One more breath.

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view post Posted on 1/7/2016, 15:53
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La prima parte non è essenziale ai fini del post quindi può essere salta a piè pari, serviva a me per riallacciarmi agli eventi u_u

Norvegia | luogo imprecisato nei pressi di Narvik | 2 giorni prima

Con forza sfilò gli stivaletti, spingendoli l'uno sull'altro e lasciando che cadessero sul pavimento scricchiolante della vecchia stanza. La sabbia che ne fuoriuscì si sparse sulle assi di legno logore e marce, perdendosi fra le giunture irregolari che le dividevano dal solaio. Aveva polvere e terra ovunque, fra i capelli e persino nelle orecchie, aspetto che la faceva apparire come il più intraprendente fra i minatori. Fortunatamente gli uomini che aveva incrociato nell'atrio al piano di sotto non erano sembrati molto interessati a lei, nessuna domanda scomoda, nessuna fastidiosa battuta. Neppure lo smilzo padrone della locanda sembrava aver avuto nulla da ridire, accettando quella figura come una dei tanti forestieri di passaggio. Teste basse, qualche risata grassa, bisbigli, monete sul tavolo, era ciò che bastava a quel locale per continuare ad esistere.
Situato al margine di una strada secondaria, parecchio distante da tutte le cittadine principali, La locanda Bjørnehi si presentava come oasi di ristoro per tutti coloro che si avventuravano troppo a nord, quasi perdendosi senza bussola nelle foreste norvegesi. Il suo nome significava "Grotta dell'orso" o qualcosa di molto simile, non aveva ancora molta familiarità con la lingua locale. Nonostante i mesi trascorsi in quelle terre le relazioni interpersonali erano state davvero scarse.
D'altronde quasi tutti alla tenuta dei Walsh parlavano strettamente irlandese, lingua che condividevano come idioma Madre.
*Puzzo di muschio e alghe sudice...* pensò lanciando via anche la pesante giacca, inumidita d'acqua e fanghiglia, e prendendo la via del bagno. Aveva bisogno di lavarsi via dal corpo quella quantità considerevole di polvere, mista alla sensazione di aver intrapreso un vicolo cieco. Erano ormai un paio di mesi che Mya viveva a stretto contatto con quella comunità di animagus. Grazie agli insegnamenti e l'aiuto di quella particolare famiglia, era riuscita a comunicare nuovamente con lo spirito animale che era in lei. Settimane di studio si alternavano a meditazione ed esplorazioni, seguite da serate in ascolto di storie che nemmeno sua madre probabilmente conosceva, ricche di fascino e mistero, di un passato così antico e vivo da darle i brividi. Poi erano iniziati gli allenamenti, il fisico messo sotto sforzo e portato al limite, il combattimento corpo a corpo migliorato, la sua agilità triplicata, l'istinto che predominava ogni sua scelta. Ma erano abilità umane, terrene, e Mya continuava a considerarle superflue, non vedendo ancora risultati decenti nella sua mutazione. La sua forma animale non era stabile, riusciva a mantenerla per un massimo di dieci secondi, e le volte che durava di più riportava una deformità inguardabile. Due volte le era capitato di trasformarsi in un gheppio con il becco di un gabbiano, tre volte aveva ottenuto le zampe di un condor all'incirca, e per la maggiore le spuntavano le ali di un passerotto. Dichiararlo umiliante e deludente era poco. Ma l'alternativa quale era? Accettare quel suo handicap spirituale a vita?
I Walsh avevano la conoscenza che a lei serviva, avrebbe riabbracciato il cielo molto presto. Ma da due settimane circa Bellamy le aveva imposto un esercizio di meditazione all'interno di una grotta sotterranea, a circa tre miglia dalla Tenuta. Ogni giorno, per circa tre ore, Mya se ne restava in solitudine seduta sul lato roccioso di un cunicolo buio, con l'umidità che le penetrava fin dentro le ossa e il rumore ritmico di un gocciolare che scandiva quel tempo infinito.
E ogni volta al termine del ciclo trovava Bell all'uscita della grotta, seduto su uno sperone muschiato, ad intagliare strane forme su vecchi bastoni. Inizialmente aveva pensato di vederlo andare e venire dalla Tenuta per riprenderla, ma giudicando dall'assenza di muschio nel punto in cui soleva sedersi aveva immaginato che restasse ad aspettare per tutte le ore. Che temesse una sua fuga repentina, considerando la durezza degli allenamenti? Evidentemente non aveva capito quanto ferma fosse la sua volontà.
La sera precedente, all'uscita dalla grotta, Mya aveva fatto una battuta che a lui sembrava non essere piaciuta particolarmente. La ragazza ci aveva riflettuto tutta la notte su cosa avesse potuto dire di tanto stupido o tanto offensivo da indisporlo a quel modo, ma nonostante i giri mentali non ne era venuta a capo. Si era detta che il giorno seguente avrebbe cercato di porre rimedio a quella situazione scomoda, considerando quanto l'equilibrio nel branco fosse considerato sacro. Ma quel pomeriggio al posto del suo mentore guardiano era arrivato Joshua, suo cugino. Ragazzo curvo, di poche parole, e camminava sempre con il naso perennemente infilato in un libro. Si chiedeva come facesse a vedere ostacoli e bivi, considerando che non alzava mai lo sguardo sul sentiero.
E comunque quel cambio della guardia inspiegato aveva indisposto Mya in maniera incredibile, e tutta la comprensione per l'equilibrio del branco era andata a farsi benedire. Nessuno le diceva nulla al riguardo, Bell era sparito, e l'unica cosa che sembrava poter fare era restare in quella grotta a fare la muffa.
Joshua, a differenza di Bell, non sembrava mostrare particolare interesse per una sua fuga e spesso si allontanava dalla grotta. Così Mya ne aveva approfittato per andarsene prima del tempo, decisa a tornarsene alla Tenuta. Ma sulla strada del rientro aveva adocchiato delle luci in basso, lungo il fianco della montagna fra gli alberi. Erano le luci del "Bjørnehi" e la ragazza ci mise prima a farlo che a pensarlo.
Qualche ora di silenzio e distacco dal branco non le avrebbero fatto male. Lasciò un messaggio fiammeggiante su una roccia del sentiero di passaggio, giusto per assicurarsi che non allestissero un gruppo di caccia per ritrovarla, e si avviò fra gli alberi, scivolando fra sassi e foglie.
L'indomani, si disse, avrebbe fatto ritorno alla grotta come era suo compito, dopotutto lo stava facendo per sè stessa. Sè stessa e nessun altro.
Poggiò una mano sulla maniglia della porta del bagno pronta ad immergersi nel calore di una doccia rigenerante, ma un secondo prima di spingere per aprirla si arrestò, voltandosi verso destra.
Sul baule di legno, dove aveva lasciato parte dei suoi pochi averi, se ne stava adagiato un piccolo taccuino in cuoio scuro, che la ragazza portava sempre con sè. Sopra di esso galleggiava sospesa a mezz'aria una piuma. *Un messaggio?...papà?*
Quel taccuino le era stato regalato da suo padre circa un anno prima, incantato affinché fungesse da tramite fra i due, nonostante le distanze. Ma solitamente veniva usato a senso unico, come una sorta di diario nel quale la ragazza annotava pensieri e notizie delle sue giornate, così da tenere informati i suoi parenti oltre il mare. E raramente suo padre le scriveva, forse per lasciarle quella libertà che lei aveva tanto richiesto. Dunque il primo pensiero che le balenò nella testa fu di preoccupazione.
Velocemente la ragazza si tuffò sul libro, sganciando la chiusura e correndo con le dita fra le pagine fino a trovare l'ultima. L'elegante calligrafia di Aiden spiccava sulle pagine ingrigite, poche parole scritte con calma.
"È giunta una comunicazione da Hogwarts per te, a giudicare dal mittente sembrerebbe essere qualcosa di importante. Cerca di tornare appena ti è possibile.
P.s. Tua madre sta preparando i plumcake ai frutti di bosco
"
Mya lasciò andare un sospiro di sollievo accompagnato da un sorriso dolce, al pensiero di tornare presto a casa. Certo, doveva solo comunicarlo al branco, ma l'avrebbe fatto l'indomani, aveva ancora otto ore a disposizione per elaborare la cosa.


Inghilterra | Londra

Londra non le era mai sembrata tanto estranea e tanto familiare al tempo stesso, come una storta di dejavù, riverbero di un passato mai vissuto.
Eppure c'era tanto del suo trascorso in quella città, nei suoi vicoli stretti, cunicoli di corse frettolose e incontri inaspettati, nei suoi locali meno noti, luoghi di interesse per il lavoro che per tanto tempo era stata la sua sola certezza; le piazze affollate, i cornicioni più alti, il fiume silenzioso, i parchi dove spesse volte ritrovava un po' di serenità. E poi c'era Diagon, il quartiere che più trasudava ricordi ad ogni passo, ogni sguardo, ogni soffio d'aria.
Fortunatamente doveva solo raggiungere il Ministero, e per farlo non avrebbe dovuto accedere al quartiere magico. Per non parlare del fatto che la cosa che maggiormente occupava la sua testa in quell'esatto momento era conferire con il Ministro circa una situazione non meglio specificata, ma che sembrava di vitale importanza. Mya era certa non fosse nulla che riguardasse il suo trascorso ad Hogwarts, altrimenti trovava strana la convocazione nella sede di Londra, anzichè in un ufficio del castello. E se da una parte la curiosità la divorava lentamente, dall'altra sentiva come l'irrefrenabile istinto di girare sui propri piedi e andarsene, fuggire, come se un cattivo presentimento le stesse sfiorando la spalla. Che fosse per il pensiero maturato anni prima circa la sua possibile parentela con la donna, o per tutto quello che aveva poi ignorato circa quella stessa strada, era consapevole che oltre quella porta qualcosa sarebbe cambiato.
Non sapeva cosa, ma quella sensazione le pizzicava ovunque.


Londra | Ministero della Magia

Prese un respiro, pronta a bussare alla porta (anche se la tipa nell'atrio doveva già averla annunciata), poi si fermò spostandosi verso una vetrata e specchiandosi nel riflesso. Capelli in ordine, abbigliamento formale (e soffocante) , tracolla da viaggio che pendeva su un fianco e la lettera della Pompadour ancora stretta fra le dita. C'era tutto, sperava, credeva, forse qualche etto di positività non le avrebbe fatto male.
Tornò davanti alla porta e batté con le nocche due colpi, aspettando di udire la voce del Ministro, invitarla ad entrare.







 
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view post Posted on 17/8/2016, 16:07
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Se c'era una cosa che in quegli anni di forsennata politica non aveva ancora imparato a domare era l'impazienza.
Da quanto tempo stava camminando?
Si fermò di botto abbassando lo sguardo verso il pavimento, quasi convinta di avere generato un solco estemporaneo lungo il perimetro della stanza.
Ma il solco naturalmente non c'era.
Un sospiro che parve un lamento le uscì dalla bocca, conscia di avere, in quello specifico frangente, le mani legate.
Non poteva fare niente, non c'erano appigli né la possibilità di un aiuto esterno.
Nessuno sapeva, nessuno aveva visto, nessuno si era posto domande logiche, come se la scomparsa di uno studente nel nulla del nulla fosse la cosa più normale del mondo.
Di sicuro lo era per la Bennet, che viveva queste circostanze in uno stato di torpore, limitandosi a guaire con gli occhioni lacrimanti e ad agire alla velocità di un bradipo in letargo. L'unica sua speranza rimaneva la Lockhart, pure lei sparita nei meandri della Gran Bretagna dopo aver chiesto (e ottenuto) una sospensione dagli studi.
Ma almeno si era premurata di avvisare. Lei.
Riprese a camminare ma si fermò quasi subito, le dolevano le gambe e la testa aveva preso a pesarle come un macigno.
Decise allora di buttarsi a peso morto sulla poltrona ma appena appoggiate le chiappe udì bussare alla porta.
Non sapeva se sentirsi sollevata o doppiamente preoccupata, crogiolarsi nel dubbio le aveva permesso di mantenere viva una stilla di ottimismo, sperava che Mya potesse gettare un po' di luce sulla faccenda, le bastava avere una base di partenza, l'indicazione di un posto, di uno straccio di contatto, qualsiasi cosa ma palpabile.
Poggiò le mani sui braccioli e fece forza quel poco che le bastò per darsi lo slancio e tirarsi in piedi, raggiunse rapidamente la porta e la aprì.
Notò subito lo stato della giovane, pareva reduce da un lungo viaggio e, probabilmente, era proprio così, Mya si era recata a Londra esclusivamente per rispondere al suo invito
.

"Ciao Mya, ti stavo aspettando"

Non le passò neanche per l'anticamera del cervello che la giovane potesse aver deciso di declinare.
Nessuno poteva declinare, avrebbe spedito qualcuno a casa del malcapitato declinatore e se lo sarebbe fatto portare tirandolo per un orecchio.


"Grazie per essere venuta, mi rendo conto della difficoltà ma si tratta di una questione piuttosto impellente. Accomodati"

Si spostò di lato trattenendosi dall'agguantarla per un braccio.
Attese, invece, con incredibile pazienza, che la giovane si accomodasse, per una volta nella vita il suo Ufficio era abbastanza in ordine. Nessun libro sulle sedie, niente pile di fogli in posti improponibili.
Richiuse la porta con cura prendendosi il tempo necessario per fare ordine nella propria testa.


"Spero non sia stato un viaggio particolarmente pesante"

Tornò sui suoi passi posizionandosi davanti a Mya, in piedi.

"Ad ogni modo ti trovo bene"

Solo allora, osservandola con maggiore attenzione, si rese conto di quella particolarità nello sguardo di lei di cui già sapeva ma che non ricordava affatto.
E, di nuovo, le venne da pensare che si trattava di una circostanza alquanto bizzarra.
Ma non era quello il motivo per cui l'aveva convocata.
Sbattè le palpebre per cancellare quel momentaneo disagio e passò immediatamente ad affrontare la cosa che le stava maggiormente a cuore.


"Evidentemente la lontananza da Hogwarts ti ha rigenerata"

Avrebbe rigenerato chiunque.

"Ora che ci penso altri studenti hanno seguito il tuo esempio. Beverly Atkins per esempio ... "

Beverly Atkins se l'era inventata al momento, erano così tanti gli studenti che non ci si poteva ricordare di tutti, contava che Mya non si sarebbe accorta della veniale bugia.

" ... e anche quel tuo compagno di Casata, Random Crowell. Ti ricordi di Random? Fra l'altro mi pare proprio che sia delle tue parti ... "

Altro piccolo tranello mascherato da convenevole.
Ma doveva pur capire come mettere Mya al corrente della vicenda, se Mya e Random erano stati amici avrebbe dovuto usare un certo tatto.
Perchè tutto faceva presagire che Random non avesse fatto una gran bella fine.

 
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view post Posted on 11/11/2016, 00:24
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Chiedo perdonissimo per il ritardo, non metta la mia testa su una picca. Sono tornata, anche se i miei papiri ora sono un po' stitici, grezzi come carta igienica di sottomarca con un solo velo.



Quell'ala del ministero era diventata incredibilmente silenziosa negli ultimi secondi, che fosse per l'agitazione o per puro istinto, ogni percezione sensoriale in lei sembrò acuirsi, focalizzandosi solo sul necessario.
Un vuoto e impalpabile silenzio la circondava, scandito solamente da un rumore ritmico che giungeva oltre la grande porta in legno davanti a lei. Dei passi, decisi e continui, percorrevano la stanza in lontananza, per poi cambiare direzione facendosi sempre più scanditi e vicini.
Ogni colpo della suola sul pavimento della stanza sembrava entrare in risonanza col suo battito cardiaco, e all'avvicinarsi di uno l'altro aumentava enormemente il passo. Odiava il non riuscire a gestire ancora quelle sensazioni, a tratti così animali e così inquiete, a tratti quasi inopportune.
Un passo, un colpo, un altro passo. Sempre più vicino.
Doveva essere prossima all'infarto, quando la porta si aprì di colpo e tutto si arrestò. Il respiro, il battito, il tempo. Per un paio di secondi tutto perse rilevanza.
C'era solo Mya, nel corridoio vuoto di un grande palazzo, una donna davanti ai suoi occhi, e una soglia a dividerle, come fosse stato uno specchio a parete. Ma ciò che lo specchio rifletteva non aveva nulla che potesse ricollegare al suo mondo, nulla in cui potesse rassomigliarsi. C'era una realtà che non conosceva, non conosceva affatto. Una realtà fatta solo di voci e apparenze, era un dungeon da esplorare e lei era armata solo di un cucchiaio piegato, con probabilità di vittoria pari a 0.
L'ufficio del Ministro della Magia.

Il ministro la stava aspettando, questo era stato ovvio fin dal principio, quei passi continui uditi poco prima non le avevano dato l'impressione di una persona immersa in scartoffie e taccuini. Ma di una in fremente attesa. Il motivo di tale urgenza era trapelato anche dai toni della missiva inviatale, ma risultava ancora un mistero.
Fu più che altro il tono confidenziale adottato dalla donna a sorprenderla, essere chiamata per nome come una vecchia amica fu parecchio strano da ascoltare, se considerata la natura univoca del loro rapporto. Mya si limitò ad un più formale, e cordiale - Salve miss Pompadour - accettando l'invito della donna ad entrare.
L'ufficio del ministro era abbastanza spazioso, se paragonato all'ufficio stretto, lungo e quasi claustrofobico nel quale era stata chiusa durante la prova di smaterializzazione un paio di anni prima. Se si concentrava attentamente poteva ancora udire in lontananza il riverbero delle ossa scricchiolanti dell'emaciato istruttore spezzarsi come spaghetti crudi. Un pessimo ricordo.
L'ufficio si presentava composto da due ambienti, divisi a metà da una struttura in legno fatta di pianali e vetrine, oltre la quale la ragazza non vedeva molto. Sulla destra, vicino alla parete c'era una scrivania sgombra ed in modesto ordine.
La ragazza avanzò di due passi, mentre continuava ad osservare l'ambiente, preoccupandosi se non potesse sembrare inopportuna, o sulle spine.
Nel mentre la voce del ministro la accompagnava, con quello stesso tono confidenziale e strano usato poco prima, ponendole delle domande quasi di rito, quasi attese.
- Ammortizzo bene la stanchezza, la ringrazio - rispose in tono stranamente tranquillo, e un accenno di sorriso sulle labbra rosee. Approfittò del momento per sbottonare il primo bottone della lunga giacca, per sentirsi più a suo agio. Non era più abituata a vestire abiti eleganti, con tagli fin troppo precisi e chiusure quasi costrittive. Fortunatamente era riuscita a convincere sua madre a non aggiungere al completo la cravatta, non ne indossava una da quando aveva chiuso la divisa scolastica nel grande baule nella sua stanza.
La donna aveva nel frattempo richiuso la porta e l'aveva raggiunta, posizionandosi di fronte a lei. La Pompadour era una persona decisa, forte, ogni suo atteggiamento, come quella sua postura dritta e la testa alta, emanava quell'odore chiaro, l'odore di un capo. Mya non ne era impensierita, e neppure intimorita, ma ciò non significava comunque nulla. Il suo era un rispetto formale, dato dalle cariche e dai ruoli, un rispetto formato da anni ed anni di educazione, di concetti e di dogmi, anni di "così si fa, perché così funziona".
Lo sguardo percorse il corpo della donna, più alta di lei, e raggiunse infine i suoi occhi, osservandola a testa alta senza apparente timore. Provò una sensazione stranissima nel perdersi in quegli occhi così simili ai suoi, così scuri lungo i bordi e altrettanto chiari nella parte più interna, con quelle pagliuzze che sembravano illuminarli di una luce particolare. Erano occhi che aveva osservato spesso, nel riflesso dello specchio al mattino, sul viso forte di suo padre, e su quello più dolce di suo fratello. Ritrovarli sul viso estraneo di una persona fu estremamente bizzarro. La donna aveva lineamenti totalmente differenti da suo padre, occhi più a mandorla, un naso più affilato e dei zigomi alti, un viso più tondo e delle labbra carnose, tratti che non ritrovava assolutamente nei volti a lei più familiari. C'era qualcosa di assolutamente sbagliato, ma altrettanto familiare in lei. Ricordò le parole di Horus in passato, parole che le avevano aperto una porta, un barlume di speranza alimentato dalla curiosità. La possibilità di un legame, di un filo anche debole che avrebbe potuto ricondurla alle sue origini. Ma poi era accaduto un po' di tutto, gli eventi erano precipitati, la vita era una po' crollata in pezzi e la voglia di rimettere tutto in ordine era svanita.
Quel bisogno estremo di un legame aveva perso semplicemente di rilevanza.
Avrebbe dovuto chiedere comunque? Forse quell'invito era nato proprio da quel presentimento? Il modo in cui la donna la guardava, ricambiando la stessa curiosità nello sguardo, le faceva pensare che fosse proprio così. Ma la Pompadour concluse quel dibattito visivo con un...apprezzamento.
Erano in effetti diversi mesi che non si vedevano, più di un anno a dire il vero.
Mya annuì semplicemente col capo, incerta se ci fosse un reale bisogno di risposta. Rigenerata, era davvero la parola più adatta che potesse descriverla in quel momento. Non completamente, non perfettamente, ma rigenerata.

Poi il discorso seguendo quell'incipit prese tutt'altra piega, veloce come era iniziato. La Pompadour asserì come molte persone avessero seguito il suo esempio, lasciando Hogwarts per tempi più o meno incerti, il che fece inevitabilmente sollevare un sopracciglio a Mya, con fare perplesso. Non ne era molto stupita in realtà, la risposta che le premeva maggiormente sulle labbra in quel momento era
"come dar loro torto, Hogwarts non ha brillato di efficienza e sicurezza negli ultimi anni", ma trattenne il pensiero per sè stessa.
Poi un nome la riportò prepotentemente alla realtà, un nome che non sentiva nè aveva più pronunciato da tempo, da più tempo di quello che aveva trascorso lontana da Hogwarts. Random.
Non lo vedeva dal giorno della battaglia, sapeva che era vivo da qualche parte, ma che si era allontanato dal castello, da lei, da tutto, per motivi che poteva sapere solo lui. Mya non gliene aveva fatto una colpa, aveva sempre percepito in lui quel senso di oppressione che la vita ad Hogwarts gli dava, lo stesso che spesso aveva schiacciato anche lei. Era forse stato quel sentimento comune a tenerli vicini, a farli sentire simili, più forti, e meno soli. E quella sua fuga inaspettata, che in principio l'aveva fatta sentire tradita e offesa dal comportamento dell'amico, nel tempo trascorso aveva finito per apparirle così piena di significato, di libertà, tanto che ora ne provava quasi invidia. Un passo che lei non era riuscita a compiere, fino ad un anno prima.
Mya non aveva idea del perchè la donna avesse tirato in ballo proprio il suo nome, ma non sentiva il bisogno di rendere partecipe la donna di quello che sapeva o non sapeva nei riguardi dell'amico.
- Mmm... - farfugliò con un'alzata di spalle, discostando leggermente lo sguardo dal viso della donna e portandolo ad osservare la parete di fondo, alle spalle della scrivania - C'è un motivo particolare che ha richiesto la mia presenza qui oggi? Ci sono state forse delle conseguenze per la mia richiesta di sospensione dagli studi? -
Continuare a tergiversare con discorsi e convenevoli che le pesavano più di un'ora di pozioni non le piaceva molto. Tanto valeva mirare al fulcro della questione, forse scoprendo il motivo della convocazione avrebbe finalmente potuto sciogliere quel fastidioso nodo che le si era formato fra i polmoni qualche minuto prima, nell'attesa silenziosa di un corridoio vuoto.


 
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view post Posted on 8/1/2017, 17:09
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Non era esattamente la risposta che si aspettava.
Le ci volle qualche secondo per individuare il nesso fra Random Crowell e la richiesta di sospensione di Mya. Alla fine concluse che doveva trattarsi dello stesso filo conduttore che legava la domanda: "hai fame?" alla risposta: "ho un porro sul naso".
L'evidenza era che Mya non aveva nessuna voglia di intavolare una discussione sul Tassorosso nè tanto meno metterla al corrente di qualsiasi cosa sapesse sul suo conto.
Alzò le spalle, mostrò un improvviso interesse per la parete che aveva di fronte e, prova inequivocabile, cambiò argomento.
Tutti segni che, in condizioni normali, l'avrebbero contrariata ma che in quel preciso momento le instillarono ancora più dubbi.


"Ciò che riguarda Hogwarts e lo studio in particolare non mi compete"

Ci mancava solo che si mettesse a sindacare sulle richieste di sospensione, dopo gli avvenimenti che avevano offuscato la sicurezza della scuola immaginava che la Bennet ci stesse ancora sguazzando come una foca infelice e ben le stava

"Non è questo il motivo per cui ti ho convocata qui oggi. Siediti"

Indicò una sedia a caso.
Ancora una volta si trovò ad incrociare quello sguardo vagamente familiare e ancora una volta cercò si smorzare lo stesso senso di disagio provato poc'anzi, quando si era sentita sotto osservazione, studiata da quella ragazza poco incline a socializzare.
Del resto le aveva posto una domanda apparentemente innocua, ricevendo in cambio un silenzioso muggito.
Le voltò le spalle e aggirò la scrivania, prendendo posto sulla grande poltrona. Allungò un braccio e agguantò il lembo di un foglio che spuntava da sotto due libri impilati. Naturalmente il foglio non si mosse.


"Ho ricevuto una strana ... uhm ... lettera"

Non c'era altro modo di affrontare l'argomento. Random Crowell era un Tassorosso e anche Mya Lockhart era una Tassorosso. Una circostanza piuttosto comune per far sbocciare un'amicizia e doveva essere per forza così, altrimenti Random non avrebbe certo menzionato la Lockhart nel suo testamento e non le avrebbe certo lasciato una fortuna.
Il pensiero del testamento o di qualcosa che ci assomigliava enormemente la spinse a mettere da parte i voli pindarici.
Si chinò verso il piano del grosso tavolo e con entrambe le mani alzò i due tomi e li poggiò di lato, sopra una torre di fogli impilati.
Prese il foglio - il cui contenuto conosceva a memoria - corrugò la fronte e rilesse mentalmente tutta la pappardella di "ordini".
Quindi alzò nuovamente lo sguardo su Mya.


"E' di Random. Io non ... "

Esitò.

" ... non so cosa gli sia successo, sono preoccupata. Dalle sue parole è logico evincere che tu sia una persona a lui molto cara e ho pensato che potesse averti messo al corrente dei suoi spostamenti"

 
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view post Posted on 16/4/2017, 21:58
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L'aria stava cambiando. L'aveva avvertito come un soffio gelido che sfiorava le braccia, lasciandole quella fastidiosa sensazione di pelle d'oca lungo tutta l'epidermide. L'aveva avvertito dal semplice cambio di tono nella voce del ministro, che con fermezza l'aveva invitata a prendere posto.
L'istinto aveva iniziato a scalciare, il cuore aumentava i battiti dentro la cassa toracica e ogni centimetro del suo corpo spingeva verso la porta, desiderando di non esservi mai entrata. Quel brutto sentore che l'aveva accompagnata per tutta la mattinata ora si presentava in forma di attacco di panico, ingiustificato e insensato.
Mya trattenne il respiro per alcuni attimi, come le aveva insegnato sua madre, e senza dare troppo nell'occhio prese il polso sinistro fra le dita della mano destra, con disinvoltura. Come fosse un movimento naturale, si avvicinò anche di un passo alla sedia che la donna le aveva indicato.
Il battito stava rallentando quindi la ragazza dischiuse leggermente le labbra per far fuoriuscire l'aria trattenuta. Era il metodo più efficace per bloccare un attacco di panico sul principio. Calma e controllo, ricercare l'equilibrio dell'acqua nel riflesso di un lago.
Doveva gestire quell'insensata sensazione mantenendosi lucida e fredda. Sciolse dunque la presa sul braccio sinistro e prese posto sulla seduta, avvicinandola alla scrivania dove Camille si era seduta.
La vide armeggiare con un foglio, incastrato sotto altrettante scartoffie e libri, mentre la informava di una strana lettera ricevuta, e il cui contenuto in qualche modo doveva ricollegare a lei. Ma ancora nessun indizio di cosa potesse nascondersi dietro quella celere convocazione.
E gli attimi di silenzio che il ministro si concedeva non aiutavano affatto, non facevano che aumentare il senso di ansia mista alla curiosità. Sentiva la pazzia premere sulle porte della sua pazienza. Senza rendersene conto aveva iniziato a grattare con le unghie sulla pelle delle dita, torturandosi silenziosamente.
Infine la Pompadour riuscì ad estrarre il foglio da sotto la torre pendente e accompagnò quel movimento con un nome.
Mya si fermò.
Le sue dita smisero di torturarsi l'un l'altra, il suo cuore rallentò all'inverosimile e la ragazza puntò semplicemente lo sguardo verso quello della donna. Occhi viola che riflettevano il suo sguardo dubbioso, uno sguardo perso, ma non vuoto. Uno sguardo ricolmo di interrogativi. Un solo nome. Random.
La Pompadour si diceva preoccupata per lui, per quello che la lettera riportava, tra le cui parole doveva aver menzionato anche lei. Cosa stava accadendo? Cosa c'era in quella lettera? Voleva leggere, per capire, ma la mano della donna, ferma sulla carta, si imponeva come un fermo, un blocco, un limite che Mya non poteva raggiungere.
- Non ho sue notizie dal mio rientro dall'ospedale, dopo l'attacco ad Hogwarts, lui semplicemente non era più lì - la voce della ragazza appariva asciutta, ma non fredda. Era...confusa. Incerta. Quali erano le parole? Cosa doveva essere detto? - Il suo nome non figurava tra le vittime, quindi io... -
*io cosa?* La tassorosso abbassò lo sguardo sulla lettera, incapace di riportarlo verso gli occhi profondi di Camille. Vi avrebbe trovato accusa? Impossibile, lei non li conosceva, non poteva giudicarla per le scelte fatte. Ma quegli occhi così simili ai suoi la giudicavano, perchè lei stessa si stava giudicando.
*Non sai nulla di lui, di cosa gli è accaduto, né di cosa pensava quel giorno quando ti ha aperto la strada affinché tu potessi volare via, l'ultima volta che hai incrociato il suo sguardo. Ti sei crogiolata nel pensiero che fosse altrove, e che stesse bene, perché così era meno impegnativo, meno doloroso. Fai sempre così......BASTA*
La ragazza si alzò di scatto, voltando le spalle alla Pompadour e avvicinandosi di fretta alla finestra. Il panorama che si intravedeva di Londra era tutta illusione, lo sapeva, ma il grigiore che sopra di essa regnava la faceva sentire ancora più vuota e avvilita. Non voleva incrociare lo sguardo di lei, ma attraverso il vetro intravedeva comunque il proprio. I bordi delle palpebre bruciavano, la consapevolezza faceva quasi più male della tristezza.
- Non sono la persona cara che forse credete, non so più nulla di lui da anni. Non posso aiutarvi... -
Strinse i pugni talmente forte che le unghie si conficcarono dolorosamente nella carne dei palmi. Provava dolore, era viva, eppure ancora sembrava solo un involucro di carne vuota. Passavano gli anni e ancora non era riuscita a capire come amare, come combattere, come proteggere. Lasciava andare la catena prima che questa stringesse sulla pelle, lacerandola e ferendola. Quale codardia aveva coltivato? Incapace di salvare, incapace di ascoltare, incapace di soccorrere. Un eremo solitario che si lasciava battere dal vento, impassibile.
Credeva ancora che fosse l'unica via possibile? Avrebbe potuto continuare a convivere con sè stessa, ora che la consapevolezza la schiacciava a terra e la accusava senza posa?
La verità forse avrebbe fatto male, oh se l'avrebbe fatto, ma la solitudine, il rimorso e il rimpianto facevano ancora più male. Doveva alzare la testa.
- Cosa pensate gli sia accaduto? - disse tornando padrona di sé stessa, ma non riuscendo a trattenere una nota smorzata nel mezzo. Infine si girò nuovamente verso la donna, con mille domande ancora sul viso. Forse non era troppo tardi per rimediare ai propri errori, se era accaduto qualcosa a Random, se fosse stato possibile rintracciarlo, fare ricerche, aiutarlo, allora quello era il suo compito. Se nella lettera ci fosse stata una richiesta d'aiuto o delle indicazioni che forse solo lei poteva decifrare. Certo, la lettera aveva le risposte che cercava.
Mentre la fissava sul grosso tavolo ingombro avvertì nuovamente quel brivido scivolargli sotto pelle, terrorizzandola, come inerme sotto le fauci bianche di una belva notturna.
Doveva mantenersi lucida, trattenere il respiro quando serviva, contare.
Il cielo si stava incrinando.



 
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view post Posted on 17/8/2017, 15:53
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Incrociò lo sguardo di Mya, l'espressione chiaramente delusa.
Aveva compreso, dall'atteggiamento della Tassorosso, che le era stato negato l'indispensabile. Non credeva nell'inesistenza di un legame forte fra lei e Random, non credeva nella minimizzazione di un'amicizia, almeno da parte di lui. Le aveva lasciato tutto e non si lascia tutto a una semplice conoscente.
Tuttavia era plausibile che Mya non avesse notizie di Random da tempo ma, di certo, poteva darle un inizio da cui partire.


"Non lo so"

Avrebbe voluto dare una risposta diversa alla sua ultima domanda e rare volte era rimasta senza alternative. Questa era una di quelle volte.

"Dal tenore della sua ultima comunicazione suppongo niente di bello. Non vorrei apparire drastica ma contavo di ricevere da te qualche rassicurazione ..."

Nella migliore delle ipotesi

" ... o qualche notizia che lo riguardasse dopo gli eventi di ottobre. Ma se anche tu, come hai appena detto, non sai nulla è lecito supporre che sia scomparso. In un modo o nell'altro"

Ed era la peggiore delle ipotesi quella maggiormente ipotizzabile, tenuto conto che l'unica cosa che aveva in mano era il suo testamento.
Il fatto strano era che nessuno, fino a quel momento, si era preoccupato di denunciarne la scomparsa. L'attacco a Hogwarts aveva disintegrato ogni parvenza di coerenza lasciando un miasma confuso anche nelle menti dei tutori dell'ordine e della sicurezza ma possibile che Random non avesse familiari o parenti? Possibile che la scomparsa di un ragazzino sopravvissuto alla battaglia di ottobre non avesse destato il minimo allarme?
Abbassò lo sguardo sul foglio che teneva stretto fra le dita. Avrebbe potuto recitarlo a memoria
.

"Io, Random Crowell, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, consegno questa lettera al mio elfo domestico Twinkle, con l'ordine di consegnarla all'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia qualora la trasfigurazione da me consegnatagli dovesse sciogliersi. Sto per partire per un viaggio piuttosto lungo e, essendo molto malato, non sono sicuro di tornare per disporre dei miei averi. Qualora esibita da Twinkle, questa lettera ha dunque la valenza di mio ..."

Tornò a cercare lo sguardo della giovane Tassorosso.

" ... testamento"

Tacque per consentire a Mya di prendere la piena cognizione di quanto appena letto. Era quasi certa che l'elfo avesse avuto l'ordine di consegnare la lettera solo dopo l'avvenuta dipartita del suo padrone.
Purtroppo non c'erano modi "soft" per comunicare certe notizie e la reazione di Mya sarebbe stata rivelatrice.

"La tua presenza, qui, oggi, è conseguenza di questa missiva"

Sbattè le nocche sul foglio.

"Random ha disposto diversi lasciti in tuo favore, oltre che alla Casata cui apparteneva e non vedo ostacoli - ormai - a che i destinatari ne prendano pieno possesso"

 
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view post Posted on 12/3/2020, 11:43
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Il Fato

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Wanda Osmond era una donna gracile e dall’aspetto assolutamente insignificante. Si aggirava come un topolino nei grandi corridoi del Ministero della Magia, con l’unico obiettivo di passare totalmente inosservata. Le sue ex-compagne di scuola —Hogwarts, nemmeno a dirlo— ancora si chiedevano come diamine aveva fatto una kneazle morta come lei a entrare come stagista al Ministero. Pur essendo stata Smistata in Corvonero, Wanda non aveva mai brillato per un intelletto particolarmente pungente, né, a dirla tutta, per qualsiasi altra qualità. Non identificabile, almeno. Comunque, checché ne dicessero gli altri, Wanda era molto fiera del suo posto nuovo di zecca. Solo lei sapeva come era riuscita a diventare l’assistente di Ernestius Turner, un Azzeccagarbugli molto rinomato a Londra. Quel lunedì pomeriggio, il vecchio Mr. Turner se ne stava sprofondato nella sua poltrona di pelle marrone, il lungo naso aquilino che sfiorava delle pergamene scritte con una calligrafia minuta e quasi indecifrabile. Era stato intrattabile tutta la mattina e Wanda, che ormai aveva imparato a conoscere le sue mansioni, non l’aveva disturbato. Aveva consegnato i plichi firmati, inviato dei gufo ai clienti, aggiornato l’agenda del mago, amministrato gli introiti e in tutto questo era riuscita persino a sbocconcellare un misero, ma onesto sandwich. Nessuno si era accorto di lei e del resto chi l’avrebbe mai fatto? I capelli biondo slavato e la carnagione pallida e malaticcia sembravano fare pendant con i muri dei corridoi. A Wanda, però, non importava. Non era mai stata ambiziosa né particolarmente socievole e a lei bastava che Mr. Turner si ricordasse di lei. Punto.
« Signore, sono le diciassette. Io vado. » Disse con una vocina flebile e tremolante. Ernestius grugnì, senza staccare il viso rugoso dai suoi affari e Wanda lo prese come un assenso. Prese il soprabito senape dall’attaccapanni e se lo gettò sulle spalle; controllò con una rapida occhiata di aver lasciato in ordine la propria scrivania e di essersi premurata che la teiera fosse piena del tè al latte del suo principale, dopodiché si avviò verso la porta dell’ufficio e l’aprì. L’improvviso pararsi del promemoria violetto la fece urlare di sorpresa e Ernestius, colto di sorpresa, si alzò di scatto, i baffi frullanti d’indignazione.
« Oh, insomma, cos’è questo baccano! » La rimbeccò e Wanda, ripresasi dallo spavento e scusatasi in tutta fretta, si fece da parte per far passare l’alato foglietto che, indispettito, le schiaffeggiò una guancia con un’ala di carta. Turner lo afferrò senza troppe cerimonie, ruppe il sigillo e lesse velocemente il contenuto. Il suo viso, solitamente serio e irreprensibile, fu solcato da una profonda ruga di preoccupazione. Spostò lo sguardo dal foglio alla figura della strega, ancora immobile sull’uscio.
« Wanda, ho bisogno che lei vada immediatamente dal Ministro. »

Il ticchettio delle scarpe sembrava risuonare come una campana nel corridoio semi-vuoto. Molti dipendenti erano già usciti dagli uffici, ma c’era ancora qualcuno al Primo Livello, intento a sbrigare gli ultimi compiti prima di filarsela a casa. Qualche viso curioso, richiamato da quel camminare insolitamente urgente, si affacciò dal proprio cubicolo. Wanda sentiva su di sé gli sguardi dei colleghi e si chiese se si stessero domandando chi era quella stupida stagista che stava correndo in direzione dell’ufficio del Ministro. Sentì di essere arrossita, ma cercò di non badarci e quando raggiunse la porta di Miss Pompadour, si fermò, con la mano premuta sul petto ossuto, riprendendo fiato. Oltre la porta chiusa sentiva provenire non solo la voce del Ministro, ma anche quella di un’altra donna. Deglutì, a disagio, guardandosi intorno impaurita. Chi si era affacciato era prontamente sparito, ma Wanda era sicura che avessero teso le orecchie per captare qualche informazione succulenta da riferire poi a casa. Si fece forza, allungando le dita verso il pomello d’ottone e frenando il tremito del corpo. La Pompadour la terrorizzava, e come biasimarla?
Con la mano libera bussò tre volte, attendendo che le voci si interrompessero, e, ricevuto l’invito, entrò. Lo sguardo si posò dapprima sul Ministro, poi sulla sua ospite. Wanda rimase un po’ sorpresa nel rendersi conto che c’era una ragazzina a colloquio con lei e la guardò confusa per qualche istante.
« Ehm… scusate… » Pigolò, affrettandosi a spostare lo sguardo acquoso su Camille. Si avvicinò frettolosamente alla scrivania della donna e le porse una pergamena che teneva arrotolata sotto il braccio. « Ministro… Mr. Turner richiede il suo… ehm… tempestivo intervento… per… ehm… » Scoccò un’occhiata nervosa alla ragazza. « … Quella questione di cui è a conoscenza… »
Camille non rispose subito; i profondi occhi viola scorrevano le righe rapidamente, ma a differenza di quanto era accaduto a Ernestius, il suo bel viso non tradì alcuna emozione.
« Di’ a Turner che arrivo subito. » Rispose lapidaria, appallottolando il foglio e gettandolo nel caminetto con un lancio perfetto.
« S-sì signora. » Balbettò Wanda.
« Mya, so che ti ho fatta venire fin qui e abbiamo intrapreso un discorso delicato. Ma c’è una questione urgente di cui mi devo occupare e purtroppo ne avrò per un po’. Mi premurerò di inviarti un gufo per predisporre un nuovo appuntamento. Ti chiedo scusa. » Camille osservò seria il volto di Mya e trattenne un sospiro, ripensando a Random. Prese il testamento appena letto e, consapevole di star chiedendo molto alla ragazza (e a se stessa) lo richiuse in un cassetto che si premurò di chiudere a chiave con un colpo di bacchetta. Poi si rivolse di nuovo a Wanda che se ne stava ancora lì, impalata.
« Signorina… » Tentennò. Camille era famosa per non ricordare nemmeno un nome, figuriamoci se si poteva ricordare quello di un’anonima stagista. Sembrò pensarci su per un momento, poi scrollò le spalle. « Può accompagnare miss Lockhart, per favore? » Non c’era alcun dubbio sul dove: l’uscita.
Dopodiché, con un cenno di saluto in direzione di Mya, Camille si alzò e sparì in tutta fretta oltre la porta del suo ufficio.
Wanda rimase per un minuto in silenzio, a disagio, poi esordì con un timido: « Ehm… prego… se vuole seguirmi… »
Prima di voltare le spalle alla ragazza, Wanda incrociò il suo sguardo e rimase turbata: che strani occhi viola… non erano come quelli di Camille?




Come concordato, chiudiamo qui questa role, per aprirne una nuova al momento opportuno. Puoi scegliere se effettuare un post di chiusura o meno. 
Quando sarai pronta, mandami un PM.
 
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6 replies since 1/7/2016, 15:53   261 views
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