| Alla scrivania, Dorian afferrò il cestino della merenda e si passò la lingua sulle labbra, concentrato. Prese tra le mani una ventina di fogli, ognuno diviso in colonne di scrittura fine e nitida, e li scorse, alla ricerca del compito di Francis. La coltre di nuvole aveva ormai coperto l’orizzonte e nell’aria restava una luce acquosa, biancastra; tra il cielo nero e la terra dello stesso colore la pioggia iniziava a cadere in rilucenti lame argentee. Iniziò a leggere velocemente, interrompendosi ogni tanto per appuntare l’attenzione su un dettaglio che avrebbe voluto ricordare, senza dare bado al borbottare concitato dei bambini. Appena si voltò divenne tutto gioia e affabilità, divertito dalla gustosa lettura: il compito, interamente macchiato d’inchiostro purpureo, sembrava la vestigia di un corpo squartato. «Non abbia timori, Elijah; sono certo che Mrs. Prince vi terrà compagnia con piacere per tutto il tempo necessario.» Rispose a quell’ultima divagazione con voce flautata: le persone catturavano la sua attenzione per qualche minuto, poi, specie se la conversazione languiva, lo annoiavano irrimediabilmente e lui si sbarazzava di loro con un sorriso serico vagamente comprensivo. Così fece anche quella volta, compiacendolo come si fa d’istinto con un cagnolino ben disciplinato. «Che ottima, ottima, idea! Proceda, proceda pure con la collazione: c’è così tanto da imparare e così poco tempo! Ma affinità e differenze – riprese volutamente le sue stesse parole affinché si sentisse veramente protagonista di quel meraviglioso progetto – non bastano. Occorre che vi preoccupiate, da veri filologi, che il testo non vada perduto; se foste così cordiali da copiare ciascuna pergamena almeno un paio di volte mi sentirei più tranquillo.» Era un bravo ragazzino, semplicemente troppo pieno di vigore. Una volta sfogato, sarebbe diventato mite come un agnellino. Mrs. Prince, a tal proposito – una donna anziana, dal volto grifagno, avvizzita, coperta di rughe e insopportabilmente inflessibile – avrebbe saputo educarlo nel modo migliore. «Coraggio, però! Che la notte passa in fretta.» Aggiunse con entusiasmo, felice di aver loro donato una così preziosa occasione di arricchimento. Ma gli occhi di Wolfgang, che aveva taciuto per qualche istante, balzarono su di lui. Parlava così tanto. Belle frasi con una ricca grammatica e un sacco di parole, tutte zucchero e miele. E le avvolgeva come caramello filante in spirali sintattiche che sfidavano il tempo e la probabilità. Dorian, che all’inizio aveva pensato di essere caduto vittima di una simpatica burla, di una golosa facezia, cominciò ad intuire – con una buona dose di sconcerto – che non doveva trovarsi in presenza della pallina più brillante dell’albero di Natale. Quel giorno non aveva ritirato alcun compito e gli studenti, sorpresi, l’avevano ringraziato tirando un sospiro di sollievo. Per un attimo rimase perplesso, poi, capendo che faceva sul serio e che era veramente convinto di aver consegnato l'elaborato, non ebbe cuore di insistere e lo zittì con un cenno affettuoso. «Non si preoccupi, capita a tutti di confondersi. Io stesso, ormai, come mi fa giustamente notare, sono così anziano e smemorato... Aspetto il suo lavoro domattina. Cinque punti in più a Serpeverde le saranno d'incoraggiamento!» Concluse, con una certa amabile dolcezza che poco gli apparteneva. In fin dei conti sapeva distinguere uno sguardo sfuggente, uno sguardo distante, uno sguardo in tralice, uno sguardo avido e uno sincero, e capì che se avesse insistito avrebbe rischiato di mandarlo in confusione ancora di più. D’improvviso si ricordò che Francis, come un imputato sospeso nell’atmosfera del giudizio, lo stava aspettando nella penombra del suo studio, e seguì verso l’uscita. «’Notte ‘notte. Buon lavoro!» si congedò alzando la mano, senza voltarsi. Il braccialetto tintinnante, la camminata compassata e il tono mellifluo della voce trasformarono la pesantezza di quella punizione in velluto.
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