Gran Ballo di Fine Anno, Alla Corte dello Zar

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view post Posted on 30/1/2017, 14:00
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Horus R. SekhmethOutfit

5FnvMCu
L’aria fredda dell’inverno e della notte fu come una coltre che entrambi attraversarono, lasciandosi alle spalle il calore e l’asfissiante atmosfera della Sala da Ballo. Il gelo lo sferzò con forza, facendo rabbrividire il ragazzo non appena la porta-finestra si chiuse dietro di sé; la neve che cadeva andava a creare suggestivi giochi di luce, riflettendo l’ambrata luce che proveniva dalle vetrate, talvolta facendo sembrare i propri fiocchi come tinti d’oro. Il suo tocco algido sulla pelle, fece capire ad Horus quanto caldo avesse provato in quel momento e se ne beò, rinfrancato, dalla frescura e dalla morbidezza del sottile strato di neve che andava ammucchiandosi nei giardini del Castello: l’indomani, si disse, sarebbe stato tutto ricoperto dal bianco mantello invernale.
La neve gli era sempre piaciuta: benché nel suo sangue scorresse per metà sangue di una progenie abituata a convivere e ad apprezzare la calura ed il Sole picchiante, lui aveva preso da sua madre e dai suoi antenati irlandesi. Preferiva il freddo al caldo, soffrendo molto di più d’estate che d’inverno. Lo sentiva affine, forse, e la vista dei candidi fiocchi gli provocava una puerile gioia che lo spingeva a rallegrarsi quando, nelle mattine, si svegliava scoprendo alla finestra un paesaggio imbiancato. Il Castello innevato, d’altronde, era una delle cose che più amava e che gli comunicava, talvolta, un senso di familiarità ed appartenenza tanto forte quanto comunicava la sua stessa casa in ogni stagione.
Nella mano sinistra teneva il bicchierino che Emily gli aveva porto pochi istanti prima; lo aveva stupito quando, trovandola ad attenderlo con un delicato sorriso dipinto sulle labbra rosse, gli aveva allungato uno shot, una bevanda che la sua gola arsa sicuramente aveva desiderato. Aveva ridacchiato, ironico, alla sua battuta, dicendole che in fondo, tanto valeva provare ad avvelenarsi un po’ se questo l’avrebbe salvati dalla bolgia in cui si trovavano, mentre mentalmente era tentato di annusare la bevanda alcolica per cercare di capire cosa cavolo ci fosse dentro. Aveva un vago profumo di pesca, ma il forte odore dell’alcol che gli pizzicò le narici gli fece comprendere che di sicuro la gradazione alcolica era più alta di un banale vino e, allo stesso tempo, minore di un Whisky Incendiario: beh, aveva pensato, era già qualcosa. Prima ancora, però, che avesse potuto sincerarsi che fosse più o meno commestibile, si erano ritrovati da soli, fuori dal trambusto. La musica, alle loro spalle, giungeva attutita ed Horus si sentì come immerso in un altro Mondo, con il silenzio della neve che cadeva nel cortile silenzioso, la lieve voce roca del vento che scuoteva i rami spogli e scheletrici degli alberi e faceva vorticare i cristalli in piccoli turbini.
D’un tratto, abituatisi al cambio di temperatura, la Serpina alzò il braccio, alzando il bicchierino di vetro: a sua volta, Horus fece lo stesso, alzando anche un fulvo sopracciglio con fare ironico, ma compiaciuto dalle sue parole. Gli piaceva quel gioco di rivalità che da sempre li vedeva protagonisti: e a lui, piaceva vincere, c’era poco da fare.

« Questo è tutto da vedere. » Le rispose divertito, con un piccolo ghigno che si apriva sul suo volto. Aveva visto Serpeverde vincere una sola volta, di recente: una parte di lui se ne dispiaceva, convinto che la Casata di Emily e quella da lui sempre ambita meritasse molto di più. Gl anni passati erano stati un susseguirsi di vittorie giallo-nere e rosso-oro, ma Horus si disse che preferiva di gran lunga cedere la Coppa a Serpeverde, piuttosto che a Corvonero o Grifondoro.
Buttò giù il bicchierino tutto d’un fiato: aveva imparato, a sue spese, che centellinare un liquore forte in un contenitore così piccolo poteva seriamente fargli più male che bene. Fu un’esplosione, improvvisa, di calore e bruciore che gli penetrò prima al palato e poi scivolò nella gola, riscaldandolo intensamente e facendogli appannare, leggermente, gli occhi. Lo stomaco diramò un calore che per un attimo gli fece dimenticare il freddo in cui era immerso. Zuccherato, ma non stucchevole, il sapore della pesca si mescolava al mosto fermentato dei cereali, in un equilibrio che Horus trovò delizioso, al punto da fargliene desiderare un altro. Lasciò andare il bicchierino a mezz’aria che, con uno sbuffo di fumo, andò Evanescendosi. Il rossore gli era salito agli zigomi, tingendoli e quando udì —e vide— la reazione di Emily a quell’assaggio, scoppiò a ridere, trovandosi poi a tossire per il bruciore residuo alla gola. La trovò carina, con quell’espressione terribilmente schifata per una bevanda che, decisamente, non era di suo gusto.

« Respira… col naso! » Riuscì a dire, fra un eccesso di risa e di tosse, prontamente occultati da una mano sulle labbra, gli occhi bagnati da un sottile velo di lacrime. Il gelo gli era penetrato nelle narici e nei polmoni e in breve, Horus riprese il controllo, portandosi la mano fresca al viso accaldato e non riuscendo ad eliminare del tutto il residuo di quel riso che permase sul suo volto che rimase nascosto, fra le sue dita, per un momento. Lasciò che lei si voltasse, osservandola allontanarsi lievemente, il capo lievemente piegato dalla curiosità per quell’improvviso risvolto.
Emily sembrava assorta nell’osservare la cadenza della neve che, come in una danza, aumentava d’intensità e volteggiava nell’aria intorno a loro, similmente a come loro due avevano fatto, soltanto pochi minuti prima.
Cosa si agitava in quella bella testa?
Horus si ritrovò a porsi la domanda solo una volta, quasi inconsciamente, osservando i riccioli di lei ricadere morbidi sulla schiena, risaltando sul broccato; alcuni fiocchi di neve le erano rimasti impigliati fra le ciocche, giocando con i riflessi ramati come piccole perle fra i capelli di una sirena.
Ah, si disse il ragazzo, mentre il sorriso abbandonava il suo volto: ancora una volta, quell’immagine gli tornava alla mente. Emily, la sua figura aggraziata, la sua bellezza di bambola ed i suoi gesti, a volte impacciati, a volti eleganti e precisi, gli suscitavano mille immagini diverse, come una Musa che gli sussurrava stralci di poemi. Ma a volte, Horus si stupiva di come gli venisse naturale, alla fine, tornare sempre all’origine di quell’incontro. Ora, però, non temeva più la sua dipartita negli abissi.
La sua voce, serena, gli giunse come un’eco trasportata dal vento, ed Horus non rispose, intuendo che quel pensiero fosse dedicato più a se stessa, che a lui, limitandosi nell’apprendere quanto, ancora una volta, fossero sulla stessa lunghezza d’onda. Rimase immobile, incantato da quella figurina che si stagliava fra la nivea coltre, come la principessa di una fiaba russa che osservava con malinconia il suo paese Natale. Lo strascico blu del suo abito andava inumidendosi ed i bordi della stoffa erano più scuri del resto del vestito, ma Emily sembrava non badarci. Piuttosto, quando la sua voce cristallina ruppe ancora una volta il silenzio che, discreto, s’era adagiato intorno a loro come la neve, Horus sentì un angolo della bocca incurvarsi, nel ricordo di quanto lei aveva evocato.

« Già. » Rispose soltanto, con un velo di malinconia che permeò chiaramente quell’unica affermazione. Socchiuse gli occhi, ricordandola quel giorno del Ballo d’Inverno di anni prima, quando per la prima volta erano stati affiancati l’uno all’altro, quando le cose erano così diverse, complesse. Allora, entrambi erano troppo lontani ed intrappolati nelle proprie vite, per rendersi conto del filo che li univa a loro insaputa, procedendo su due binari paralleli, apparentemente destinati ad incontrarsi per effimeri istanti, per poi allontanarsi di nuovo, senza mai sfiorarsi. L’attrazione che aveva provato in quell’istante in cui lei era giunta al suo fianco, la bellezza dell’abito che indossava, ma la glacialità che ella emanava, la rendevano nient’altro che un bocciolo racchiuso nelle spine per un Horus che, del resto, al tempo cominciava a comprendere la complessità dell’Amore e la difficoltà del proprio animo torbido.
Aggrottando la fronte, guardando Emily di fronte a sé in quel momento, Horus si chiese se al tempo aveva avuto ragione di credere che, davvero, il Gelo si sposasse bene con la sua immagine, lontana ed inavvicinabile. La rivide nei suoi ricordi, più piccola ed infantile nei lineamenti e nel corpo, eppure non meno bella. Al tempo sì, si disse, il Gelo era il compagno ideale per Emily Rose che, del resto, nient’altro conosceva che l’Oscurità stessa e sembrava ammantarsene ella stessa con orgoglio. Ma ora non più, pensò il ragazzo, vedendola voltata ancora verso di lui, una punta di tristezza nella voce e negli occhi che la rendevano
più vera di quanto non fosse mai stata, se non quel giorno sulla scogliera.
No, asserì, guardandola allungare una mano verso di lui, le piccole dita affusolate protese verso la sua intera figura; no, ripeté, quando la fanciullesca, quanto intensa richiesta venne espressa dalla sua voce flebile che lo aveva, silenziosamente, chiamato. Il Gelo aveva abbandonato Emily, liberandola dalla sua algida stretta.
Seguendo la sua richiesta, avanzò verso di lei, il lungo mantello rosso che frusciava leggiadro sulla coltre nevosa. Quell’ammissione che lei aveva infuso in quel gesto, lo avevano spinto a comprendere quanto lei fosse diversa dall’Emily che aveva conosciuto. Quanto, a poco a poco, lei gli stava rivelando con piccoli, semplici gesti: anche solo vederla lì, le spalle voltate ed il viso rivolto al cielo puntellato da stelle e cristalli, era di per sé un mettere a nudo una delle parti più intime di lei, rivelando a lui e solo a lui, la malinconia che spesso attanagliava il suo cuore, una debolezza, che, in fondo, era una Singolarità, come la luce in un Buco Nero, la perla nella conchiglia.
La raggiunse, intrecciando le proprie dita alle sue, rimanendo così, sospeso, per un lungo istante; guardò le proprie mani strette l’una all’altra, le dita che si stringevano; vide la grandezza della propria mano contro la tenerezza di quella piccina di lei. Così, lasciò che le dita scivolassero, andando a cercare, piuttosto, un confronto, appoggiando, il palmo alla sua mano contro quello di lei, confrontandoli; una stretta al petto ed un sorriso puerile, sincero, gli animò le labbra ed Horus la strinse in un abbraccio. Fredda, la sua pelle nuda baciata dal ghiaccio emanava, tuttavia, un calore che Horus percepiva dentro di sé e la strinse forte, preziosa come nessun altro era per lui al mondo. Le accarezzò i capelli con la mano libera, giocando con quelle ciocche come tanto tempo prima aveva fatto con arroganza il cui gesto, ora, invece, voleva comunicare molto più di quanto le parole fossero in grado di dire. Per un lungo istante, baciati dal vento di Dicembre, Horus la tenne stretta a sé, comprendendo solo in quel momento che era ora di darle il suo regalo. Prima, tuttavia, le prese il viso tra le mani, baciandole la fronte con tenerezza improvvisa.
Non seppe cosa aveva albergato dentro di lei in quegli istanti, rendendola improvvisamente fragile: se quel cambiamento di cui aveva accennato, la spaventasse nel timore che quello che avevano raggiunto e che stavano creando potesse sciogliersi come neve al sole. Nonostante ciò, Horus seppe che non l’avrebbe lasciata andare, non più.

« Sbagliavo. » Le sussurrò, improvvisamente, discostando le labbra dalla sua pelle, osservandola in quei grandi occhi argentati. Le efelidi, arrossate dal freddo, spiccavano sulla pelle pallida con viva intensità.
« Tu non sei il Gelo. Non più. Il Gelo è splendido, sacro, sì, ma è sterile e non cresce nulla su una lastra di ghiaccio. No, tu sei il Fuoco. Fui cieco a non vedere le fiamme che si agitano dentro il tuo petto, belle, letali, certo, ma calde e familiari, in grado di illuminare e crescere di forza ed intensità. » Sorrise, lievemente imbarazzato per quell’ammissione. « Tu sei Viva. » Le confidò, con un sospiro, carezzandole la guancia fresca ed umida, lieto di vedere in lei molto più di quanto avesse mai sperato, grato di quel momento di pace che li aveva avvolti come una morbida coperta. La liberò dall’abbraccio, muovendo un piccolo passo all’indietro.
« È giunto il momento del mio dono. Ma prima… chiudi gli occhi e porgimi le mani… mh, così. » Chiese, celando la tensione. Ambo le mani si allungarono verse quelle di lei, guidandole affinché i palmi fossero rivolti verso di lui, vicini tra di loro. Si sentì un po’ sciocco, ma con un sorriso colpevole, si assicurò che lei chiudesse gli occhi, le lunghe ciglia vermiglie ben strette.
« Non sbirciare e aspetta che ti dia il via io. » Riferì, prendendo dalla tasca il minuscolo pacchettino ridotto. Lo adagiò fra le mani di lei, a metà fra i due palmi e poi, estraendo la bacchetta da una tasca nascosta del mantello, eseguì mentalmente l’incanto per ripristinare il suo regalo alle dimensioni normali. Emily poté udire il peso crescente sulle sue mani, senza, tuttavia, appesantirla. Quando Horus mise via la bacchetta, titubante, e con un lieve cipiglio preoccupato —resistendo alla tentazione di guardarsi intorno— esclamò:
« Apri gli occhi. »
Era una piccola scatola oblunga e rettangolare, di un cupo verde acquamarina: nessun fregio, nessuna scritta, semplice tinta unita che non lasciava comprendere, in un primo momento, cosa celasse al suo interno. Quando Emily l’avrebbe aperta, avrebbe trovato un piccolo e sottilissimo stiletto, chiuso nel suo fodero nero. L’elsa, di un argento lievemente cangiante sui toni del petrolio, riluceva preziosa bagnata dalla luce lunare. Minuscole, sottili decorazioni incise rappresentanti foglie di salice non appesantivano né fodero, né l’arma, impreziosendola, invece, senza alcun bisogno che pietre o oro ne sporcassero né volgarizzassero la bellezza.
Il pugnale, una volta sfoderato, avrebbe rivelato una lama in acciaio a sezione triangolare e a doppio filo, temibile e, al tempo stesso, terribilmente bella. Una piccola incisione, in alto, poco sotto la guardia, recava la scritta: “Mors tua, via mea”. Lo stiletto era sottile e discreto, perfetto per una mano piccola come quella di Emily, ma il bilanciamento della lama era letale e lo rendeva l’arma ideale per una creatura silenziosa.
Horus, osservò attentamente la reazione di Emily, mordendosi lievemente il labbro, in attesa di prendere parola. Pur sentendo il peso di quel regalo e rendendosi conto dell’immagine cupa che lei avrebbe potuto avere di lui, la bellezza di quell’arma lo incantava e niente lo faceva desistere dal pensare che fosse perfetto per lei.

« È lo Stiletto di una Banshee. » Disse solamente, sorridendo al ricordo del regalo che, invece, lei gli aveva fatto poco prima. Dei, pensò, com’era assurdo il Chaos.
« Ho pensato… ho pensato che un’arma, al di là della Magia, è necessaria in certi frangenti. Dovresti averlo capito anche tu. » Aggiunse, alzando col braccio sinistro il mantello e mostrando il fodero del Pugnale Normanno che portava sempre con sé e la cui lama, tanto tempo addietro, aveva rischiato di bere il sangue di lei.
« L’incisione recita: “La tua morte, è la mia vita”. Ho le stesse parole incise sul mio. » Rimase in silenzio un istante, abbandonando il volto di lei e puntando lo sguardo sullo stiletto, osservandone i baluginii. Poi, lentamente, alzò il viso, tornando a scrutare le pallide iridi di lei.
« Questo… per ricordare che entrambi non siamo né vittime, né guardiani, e nemmeno assassini. Siamo guerrieri. E non dobbiamo temerci, poiché simili. » Le sue parole, sicure, lo sguardo fiero nei suoi occhi comunicavano non la paura e il timore per la propria natura, ma la consapevolezza. Uccidere era sbagliato, ma uccidere chi per primo aveva intenzione di farti fuori… beh, era istinto di sopravvivenza. Se volevano sopravvivere in quell’orrida palude di nefandezze che il Signore Oscuro aveva ordito per loro, dovevano farsi strada e combattere, a costo di sporcare le proprie mani del sangue lordo di chi voleva strappare loro la vita.

E, l’amava; non riuscì a dirlo, non in quel momento, non a voce, ma nonostante tutto amava la sua natura, il suo lato di luce così come il suo lato d’ombra, come la Luna, per quanto lei ne fosse spaventata. Lui l’amava.



« What love's lies blessed
What love's light cursed
Just fear for the best
And hope for our worst

I know it and I feel it
Just as well as you do, Honey
It's not our fault if Death's in love with us
It's not our fault if the Reaper holds our hearts. »




All'interno del pacchetto:
♦ Stiletto della Banshee: Pugnale di antica e pregiata fattura. Ce ne sono pochi in circolazione.
 
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Reginald Septim
view post Posted on 30/1/2017, 14:45




Lei iniziò a dirmi che comunque se non fosse stato per la mia presenza sarebbe stata comunque sola e che avrebbe preferito tornare in sala comune piuttosto che stare da sola. Rimasi in silenzio a sentirla parlare non sapendo che dirle visto che in fondo aveva ragione e sembrava piu che convinta nel non perdersi d'animo a riguardo. Nel frattempo continuai a smangiucchiare il dolce finendolo quando lei aggiunse qualcosa riguardo alla parte romantica della serata riservata alla coppie chiedendomi di scappare via da li con lei ah ... ehm ... beh s-si ...forse è m-meglio andare dico accennando un si con la testa alla sua richiesta di fuga... Se lei non aveva motivi per restare li da sola io ne avevo ancora di meno ,l'idea di darsela a gambe era molto accetta sopratutto se potevo avere il suo sostegno per uscire da qui.
 
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view post Posted on 30/1/2017, 15:29
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A_STARA_STARA_STARA_STAR

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E così, finalmente, erano riusciti a ritrovarsi tra quella marea di studenti. L’abito di Thalia era semplicemente fantastico nella sua semplicità, come d’altronde il leggero trucco che esibiva per l’occasione, perfetto per esaltare le sue iridi azzurre. L’inaspettato inchino che seguì il suo saluto fece sorridere il Prefetto. E così si divertiva, di tanto in tanto, ad esibirsi in gesti apparentemente teatrali?
Ad ogni modo la Tassorosso sembrava capire il suo umore e le sue preoccupazioni sempre di più, dato che si affrettò a diradare il suo principale cruccio sul tema della serata. Ben contento di mescolarsi tra i presenti senza dare troppo nell’occhio, i due iniziarono una lenta camminata nel grande salone fino a quando l’ingresso della Preside non attirò l’attenzione di tutti i presenti. Che fosse giunto il momento della proclamazione della coppa delle Case?
In breve tempo seguirono numerosi annunci da parte della Preside e, come l’anno precedente, Tassorosso sembrava essersi confermata al primo posto, seguita a debita distanza dalla sua casata. Uno sguardo verso Thalia ed un sorriso tirato segnarono quel momento, prima che proclamazione fosse definitivamente metabolizzata dal Serpeverde.

E così avete vinto anche quest’anno eh… chissà chi ci sarà dietro questi ultimi successi; provò a dirle in tono falsamente accusatorio. Il loro passi nel frattempo si erano fermati proprio nei pressi della tavola allestita per i dolci, a cui Mike non disdegnò uno sguardo desideroso. Beh, che ne dici di addolcire un po’ la serata con uno di questi, disse, indicando qualche morbida ciambella ancora presente nel piatto dorato di fronte a loro. Lì accanto facevano bella mostra anche dei bastoncini di noci, panna e fragola davvero irresistibili, almeno alla vista. Ne prese uno per cercare di soddisfare quel piccolo languorino appena formatosi nel suo stomaco, invitando la stessa Thalia a fare altrettanto. Devo ammettere che come festa è piuttosto dolce, sono quasi sorpreso, cercò di evidenziare quella parola, anche se non capisco la presenza di un così gran numero di ospiti adulti.
Poi accadde l’impensabile; il tempo di un morso al delizioso bastoncino e, assieme all’irresistibile “scioglievolezza” di panna e fragola, Mike sembrò essere attraversato da una scossa; cos’era quell’interesse morboso che aveva provato per un secondo nei confronti della Tassorosso?
Poteva ancora sentire le sue guance fiammanti e il suo battito accelerato, come se il suo tormento più grande fosse stato quello di attirare l’attenzione della ragazza. Che fosse stato un segno della sua stanchezza?
L’influenza probabilmente lo aveva un po’ indebolito e, a conti fatti, la serata sembrava entrata nella sua parte conclusiva. Dopo un attimo di apprensione, verificò se Thalia si fosse realmente accorta di quell’assurdo momento. Il cuor suo non avrebbe mai voluto vederla preoccupata senza un apparente motivo, così, anche se avrebbe voluto congedarsi al più presto dalla festa, decise che sarebbe rimasto ancora un po’ a quel banchetto, anche se di certo si sarebbe tenuto lontano da quello strano dolce russo che aveva appena ingerito.


Mike prende un bastoncino di Churchkhela, Panna e Fragola :fru:
 
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view post Posted on 30/1/2017, 16:06
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all that is gold does not glitter, not all those who wander are lost

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LxLpX5ZELOISE LYNCHOutfitIl tintinnio dei bicchierini da shot ricolmi di vodka segnò la fine della sobrietà di Niahndra ed Eloise. La rossa si gettò il liquido trasparente in gola e batté il bicchiare sul tavolo, affidando a quell’unico sorso ogni augurio per la serata. Mano a mano che la vodka scendeva come un blocco compatto e letale verso lo stomaco, il calore si propagava all’interno del suo sterno. Gli effetti erano diversi da quelli del Whisky Incendiario, concretizzati in una sorta di esplosione di bollore capace di arrivare fino ai polpastrelli. La diffusione fino a lì sarebbe stata più lenta, ma altrettanto micidiale, accompagnata dalla consapevolezza che sarebbe stato impegnativo mantenere un atteggiamento normale, o per lo meno ordinario.
L’ultima volta che aveva avuto a che fare con degli alcolici era stata quell’estate, a opera di Ned, che le aveva piazzato un boccale di birra babbana tra le mani e l’aveva incitata a scolarselo come fosse un’iniziazione al mondo adulto. Erano in viaggio tutti e cinque per l’Irlanda e, mentre i genitori erano rimasti a leggere riviste e libri al campeggio dove si erano fermati, loro erano andati in esplorazione dei migliori pub all’aperto. Era stato un bel momento, avevano ballato e si erano divertiti da matti: lo stesso Jared, il più serio dei tre, era riuscito a lasciarsi andare, aiutato probabilmente da quel paio di pinte che si era buttato giù.
«Se poi vuoi smetterla di vincere cose tu, a noi persone normali va anche bene...» Tornò a focalizzarsi su Niah, sul presente e sul rimanere in equilibrio senza darlo a vedere. «La Coppa dei Tassi, okay, Zarina e la Lotteria… Una fettina di-» Nella formulazione di quell’elenco si era mossa decisamente troppo e aveva urtato un ragazzo che stava trasportando una ciotola colma di zuppa, causandogli una bella macchia sulla divisa impeccabile da russo che aveva indossato per la serata. Nonostante le sue scuse non riuscì a evitare un’occhiataccia, a cui tentò di rimediare con un rapido colpo di bacchetta in grado di far scomparire il danno.
Tornò a osservare Niah, chiedendosi a quanto fosse quotata la possibilità di convincerla a scolarsi altri shottiniH, ma non se la sentì nemmeno ad avanzare la proposta. La mora era stata chiara fin dall’inizio e ancora una volta Eloise individuò un parallelismo con il ballo di due anni prima, in cui lo stesso Black le aveva impedito di scolarsi altri bicchieri. Le corrispondenze con gli episodi del Paiolo Magico non erano poche, ma se c’era qualcosa di diverso, quello era in lei: era cresciuta, era maturata e cambiata, pur senza abbandonare la solita allegria con cui affrontava le cose. E quando Niah affermava che non avevano festeggiato la sua nomina, forse non si rendeva conto della portata del cambiamento che era avvenuto in lei nel momento in cui aveva accettato la spilla. Al cambio di prospettiva all’interno della scuola e nei confronti degli altri Tassi.
«Ogni tanto penso a come sarebbe stato senza la spilla...» Esordì, lanciando un’occhiata in tralice alla collega. «Sapevate che avrei avuto meno tempo per i soliti scherzi, vero? L’avete fatto per quello?» Ghignò e lasciò che la conversazione si spostasse su ciò che era successo in quei mesi, sulle malefatte che avevano intenzione di sottoporre ai giovani tassini il giorno successivo e sui progetti per le vacanze. Rispetto all'inizio della serata, a prima di ballare e di farsi sconvolgere la serata da Daddy, Eloise era rilassata e serena: dopotutto stare in quella stanza dalla temibile eleganza non era stato così traumatico.
Fu solo dopo aver messo varie cibarie sotto i denti che la rossa sottopose a Niah una questione che le premeva, cercando di allontanare il più possibile la consapevolezza di essere odiata per la proposta che stava per portare sul tavolo.
«Vabbè, visto che non vuoi più brindare con me… Abbiamo un paio di Corvi da recuperare!» Magari in loro compagnia avrebbe ceduto a un altro bicchierino, aveva pensato piena di speranza. Si fece strada in mezzo folla, tirandosi in punta di piedi nel tentativo di distinguere la chioma di capelli blu. Passò una manciata di minuti e l’ipotesi che Niko avesse potuto filarsela prima del previsto si fece strada in lei. Dopotutto, non era scontato che non si fosse annoiato del suo modo di fare così entusiasta. Magari aveva preferito prendere in considerazione l’opzione di un letto caldo e un morbido cuscino.
Ognuno di questi patemi venne spazzato via nel momento in cui finalmente riuscì a individuarlo. Era con Daddy e se la stava ridendo per qualcosa, mentre i capelli di quel colore così peculiare gli incorniciavano il volto, colorato dal calore della stanza. Si fermò un istante, pregustando sulle labbra la battuta con cui avrebbe esordito in prossimità dei due Corvonero. Una serata del genere non poteva che migliorare.
«Con tutti i premi che ha vinto Niah non era garantito un nostro ritorno, ma eccoci qui…» Si appese per qualche istante al gomito di Niko per attirarne l’attenzione. Incrociò lo sguardo di Daddy, chiedendosi se avesse in testa altre idee strampalate per situazioni imbarazzanti.
Qualunque cosa fosse accaduta da lì in avanti, pensò Eloise, le sarebbe stato più semplice: un primo scoglio era stato superato.
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Eloise prende dei tagliolini e dell'anatra ripiena.

 
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view post Posted on 30/1/2017, 17:34
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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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Sorrise, cercando di celare il proprio compiacimento dietro quella che, più che un'espressione radiosa, doveva sembrare una smorfia divertita. Inutile negare di fronte all'evidenza che almeno una manciata di punti li avesse fatti guadagnare proprio lei aumentando, così, il prestigio della sua Casa. Tassorosso era diventata la sua dimora e, nemmeno a dirlo, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vederla splendere ancora e ancora, finché non avesse varcato la sua soglia un'ultima volta affacciandosi all'età adulta ed a ben altre responsabilità.
Non era rimasta troppo soddisfatta, a suo tempo, della decisione del Cappello Parlante. Non capiva dove avesse trovato in lei l'altruismo e la generosità, così come altre qualità che la rossa irlandese credeva di non possedere.

«Stai forse insinuando qualcosa? Perché qualsiasi cosa sia... io non c'entro.»
Nonostante le prime reticenze, aveva imparato ad apprezzare la propria Sala Comune, le persone che quest'ultima accoglieva ogni sera di ritorno dalle lezioni del pomeriggio e persino i colori che la rendevano un luogo piacevole e rilassante. A ben pensarci non avrebbe voluto trovarsi in nessun altro luogo e tanto meno avrebbe desiderato condividere un simile spazio con nessun altro se non i suoi compagni.
La malizia delle sue parole svanì nel momento stesso in cui Mike adocchiò qualcosa al tavolo di Florian, fornendole nuovamente motivo di sorridere. Non c'era soddisfazione migliore nel vederlo rilassato, nonostante la mancata vittoria della Coppa delle Case per Serpeverde ed una sorta di disfatta personale. Si voltò appena verso il centro della Sala, notando la Preside sgusciare via tra gli studenti e osservò per un po' le coppie alle prese con i successivi balli.
Se Mike aveva davvero un umore così nero, di certo non le avrebbe chiesto di muovere qualche passo di danza e, d'altro canto, non l'avrebbe fatto nemmeno se fosse stato su di giri per qualche anomala ragione. Fu con un sospiro, quindi, che si voltò nuovamente per rivolgere al suo accompagnatore la risposta all'ennesima domanda.

«Credo siano qui per la nostra sicurezza...» mormorò, lo sguardo ancora rivolto alla pista «...ma non saprei dirti con certezza. Perdonami, ma voi Prefetti non dovreste...» - le parole le morirono in gola notando l'espressione del ragazzo che, quanto mai stranamente, la fissava in un modo mai sperimentato prima di allora. Le sue guance sembravano in fiamme, come se fosse stato colto da una febbre improvvisa. Istintivamente sollevò la mano destra, poggiandola delicatamente sulla guancia del giovane. Forse credeva di fargliela sotto al naso, ma con anni di esperienza - grazie alle sorelle minori - non si dilungò troppo in pensieri, decidendo di intervenire. «Ti senti bene? Perché mi guardi così? Se vuoi ti riaccompagno nei Sotterranei, tanto ormai la festa è finita...»
Non lo disse a malincuore. I festeggiamenti erano davvero giunti al termine e lasciare la Sala da Ballo anzitempo non sarebbe stato un problema. Non se Mike stava davvero covando l'influenza di nuovo, nel qual caso avrebbe fatto meglio a rimettersi in sesto prima delle vacanze natalizie.







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view post Posted on 30/1/2017, 20:57
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Lucas A. Moray






La parte forse più "gustosa" della serata stava per aver inizio. Adoravo mangiare, ancor più abbuffarmi e con un menù del genere
non poteva andare diversamente. Anche Violet sembrava entusiasta all'idea di sedersi al tavolo per mangiare qualcosa.
Non chiedevo di meglio, anche perché l'idea di ballare non mi attirava più di tanto. I tavolini rotondi potevano ospitare di certo più di due persone, ma prendemmo posto in uno completamente libero.
Violet sembrava decisa su cosa ordinare e scelse subito una porzione di ravioli che apparì magicamente sul tavolo.
Io, invece, ero molto indeciso, anche se una cosa era certa: avrei iniziato dal salato.
Taglioni e Vitello allo Stroganoff!

Un primo ed un secondo degni di essere chiamati così. Appareverò sul tavolo due porzioni meravigliose prim'ancor che al palato, agli occhi.
Il primo, un piatto di tagliatelle condite con ragù d'anatra il cui odore invadeva prepotentemente le mie narici.
Il secondo, era invece un delizioso spezzatino servito su un letto di riso con cipolla e paprika. Non avevo mai mangiato questi due piatti, ma ero sicuro che non mi avrebbero deluso.

Spero di non averti spaventato avendo ordinato due mega piatti come questi. Dissi rivolgendomi a Violet nella speranza di non averla disgustata a causa della mia voracità.

Poco dopo, si perchè non ci misi più di 5 minuti a finire entrambe le porzioni, Violet mi chiese se sapessi ballare.
Non ero certo un asso della danza ma qualche passo probabilmente me lo sarei ricordato. Nel mio paese d'origine avevo preso parte ad alcune lezioni di balli caraibici.
In particolare ricordavo molto bene qualche passo di bachata e salsa. Quella sera, però, probabilmente ci sarebbero stati solo dei lenti, ma mai dire mai.

Beh...in realtà conosco qualche passo di balli caraibici, anche se non so se sono previsti per la serata. Tu invece?

All'idea di dover ballare mi agitai un pochino; non sapevo se fossi davvero in grado di ballare qualcosa di diverso da un caraibico, anche se, a detta di molti,
un lento non richiede grandi abilità per essere ballato.
Facendo finta di essere sereno come prima, ripresi in mano il menù perché la fame ancora c'era e questa non era finta.
Avrei voluto assaggiare tutto, ma forse era impossibile data l'enorme quantità di pietanza a disposizione.




Edited by Lucas A. Moray - 30/1/2017, 22:45
 
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view post Posted on 30/1/2017, 22:37
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Era incredibile come la fortuna lo abbandonasse sempre nei momenti migliori. Era come una macchina da corsa che stando in pole position, all’ultimo giro, finiva sempre il carburante restando a secco.
Non appena sentì la voce della Preside nelle sue orecchie, capì subito che la risposta che desiderava non sarebbe mai arrivata, quindi lasciò andare le sue braccia verso terra come a dire “Silente, che ho fatto di male?”.
Sorridendo tiepidamente alla risposta della ragazza, sapendo che anche quella volta si era avvicinato alla sua persona per poi vedersi sbattere la porta in faccia, si mise ad osservare il buffet pronto a comprarsi qualcosa di mangiare.
In quel momento non aveva nessuna domanda da porsi, solo certezze.
La prima, sicura come la morte, era che per conoscere maggiormente Niahndra avrebbe dovuto insistere. Era incredibile come per quanto lui si impegnasse in quella situazione venisse respinto e la cosa che più lo straniva era che più veniva respinto più tutto ciò lo attraeva.
Che fosse un sadico? Un povero pazzo? Probabilmente no. Probabilmente era quell’essere rifiutato costantemente che lo rendeva così curioso, così propenso a conoscerla prima o poi.
La seconda certezza che aveva era che aveva fame. Lo stomaco con quella mela candita si era aperto, formando una voragine che doveva irreparabilmente essere colmata.
Mentre sentiva le grida dei Tassi, soddisfatti di aver acciuffato l’ennesimo titolo scolastico, il ragazzo iniziò a decidersi su cosa mangiare, finché non sentì la voce del suo migliore amico coglierlo di sorpresa.


-Oh Niko! No, tutto apposto. Ti pare che Niahndra mi possa buttare giù di morale?

Sorrise, divertito per poi sentire il ragazzo ordinare per entrambi.
Era la seconda volta nell’arco della serata che gli veniva offerto da mangiare, che lo avessero scambiato per un povero?
Senza perdere tempo, il Caposcuola, indicò al garzone di servirgli le Kvas quindi, dopo aver pagato, disse a Niko:


-Bevi. Questo giro lo offro io.-

Passandogli il boccale e prendendo la sua crocchetta, lo invitò ad un brindisi.
Non appena i loro boccali si scontrarono, il ragazzo bevve un po’ della sua bevanda per poi chiedere con aria poco indiscreta:


-Insomma, come è andato questo ballo?-

La domanda era scontata, ma interessante. Forse gli avrebbe concesso anche di evitare di parlare di Niahndra e dei trascorsi con lei. In fondo era meglio evitare di passare per povero imbecillotto con dei sentimenti come tutti gli altri esseri umani.

Dopo aver ingurgitato la birra e la crocchetta, appagando di poco quella dannata fame che aveva il suo corpo e che avrebbe colmato con la colazione dell’indomani, rivide nuovamente le ragazze davanti a loro.
Non si aspettava proprio di ricontrarle in quel luogo, anche perché Nia non lo aveva nemmeno degnato di risposta alla domanda di vedersi nel post ballo.
Sorridendo alle due, guardandole con sguardo divertito disse:


-E adesso che si fa? Ci fermiamo a bere qualcosa qui o ce ne andiamo altrove? -

Era evidente dove volesse andare a parare, che volesse continuare quella dannata serata con lo scopo di fare qualcosa di più movimentato al dormire.
Senza perdere tempo disse:


-Che ne dite di testare questi abiti fuori dal castello? Sono curioso di capire come non sentissero freddo gli Zar e le Zarine con questi abiti. Ovviamente non dovremmo rischiare la punizione. L’anno è finito, voi siete due prefette, io un Caposcuola e Niko…beh…E’ Niko -

Ridendo soddisfatto, attese di capire se allo strano gruppo piacesse la proposta.
Alla fine che avevano da perdere? Oramai l’anno era concluso, tanto valeva divertirsi ancora un po’!




Daddy ha preso due Kvas. Ragazze e Niko vedete voi se vi va bene la proposta. So che i tempi sono stretti quindi mi accontento anche di una risposta rapida per mp
 
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view post Posted on 31/1/2017, 09:39
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Vi ricordo che il ballo si chiude Stanotte ^^ - dunque se avete ancora da fare i vostri post di chiusura, è giunto il momento di farli, avete ancora poche ore.

 
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Sophie Armstrong [x]

Prefetto Serpeverde - II Anno

Some people are naturally good, you know, and others are not. I'm one of the others.
La Sala da Ballo era sempre più popolata, anche se era quasi giunta la fine della serata. Sophie era rimasta per tutto il tempo davanti l'ingresso, senza mai aver trovato il coraggio di avanzare ed immischiarsi in quell'incredibile folla che si era creata. Nonostante avesse raggiunto quel picco di maturità che aveva leggermente cambiato il suo carattere - o forse solo per la sua furbizia -, non sarebbe mai riuscita a far finta di divertirsi ed andare d'accordo con qualcuno già al primo incontro, per quanto potesse sforzarsi di farlo. Era sempre stata una ragazza sfuggente, cercava in tutti i modi di evitare contatti con la gente, ma su questo non poteva farci molto, data la carica che aveva ormai acquisito da un bel po' di tempo. A volte era obbligata ad avere un dialogo con gli studenti della sua Casata, ed alcuni avevano persino paura di lei, non tanto per la sua voglia di offrire dolore al primo che passava, quanto per il suo modo di porsi, la sua freddezza. Ed era grazie ad essa che non aveva instaurato alcun rapporto sincero con qualcuno, esclusa la sua sorellastra, nonché Caposcuola. In quel periodo però, aveva capito che molto probabilmente così facendo avrebbe dato nell'occhio, e non poteva permettersi di farsi scoprire per ciò che era veramente. Ad ogni modo, prima di voltarsi per incamminarsi verso una meta non molto precisa, i suoi occhi si posarono su quelli di Camillo, in uno sguardo più odioso che cordiale. Non aveva ben apprezzato il suo comportamento, ma, da un lato, fu soddisfatta del disagio che aveva creato nel Caposcuola Grifondoro. Sophie spostò lo sguardo sul viso colorato di imbarazzo di Oliver, ed ella cercò di nascondere quel ghigno che ogni tanto amava spuntare fuori. Non appena il Prefetto gli diede nuovamente le spalle intenta ad andar via, sentì la candida voce di lui, che, per la seconda volta, cercava di attirare la sua attenzione. Sophie si voltò lentamente, e fu solo in quel momento che notò la rosa che Brior aveva elegantemente in mano, e la sua mente tornò leggermente indietro nel tempo, esattamente nel momento in cui aveva fatto presente di attendere qualcuno, e le due cose si collegarono in automatico, come due calamite appena accostate. Ascoltò con interesse le parole del suddetto Caposcuola, che, senza troppi giri di parole, la invitavano ad aggregarsi ufficialmente alla Festa, idea che Sophie aveva precedentemente scartato. Non ebbe neppure il tempo di rimediare ad una risposta, che una ragazza cercava di attirare l'attenzione di Oliver. Il modo in cui giunse, strappò un sorriso beffardo alla Serpina, a cui sembrò più buffa che elegante, ed immediatamente il suo sguardo fu attirato dal gatto. Gatto. Un gatto ad una festa. Il ridicolo raggiunse il picco massimo nel momento in cui il felino decise stupidamente di accomodarsi sulle spalle del Grifondoro, completamente agghindato e sistemato in modo impeccabile, e sarebbe stata molto curiosa di vedere la sua reazione a tutto ciò. I suoi occhi si posarono prepotentemente sulla nuova arrivata, che ignorò bellamente la sua presenza. Non era difficile capire che quella ragazza avesse avuto un'educazione alquanto diversa da quella che avevano avuto Sophie e Oliver, non solo per non averle degnato nemmeno un saluto, ma per tutto ciò a cui aveva messo in scena in un millisecondo. Gli occhi ghiacciati della Serpeverde si posarono nuovamente sul viso del Caposcuola, lo guardò in un modo più dispiaciuto per lui che per altro, ed un ghigno ritornò prepotente sul suo candido viso. - Arrivederci, Signor Brior. Ah, e anche a Voi, Signorina. - Il suo tono di voce era platealmente ironico. Non avrebbe trovato parole per descrivere quella situazione, era tutto così buffo, che l'unica cosa che aveva avuto voglia di fare, era lasciarli lì nell'imbarazzo ad andare via orgogliosa di non avere a che fare con tali individui. Avrebbe cominciato a farsi due domande anche su Oliver, che si era presentato con un'eleganza perfetta, ma che in quel momento cominciò ad affievolirsi. Forse era tutta una finta. Forse, anche lui era più buffo che elegante. Scosse la testa con ancora quel suo classico ghigno sul viso, ed in seguito si sarebbe dileguata, dopo un cenno rivolto alla fantastica coppia.
Ambition is the immoderate desire for power.
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view post Posted on 31/1/2017, 20:54
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La strada percorsa, ceduta sotto l’esile peso delle loro orme, assumeva ora i tratti di un dipinto incompiuto. Il manto della tela, perfettamente bianco, era tracciato da percorsi indistinti, impronte che s’intrecciavano e che lasciavano intendere in che modo avrebbe proseguito la mano dell’Artista. La luce flebile della Luna lottava contro la nube oscura ma nella sua debolezza, accompagnata dagli incostanti riverberi della festa in lontananza, era sufficiente affinché Emily riuscisse ad intravedere le espressioni sul perfetto viso niveo del giovane. L’aria era ovviamente fredda ma l’assenza d’umidità, la stessa che ci aspetta dopo una lunga giornata di pioggia, faceva sì che quel gelo risultasse meno invasivo, persino gradito se considerato il luogo terribilmente caldo da cui avevano preso le mosse, come un bicchiere d’acqua colmo di ghiaccio sorseggiato in piena estate. Le labbra di Emily, ora socchiuse come a voler esprimere qualcosa mentre Horus rispondeva alla richiesta, erano colorate da morbido zaffiro poiché il freddo, paziente, baciava il suo viso lasciando che illusioni di luce offuscata si sedessero sulle lunghe ciglia vermiglie. Sbatté le palpebre più volte, quindi, per allontanare l’umidità dei fiocchi di neve che, rischiando di arrossarle, si scioglievano nelle sue iridi. Eppure non fu colpa della neve se, quando Horus sorrise teneramente nel poggiare il palmo della propria mano contro la sua, lo sguardo di Emily si sciolse come morbido fumo che avvolgeva, smussandone gli angoli, pietre solitamente troppo aspre ed appuntite.
E così, spostando l’attenzione su quel dolce confronto, si rasserenò a sua volta piegando le esili dita come a voler trattenere la stretta di poco prima e, al contempo, tirarlo a sé, soddisfacendo il bisogno di venir stretta tra le sue braccia e trovarvi conforto. Eppure Emily non dovette chiedere ulteriormente: Horus dovette aver compreso e così la strinse forte mentre lo sguardo della fanciulla restava fermo lì dove le loro mani si erano tenute pochi istanti prima. Lentamente chiuse gli occhi e lasciò scivolare il volto nell’incavo della sua spalla beandosi del calore che il vento aveva sottratto loro. Le braccia si alzarono contro i fianchi di lui e chiudendosi oltre la sua schiena, Emily, che si sentiva così piccola ma protetta, lo strinse più forte, forse troppo forte ma lui non obiettò e carezzandole le lunghe ciocche di capelli, rimase lì, quasi immobile, mentre i loro respiri pallidi si stagliavano contro l’aria statica.
Avrebbe voluto dirgli così tante cose ma seppe che, mai come in quel momento, non ve n’era il bisogno. Horus avrebbe capito questa volta, senza fraintendimenti, senza paranoie a macchiare la purezza dei loro sentimenti. La paura che tutto venisse spazzato via come la neve assoggettata al vento ululante, trascinata da una parte all’altra a formare confusi cumuli privi di bellezza, non era svanita; parte di essa sarebbe stata conservata, forse per sempre, ma ciò non era qualcosa di cui esser tristi: la consapevolezza che non poteva dare nulla per scontato era un promemoria felice che le ricordava quanto grande fosse ciò che le era permesso stringere tra le mani. Ed in qualsiasi modo sarebbero andate le cose, lei non avrebbe rinunciato a lui, non l’avrebbe abbandonato; nonostante il Terrore, in qualsiasi forma decidesse di minacciarla, non sarebbe venuta meno a tali promesse, tacitamente suggellate nella sua mente.
Dinanzi all’ennesima folata di polvere di ghiaccio, Horus le prese il viso tra le mani ed Emily, lasciando con malinconia il calore in cui s’era cullata, poggiata contro al suo petto, ne cercò immediatamente lo sguardo. Amava terribilmente quelle iridi chiare, così simili alle proprie ma bagnate da puro argento liquido; il cerchio scuro che le contornava le rendeva eteree ed ancora una volta, se ne beò, lasciando scivolare l’irresistibile tentazione di accorciare le distanze sugli alti zigomi, sulle perfette labbra di cui riusciva a bramarne il tocco come la prima, vera volta. Quando lui le baciò con tenerezza la fronte, Emily quasi si vergognò di quel malizioso pensiero dinanzi a quel rispettoso gesto ma sorrise, grata che il Chaos avesse deciso che lei poteva meritarsi un’anima tanto bella, colma di quella perfezione che s’arricchiva persino nei difetti riscontrabili in una creatura così ideale come poteva essere Horus.
Il suo sguardo venne ricambiato e quanto lesse su quel volto restò inesprimibile con le parole che troppo spesso potevano risultare superficiali, banali o addirittura ridicole. E ancora una volta restò in silenzio, incapace di muoversi, aggrappandosi alla stoffa del suo mantello con i piccoli pugni chiusi.
Lei era Fuoco. Era davvero così? Era esattamente a quel modo che Ra, adesso, la vedeva? Eppure lei non sentiva ardere fiamme nel suo petto, non v’era vita o gioia o forza. Che semplicemente non le riconoscesse?
Le guance s’arrossarono improvvisamente. Se ne rese conto dal bruciore improvviso che quasi doleva di contro a quel gelo sempre più presuntuoso, dai fiocchi di neve che le solleticavano la pelle perché non appena cercavano di posarsi sul suo viso, si scioglievano in semplice gocce simili a rugiada. Che fosse quello ciò di cui Horus tesseva le lodi?
In tal caso, doveva dirgli, che sentiva di poter donare quel calore solo da quando lui l’aveva voluta al suo fianco ed accettata? L’idea che un mutamento interiore, la semplice crescita della fanciulla, avesse potuto spingerla ad avvicinarsi quanto desiderava al Tassino e che, quindi, non fosse solo merito suo, non sfiorò minimamente la sua Coscienza. E come avrebbe potuto, come biasimarla? Al di là di quanto mostrasse al mondo, tenendo tra le mani i pezzi nascosti delle sue erronee scelte, dei suoi sbagli, cullandosi nell’Oscurità celata ai più, Emily non poteva e non voleva credere in se stessa. L’unica cosa certa era l’incrollabile sensazione che se la sarebbe cavata. Ma a scapito di cosa? Cosa avrebbe perso per strada?
*Non lui*, si sentì rispondere con convinzione. L’avrebbe protetto, avrebbe protetto entrambi da qualsiasi minaccia, persino da quella rappresentata da se stessa.
E sì, si sentì
Viva ancora una volta, al pari di quanto aveva provato su quel promontorio forse distante ma che era divenuto parte di sé. E gli fu così grata che, nell’impossibilità di esprimersi a causa di un dolce peso a comprimerle il petto, gli occhi le si offuscarono di puerile commozione e con serenità lasciò che lui dividesse il loro abbraccio, accettando di buon grado quanto le veniva chiesto.
La curiosità si unì alla precedente emozione e tendendogli le mani, rabbrividì appena all’inaspettato tocco delle sue dita. Avvertì lentamente il peso del dono prendere vita nei suoi palmi e piegò di poco le braccia verso il basso, facendo attenzione a non farlo cadere, col timore di non riuscire a reggerlo. Privata della vista, quasi spaesata mentre l’udito si raffinava in modo crescente, accettò con gioia la concessione che gli fece – anche se un paio di volte fu tentata di sbirciare e, per questo, costretta a stringere lo sguardo per evitarlo.
Il pacchetto di cui si ritrovò a sfiorare l’anonima carta – di un colore che tuttavia sembrò apprezzare – non raccontava nulla di quanto vi fosse al suo interno e così, non preoccupandosi minimamente di nascondere l’agitazione, alzò lo sguardo imbarazzato sul compagno attendendo che, come un genitore nel giorno di Natale, gli desse il permesso di scartarlo. Facendo da parte la semplice stoffa messa a disposizione, riconobbe subito un fodero e mentre la percezione di quanto aveva ricevuto in dono iniziava a combaciare con la realtà, gli occhi rilucettero di uno strano bagliore. Senza guardare il ragazzo in viso, puntando le iridi cristalline solo ed esclusivamente su ciò che reggeva tra le mani, gli passò il contenitore vuoto e nonostante i modi gentili, dovette sembrare una piccola bambina impacciata, rapita dal giocattolo nuovo che le era stato donato. Tuttavia, quanto Emily stava per scoprire al luccichio dei delicati raggi lunari, non aveva nulla a che fare con bambole e burattini e seppur tradita dal fascino provato, al limite della cognizione di quanto potesse accaderle intorno, seppe fin da subito che era una cosa seria.
Ne fu incredibilmente ammaliata.
Con estrema lentezza e riverenza, lasciò scivolare il fodero nero scoprendo la lama, oservandone la forma e l’acume. La neve vi si posò e vi rimase a lungo intatta o almeno fin tanto che Emily non piegò il Filo nell’aria fredda, offuscandola col caldo respiro, tenendola vicino al volto per osservarne i dettagli, dalle foglie di Salice – che tanto amava ed il cui legno costituiva anche la sua bacchetta – all’incisione. E furono proprio quest’ultime due cose a spingerla a ricercare lo sguardo di Horus dopo attimi di lunga attesa: era troppo… Perfetto. Come poteva lui saperlo?
La risposta giunse lesta ed Emily si ritrovò ad inclinare le labbra in un sorriso sghembo mentre socchiudeva gli occhi, come a voler dire che doveva aspettarselo. Conosceva fin troppo bene il significato di quelle parole, le appartenevano e sentirle pronunciare da Horus, capire quanto le reputasse importanti, le diede un senso di calda comprensione che mai aveva avvertito fino ad allora, nemmeno quando gli aveva confidato i suoi segreti. Quel regalo era una prova, tangibile, del modo in cui lui era riuscito a stringere l’essenza del suo essere e della Volontà di accertarla per ciò che era.
Erano simili e lei non avrebbe potuto o voluto chiedere più di quanto stava avendo in quel momento.
Compì qualche passo indietro. La neve scricchiolò sotto la piccola suola delle sue scarpe, un suono che Emily amava come poche cose. A debita distanza dal ragazzo, con un lesto movimento della sinistra, tagliò velocemente l’aria. La lama brillò ma l’azione fu così veloce che soltanto un fugace bagliore fu quanto si palesò ai loro occhi. Riponendo lo stiletto nel fodero, lontano da probabili sguardi indiscreti, si gettò con innaturale grazia al collo di Horus, stringendolo forte a sé.

Grazie, è bellissimo.
Sussurrò aumentando la presa.
Non avrò paura di te e non dovrai averne di me. Non abbiamo scelta, continueremo a combattere, per noi. Siamo Guerrieri ma… Su una cosa ti sbagli.
E scostando il viso dal collo contro cui aveva attutito l’abbraccio, si portò così vicina al suo viso da poterne sfiorare le labbra.
Io sarò anche il tuo Guardiano.
E, stringendogli il volto tra le fredde mani, con estrema dolcezza, lo baciò.
L’avrebbe protetto, sarebbe stata più forte di lui se necessario, così come sapeva che Ra l’avrebbe sorretta nelle sue, di debolezze.

E lei amava lui; non v’era bisogno di dirlo in quel momento, ora che entrambi sapevano. Dal Gelo in cui era stata rinchiusa, lui l’aveva riportata in Vita. E l’amava.




«We fear for the best
And hope for the worst
Too happy to be alive
With love's light blessed
And love's light cursed

Now we feel it coming
Piercing our hearts
Fingers crossed and we're praying
That nothing goes wrong

And finally it's happening
Just a knock on our door
Our hearts are beating.»



Fine-



Edited by Emily Rose. - 31/1/2017, 21:26
 
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view post Posted on 1/2/2017, 10:12
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Il Ballo si è concluso ❤
Grazie ancora per aver partecipato, e spero vi siate divertiti almeno quanto mi son divertita io a leggervi ^^

Alla prossima!

 
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