Nieve Rigos
Grifondoro | Prefetto | 13 Anni "Canarine a chi vuoi, nello sgabuzzino son mazzi tuoi"
Le intenzioni di Nieve, nello scatto di furia cieca seguito alla frustrazione e allo spavento dell'ultima mezz'ora, erano a dir poco belluine. Avrebbe caricato Argus Gazza con un'impellenza distruttiva paragonabile - se non superiore - a quella con la quale si era abbattuta sulla porta, dunque, se Horus non fosse prontamente intervenuto a sottrarla alla sua stessa, irrefrenabile mattìa. L'impedimento giunse con la presa salda di due braccia il cui tocco, in una situazione meno frenetica, avrebbe riconosciuto della stessa gentilezza che le avevano riservato ripetutamente nello sgabuzzino. L'avvolsero con decisione, strappandola al proposito rabbioso cui aveva votato la sua intera esistenza e costringendola ad indietreggiare. Il capo di Nieve scattò verso destra sulla scia del suono prodotto dalla voce del Caposcuola, sfiorando la mascella squadrata del ragazzo con la punta del naso nel breve spazio che intercorreva tra i loro volti. Se gli ammirevoli sforzi in cui si stava profondendo il giovane per toglierli dai guai non fossero bastati a mitigare il furore bellicoso che l'animava, sarebbe stata la vista dei lineamenti di lui a fare il resto. Nella sequela di voli, schianti e carica di fanteria seguita all'apertura della porta, Nieve non aveva avuto modo di cercare e collocare l'ultimo tassello che era venuto a mancarle con l'ostacolo del buio e che completava il quadro dell'identità dell'altro in maniera piuttosto lusinghiera. Horus era bello da togliere il fiato e lo era di una bellezza come mai ne aveva viste in vita sua. Mentre lo ascoltava raffazzonare un discorso che fosse in grado di toglierli dall'impiccio in cui Nieve li aveva cacciati (involontariamente) entrambi, la Grifondoro percepì con chiarezza il suo corpo invertire direzione e funzionamento e trasformare la rabbia in rapimento. Ora, capiva per quale ragione fosse sulla bocca di tutte le ragazze. Ora, capiva perché Emma chiedesse con insistenza di riferirle quando e se le fosse capitato di avere una ronda notturna con Horus. Ora, vedeva. L'unica cosa di cui non riusciva a capacitarsi aveva a che vedere con se stessa: com'era possibile che, nell'incrociarlo in passato, non avesse registrato un dato di un'evidenza tanto sconcertante? Batté le palpebre, perplessa, giusto in tempo per cogliere l'ultimo stralcio di conversazione. Intruglio confondente, eh?!
«Elfo? Io sono un elfo,» fece e tornò a guardare il custode, assumendo un'espressione istupidita e afferrando la mano che Horus aveva posizionato sulla sua spalla per tirarne il braccio e avvicinarlo a sé. «E lui è il mio calzino. Non mi porterete mai via la libertà. Mai. AAaaAAaaaah!» Liberò la mano di Horus solo per dar vigore al suo stesso proposito, chiudendo le dita di entrambi gli arti in un pugno e facendoli oscillare con finta minacciosità all'indirizzo di Gazza. «En garde!»
Il diversivo di Horus, supportato dalla recita grossolana del Prefetto Grifondoro, ebbe a riuscire e, mentre il ragazzo sfilava la bacchetta di tiglio argentato dalle mani piumate del custode, Nieve colse un'ondata di balsamico sollievo irradiarsi per tutto il corpo, prima di assecondare il saggio proposito del Tassorosso. Scattando nella stessa direzione, si lanciò in una corsa a perdifiato che la diceva lunga sul suo desiderio di mettere quanta più distanza possibile tra se stessa e lo spazio claustrofobico dello stanzino. Non prima, però, di un microscopico, vendicativo accorgimento: senza averne completa percezione o intenzione - era pur sempre sotto gli effetti di una pozione confondente, insomma! -, le dita della mano sinistra avevano stretto le assi salde della porta per richiuderla sul muso orribile di Gazza e riservargli la stessa sorte di prigioniero. Era talmente felice, in quel momento, che avrebbe potuto volare senza bisogno di una scopa o di un incantesimo.
«Nieve è un elfo libero!»
L'urlo sgusciò via dalla bocca mentre, svoltato il primo angolo, si lasciava alle spalle il maledetto corridoio e udiva le grida pigolanti del custode. Rise piano, le gambe intorpidite che reggevano a stento il ritmo loro imposto, e seguì Horus finché lo spazio aperto delle scale non si palesò nella sua cangiante bellezza. Col respiro corto, Nieve si concesse il tempo necessario a riprendere fiato, le mani sulle ginocchia leggermente piegate e le lunghe ciocche d'argento che pendevano ai lati del viso. Fu in quel frangente che i suoi occhi intercettarono il tessuto chiaro del fazzoletto di Horus, stretto ancora tra le sue dita, e finirono per ricercare il grigiore spettrale delle iridi del Tassorosso. Non avrebbe dovuto ridere, in parte ne era consapevole, ma le conseguenze dello scontro che lei e Horus avevano inizialmente ingaggiato stavano tutte lì, sul bel viso di lui, troppo evidenti per essere ignorate. L'insorgere di una risata dirompente le riempì la gabbia toracica e Nieve non poté fare altro che gettare il capo all'indietro e inarcare appena la schiena per assecondare quell'urgenza; infine, si ricompose e decise di raggiungerlo. Il braccio destro, con la stessa, inaspettata intimità che gli aveva usato nell'oscurità dello sgabuzzino, si allungò finché il palmo della mano non si depositò contro la guancia di lui, l'espressione mezzo assorta mezzo colpevole a dominarle i lineamenti, mentre osava carezzare delicatamente col pollice lo zigomo sfregiato di Horus che non aveva perso nulla in bellezza. Gli occhi di Nieve sfiorarono con garbo perfino maggiore l'epidermide lesa, i tratti rosati della voglia e il profilo aristocratico del naso; infine, si depositarono sulle iridi cristalline che avevano davanti.
«Mi spiace,» sussurrò e c'era una nota di mortificazione nella sua voce, come di chi ha rovinato un'opera d'arte e senta tutto il peso dell'errore addosso. Poi, il brillio malizioso tornò a dominare il suo sguardo e le labbra si aprirono in un sorriso più ampio, fino a scoprire i denti chiari e regolari. Scostò la mano dal volto di Horus. «Ma devo dire che le righe ti donano. Ho fatto un buon lavoro, molto simmetrico.»
Ridacchiò, lanciando una rapida occhiata in direzione del corridoio dal quale erano venuti. Non potevano attardarsi ancora a lungo, né procedere nello stesso senso: i rispettivi dormitori erano ubicati in due punti diametralmente opposti del castello. Era, quindi, giunto il tempo di separarsi e una parte di lei avvertì il dispiacere di quella scelta obbligata come non si era aspettata che potesse accadere. Si allungò per afferrare la bacchetta che Horus aveva saggiamente pensato di recuperare e che le apparteneva, sfilandogliela di mano con lentezza quasi che il suo corpo non sapesse decidersi ad ascoltare le sollecitazioni concitate della mente che le intimava di tornarsene in dormitorio. Fu l'eco lontano (ma non troppo) delle urla di un Gazza imprigionato a convincerla, da ultimo. Strizzò un occhio al giovane in segno di intesa e congedo insieme, mordendosi il labbro inferiore con espressione malandrina; poi, lo oltrepassò e salì rapidamente la prima rampa di scale. Ciò che residuava del desiderio di rimanere la spinse a voltarsi un'ultima volta, gli occhi che scorrevano sulla sagoma di spalle del ragazzo.
«Ehi, megafusto!» La sua voce risuonò nella tromba delle scale semiderta, una nota vispa a colorarne l'intonazione. «Me ne pento,» fece, enigmatica, mentre il sorriso sulla bocca tornava a schiudersi, ampio. «Di non essere stata io a pizzicarti le natiche, intendo.» Attese di coglierne la reazione, poi rise e salì un altro gradino ancora, la mano destra stretta attorno alla fidata bacchetta e la sinistra che, inconsapevolmente, reggeva il fazzoletto di lui. «Oh! E, se dovessi avere bisogno di aiuto per recuperare la tua bacchetta, sappi che stasera sono di ronda. Ma niente spazi chiusi!»
L'eco della sua stessa risata l'accompagnò lungo tutto il percorso, sulle scale e fin sulla torre di astronomia.
PS: 115 | PC: 70 | PM: 69 | PE: 7
Giuls || © harrypotter.it
Grazie per le risate, Buzzi. ♥