti, di una serie di attacchi su scala minore, di impatto mediatico insignificante, anche per il prodigarsi in tal senso delle Autorità competenti, ma mi permetta di tornare sulle proporzioni. Per quanto io resto indubbiamente un vecchio oscuro cinico e calcolatore, per le dimensioni della Cina, un migliaio delle nostre vittime, che sono indubbiamente una cifra cospicua, per i loro standard, in proporzione, dovrebbero essere un milione. Riesce a pensare un attacco che coinvolga, anche senza ucciderle, un milione di persone? Del resto, il sacrificio di un migliaio di sigillatori è stato un prezzo pagato con leggerezza, per l’incolumità di milioni di innocenti. Riesce a pensare a cosa sarebbe successo se l’attacco si fosse verificato a Shangai, o Pechino? Quelle sì che sarebbero state milioni di facili vittime, che sono state però evitate abilmente, ad un costo sopportabile. La gente mormora, ma a prestarvi troppo orecchio si fa più male, che bene, come del resto, in Cina, ciò che viene scritto e lasciato filtrare, è esclusivamente perché autorizzato dalle Autorità. Nulla avviene per caso, nessuna fuga di notizie. Per tutta la durata della crisi, se così vogliamo definirla, la libertà di movimento di noi stranieri, ospiti graditi, era stata limitata alla sola Pechino, il che mi andava benissimo, ho anche trovato questo servizio da The, e mi costrinsero anche a rimandare la mia partenza per il Giappone di diversi mesi, prima che tutto non fosse chiarito.

Ed ecco la chicca. Tenuta pazientemente da parte, evitata con una certa innata abile agilità, pronta a denotare all’ultimo? No, in fondo, anche quello doveva essere prevedibile, almeno in parte. I Golem erano davvero così remoti, o semplicemente era tutto frutto di un malinteso, un piccolo errore di calcolo, che per quanto banale, era anche piuttosto critico, e dirimente ai fini del racconto? Evidentemente il tutto andava a cozzare con la fantomatica parola data, la quale era lì, spettatrice inamovibile, ed incontentabile. Minosse, pronta a invocare eterna e divina dannazione. Che il giovane tornasse ad armarsi di pazienza? Che dovesse farglielo presente, o l’avrebbe colto? Sventolò roteandolo pigramente l’indice destro, prima di riprendere, quasi a cercare attenzione, quasi per riprendere il filo del discorso, riannodandolo, dopo che gli era nuovamente sfuggito, lontano, verso quelli che erano ormai tempi remoti, di una Storia dimenticata.

Ora, devo chiederle di tornare ad avere pazienza, torniamo ai limiti di quello che posso, e non posso dirle. Come sa lei, e sanno del resto tutti, sono uno Storico, accanto a questo ho sempre coltivato studi di altro genere, che tra gli altri mi hanno spinto ad interessarmi anche ai Golem, ed alle loro apparizioni nella Storia, che sono di gran lunga più frequenti di quanto non possa pensare lei. Del resto, è un errore abbastanza comune, che nasce da un facile fraintendimento, come saprà la natura dei Golem è opposta a Magia, confrontarsi con uno di loro armati di bacchetta potrebbe non essere più facile che non armati di alabarda, per molti versi. L’essenza stessa del Golem è essere immune, refrattario, e sfuggevole a Magia, il loro impiego su vasta scala è devastante, ed i sopravvissuti pochi, facilmente piegabili dal resto delle truppe. Solitamente la funzione dei Golem è sfondare la linee, seminare il caos, ed aprire le porte alla disfatta, mi segue? Questa serie di ragioni solitamente spingono a prevalere chi li mette in campo, il quale non ha alcun interesse a tramandare ad altri di averli impiegati, mentre lo sconfitto non è più in condizione di raccontare molto. Da ultimo, proprio la loro essenza sfuggente, li tiene ben lungi da qualsiasi radar magico, spingendo a credere che non vengano più impiegati dal tempo che crede lei.

Un ultimo affondo, ed era fatta. Iniziava ad avvertire una certa generalizzata spossatezza, l’ugola inaridita, il The lì innanzi che burlava di lui, pavoneggiandosi, di quella sua nea inattaccabilità. Ma l’avrebbe presto vinto. Era questione di pochi attimi. Il Trionfo.

Vede, ho avuto modo di vedere in azione più volte il potere distruttivo dei Golem, come avrà saputo forse da una sua collega, che l’ultima volta era Ateniese, i miei studi si servono di un’ampia gamma di libri, non tutti propriamente… ortodossi? Ecco, capirà quindi il mio mancato stupore per almeno questa parte della Storia. Fatto sta che se avessi anche solo pensato che la successiva tappa fosse stata Hogwarts, sarei tornato. Per quanto lei possa credere di essere la parte offesa, ad aver perso amici, e colleghi, non è il solo, mi creda.

Era decisamente sufficiente.
Era tempo di tirare un respiro.
Era tempo di un The.

 
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Horus R. Sekhmeth

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Era un'analisi reciproca, quella che in fin dei conti entrambi stavano compiendo. Professore e Studente, Intervistatore ed Intervistato; ruoli, certo, decisamente labili, eppure in un certo senso, dislocati dalle consuete "catene" ideali che dovevano per forza rispettare per rientrare in quelle identità. In fondo, sì, potevano sforare entro quei certi limiti che lo stesso Peverell andava delineando, con più o mena cortesia. Horus lo ascoltò, immobile, serio, eppure in quelle sue labbra sottili e delicate c'era il velo di un sorriso, qualcosa che non si irradiava fino ai suoi occhi, freddi, e puntati verso l'anziano uomo. Una caduta di stile, questo Horus reputò, quella sottile, ma ben percepibile minaccia, a proposito di... come aveva detto?
*Esser pronti a qualsiasi azione, anche di natura legale, huh?*
Certo, certo, il tono era tranquillo e il viso rilassato e pacato, niente di diverso dal solito. Ma la tazza era stata addirittura posata sul tavolo, quasi a voler porre paletti ben più sicuri, più consoni all'uomo, quel confine era stato varcato? Ignotus era stato piccato, da quelle domande forse davvero un pizzico irriverenti? Cosa si aspettava, da quell'intervista? Classiche domande del tipo: "Perché studia la Storia?" o "Le piace insegnare?" e via discorrendo? Figurarsi; Horus non era il tipo. A dirla tutta, non era neanche il tipo da assumere un atteggiamento così... ambiguo, nei confronti di una persona che non solo rispettava, ma che era anche un suo superiore. Eppure, era più forte di lui: benché ponderate, le sue mosse e le sue domande erano anche un filino spinte da quell'Istinto che poteva salvarlo da situazioni ostiche e, al contempo, lasciarlo ad impelagarsi in bei pasticci. Poteva quella essere una disfatta, anziché un connubio di informazioni? Perché allora si sentiva così divertito dalla vicenda? E non era certo, uno sfottò, nossignori. Era qualcosa di diverso, difficile da poter descrivere con i normali aggettivi.
Horus rimase in silenzio, senza aggiungere altro al chiaro discorso dell'uomo. Era, anzi, incuriosito dal proseguire della vicenda, interrogandosi se l'avrebbe cacciato con falsa cortesia, bollandolo altresì come una persona idiota e superficiale. Invece, l'uomo decise di proseguire, il ché divertì il ragazzo ancor di più —e questo, non s'azzardò certamente a darlo a vedere. Un piccolo cenno d'assenso, fu la risposta a quel commento, nulla più. Una montagna non s'inchina, solo perché il vento soffia.
Bisognava solo vedere, chi dei due era la montagna.
In ogni caso, ciò che seguì, portò l'attenzione di Horus ad un livello assai più alto, ogni parola dell'uomo era accolta con interesse, con vaghi appunti sulla carta. Si ritrovò a chiedersi dove Ignotus nascondesse quelle armi bianche di cui andava parlando, e sentì la bramosia di volerle vedere. Per quanto non potesse definirsi un esperto, Horus aveva cominciato a trovare incredibilmente affascinanti quel tipo di strumenti di guerra e di difesa —galeotto fu il magnifico Pugnale Normanno comprato all'Ars Arcana e da cui non si separava mai—, meravigliosamente onorevoli, in confronto a quelle sciocche pistole principalmente Babbane. Che c'era d'onore e d'orgoglio, di coraggio e rispetto, nel premer un grilletto, piuttosto che affidar la propria vita ad una splendida lama e al proprio valore? Il Caposcuola trattenne un sospiro, tornando presente al discorso. Quando furono nominati i Golem, ecco: quella sì, che poteva essere la perfetta sublimazione della sua attenzione! E del divertimento. Certo, che lo seguiva. Horus trattenne a stento la mano destra, intenzionata a correre al colletto della camicia, perfettamente abbottonata, in un paranoico tentativo di celare ancora meglio il girocollo con la Runa che portava. Ah, sì: aveva una qual certa idea, di quanto fosse complicato combattere contro un Golem, forse non con l'esperienza e le conoscenze di Peverell, ma se non altro con una certa dose di dolore fisico e impegno; gli era costata una cicatrice che squarciava il suo petto dalla clavicola all'inguine, un post-lotta doloroso fisicamente e psicologicamente, durato mesi, e un coma di svariati giorni, ma del resto, lo Storico non poteva saperlo. Lo avrebbe saputo? Forse.
Il discorso terminò e la voce dell'uomo si spense; ben presto, la sua gola fu allietata dal suo beneamato tè e lo stesso Horus decise di lasciare un altro po' di silenzio, a separarli, concedendosi anch'esso un generoso sorso dalla sua tazza fino a quel momento, ignorata. Dopo aver assaporato l'aroma sulla lingua e palato, inghiottì. Per la prima volta, dal suo ingresso, Horus distolse lo sguardo dall'uomo per posarlo sul trespolo dorato vicino la finestra, vuoto. Sorrise, ancora una volta, quando i suoi occhi tornarono su di lui.

« Capisco. » Fu l'unica, enigmatica parola che finalmente prese vita sulle labbra del giovane. Il Tassorosso, senza fretta, portò ancora una volta alla bocca la tazza di porcellana, sorseggiando la bevanda ora tiepida. Quando la riabbassò, il tè era ormai più che dimezzato.
« In primo luogo, professore, concedetemi di spezzare una lancia in mio favore. Io non giudico. E non mi interessa farlo. Forse si può dire che io tenda ad analizzare, più che a giudicare. » E confidava che l'uomo, sicuramente, capisse la differenza. La fondamentale, differenza.
« Quindi, sono conscio dei limiti, ma ciò che vi chiedo non è niente che possa ledere la vostra persona. Questo perché vi rispetto, professore. Ma rispettate, vi prego, le mie domande e non credete che le mie impressioni siano così maligne nei vostri confronti o in quelli della vostra onorevole Casata. » Un pungolo, travestito da umile scusa. Ma era dovuto, del resto era stato Peverell a giudicare, ancor prima che potesse farlo lui, fraintendendo qualche... semplice domanda.
« Tornando al precedente discorso, sono, purtroppo, tristemente a conoscenza di non esser l'unico ad aver perso amici o colleghi. Anzi, a dirla tutta, devo ammettere che non ho davvero perso fisicamente qualcuno, di coloro che amavo. » Il suo tono fu molto più morbido del previsto; avrebbe voluto dirgli di non renderlo così banale e scontato, di smetterla di ostinarsi a volerlo dipingere come uno stupido studentello, di tanti che ne aveva avuti, un borioso come chissà chi altro, eppure tutto quel pensiero sfumò in un nulla di fatto. Era inutile e del resto, non ce n'era neanche bisogno. Era meglio, quella pacata risposta. Non c'era niente, in lui, che Peverell potesse carpire della sua malsopportazione per quell'atteggiamento. A meno che non fosse veggente, ma Horus dubitava seriamente che lo fosse.
« Ma vede, la cosa è un pizzico diversa, perché anche io so quanto è difficile combattere con i Golem. Forse non lo sapete, ma io ho combattuto contro di loro. Contro una moltitudine di loro. Io e altri tre compagni, due dei quali... ahimè, scomparsi. Dietro di noi, c'era una folla di studenti del primo anno, spaventati e irrequieti e solo noi, a far loro da scudo. Le Passaporte non funzionavano e gli Auror che dovevano coordinarci, non arrivarono mai. In compenso... arrivarono loro. » Tacque un istante, riappellando l'orrido ricordo di quell'orda grottesca e informe di creature nate dalla terra e dalla mente malata di un ragazzino deviato dal dolore e dalla follia. Hagalaz e Isa, celati tra di essi. « Erano tanti, e abbiamo fatto il possibile per combatterli. Finché i due Golem Runici, non sono emersi. Finché uno, permettete l'arroganza, non mi ha scelto come suo avversario. » No, si erano scelti a vicenda. Dal momento in cui aveva visto quelle macabre sembianze di fanciullo di roccia, dal momento in cui il freddo gli aveva mozzato il respiro e l'aria, così compatta, lo aveva martoriato, Horus sapeva che lui e quel Golem erano stati Destinati.
« Siamo rimasti solo io e lui, alla fine. Ed ero davvero, pronto a morire. Bacchetta e alabarde, infine, erano davvero inutili, non posso darvi torto. Quando posò la sua mano tozza e gelida sulla mia testa, pronto a perforarla, c'era solo una cosa che potevo ancora fare. » Era stato preso dalla forza dei ricordi, dal racconto. Tante cose aveva celato all'uomo, che, d'altro canto, poteva non credere a quella storia o crederci e reputarla, come classico atteggiamento dei vecchi incapaci di stupirsi ancora, banale e scontata. Eppure Horus lo guardò intensamente, con profondità. « Gli ho strappato il cuore runico con le mie stesse mani. » Ricordava ancora, sulla pelle, il battere ritmico di Hagalaz e quella forza d'urto gigantesca quando, pieno di sangue dalla testa ai piedi, era stato sbalzato via; ma la Runa, stretta nelle dita. Da quel momento, solo sua.

Ci fu del silenzio, in cui Horus sorseggiò ancora il suo tè, incerto sul pensiero dell'uomo, ma del tutto indifferente alla sua natura. Si era arreso, e non aveva intenzione di sembrare migliore di quel che era, ai suoi occhi.

« Sinceramente, professore e non me ne vogliate, ma l'intervista è sempre stata una scusa. » Ecco qua, aveva sganciato la bomba.
« Voi avete una Conoscenza che ben pochi hanno. E io, purtroppo, sono avido di sapere. E in questo caso, volevo comprendere il vostro punto di vista, riguardo questa faccenda, saperne di più su quei Golem che io stesso ho combattuto, ma di cui ancora, so veramente poco e niente, se non vaghe leggende antiche, tramandate, ma confuse. Una Magia Antica in possesso... di un bambino. Chi mai poteva rispondere ad un argomento spesso considerato tabù per le vittime che ha comportato? "È inutile pensarci ora", così spesso mi son sentito rispondere. "È tutto finito". Ma no, finché questo rimane nei miei ricordi, sulla mia pelle, io non posso bollarlo come qualcosa da censurare. Devo sapere, devo capire. Avrei potuto dirvi la vera natura della mia visita, eppure, ho deciso per una strada più contorta, forse perché io stesso volevo mettermi alla prova. Mi avete sempre incuriosito, da quando tempo addietro, venni Smistato con mia sorpresa a Tassorosso. Scriverò, perché l'impegno fu preso, ma rimarrò fedele a quel labile confine di cosa va detto o meno. In ogni caso, ecco, ho preferito confidarvi la Verità. » Concluse, infine. Horus si stupì di aver rivelato, in parte, le sue intenzioni. Fu tentato di chinare il capo, ma lo tenne alto: non c'era spazio per l'autocommiserazione. Si convinse che era la mossa più giusta e coerente da fare e non perché si sentisse in trappola, quanto più per la speranza di sradicare una volta per tutte quei paletti. O forse, era solo un'altra prova, per entrambi. Che pomeriggio difficile, in fin dei conti, quello.

The Time you enjoy wasting is not wasted time.»

 
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view post Posted on 12/2/2015, 23:05
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Scopro Talenti, Risolvo Problemi

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La Guerra.
Quella stessa guerra che era anche motore di sviluppo tecnico, economico, scientifico, di rivoluzioni impensabili sino alla pace precedente, ma che grazie a quella prendevano il balzo, trampolino di lancio verso una dimensione inedita della Storia dell'Uomo. Senza quell'impulso probabilmente non vi sarebbe stato nulla, si sarebbero fermati soddisfatti alla lancia, alla punta di pietra, era sufficiente per sfamarsi, lo sforzo minimo, la grotta non era poi così brutta. Eppure, tutto correva avanti. Lo sviluppo portato da millenni di innovazione cos'era in confronto a qualche danno collaterale, pagato con leggerezza, quasi con insistenza, in uno di stato di bisogno, e sudditanza, verso quel Dio Sviluppo che tanto poteva, e tanto avrebbe potuto? In campo magico non si poteva affermare fosse propriamente andata così, anzi, era stato tutto il contrario di tutto. Il perchè fosse accaduto era forse un poco più complesso da dimostrarsi, ma ve ne sarebbe certo stato il tempo, ormai era il suo argomento di Studio, da quanto? Anni? Decadi? Forse anche di più, perchè no? Ma era un esperto di guerre, a sufficienza esperto, per fiutare che quello fosse in tutto e per tutto un Bellum, e che fosse anche Iustum, per giunta, ma diverso nel formato, nella foggia, più moderno, combattuto in quello che non era un campo di battaglia, con quelle che non erano abitudinarie armi. E non vi sarebbero nemmeno giunti, a tanto, non era plausibile che accadesse, il Giovane Tassorosso era il primo a voler essere lì, per quanto la sua virtù venisse messa alla prova ora ed ancora, fraseggio dopo fraseggio, resisteva alla tentazione, mentre l'altro, non aveva alcuna intenzione di mollare il The, la scrivania che era stata di suo nonno, il suo libro, i suoi libri, il suo Ufficio. Non se ne parlava proprio, nemmeno a pensarci. Se qualcuno se ne fosse andato, non v'era dubbio, sarebbe stato il Giovane. Ma non l'avrebbe fatto. L'intervista l'aveva voluta lui. E per una qualche mistica intercessione del cielo, del divino, dell'incomprensibile Maestà dell'Essere, l'aveva ottenuta. Una gincana di scuse, frasi fatte, amabili digressioni, in fondo, non era troppo difficile, un Vecchio, ormai in pensione, era sceso dal banco degli imputati pestando i piedi, e sbattendo la porta, difficilmente vi sarebbe tornato a salire, perchè farlo? Era una questione di incentivi? Di voglia? Di interesse? O c'era ancora dell'altro?
E la Guerra Fredda dispiegava i suoi effetti, il The ormai sul finire, a temperatura ormai ambiente era lì, in attesa di un qualche cenno, un ultimo sorso che faceva gola, la tentazione peccaminosa delle lande inferee, ammantate dall'infuso ambrato, dall'aroma orientale speziato, annidato nel candore abbacinante, spruzzato di sedimenti di foglie, della ceramica della tazza. Il silenzio, scandito come una celestiale pitagorica armonia dalla presenza rassicurante e confortante del fuoco, lo vinse infine. Un'ignobile ritirata? Una sconfitta? Un'abile mossa? L'effetto voluto ormai era consumato, l'eco della voce si era spento, poteva tornare al The, senza timore che la tazza distraesse troppo inconsciamente il Giovane? O c'era ancora dell'altro? Che non volesse distrarre sè stesso, da quel precario gioco di equilibri, tra sapere, ignorare, dover non sapere, e dover aggirare? L'intendimento del Tassorosso giunse inaspettato, quasi quanto il liquido alle labbra, impreparate a quell'ultima stilla, quasi ermeticamente serrate, ma abituate al riflesso degli anni. L'ormai triste tazza, tornò a far compagnia al fedele piattino, che già la teiera, seguita a ruota dalla sbarazzina gregaria, tornavano ad occuparsene, con amorevoli cure. Silenziose, meno baldanzose della prima volta, quasi restie ad interrompere il Giovane che intanto aveva già ripreso, restie ad interrompere il Vecchio, tornato ad osservarlo, beandosi dell'affettazione delle parole. Preparati all'imprevedibile, certo, non avrebbe mai fatto la differenza, nulla poteva, ma era comunque un passo nella direzione corretta, e non nell'opposta. Che l'aria stesse cambiando? Impossibile? Certo, era conscio del fatto che potessero esservi dei limiti, ma ignorandoli, la situazione era destinata a non cambiare di molto, e senza poterli rivelare, non era nemmeno plausibile auspicare che mutasse da sola, per grazia del Divino. Le coincidenze non esistono.
Era nuovamente chiamato al beneficio del dubbio, l'avrebbe seppellito, l'avrebbe trascinato nella tomba, eppure, sembrava aver tracciato lui stesso la strada anche quella volta, come avrebbe potuto infine tirarsi indietro, all'ultimo? Lasciare il Giovane con il cerino in mano? Poteva farlo, era già finito il tempo di concessioni ed elargizioni? O forse aveva a sua volta qualcosa da imparare? Era uno scambio, equo, o una rapina? C'era un prezzo, l'avrebbe volentieri deciso di pagare? O sarebbe scappato nella direzione opposta, prima che infine il banditore fosse giunto a reclamarlo? C'era soluzione? Il prezzo si sarebbe trovato? Domanda ed offerta avrebbero trovato il punto d'equilibrio? O tutto l'intero sistema era semplicemente sovranumerato? Troppe domande, seguite da troppe poche risposte, che l'avrebbero inevitabilmente portato al collasso, alla fine? C'era salvezza in tutto quello? O era solo l'ennesima perdita di tempo?
Quanto poteva davvero capire? Giudicava, certo, lo facevano tutti, la differenza era semplicemente farlo o non farlo in veste ufficiale, e lasciar trasparire il giudizio, lasciarlo crescere in giudicato, prima di ritirarsi, troppo tardi per tutto il contrario di tutto, tentando di rimescolare avventurosamente le carte. Analizzava, aveva davvero trovato un analista? Che fine avevano fatto i Giornalisti? Si erano estinti? Si erano portati dietro oratori, affabulatori, e scrittori? Piume, inchiostro e pergamena, per ripicca?
Era stato davvero lui il primo dei maliziosi?
Sorrise al giovane, era vero?


Potrebbe anche avere ragione, è un condizionale, a volte mi sbaglio, è vero, fa parte dell'equilibrio, ma per quanto forse possa non essere il caso di questa data circostanza, il più delle volte a pensar male degli altri si commette peccato, ma ci si azzecca. E le assicuro che arrivati ad una certa età, si pensi con una certa insistente frequenza male degli altri, a ragion veduta il più delle volte, ma ovviamente esistono le felici eccezioni: il valore che ha la benevolenza. Come le ho già detto tutti sbagliamo, quindi in realtà il problema sta nel non muovere da fallaci aspettative, per non restarne eccessivamente delusi. Il bianco ed il nero non sono mai così perfettamente distinti come molti vorrebbero, così come il giusto o lo sbagliato, il vero o il falso, gli Assoluti sono sempre qualcosa di incredibilmente dispendioso da sostenere, e pericoloso da inseguire. Ma immagino non dovesse attendere il ritorno dalla mia vacanza per scoprirlo, no? Per quanto sia giovane, non è stupido, come forse molti preferirebbero.

Ma ecco che il Giovane sembrava risoluto nel voler proseguire, o forse iniziare?
In fondo, era sempre diverso, perchè non sarebbe dovuto esserlo? Lo era davvero stato oggettivamente parlando? O era semplicemente l'ego del Giovane a reclamare giustamente il suo momento di gloria, ad urlare al Mondo la sua impresa, davanti ad un nuovo avido pubblico? Dal canto suo il Vecchio seguiva interessato l'evolversi di quello che nel mentre da osservazioni di pacata circostanza, erano divenute note vibranti di un accorato racconto, a tinte sempre più fosche. Che ne avrebbe tratto il Vate? Ed il Rapsodo? Cosa avrebbero partorito, piuma e cetra alla mano? Certo, l'avrebbero decisamente migliorato, qualche libro, una buona impaginazione, una bella introduzione, e via. Magari un buon editore avrebbe aiutato nel dare il là alla pubblicazione? Eppure era interessante, di per sè, come potevano non esserlo i Golem? Aveva appena trovato la dimostrazione vivente di una variante del tema originale? Ne aveva scritto, ipotizzato l'eventualità, ma da lì a pensare che ciò fosse possibile realmente, quanto ne correva? Chi poteva avere le doti per fare una cosa del genere? Un gesto creativo degno dell'Aetas Aurea, il ritorno della Grande Magia, non sorprendentemente tutto veniva dall'Oriente. Poteva dirsi sorpreso? Lo era, ma era vero? Lo era davvero? Molto poteva essere visto, creduto vero, ma da lì ad esserlo veramente ne sarebbe sempre corso molto. E non stavano discutendo di inezie. Ma prima ancora di tutto ciò, cosa c'azzeccava tutto quello in un'intervista? Che volesse un parere, che non sarebbe tardato? Ed il cuore runico? Un Golem non avrebbe avuto alcun cuore. Era davvero un Golem? Runico?
In Giappone erano stati coinvolti dei Golem, numerosi, ma erano nella versione più tradizionale, sin lì non ci pioveva. Le Rune potevano venire dalla Scuola? Erano davvero Rune? Semplicemente dei segni, sarebbe stato tutto decisamente più facile, più semplice, banale, ed ordinario, per quanto, certo, un attacco su vasta scala di Golem non lo si potesse abitualmente definire tale, con un minimo d'impegno, lo si sarebbe potuto derubricare. C'era o non c'era stato il salto della quaglia?
Si era sbagliato. Era la cosa più semplice.
Il pensatoio?
Troppo lungo, non era un'intervista?
Che fosse uno scherzo?
Una prova?
I Golem potevano definirsi entro o fuori dai limiti lasciati così candidamente sul vago, quasi un anno prima? Se erano fuori, come poteva il Giovane, seminare zizzania inconsapevolmente in qualcosa che non avrebbe potuto rivelargli, sapendo che non avrebbe potuto? Oppure poteva tranquillamente decidere che non fossero entro il recinto, e giocare in contropiede, Durlindana alla mano, in prima linea, guidando una rimonta degna di Orlando. Avrebbero vinto l'assedio? Avrebbero ignominiosamente perso? O non avrebbero nemmeno potuto combattere, costretti dal voto?
Doveva decidere.
Ed in fretta.


Ha la mia sincera attenzione.
Come le ho già detto ho interesse a far luce sull'intera vicenda, è anche tempo che tutti questi scomparsi vengano alla luce. Se il Ministero ha sbagliato, è giusto che paghi, è intollerabile che a distanza di anni manchino ancora all'appello degli Studenti, indipendentemente da chi fossero. Fossi stato presente, son certo non sarebbe cambiato molto, ma avremmo quanto meno fatto chiarezza su questo punto, già da un pezzo, ma come accennavo dopo il lungo soggiorno cinese, trascorsi il resto della vacanza in Giappone, avevo delle conoscenze alla Mahoutokoro, ma sarebbe un'altra Storia.
In tutta franchezza, immagino sia sicuro fossero Golem, e la cosa non mi sorprende, anche in Giappone durante l'attacco ne furono avvistati in gran numero, a lasciarmi perplesso è l'attributo che ha deciso di usare: Runici. Vede, per quanto personalmente mi reputi abbastanza edotto circa l'argomento, per tutta una serie di approfonditi studi che ho condotto in merito, nel corso degli anni, sarei abbastanza scettico su quest'ultimo punto, per quanto io stesso ne abbia speculato su un piano strettamente teorico, la questione solleva una serie di problematiche di difficile risoluzione. Può darsi semplicemente che nella concitazione di momenti immagino drammatici, si sia semplicemente confuso, può succedere in fondo.
Vede, muovendo dal principio, lei cosa sa in merito ai Golem?


Era un'intervista, d'accordo, ma non era stato lui il primo ad andare cercandosele.
Che razza d'idea di giornalismo d'assalto doveva essersi fatto il Giovane? Che leggesse la robaccia dei coloni? Inchieste di corruzione, selvaggi, e colonie? Tanto valeva procedere con ordine, ed evitare per quanto le circostanze lo permettessero il caos. Di tempo ne avevano, non erano previsti ulteriori impegni. Gli eventuali sopavvenuti dell'ultimo minuto sarebbero stati invitati a ripresentarsi il giorno seguente, ecco, c'era solo la questione della cena. Non doveva mancare moltissimo, o comunque non troppo. Avrebbero tardato. Pacifico. Di quanto? Ma mettere nel sacco un Elfo con una qualche scusa, non era troppo difficile, una cosa tira l'altra, ed un arrosto sarebbe comunque saltato fuori, con qualche patata. Era un compromesso accettabile. Sì? No? Sì, in fondo lo era. Saltuariamente tenersi leggeri la sera poteva essere d'aiuto anche alla digestione, quel fanfarone del medico cosa andava blaterando? A sì, una salute d'acciaio, non sembra invecchiato d'un giorno. Certo, si fosse dilungato in dettagli, l'avrebbe preso per pazzo, ma era meglio un pacato, ed amabile silenzio, ad una cruda verità. Quanti medici aveva già cambiato? Quanti erano già andati in pensione? Perchè si ostinasse con i Babbani? Avevano un loro perchè, qualcosa da raccontare di diverso, proprio come i giardinieri. Quanto avevano perduto nel 1692 non era noto a molti, ma non era nemmeno un problema suo, in fondo. Stava bene anche con i Babbani, lo era sempre stato, e forse scrivevano anche cose più sensate, con gli strumenti a disposizione, certo. Era pur sempre una questione di relatività. O non lo era? Aveva importanza?
Mentre sorseggiava nuovamente il liquido tiepido, parve essere tornato il momento del Giovane, tornato alla carica, pronto a sfondare le linee nemiche, aquilifero della Decima, al pari di un Golem? Ed una nuova sorpresa, che forse in fondo, non lo era? L'intervista non era un'intervista, ma l'ennesima di una serie infinita di scuse, una più nobile dell'altra, certo, ma pur sempre scuse. Non era in fondo anche quello relativismo? O era una deliberata e semplice menzogna? Avrebbe pesato? Glielo avrebbe fatto pesare? Che fosse o non fosse una menzogna, in fondo, cosa poteva cambiare? Ma perchè quello strano giro? Era una sfida a singolar tenzone, alla ricerca del più contorto tra i contorti? Che ci fosse ancora dell'altro sotto? Mascherare un semplice colloquio, da intervista, che ignorasse la realtà dei fatti? Che si fossero persi qualcosa per strada? Si stava mettendo alla prova? In che senso?
Sorrise, per non ridere, mentre la finestra socchiusa alle spalle si spalancava con grazia, lasciando emergere dalle profondità dell'esterno il volatile dal nobile piumaggio, era tornata Minerva. Ma innanzi alla sorpresa delle rivelazioni a cascata del Giovane, pronto ad estrarne una nuova dal cilindro, dimenticato per dispetto da qualche parte, quel ritorno inatteso non sembrava destare eccessivo clamore. L'eterna attesa di qualcosa che tardava ad arrivare? Avveduta, misurata, guadagnò il trespolo, meta agognata, di un lungo ed intenso viaggio? Uno sguardo, un tacito intimo ben tornato. Cosa si aspettava? Riposto il piattino, abbassata la tazzina, cosa lo attendeva? Era piuttosto sicuro di non avere debiti in giro, i nipoti erano finiti, furti non ne aveva subiti, o almeno nulla di cui sentisse la mancanza, poteva esserci dell'altro?
C'era dell'altro?


Ammetto mi abbia sorpreso, non è semplice, avrei potuto prevederlo, ma andare a pensare che un'intervista non fosse l'intervista che mi sarei atteso, ed ancora, nemmeno un'intervista, probabilmente sarebbe stato troppo, anche per me. In realtà, fatico anche ad intuirne la logica, ho lasciato intendere a molti di non essere ben disposto nel raccontare della mia vacanza, quanto in realtà volessero sapere, quindi se avesse voluto un pur sentito colloquio le sarebbe bastato venire a bussare, come diversi suoi colleghi, sciamannati e deprevati tentano con fortune alterne. Ad ogni modo, la ringrazio della confessione, ma non vi darei troppo peso. Anche in questo caso, è molto gentile, ma non mi sopravvaluti, son molto vecchio, il resto è una conseguenza. Ma ha ragione, è capitato a Tassorosso, io direi senza grandi sorprese, e da allora molte cose sono cambiate. Perchè ritiene di esserci finito? Immagino che con il senno di poi anche la risposta sia cambiata, se non glielo avessi chiesti qualche anno fa. Con il tempo si accettano circostanze che avremmo reputato insostenibili, ma fa parte del gioco.
La Verità, sino a qualche anno fa sarei stato il primo ad affermare che fosse sempre, in ogni caso, la preferibile delle soluzioni, ormai temo di aver cambiato idea, l'età...


Una nota malinconica, prima di scostare il trono, ed alzarsi.
Darsi alla fuga? Era ancora in tempo, in fondo.
Flessuosa ricadde lucente la veste lilla, il mantello. In fondo, sino a poco prima stava spolverando la sua collezione, poteva tornare a dedicarsi a quello? E perdersi la Storia? Guadagnata la finestra, la chiuse, girandone la maniglia. Niente spifferi, era costato un patrimonio far isolare tutto, tanto valeva chiuderlo come si convenisse. Era una bella giornata in fondo, il racconto poteva anche proseguire. La confessione? Cercava un'assoluzione? I colpi di scena potevano anche essersi esauriti? Poteva darsi. Girò dall'altro lato da dove era venuto, il trespolo non più vuoto dava tutta un'altra immagine di sè, non c'era che dire, al Giovane non sarebbe spiaciuto, non era il solo a reclamare attenzioni, in fondo. E non poteva esserne il più geloso.

 
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view post Posted on 21/2/2015, 21:13
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Horus R. Sekhmeth

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Forse per un'ennesima volta, le labbra sottili del giovane si stirarono in un freddo sorriso. Horus osservò ed ascoltò con attenzione le parole dell'uomo, mentre in cuor suo percepiva una certa amarezza, al sapor di fiele, che risaliva fino alla punta della lingua. Era così azzardato il termine "Runico" accostato alla parola "Golem"? Probabilmente, agli occhi e alle orecchie di un ignorante qualunque, anche solo l'idea di un essere di pietra che si muove per conto proprio poteva risultare una sciocchezza, quisquilie antiche o semplicemente un Colossum funzionato a dovere (perché del resto, non era il Colossum un vago residuo di quelle arcane magie un tempo conosciute ovunque e che ora erano relegate solo a pochi eletti?). Ma per un uomo della presunta conoscenza di Peverell, beh; quella sua.... negazione suonava assai divertente. Horus non rispose, bensì attese con pazienza che il professore finisse il discorso, seguendo il filo delle sue antecedenti parole, intervenendo qui e là, assaporandone le espressioni non solo idiomatiche, ma anche facciali. Un sorriso, un brillio nei furbi occhi azzurri, un sorso più lungo del solito, una ruga contratta. Era ciò che Horus sapeva fare meglio: studiare l'interlocutore. Ma per quanto la sua abilità fosse stata affinata dagli anni, Horus dovette ammettere che non riusciva bene a comprendere al cento percento la linea ideale dietro alla quale Ignotus si trincerava; bluffava? Davvero ignorava quelle conoscenze?. Il discorso sui colori sfumati, tuttavia, portò alla mente del Tassorosso una lontana conversazione, avuta tempo addietro con Persefone Bennet, Vice-Preside di quegli anni così spensierati, nonostante tutto. Era vero, dovette concordare Horus con un cenno del capo, quando udì le parole di Peverell: colori netti, confini precisi non esistevano e tutto sfumava in un limbo indefinito. Bene, Male, erano forse l'esempio più lampante, nonché banale. Ci fu poi un breve momento di pausa in cui Horus fu distratto per la prima volta da quando aveva messo piede in quell'ufficio: magicamente la finestra alle spalle del docente si spalancò e un meraviglioso animale volò dentro la stanza, posandosi con infinita grazia sul trespolo. Non c'era bisogno di essere esperti di Creature Magiche per comprendere che quel pennuto dalle piume scarlatte era uno splendido esemplare di Fenice. Quando Horus aveva osservato l'ufficio, qualche minuto prima, aveva notato il solitario trespolo, benché non vi avesse prestato troppa attenzione. Aveva immaginato, quasi distrattamente, che fosse il loco di un gufo, o una civetta o pennuti simili. Ma la Fenice, diamine!
Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di resistere alla tentazione di alzarsi e avvicinarsi per osservare la maestosità di quelle piume dai riflessi vermigli, sfumati in abbaglianti gradazioni dorate e rosate, creando suggestivi giochi di luce, come un tramonto perenne ma con un paio di potenti e perfette ali. Le lunghe piume caudali scendevano morbide, lingue di fiamma che accarezzavano l'asta del trespolo, quasi volessero avvolgerlo nel fuoco. Sì, fu uno spettacolo splendido e al contempo una gradevole distrazione, ma non era venuto lì per osservare pennuti mitologici, si riprese Horus. Nel frattempo, come se fosse avvezzo a quell'andirivieni, Peverell aveva continuato il filo del discorso che, per fortuna, Horus seguì comunque dall'inizio. Quando concluse, fu chiara e percepibile una sottile nota amara, nonché malinconica nelle sue parole. E, del resto, Horus non poté dargli torto. Fin da piccolo era stato un grande... ammiratore della Verità e di coloro che la portavano avanti senza troppe paure. Verità poteva significare Conoscenza, ma era un connubio che non sempre andava a braccetto e, anche a proprie spese, il Tassorosso l'aveva imparato. Fu, tuttavia, più sulle domande dell'uomo su cui Horus si soffermò, mentre il docente si alzava e dopo aver chiuso la finestra, dedicava attenzioni alla Fenice. Horus spese quel tempo bevendo l'ultimo, agognato sorso di quel tè ormai troppo freddo per i propri gusti. C'erano tante cose di dire e una matassa fin troppo impicciata da dipanare. Ma l'aveva voluto lui, in fondo. Quando l'ultima goccia scivolò nella sua gola, con calma e tranquillità, Horus poggiò la tazzina sul piattino, appoggiandolo a sua volta, con delicatezza, sul piano antistante. Avrebbe galleggiato quella graziosa tazza, nonostante il suo "ospite" se ne fosse già bello che andato?

« Le vostre domande sono più che lecite professore. » Esordì, col mezzo sorriso ancora dipinto sulle labbra.
« In realtà vi assicuro che il mio Smistamento non è stato, lì per lì, così chiaro e senza sorprese. Ma, sì, trovo che il Tempo aiuta, più che a farci accettare circostanze insostenibile, a capirle. E ho capito cosa ha visto in me il Cappello Parlante. Mi discosto senza dubbio dai pettegolezzi che il buon pensare comune rivolge a Tassorosso. Scarti, disprezzano alcuni; tonti, dicono altri; buoni di cuore, sostengono ancora terzi. Diciamo che ho capito che è una Casata incredibilmente eclettica. Tassorosso ha tutto ciò che serve, racchiudendo tutte le qualità delle altre Casate e molto ancora. E credo che questo sia già un buon compromesso, non trovate? » Sorrise, più apertamente, con molta più sincerità. Tanto tempo addietro, aveva odiato quella Casata, quei colori e quegli stupidi valori. Lealtà? Impegno? Duro lavoro? Baggianate! Ma cosa poteva saperne lui, piccolo undicenne con la testa piena di favole? Ora sì, ora aveva compreso: lealtà verso se stessi e verso i propri ideali, verso i propri cari. Impegno, nel portare avanti i propri obiettivi e farlo a testa bassa, dandosi da fare col duro lavoro, perché era lì, alla fine di una stancante giornata, che si comprendeva quanto si è vivi. Certo, era un concetto un po' pompato, dovette ammettere Horus nel pensarci su, ma era comunque un buon inizio.
« E tra l'altro, una qualità tipica Tassorosso, a quanto pare, è l'ostinazione. Temo, di essere dannatamente testardo quando decido di mettermi in testa qualcosa. E in questo caso, volevo assolutamente parlare con voi. Perché ho scelto di nascondermi, se così vogliamo dire, dietro un'intervista? Volevo fosse diverso, semplicemente. Ero incuriosito dal vostro ruolo, come docente, come giornalista, come studioso, e via discorrendo. L'intervista, le domande, forse a mio errore, avrebbero potuto celare in parte l'arroganza del voler sapere ad ogni costo. Non volevo indagare oltre sulla vostra dipartita poiché, come vede, è stata solo una domanda, una piccola provocazione per giungere a ciò, sebbene io stesso non ne fossi conscio al cento percento di giungere a questo discorso. È stato come affidarmi al sinuoso moto delle onde e del mare, che in fin dei conti son stati rappresentati dalle vostre parole. » Lo disse con tono umile, un umiltà sincera; era stato deluso da quella conversazione? Forse a tratti, ma non del tutto. Non conosceva Ignotus così bene da poter essere così arrogante da definirlo deludente, tutt'altro. Anzi, l'uomo gli dava l'idea di essere un grande iceberg, di cui si potesse scorgerne soltanto la punta. Quanto vasta era non solo la sua conoscenza, ma anche la sua personalità, al di sotto del livello del mare?
« Ho compreso, in questa conversazione, molto di me stesso, ve ne sono davvero grato. Rievocare ricordi della Battaglia di Ottobre è stato più facile, più di quanto io avessi preventivato, ma non meno doloroso. Ma vi assicuro, professor Peverell, che le mie parole erano reali. Ciò che io, no, che tutti abbiamo vissuto, è stato disgraziatamente reale. Penso lo sappiate. » Lo guardò intensamente, sondando gli occhi circondati da sottili rughe dell'uomo. Rimase in silenzio per momenti che sembrarono durare un'eternità, quando in realtà il suo orologio da polso avrebbe scandito qualche secondo.
Con calma, lasciò piuma e taccuino sulle gambe, portando la mano sinistra al collo. Slacciò un bottone, uno solo, per non mostrare la cicatrice che sarebbe stata altrimenti ben visibile. Ma il colletto si scostò abbastanza, da permettere di vedere due collane. Un'Ankh, e una Runa. Con cautela, Horus mostrò quest'ultima all'uomo, prendendola con la punta delle dita. Una sottile pietra di ardesia brillante un glifo inciso che la inquadrava come Hagalaz; non l'avrebbe mai, e poi mai attivata, e questo era chiaro, ma era già qualcosa. Poteva sembrare una runa come le altre, ma l'aura che aveva sempre emanato la
sua Hagalaz, era diversa perché incisa da mani incredibilmente potenti, dotate di poteri arcani.
« Questo era nel petto del Golem antropomorfo che ho affrontato. Era situata a sinistra, lì dove il cuore di un essere umano trova posto. Da esso partivano strane venature di luce che sembravano reagire con il creatore del Golem, lontano svariati metri dalla sua creatura. Quando ho infilato le dita nel varco che mi mostrava la Runa, ebbene, l'ho strappata via. Il Golem, si è semplicemente...spento, immobilizzandosi e poco dopo è andato in pezzi. Era indubbiamente il suo cuore. » Tacque, rimettendo a suo posto il girocollo e chiudendo la camicia, riabbottonandola. Non tolse, in quei momenti, mai gli occhi dal viso dell'uomo, a costo di sembrare sfacciato.
« Voi non c'eravate, è vero, e per questo può sembrarvi strano. Del resto, poi, nessuno, a parte coloro che han conquistato le Rune degli altri Golem, sa cosa sia successo dopo tutto questo e i loro effetti.» *E io, non ho intenzione di dirvelo* « Ma non vi sto dicendo questo per dirvi quanto sono stato bravo e che merito una ricompensa o perché vorrei che tutti qui, dalla tazzina alla vostra Fenice, ascoltaste le mie presunte eroiche gesta, che eroiche non son state così tanto. Vi sto dicendo questo per farvi capire che ciò che io stesso credevo dimenticato, è vivo, da qualche parte, tramandato dalla Storia. E la voglia di sapere cosa si celi nelle pagine del Passato. Magie radicatesi a tal punto da resistere ai tempi moderni, alle credenze attuali, alle distanze delle Ere e anche come voi dite stesso, a quelle geografiche. Nascoste, quasi con gelosia, dai Popoli, ma ancora vive Una piccola pausa, per riprendere fiato, mentre le parole di suo padre ritornavano alla sua mente: quella scoperta sconosciuta, quella Magia ancestrale di cui lui aveva trovato traccia in Egitto e che infine, l'aveva risucchiato nelle sue conoscenze. Faceva tutto parte di un piano, che si intrecciava sinuoso nella mente e nel cuore del ragazzo.
« Voi siete uno Storico, forse uno dei più famosi del Mondo Magico. E non è un'adulazione, è un dato di fatto. Voi siete l'unico che possiede le Memorie giuste, l'unico che può darmi una traccia per permettermi di capire le Magie Arcaiche; Scoprirle, comprenderle, ma non ho certo la presunzione di assorbirle. Capirò, se per esigenze... contrattuali, morali o etiche non vogliate far troppi cenni, né io voglio sforzarvi né ricattarvi, tanto più che non ne ho certo le capacità né l'intenzione. Ma un indizio potrebbe essere un ottimo compromesso per tracciare una mappa, voi non pensate? »
La Conoscenza a volte, e soprattutto in quel caso, andava di pari passo con la Verità. Se fosse stato meglio conoscerla o meno... questo era da vedere.

The Time you enjoy wasting is not wasted time.»

 
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