Lo sgabuzzino delle scope, Privata: solo buzzicozzi ammessi.

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view post Posted on 20/9/2017, 22:28
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Horus R. Sekhmeth Incredibile come avesse preferito incolpare quella povera ragazza di molestie, piuttosto che accettare il fatto che lì dentro non fossero davvero soli. Perché, pensò mentre un brivido gelido gli attraversava la spina dorsale, aveva percepito chiaramente delle dita minute e gelide afferrare graziosamente una sua natica. Sentendosi violato come una fanciullina che avvertiva su di sé per la prima volta lo sguardo languido di un ragazzo, Horus stette immobile nel proprio angolino, respirando freneticamente e resistendo alla tentazione di esplodere, scalciando, urlando e prendendo a calci qualsiasi cosa gli fosse capitato a tiro. Dovette fare un enorme sforzo di autocontrollo per riuscire a comprendere il motivo dell’arrestarsi della voce della Grifondoro.
« N-Nieve? Che cosa succed… » Nelle tenebre più assolute, la mano adunca e lasciva —probabilmente già scalciata via da Nieve— tornò a sfiorargli un ginocchio e questa volta l’istinto ebbe la meglio.
« AH! » Fu l’esclamazione strozzata con cui Horus accompagnò l’inevitabile calcio in direzione di quell’apparente fantasma. Si udì un tonfo attutito da quella che sembrava stoffa ed il ragazzo percepì chiaramente un corpo piccolo e gracile schiantarsi sulla suola della sua scarpa. *È crepato?* Un grottesco “oooouuuuuuh” seguì quell’orrido ruzzolone e proprio mentre un sospetto si faceva largo nella testa del Tassorosso, i tonfi secchi e scricchiolanti della porta annunciarono che la Prefetta aveva raggiunto il limite massimo di sopportazione. Inquietato per quell’improvviso cambio di programma, Horus ammutolì: aveva già constatato che Nieve Rigos possedeva sicuramente ben più forza della sua piccola stazza (così gli era sembrato di percepire nell’oscurità), ma rimase letteralmente sbalordito per il vigore con cui la ragazza di abbatteva sulla povera porta. D’istinto, il Caposcuola si portò la mano all’altezza della nuca, dove il bernoccolo causato dal secchio ancora doleva. Improvvisamente Horus si sentì molto fortunato per essersela cavata con così poco, ma se ne pentì quando la polvere causata da Nieve gli penetrò nelle narici e lo fece tossire violentemente, costringendolo a coprirsi la bocca con la mano.
« Nieve… mori…rem…oh! » Accadde tutto così in fretta che Horus non ebbe tempo di terminare la frase. Per l’improvviso fascio di luce che entrò nella porta magicamente aperta, il Tassino si convinse per un momento di esser davvero morto e che quella che lo abbagliava era la luce di Osiride che lo invitava nell’Aldilà (già lo immaginava proferire: “Figlio mio, ne hai passate troppe, saltiamo il Peso del Cuore per questa volta, che ne dici?”). Invece no. Si schermò gli occhi con la mano destra, sopprimendo gli ultimi spasmi della tosse e con sorpresa —e con un certo orrore— mise a fuoco Argus Gazza.
« Buongiorno. » Fu la prima, ridicola cosa che riuscì a dire con voce roca. Cercò con lo sguardo Nieve e, trovandola stesa a terra come una pelle d’orso, per poco non gli andò di traverso la saliva nel tentativo di non ridere. Non riuscì a vederla in volto, ma la prima cosa che notò fu l’onda quasi candida dei suoi capelli. Ricadevano sulla sua schiena come neve e il colore così particolare di quella chioma gli rimase impresso nelle retine. Non aveva mai visto nessuno con dei capelli tanto eterei, nemmeno Chrisalide, con il suo albinismo, riusciva ad emulare la beltà di quella capigliatura. Ne rimase sinceramente sorpreso: se avesse avuto la possibilità di immaginare l’aspetto di Nieve, sarebbe stata tutto fuorché bionda. Non ebbe, tuttavia, il tempo di aggiungere altro perché la sua attenzione fu nuovamente catalizzata dall’incedere traballante del guardiano che si piazzò a gambe large dinanzi la soglia. Gazza osservava con sguardo di fuoco la Grifondoro e, con le guance tremolanti per la furia (che rassomigliavano ancora ad un bargiglio), digrignava i denti gialli, stringendo tra le dita ossute una bacchetta.
« COME HAI OSATO! » La sua voce tonante fu intramezzata da un curioso singhiozzo ed Horus ricordò —con non poca ilarità— il motivo che aveva portato Nieve a rimaner segregata in quel gretto ripostiglio. L’uomo non sembrò badare a lui e, troppo occupato ad accusare l’origine dei suoi presunti mali, non notò nemmeno il povero Elfo Domestico che, raggomitolato in un angolo dello sgabuzzino, piagnucolava con un grosso bitorzolo al centro del cranio pelato. Fu il suo lamento pigolante a distrarre, per un istante, Horus: guardò la creatura con un’evidente confusione dipinta sul volto. Cosa diamine ci faceva un Elfo Domestico lì? I suoi sospetti, infine, avevano dato un frutto ma non si sentì troppo in colpa per aver malmenato la disgraziata creatura. In fondo se l’era cercata e fu quasi per domandargli il motivo della sua presenza quando il ruggito di Nieve lo costrinse ad abbandonare il misero Elfo per fiondarsi sulla ragazza prima che questa ammazzasse il guardiano.
« Nooooooo! » Quasi ululò nel tentativo di macinare il poco spazio che lo separava da lei. Con sorprendente tranquillità le avvolse le braccia attorno alla vita, cingendole così anche le braccia e sollevandola di peso. Indietreggiò di un paio di passi nel tentativo di impedirle qualsiasi rappresaglia contro Gazza che, dal canto suo, balzava all’indietro con fare stupito.
« Nieve no! No! Qualcuno deve averti colpito con qualche fattura confondente e… » Gli sembrò quasi di avvertire su di sé lo sguardo corrosivo della Prefetta. Deglutì, a disagio, ma la situazione impellente lo costrinse a ritrovare la calma che lo contraddistingueva. Lasciò quindi la presa dalla vita e dalle braccia di lei, per poggiarle entrambe le mani sulle spalle, stringendo appena la stoffa del cardigan, quasi fosse stato un monito. « E insomma, signor Gazza. Le ricordo che è compito di Caposcuola e docenti punire gli studenti, non è compito suo. O sbaglio? No! Non m’interrompa! » Alzò quindi la mano destra nel tentativo di arginare la protesta che prendeva vita sul viso irato del guardiano. Al contempo, non volle offrire all’uomo alcuna possibilità di domandare cosa cavolo ci facevano loro due lì dentro. Quanto poteva sembrare credibile la sua presunta autorità se questa veniva inevitabilmente macchiata dal suo aspetto poco raccomandabile, con gli occhi lucidi, il viso rosso e graffiato ed i fulvi capelli arruffati?
« Ci penserò io. Piuttosto che cavolo ci fa quell’elfo qui? Ma le pare il modo? » Nel tentativo di sviare l’attenzione del vecchio aguzzino da loro, Horus indicò la creatura che smocciolava in un angolo, circondata da un immenso disordine e da barattoli rovesciati (che si rivelarono essere fagioli stufati scaduti probabilmente da dieci anni) che come mine ingombravano il pavimento.
« Toh ecco dov’eri finito te. M’ero dimenticato di averti spedito qui, l’hai trovato o no quel Bundimun? » E mentre Gazza si infilava nello sgabuzzino, Horus, lesto, lo lasciò passare e quando gli fu di fianco, allungò una mano e sfilò dal pugno dell’uomo quella che doveva essere la bacchetta di Nieve.
« Questa la prendo io, grazie, prego, arrivederci. » Prima che Gazza se ne rendesse conto, Horus condusse Nieve fuori dal ripostiglio (che buon profumo la libertà) e poi, senza voltarsi indietro e abbandonando la presa sulle spalle di lei, rapidamente aggiunse:
« Filiamocela. »
Cominciò a correre, unicamente desideroso di mettere quanti più metri fra loro e quel maledetto sgabuzzino. Avrebbe pensato poi alla sua bacchetta.

❝Anger is one letter short of Danger❞SCHEDA 17 nervous breakdown ▴ code © psìche



CITAZIONE
Le avvolse le braccia attorno alla vita, cingendole così anche le braccia e sollevandola di peso. Indietreggiò di un paio di passi nel tentativo di impedirle qualsiasi rappresaglia contro Gazza che, dal canto suo, balzava all’indietro con fare stupito.

 
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view post Posted on 25/9/2017, 13:38
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entropia.

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Nieve Rigos
Grifondoro | Prefetto | 13 Anni Emma-Swan-once-upon-a-time-32675127-500-266 "Canarine a chi vuoi, nello sgabuzzino son mazzi tuoi"
Le intenzioni di Nieve, nello scatto di furia cieca seguito alla frustrazione e allo spavento dell'ultima mezz'ora, erano a dir poco belluine. Avrebbe caricato Argus Gazza con un'impellenza distruttiva paragonabile - se non superiore - a quella con la quale si era abbattuta sulla porta, dunque, se Horus non fosse prontamente intervenuto a sottrarla alla sua stessa, irrefrenabile mattìa. L'impedimento giunse con la presa salda di due braccia il cui tocco, in una situazione meno frenetica, avrebbe riconosciuto della stessa gentilezza che le avevano riservato ripetutamente nello sgabuzzino. L'avvolsero con decisione, strappandola al proposito rabbioso cui aveva votato la sua intera esistenza e costringendola ad indietreggiare. Il capo di Nieve scattò verso destra sulla scia del suono prodotto dalla voce del Caposcuola, sfiorando la mascella squadrata del ragazzo con la punta del naso nel breve spazio che intercorreva tra i loro volti. Se gli ammirevoli sforzi in cui si stava profondendo il giovane per toglierli dai guai non fossero bastati a mitigare il furore bellicoso che l'animava, sarebbe stata la vista dei lineamenti di lui a fare il resto. Nella sequela di voli, schianti e carica di fanteria seguita all'apertura della porta, Nieve non aveva avuto modo di cercare e collocare l'ultimo tassello che era venuto a mancarle con l'ostacolo del buio e che completava il quadro dell'identità dell'altro in maniera piuttosto lusinghiera. Horus era bello da togliere il fiato e lo era di una bellezza come mai ne aveva viste in vita sua. Mentre lo ascoltava raffazzonare un discorso che fosse in grado di toglierli dall'impiccio in cui Nieve li aveva cacciati (involontariamente) entrambi, la Grifondoro percepì con chiarezza il suo corpo invertire direzione e funzionamento e trasformare la rabbia in rapimento. Ora, capiva per quale ragione fosse sulla bocca di tutte le ragazze. Ora, capiva perché Emma chiedesse con insistenza di riferirle quando e se le fosse capitato di avere una ronda notturna con Horus. Ora, vedeva. L'unica cosa di cui non riusciva a capacitarsi aveva a che vedere con se stessa: com'era possibile che, nell'incrociarlo in passato, non avesse registrato un dato di un'evidenza tanto sconcertante? Batté le palpebre, perplessa, giusto in tempo per cogliere l'ultimo stralcio di conversazione. Intruglio confondente, eh?!

«Elfo? Io sono un elfo,» fece e tornò a guardare il custode, assumendo un'espressione istupidita e afferrando la mano che Horus aveva posizionato sulla sua spalla per tirarne il braccio e avvicinarlo a sé. «E lui è il mio calzino. Non mi porterete mai via la libertà. Mai. AAaaAAaaaah!» Liberò la mano di Horus solo per dar vigore al suo stesso proposito, chiudendo le dita di entrambi gli arti in un pugno e facendoli oscillare con finta minacciosità all'indirizzo di Gazza. «En garde!»

Il diversivo di Horus, supportato dalla recita grossolana del Prefetto Grifondoro, ebbe a riuscire e, mentre il ragazzo sfilava la bacchetta di tiglio argentato dalle mani piumate del custode, Nieve colse un'ondata di balsamico sollievo irradiarsi per tutto il corpo, prima di assecondare il saggio proposito del Tassorosso. Scattando nella stessa direzione, si lanciò in una corsa a perdifiato che la diceva lunga sul suo desiderio di mettere quanta più distanza possibile tra se stessa e lo spazio claustrofobico dello stanzino. Non prima, però, di un microscopico, vendicativo accorgimento: senza averne completa percezione o intenzione - era pur sempre sotto gli effetti di una pozione confondente, insomma! -, le dita della mano sinistra avevano stretto le assi salde della porta per richiuderla sul muso orribile di Gazza e riservargli la stessa sorte di prigioniero. Era talmente felice, in quel momento, che avrebbe potuto volare senza bisogno di una scopa o di un incantesimo.

«Nieve è un elfo libero!»

L'urlo sgusciò via dalla bocca mentre, svoltato il primo angolo, si lasciava alle spalle il maledetto corridoio e udiva le grida pigolanti del custode. Rise piano, le gambe intorpidite che reggevano a stento il ritmo loro imposto, e seguì Horus finché lo spazio aperto delle scale non si palesò nella sua cangiante bellezza. Col respiro corto, Nieve si concesse il tempo necessario a riprendere fiato, le mani sulle ginocchia leggermente piegate e le lunghe ciocche d'argento che pendevano ai lati del viso. Fu in quel frangente che i suoi occhi intercettarono il tessuto chiaro del fazzoletto di Horus, stretto ancora tra le sue dita, e finirono per ricercare il grigiore spettrale delle iridi del Tassorosso. Non avrebbe dovuto ridere, in parte ne era consapevole, ma le conseguenze dello scontro che lei e Horus avevano inizialmente ingaggiato stavano tutte lì, sul bel viso di lui, troppo evidenti per essere ignorate. L'insorgere di una risata dirompente le riempì la gabbia toracica e Nieve non poté fare altro che gettare il capo all'indietro e inarcare appena la schiena per assecondare quell'urgenza; infine, si ricompose e decise di raggiungerlo. Il braccio destro, con la stessa, inaspettata intimità che gli aveva usato nell'oscurità dello sgabuzzino, si allungò finché il palmo della mano non si depositò contro la guancia di lui, l'espressione mezzo assorta mezzo colpevole a dominarle i lineamenti, mentre osava carezzare delicatamente col pollice lo zigomo sfregiato di Horus che non aveva perso nulla in bellezza. Gli occhi di Nieve sfiorarono con garbo perfino maggiore l'epidermide lesa, i tratti rosati della voglia e il profilo aristocratico del naso; infine, si depositarono sulle iridi cristalline che avevano davanti.

«Mi spiace,» sussurrò e c'era una nota di mortificazione nella sua voce, come di chi ha rovinato un'opera d'arte e senta tutto il peso dell'errore addosso. Poi, il brillio malizioso tornò a dominare il suo sguardo e le labbra si aprirono in un sorriso più ampio, fino a scoprire i denti chiari e regolari. Scostò la mano dal volto di Horus. «Ma devo dire che le righe ti donano. Ho fatto un buon lavoro, molto simmetrico.»

Ridacchiò, lanciando una rapida occhiata in direzione del corridoio dal quale erano venuti. Non potevano attardarsi ancora a lungo, né procedere nello stesso senso: i rispettivi dormitori erano ubicati in due punti diametralmente opposti del castello. Era, quindi, giunto il tempo di separarsi e una parte di lei avvertì il dispiacere di quella scelta obbligata come non si era aspettata che potesse accadere. Si allungò per afferrare la bacchetta che Horus aveva saggiamente pensato di recuperare e che le apparteneva, sfilandogliela di mano con lentezza quasi che il suo corpo non sapesse decidersi ad ascoltare le sollecitazioni concitate della mente che le intimava di tornarsene in dormitorio. Fu l'eco lontano (ma non troppo) delle urla di un Gazza imprigionato a convincerla, da ultimo. Strizzò un occhio al giovane in segno di intesa e congedo insieme, mordendosi il labbro inferiore con espressione malandrina; poi, lo oltrepassò e salì rapidamente la prima rampa di scale. Ciò che residuava del desiderio di rimanere la spinse a voltarsi un'ultima volta, gli occhi che scorrevano sulla sagoma di spalle del ragazzo.

«Ehi, megafusto!» La sua voce risuonò nella tromba delle scale semiderta, una nota vispa a colorarne l'intonazione. «Me ne pento,» fece, enigmatica, mentre il sorriso sulla bocca tornava a schiudersi, ampio. «Di non essere stata io a pizzicarti le natiche, intendo.» Attese di coglierne la reazione, poi rise e salì un altro gradino ancora, la mano destra stretta attorno alla fidata bacchetta e la sinistra che, inconsapevolmente, reggeva il fazzoletto di lui. «Oh! E, se dovessi avere bisogno di aiuto per recuperare la tua bacchetta, sappi che stasera sono di ronda. Ma niente spazi chiusi!»

L'eco della sua stessa risata l'accompagnò lungo tutto il percorso, sulle scale e fin sulla torre di astronomia.

PS: 115 | PC: 70 | PM: 69 | PE: 7
Giuls || © harrypotter.it



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Grazie per le risate, Buzzi. ♥
 
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