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Perso. Il giovane Corvonero non esisteva più. Aveva lasciato il posto a qualcosa di diverso, a qualcosa di più potente, con una forza straordinaria. La sua mente era completamente avvolta e guidata dagli istinti primordiali. L’intelligenza che lo definiva quale adepto di Priscilla era divenuta puro istinto e astuzia animale. L’ebrezza che provava in quella nuova veste era indescrivibile. Una rinnovata voglia a spingersi più in là dei suoi limiti lo portava a bramare ciò che sarebbe accaduto. Una notte di pura estasi. Il domani non esisteva, non preoccupava. Da lì a poco i due sarebbero usciti dalla stamberga per andare incontro alla libertà ritrovata. Non vi erano più barriere, la sottile linea tra l’impossibile e il possibile era svanita senza lasciare alcuna traccia. Dal quel momento in poi non avrebbe ricordato nulla, forse le sole sensazioni o emozioni provate avrebbero potuto essere la sua memoria di una notte che avrebbe segnato per sempre la sua vita.
Da poco erano spuntate le prime luci dell’aurora. Il corpo di Derek giaceva a terra nudo, privo di sensi. Sembrava che dormisse di un sonno profondo, il suo respiro era a malapena percettibile, come se quanto fatto la sera prima lo avesse privato della linfa che lo rendeva vivo. Aprì gli occhi di botto, il respiro di fece più pesante, quasi ansimante, sembrava che si fosse svegliato da un incubo. Si mosse per mettersi seduto, nel modo in cui fece pressione sui muscoli addominali provò un gran dolore, non si accorse subito del fatto che fossero le ossa a provocare quella pena. La trasformazione lo aveva distrutto, spossato fisicamente e stancato mentalmente. Gli ci volle qualche minuto prima di formulare qualche pensiero che avesse un senso compiuto. Si girò per vedere dove si trovava e con sua grande sorpresa era proprio dove ricordava di essere andato, alla stamberga. Nell’alzarsi non si era nemmeno reso conto di aver fatto scivolare i vestiti, come in quel momento si accorse di essere nudo. Diede delle rapide occhiate in giro per vedere se vi fosse qualcuno, per sua fortuna non vide nessuno. Aveva sete, mosse la lingua dentro la bocca e senza volerlo le papille gustative gli inviarono una chiaro sapore metallico che nel tempo diveniva meno forte. Non aveva alcun dubbio di cosa si trattava, ma non capiva come mai lo sentiva.
Fece per muovere le mani e prendere i vestiti per darsi un contegno prima di tornare a scuola. Fino a quel momento le conseguenze di quanto accaduto sembravano non esistere, come se quella sensazione di libertà era sopravvissuta alla trasformazione. Solamente quando vide le sue mani che tornò alla realtà, fu come risvegliarsi una seconda volta, girò i palmi e li portò ad altezza degli occhi, avvicino le mani alla faccia, mentre i suoi occhi si aprivano, ormai sgranati come se avessero visto chissà cosa. Ed allora comprese il perché del sapore metallico in bocca. I pensieri divennero nuovamente indecifrabili ad eccezione di una sola domanda. *Che ho fatto?* Interrogativo che lo stava tormentando, ancora una volta si guardò in giro per vedere se ci fosse Selene, ma con sua grande sorpresa non era lì. Che lei ricordasse la sera precedente. Avrebbe potuto dirgli di quale crimine si era macchiato, la sola idea di aver fatto del male a qualcuno lo stava lacerando. E se avesse ucciso qualcuno? Se fosse diventato un assassino? Il suo sguardo era perso nella sue mani. Non riusciva a smettere di guardare le sue mani, non riusciva a non pensare di aver fatto qualcosa di orribile, qualcosa dal quale non poteva tornare indietro.
Non poteva aspettare un mese per sapere, non avrebbe potuto vivere un solo giorno con quel dubbio. Si guardò in tornò una terza volta con sguardo tormentato e impaurito, cercava di capire, cercava di vedere se a chiunque appartenesse quel sangue fosse nelle vicinanze, ma nulla. Prese delle foglie e si ripulì le mani, voleva cancellare quello che aveva visto, voleva debellare quei dubbi dalla sua mente e allora d’istinto si ripulì. Si alzò a fatica, prese i vestiti e li indosso guardingo. Non poteva fare altro che andarsene, doveva correre, nessuno doveva vederlo in quel momento. Si diresse correndo verso la foresta, il dolore che provava alle gambe era indicibile, ma non poteva fermarsi, iniziò a correre più velocemente. Nella corsa sembrava aver trovato conforto, così sforzò ancora i suoi muscoli al fine di andare più veloce, sentiva l’aria fredda del mattino tagliargli il viso. Il dolere sembrava lenirsi con la corsa, o forse la ferita interna provocava più dolore delle ferite fisiche, tanto da coprirlo quasi completamente. Prima che potesse rendersene conto era giunto ai confini della foresta e stava per addentrarsi nei giardini, allora smise di correre, ed il dolore tornò proprio come era andato. Camminava a malapena, tentava di camminare con passo sicuro e schiena dritta come era solito fare, così che nessuno potesse avere dubbi, capire ciò che era accaduto quella notte. Anche se aveva imparato molto tempo prima che in quella scuola gli studenti non erano proprio concentrati sugli altri ed anche lui non era da meno. Quando entrò nella sala grande era ancora quasi vuota, prese posto al tavolo dei corvonero, stranamente non percepiva nessuna fame, ma si costrinse a mangiare così da dare significato al suo stare lì. Dopo di ciò si diresse verso la sala comune, tormentato dai suoi pensieri. Anche se in fondo provava una certa soddisfazione per il modo in cui aveva passato la notte, anche se ancora non capiva il perché. Quel pensiero lo avviliva ancora di più, non riusciva a comprendere come potesse essere contento di ciò.
chiedo scusa per l'enorme ritardo.
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