▵18▵ Headboy ▵ Evening L’unica nota stonata di quel quadretto che minava la sua convinzione che fossero lì per un accordo fra Casate e futuri Capocasa era la mancanza di Corvonero.
L’aveva notato nel dettaglio della missiva mandata da Peverell una settimana prima e durante le sue elucubrazioni rimaneva quella macchietta scura nella sua più che limpida ipotesi. Quando però Daddy e Megan avevano fatto il loro ingresso, seguiti (con profondo disgusto di Horus) dalla Morgernstern, quel dubbio svanì e si sciolse come neve al sole ancor prima che Peverell prendesse parola. Li salutò solo con un cenno, l’espressione indurita dalla visione di Astaroth, abbandonando la tazza ormai vuota sul vassoio che galleggiava a raccattare i compagni che avevano adempiuto al loro dovere. Lei camminava suadente, sinuosa, posizionandosi di fianco i colleghi con le belle labbra piene e il vezzoso corpo fasciato in casto, ma terribilmente sensuale, abito rosso. I morbidi capelli castani le ricadevano sulle spalle, i grandi e felini occhi verdi che ammiccavano alla luce morente del sole; era indubbiamente una donna bellissima, ma era velenosa e questo Horus non riuscì a toglierselo dalla mente. La seguì mentre sussurrava all’orecchio del professor Midnight e non si rese conto dell’espressione gelida che il suo viso aveva assunto.
Si costrinse a distogliere lo sguardo da lei, mentre la voce del Preside giungeva per un istante lontana ed ovattata. Ricordava perfettamente quando aveva fatto il suo ingresso —in ritardo— nell’aula di Divinazione e aveva trovato Astaroth seduta comodamente sulla poltrona di perline. Si era immobilizzato a metà della botola, sbattendo gli occhi e sibilando un poco lusinghiero: “Lei?” che aveva attirato lo sguardo di tutti i suoi compagni. Poi, in silenzio, si era diretto al proprio posto, sentendo gli intestini rivoltarglisi nella pancia. Non era più riuscito a guardarla per tutta la durata della lezione, perché ogni volta che le sue iridi si posavano anche solo vagamente sulla figura della docente, la mente gli riportava alla memoria l’increscioso incontro ai Tre Manici e il modo in cui quella che per lui era la barista —che ora aveva un nome e persino un impiego di rilievo— si era avvinghiata ad Urania, decretando imbarazzo, dispiacere e tutto un insieme di sentimenti rancorosi che ancora Horus si portava dietro.
Col tempo, aveva cominciato ad evitare Divinazione, una materia che già di per sé sopportava molto poco. La sola vista di Astaroth gli procurava crampi allo stomaco ed un fastidio così intenso che nemmeno Eugene, ai tempi d’oro, era riuscito ad eguagliare… forse. Provava antipatia per lei e per quanto futile ed infantile, Horus non riusciva ad ammettere che forse non avrebbe dovuto.
Quando il suo nome fu pronunciato dalle labbra sottili del Preside, il Caposcuola batté le palpebre un paio di volte e tornò a guardare l’anziano.
Accantonata Astaroth, il Tassino ebbe così conferma delle sue teorie, ma non riuscì a frenare il sorriso scettico nel sentir nominare Hogwarts: “fortezza”. Una volta forse, si disse con amarezza, mentre incrociava le braccia dietro la schiena con fare marziale. Quand’era piccolo, sua madre e suo padre gli narravano di come niente di più sicuro esistesse nel Regno Unito come la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Ma le mura del Castello erano state violate così tante volte durante la sua permanenza che ormai Horus non riusciva più a credere che esistesse davvero, quel luogo sicuro. Si morse l’interno della guancia, cercando di frenare la domanda che impellente gli risaliva in gola come un venefico ragno. Guardò allora i candidati, i futuri Capocasa, chiedendosi se Peverell avesse già deciso a chi affidare le Casate.
*Non lei, ti prego, non Astaroth.* Si ritrovò ad implorare, serrando la mascella ed osservando il bel viso del professore di Difesa.
Dorian Midnight aveva una nomea terribile: tanto bello, quanto crudele con la piuma, spaventava tre quarti della Scuola con la sua severità. Ad onor del vero, però, le lezioni di Dorian, dettagliate ed accurate, nascondevano una verve ed una passione che il professore riusciva ad esprimere anche solo parlando. Lo vedeva in Tassorosso? Decisamente no. Passò allora lo sguardo al professore di Trasfigurazione, Channing, finora rimasto in silenzio; si ricordava di lui nel suo primo anno di Scuola. Christopher era all’ultimo anno, giocava come Battitore nella Squadra e l’unica interazione avuta con lui era avvenuta proprio nel Quidditch. Faceva strano vederlo dietro una cattedra: forse la sua passata appartenenza a Tassorosso poteva aver spinto Peverell a mandarlo a capo della loro Casata? Onestamente, pensò Horus, non riusciva a vedere quel ragazzo sportivo e spesso alle prese con le fan sfegatate, alla guida della sua Casata. In fondo, dopo tutti quegli anni senza un Capocasa, Tassorosso gli era diventata ancora più cara e il suo ruolo di Caposcuola spesso aveva richiesto più responsabilità di quanto ne avesse previste inizialmente. Mentre Dorian parlava e la sua voce calda sottolineava e faceva presagire in un’intenzione all’istruzione ancora più radicata, il suo sguardo sfiorò il viso di Nieve e la battuta precedentemente scivolata fra di loro gli incurvò un angolo della bocca per un breve istante. Ancora una volta, evitò lo sguardo di Astaroth, ma sentiva crescere un sempre più frustrante senso di rivalsa, una voglia di confronto che faceva fatica ad acquietare. Sapeva che se l’avesse guardata o avesse incrociato il suo sguardo, l’avrebbe fermata, una volta usciti da lì. E fortunatamente non furono le iridi smeraldine della docente di Divinazione quelle che inquadrò, ma i limpidi e cristallini occhi azzurri di Atena. Horus ricambiò lo sguardo penetrante che lei rivolse a lui ed Amber ed una scintilla di speranza si accese nel suo petto. Era forse lei, la loro Capocasa? Poteva davvero essere Atena? Il solo pensiero lo rese felice: dopo l’evento dell’Equinozio, il suo rispetto per la docente era aumentato e ancora lo solleticava l’idea di bussare alla porta del suo ufficio, per poter parlare, con lei, di tutto quello che gli passava nella testa su quella magica serata. Ma con quale criterio era stato scelto il Capocasa?
Fu Nieve a porre la domanda e il suo pragmatismo e la sua spontaneità furono un toccasana. Forse fu proprio quello a spingere Horus a liberare infine quel ragno che si era arrampicato nella sua gola. Si voltò verso Peverell, respirando piano, il viso trasformato in una maschera impassibile. Per quanto ben ammortizzato dal discorso d’intorno, il Preside era stato piuttosto chiaro su quale era il loro obiettivo: indagare. Nel Castello si nascondevano forse decine di elementi che avrebbero potuto minare la stabilità della Scuola ed i collegamenti con il Signore Oscuro erano così tanti, che Horus sapeva perfettamente che uno era lì, in quella stanza. Si trattenne dal guardare Emily, mentre il Galeone dell’ES —che portava sempre nella tasca— sembrava assumere un peso più importante.
« Nessuna obiezione, signore, ma ho una domanda. Ci fu un Capocasa, qualche tempo fa, che ora è conosciuto come il principale ricercato del Mondo Magico. » Non aveva bisogno di troppi preamboli, ma quel pensiero premeva con così tanta arroganza, che non riuscì minimamente ad architettare alcun escamotage socialmente accettabile per quella verità scomoda. « Sto parlando di Raven Shinretsu. » Tacque un istante, scrutando un’eventuale reazione del Preside. « A volte chi è incaricato di proteggere le vittime si rivela essere il carnefice più spietato. Ognuno di noi potrebbe nascondere qualcosa, ma, con tutto il rispetto Preside, cosa le dà l’assicurazione che la scelta di apporre nuovamente un Capocasa alla guida delle Casate, possa rendere nuovamente sicura una Scuola che, se mi permettete, dopo il recente avvenimento è forse più fragile di prima? Se la sente di affermare che non è solo una parvenza e se la sente di garantire, per i signori qui presenti? » Horus si premurò di adottare un tono umile, ma deciso, scegliendo con cura le parole affinché non si mostrasse arrogante. Tuttavia, aveva parlato guidato, sì, da spavalderia e genuina sincerità, ma l’aveva fatto anche in virtù di ciò che aveva visto ai GUFO di Swan e alla Battaglia d’Ottobre. « Ho guidato Tassorosso per sei anni, tre quarti della mia carriera scolastica. Devo garantire, ai miei Concasati, che il Preside, ed i suoi docenti, questa volta non ci abbandoneranno. » Fu duro il riferimento alla Bennet, un colpo che Horus aveva abbozzato con forse più strascichi del previsto. Persino Camille aveva tentennato e le era sembrata più stanca di quanto l’avesse mai vista prima. Alzò appena il mento, gli occhi ostinatamente puntati in quelli dell’anziano professore. Sapeva di aver osato, sapeva di avere su di sé degli sguardi, sapeva persino di aver potuto scatenare del malcontento (aveva del resto insinuato che tutti loro covassero qualcosa), ma sentiva di dover fare quella domanda.
Per sé, per Amber che era al suo fianco, per Eloise, Niahndra, Elhena, per tutti coloro che avevano combattuto ai GUFO, che erano rimasti feriti nel corpo e nello spirito e per quei Tassorosso che da sempre avevano cercato il suo aiuto e sostegno; e per quella spilla che, appuntata fiera al petto, l’aveva trasformato in una persona che forse era persino fiero d’essere, al di là di tutto.
Horus R. Sekhmeth ▵ [ sheet ] ▵ Let’s lay down our masks, and be true. [ code by psiche ]
NB: Horus è in piedi, non seduto.