*taps into mic*In today’s episode of ‘am I
actually THAT sad and overwhelmed o è solo passato troppo tempo dall’ultima volta in cui ho
twerkato sulle note di ‘The Last of The Real Ones’, di ‘High Hopes’ o di ‘Chipi Chipi Chapa Chapa’ facendo le pulizie di casa
e si sente?’, tenterò di rispondere a questo quesito millenario.
Per dare contesto: sto facendo una collaborazione con l’uni per cui mi ritrovo a lavorare in biblioteca (perlopiù al
front office, ma you’d be amazed dalla quantità di lavori stranissimi che vanno fatti in una biblioteca universitaria); in più, sono nel pieno della sessione, quindi le occasioni per fermarsi a respirare e/o riflettere sono davvero poche.
Oggi, dopo un bel po’ di tempo, ho finalmente avuto l’occasione per
twerkare impunemente a scopo terapeutico fare della sana introspezione, ed ora eccomi qui ad elencare le piccole cose che ho capito che mi hanno resa
happy happy happyyy in questo periodo assolutamente allucinante.
C’è il dottorando gentile che, da quando mi ha beccata per la prima volta in uno dei tempi morti al
front office impegnata a mormorare formule indecifrabili a fior di labbra e con gli occhi socchiusi (stavo ripassando per i miei esami, ma onestamente sono piuttosto certa di essergli sembrata una sfollata impegnata ad evocare il Maligno,
ndr), ogni volta mi fa accorato ‘sto andando a prendere un caffè, vuoi che te ne porti uno?’ prima di scendere a fare pausa. E I don’t have the heart to tell him che manco lo bevo, il caffè. Semplicemente lo ringrazio scuotendo la testa. Gli sorrido, mi sorride. Lui va a prendersi il suo caffè, io torno a sussurrare le mie litanie diaboliche. Ora siamo addirittura arrivati al punto in cui neanche me lo chiede più a parole; semplicemente inclina la testa con fare interrogativo, io gli faccio di no ridacchiando, and then we go about our respective days con un sorriso a testa in più all’attivo.
C’è la studentessa super timida che, ogni volta che mi vede nella mia
mise da sessione (i.e., pantaloni agghiaccianti che posso solo definire “bruttissimi” e “da cantiere (ma brutti)” + uno dei millemila vecchi maglioni giganteschi di HP che ho nell’armadio), si ferma apposta per farmi i complimenti per il maglione e sul perché sia
iconic come scelta di stile. Rigorosamente arriva, me li fa, già che c’è periodicamente ci aggiunge anche un ‘hai sempre un sorriso così dolce e accogliente, mi mette proprio di buonumore vederti’, arrossisce e se ne va. E I don’t have the heart to tell her che quello è letteralmente il mio
outfit da bidoncino della spazzatura. Perché
who am I per privarci di quella piccola gioia quotidiana?
C’è il professore di mezz’età super awkward e impacciato (i.e., mio fratello in Cristo, davvero) che un giorno mi è arrivato tipo
damsel in severe distress che si sentiva in colpa perché non riusciva a trovare da nessuna parte un certo volume e che, da quando mi ha vista letteralmente arrampicarmi per mezza biblioteca per stanarglielo, mi saluta ogni volta con un sorriso adorabile e riferendosi a me come alla ‘prode bibliotecaria, senza macchia e senza paura’. E I don’t have the heart to tell him che in realtà mi stavano venendo di quelle vertigini proprio
da paura a forza di arrampicarmi sulle scalette palesemente non a norma di legge della biblioteca.
Ci sono i dipendenti della biblioteca con cui è nata già una quantità illegale di
inside jokes e occhiate complici, gli operai che stanno facendo lavori dall'alba dei tempi e a cui ogni volta rivolgo occhiate speranzose chiedendo ‘ma non ci vorrà ancora tanto, vero?’, alle quali rispondono invariabilmente con sguardi a metà tra il rassegnato e il divertito che sanno proprio di ‘boia se sei delusional, tesoro. keep it up, though. it’s adorable’.
E quindi niente, raga.
Mi sono solo resa conto che le cose che mi hanno resa
happy happy happyyyy hanno tutte qualcosa in comune: sono tutti dei piccoli “rituali” non-ufficiali che si sono venuti a creare con diverse persone nell’ambiente in cui sto. TOTALMENTE A CASO. E MI FANNO ESPLODERE IL CUORICINO.
Cioè trovo così soft il fatto che le nostre vite si possano
sfiorare (più che incrociarsi, perché si tratta proprio di episodi effimeri) con quelle degli altri e che, pure nei contatti più passeggeri, piccoli gesti gentili possano consolidarsi al punto tale da divenire
silly little rituals that we genuinely look forward to quotidianamente. Creano quel senso di tacito cameratismo che, onestamente, a volte aiuta anche più delle più intense sedute di
twerking terapia.
Now, back to that chipi-chipi-chapa-chapa extravaganza…