"Lungo la rotta che di pace non ne ha avuta mai"

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view post Posted on 31/12/2021, 16:54
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Friendly reminder che Elizabeth è stata espulsa - sta giusto raccattando le sue cose - e che ha lasciato Azkaban da appena un paio di giorni e probabilmente risente ancora degli effetti dei Dissennatori.



La primavera scozzese era mozzafiato. I suoi compagni - ex compagni - non sapevano cosa si stavano perdendo, chiusi nel castello a ripassare con panico febbrile in vista degli esami di fine anno. Almeno quelli non sarebbero stati più un suo problema, come le aveva fatto notare un Tassorosso un po' impacciato che conosceva di vista, allungandole un pacchetto colmo di biscotti al cioccolato. Elizabeth aveva molto apprezzato il regalo, come potevano testimoniare le briciole ancora sparse sulla sua maglia; meno il tentativo di sdrammatizzare. Si era morsa la lingua, per non rifilargli una rispostaccia, e aveva invece ringraziato a bassa voce: il ragazzo, dopotutto, voleva solo essere gentile e non era poi colpa sua se l'imbarazzo l'aveva reso un po' goffo. Anzi: considerato il mucchio di caccabombe graziosamente impacchettate che altri volenterosi studenti le avevano fatto recapitare, era sinceramente grata per quel gesto sensibile.
Era grata anche per la generosità della madre di Dewayne, che aveva accettato di ospitarla per tutte le cinque settimane che mancavano al processo.
Ed era grata allo sconosciuto Avvomago che, assegnatole d'ufficio, l'aveva tirata fuori da Azkaban, per quanto, andava detto, non le sarebbe dispiaciuto se l'avesse fatto un po' più rapidamente.
Era così che si manifestava, di solito, la gratitudine? Con una gran voglia di spaccare la faccia a chiunque e dare alle fiamme qualsiasi cosa? A cominciare, naturalmente, da Azkaban, che anche ora che ne era lontana si stagliava grigia e soffocante davanti ai suoi occhi e popolava, notte e giorno, i suoi incubi. E proseguendo, questo era certo, con il castello che davanti ai suoi occhi lo era davvero, in quel momento, con le sue ali sconnesse e le torri e le finestre gotiche, che tanto lei vedeva già in macerie: le macerie di ciò che la sua vita era stata fino a quel momento, le macerie della vita che si aspettava di avere in seguito. Macerie del passato, del presente, del futuro, dell'anima stessa della strega che ancora una volta veniva sbattuta in malo modo fuori dal suo mondo, proprio quando cominciava a credere di essere vicina a trovarvi il suo posto. Macerie, chissà, magari di una carriera da giocatrice professionista o da pilota di gare ufficiali, o forse di quella meno ricca di emozioni ma altrettanto gratificante di maestra di volo. Macerie di una casa, una casa vera, sua, di cui non aveva fatto in tempo nemmeno a sognare i dettagli prima che svanisse come fumo tra le dita, ma dove nessuno avrebbe potuto picchiarla o torturarla, e tanto bastava.
La sua vita era come gli antichi palazzi scozzesi: un mucchietto di sassi nella brughiera, senza più altro scopo che far inciampare i viandanti più incauti.
E non era, del resto, proprio la brughiera l'unico luogo in cui mai si fosse sentita a suo agio? L'unico che il suo cuore aveva accettato come casa?
"Più rimani qui, più lo spirito della brughiera, il suo sconfinato, feroce incanto, filtra nella tua anima": gliel'aveva detto, non senza una certa solennità, la nonna dei gemelli, un pomeriggio in cui aveva trovato Elizabeth da sola in cucina, pietrificata davanti alla finestra con in mano un bicchiere d'acqua ormai dimenticato e gli occhi fissi sulla distesa di felci ed erica.
Curiosamente era, anche allora, primavera e ad attirare con tanta potenza l'attenzione della giovane strega era stato il modo in cui la luce del tramonto sembrava tirar fuori a quella terra l'essenza stessa di tutti i suoi colori - i verdi e i viola e i porpora - e lasciarli lì, ammantati appena di una sfumatura d'oro, esposti alla vista di chiunque fosse tanto fortunato da posarvi lo sguardo. Era il cuore caldo e pulsante della brughiera, che l'aveva rapita allora e che ora le si mostrava all'apice del suo splendore per chiamarla a sé e insieme dirle addio.
Elizabeth sentì acutamente che non poteva lasciare quella terra, ma nemmeno poteva restarvi: e il suo di cuore, umanamente fragile e già provato, si spaccò a metà.




Note:
La citazione che ho piazzato in bocca all'ignara nonnina scozzese è una mia libera traduzione di questa:
The longer one stays here the more does the spirit of the moor sink into one’s soul, its vastness, and also its grim charm.
Arthur Conan Doyle, The hound of the Baskervilles

Ecco qua Nieve, la pressione in chat evidentemente ha funzionato :look:
 
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view post Posted on 9/10/2022, 20:52
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NEVER

Un'occhiata all'orologio confermò che la fine del suo turno era ormai imminente: se non fosse entrato nessuno, forse Elizabeth sarebbe riuscita a finire di compilare il registro della giornata e ad andarsene in orario, per una volta.
Un discreto tossicchiare la distrasse dalle colonne di cifre. Si voltò lentamente a incrociare lo sguardo di Mr. Morgan, il proprietario del negozio, che la guardava sornione dall'altra parte del bancone. Sguardo brillante, l'ampio sorriso di chi ha appena avuto un'ottima idea, mento appoggiato alle mani e gomiti sul bancone. Nel complesso, probabilmente pessime notizie per Elizabeth. La strega sospirò, appoggiò la piuma sul registro e si girò del tutto verso il suo fantasioso capo, continuando nel contempo a ripetersi mentalmente l'ultimo numero raggiunto per non dover, poi, perdere una montagna di tempo a ritrovare il filo dei conti.
«Caterina» esordì Mr. Morgan, sbagliando come al solito il nome di quella che, più che una dipendente, era ormai la sua vice e riuscendo chissà come a mantenere un sorriso a trentadue denti anche mentre parlava. «Ho splendide notizie!»
Eccallà. Di cosa si sarebbe trattato questa volta? In quale spinosa situazione l'avrebbe cacciata? Se la sarebbe cavata con qualche graffio superficiale o sarebbe finita di nuovo al San Mungo?
Elizabeth sospirò di nuovo e sorrise, rassegnata alla sua sorte ma, in fondo, anche genuinamente curiosa: «Sono tutta orecchie».
«Prima delle orecchie, temo, ti serviranno gli occhi» fu la sibillina risposta. Mr. Morgan cacciò con gesto plateale da una tasca del cappotto una pergamena piegata in quattro e la fece scivolare in punta di dita sul bancone, verso la strega.
Perplessa e sospettosa, Elizabeth aprì il foglio. “Torneo Crownspoon per la Collaborazione tra Studenti di Talento e Adulti Volenterosi” recitava l'intestazione. La strega rialzò lo sguardo verso il principale, con un sopracciglio eloquentemente inarcato.
Mr. Morgan annuì, sorridente ed eccitato come non mai. «Non è meraviglioso? Naturalmente questa non è che una bozza, ce l'ho da settimane – sai che ho i miei canali – e non sai che fatica è stata non parlartene subito. Finalmente oggi è il giorno dell'annuncio ufficiale e suppongo tra breve sarai convocata come corrispondente sportiva, ma ci tenevo a dirtelo io! Continua, continua!»
Merlino, prometteva malissimo. Elizabeth continuò a leggere: “Tutti i proventi, nonché il premio monetario finale, saranno devoluti in beneficienza all'Ospedale Magico San Mungo”.
Quantomeno era una buona azione.
“Un'occasione per gli studenti di conoscere da vicino il misterioso mondo degli adulti e per maghi e streghe già grandicelli la possibilità di tornare tra le mura di Hogwarts, custodi di tanti deliziosi ricordi d'adolescenza.”
Mise giù il foglio, pallida in volto. «No» asserì brusca.
Il sorriso di Mr. Morgan si affievolì appena. «Ma come? È una così bella iniziativa. Hai sempre detto di essere stata un po' sciocca da studentessa, passami il termine cara, del resto sono parole tue, a non voler entrare nella squadra della tua Casata. Questa è l'occasione di rifarti! Se è il negozio a preoccuparti, naturalmente avrai tutti i giorni di permesso che serviranno, chiuderemo se necessario: che non si dica che il mio negozio non supporta i giovani giocatori!»
«Signor Morgan, no, non è questo il punto. Non desidero tornare a Hogwarts, ho la mia vita, ho molti impegni e non mi interessa socializzare con un manipolo di adolescenti.»
Se fosse stata lucida, non avrebbe mai parlato in modo così rude all'uomo che le aveva dato una possibilità quando aveva ventitre anni e nessuna prospettiva. Ma lucida, in quel momento, non lo era di certo: la mascella contratta denunciava lo sforzo di trattenere parole anche più sferzanti, le mani le tremavano e le gambe fremevano, bisognose di muoversi, di portarla da qualche parte lontano da quella conversazione.
«Io non capisco, pensavo saresti stata contenta. Tutto ciò mi sembra oltremodo infantile e credo che-»
«Signor Morgan, ho detto di no, fine del discorso.» sbottò la strega.
Colin Morgan non sorrideva più. Rattristato – lo si capiva facilmente da come tutte le rughe del suo volto, improvvisamente, tendevano all'ingiù – allungò una mano a riprendere la pergamena e lentamente, a passi pesanti, si diresse verso il proprio ufficio.
Solo alla fine, nell'atto di chiudersi la porta alle spalle, si voltò e guardò per un momento Elizabeth negli occhi: «Di qualunque cosa si tratti, Lindsey cara, devi affrontare i tuoi mostri».
La strega, rimasta sola, scosse la testa, come a scacciare dai propri pensieri quanto accaduto, e con uno sbuffo riprese in mano la piuma.
Aveva perso il conto.


~ ~ ~.


Due giorni e non riusciva a smettere di pensarci. Si era persino ubriacata, la sera prima, nel tentativo di annegare quel chiodo fisso che non voleva abbandonarla.
Aveva finito per annegare lei, nei pensieri e nei ricordi, e si era risvegliata in pieno giorno nel bel mezzo della brughiera scozzese, con un cerchio dolorosissimo alla testa e la bocca impastata. Non le piaceva affatto il modo in cui le reazioni del suo corpo erano cambiate dopo i venticinque anni.
Controllò di avere ancora addosso la bacchetta e si guardò intorno in cerca di un punto di riferimento; non trovandone, si incamminò verso quello che reputava essere l'est. Non la preoccupava il trovarsi in qualche punto indefinito della brughiera, del resto conosceva quella distesa erbosa quasi palmo a palmo e prima o poi sarebbe incappata in un punto di riferimento utile a definire con più esattezza la propria posizione. Troppo lontana dall'abitato non poteva essere se si era mossa a piedi, cosa di cui era piuttosto certa: se si fosse Smaterializzata, nelle condizioni in cui era, come minimo avrebbe lasciato indietro qualche pezzo.
Ad ogni modo, non vedeva la Foresta in nessuna direzione, pertanto si trovava sicuramente a ovest del villaggio e muoversi verso est rimaneva un'ottima idea.
Camminava da forse una ventina di minuti quando riconobbe le rovine di un vecchio muro. Era quel che rimaneva di un cottage, abbandonato chissà quando, di cui tra l'erba si poteva ancora distinguere non solo la parete esterna ma anche il focolare. Per chi, come Elizabeth, conosceva la brughiera, quel mucchietto di sassi era inconfondibile. Sapeva dov'era.
E, per le mutande bucate di Merlino, era l'ultimo posto dove avrebbe voluto trovarsi.
Frugò nelle tasche della giacca in cerca delle sigarette – chissà dove diavolo le aveva cacciate – e si ritrovò in mano un foglio di pergamena ripiegato più volte. Sospettosa, lo aprì: “Torneo Crownspoon per la Collaborazione...”.
Accidenti al vecchio e alla sua testaccia dura.
Con la pergamena stretta in mano riprese a camminare. Solo qualche centinaio di metri in lieve pendenza, ed eccola lì: la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. O perlomeno, un suo piccolo scorcio.
Il castello che aveva popolato i suoi sogni e i suoi incubi, il castello che dopo quasi dieci anni ancora, per lei, rappresentava un mucchio di macerie: quelle della vita passata che aveva perso e della vita futura che non aveva mai avuto.
Certo, dopotutto se l'era cavata, poteva dirsi soddisfatta della sua vita, della sua carriera, anche senza una pergamena con su scritto M.A.G.O. appesa al muro, e in ogni caso nessun rimorso, come aveva giurato a se stessa qualche anno prima.
Qualche rimpianto, però, sì: non riusciva a impedirselo, e Merlino sapeva quanto ci avesse provato.
Rimpianto per la giovinezza serena che non aveva mai avuto.
Rimpianto per i sogni che non aveva potuto coltivare.
Rimpianto per gli anni trascorsi in fuga, nemmeno lei sapeva da che cosa.
Rimpianto per i mostri che non aveva provato a sconfiggere.
Di qualunque cosa si tratti, devi affrontare i tuoi mostri.
Eccolo là, uno dei suoi molti mostri: una fiera invincibile acquattata sulla collina, con le sue ali e le guglie e le finestre gotiche. L'ultima volta che le si era avvicinata cercava una casa, un rifugio, un nido sicuro. Era andata a sbattere su una corazza d'acciaio e poi aveva preso la rincorsa e ci era andata a sbattere ancora, e ancora, e ancora.
Uno scontro lungo anni, da cui era uscita ammaccata e con la bocca e le mani piene di polvere.
Nella sua testa già dolorante le voci si accavallavano una sull'altra: quella dell'undicenne ferita eppure piena di speranza; quella della quattordicenne arrabbiata ed impotente; quella della diciassettenne già stanca di tentare.
Erano tutte parte di lei, lo sarebbero sempre state.
Ma, forse, era giunto il momento di crescere, di guardare sotto il letto e scoprire se il mostro faceva ancora così paura.

 
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