| ▵18▵ Headboy ▵ Evening Uno dopo l’altro i suoi colleghi ed i Prefetti seguirono la scia dei suoi dubbi. Era chiaro a tutti, ormai, che quel sentimento di timore e titubanza non era un fuoco di paglia, ma esisteva stratificato in ogni individuo ed in ogni Casata. Osservò Emily e Daddy prendere parola, seguiti dai loro Prefetti e guardò Oliver, stranamente silenzioso. Sembrava indifferente alla tempesta che si addensava sopra le loro teste, ma non vi badò. Piuttosto, rimase sorpreso dalla diretta domanda di Ly e dalla proposta di Daddy. Non era questo ciò che gli premeva comunicare, ma quando la voce di Astaroth si insinuò nei loro discorsi, un sorriso mellifluo ad incurvarle le labbra carnose, Horus si trattenne dal guardarla. Sapeva che non avrebbe potuto nascondere lo scetticismo che animava il suo sguardo ad ogni parola che lei pronunciava. Ad un certo punto, gli venne persino da ridere: un riso isterico, malevolo che frenò a forza. Chi diamine credeva di essere quella barista? Non gli importavano le sue competenze —quanto poteva importare una materia sibillina e fraudolenta come la Divinazione?—, né gli interessava il suo punto di vista. Astaroth non era che una delle tante ed ognuno dei presenti non poteva vantare, nell’insegnamento in quella Scuola, una presenza più lunga di due anni. Era ridicolo come Astaroth si sentisse punta nel vivo e scoccandole appena un’occhiata indifferente, l’ombra di un sorriso generò una fossetta sulla sua guancia sinistra. Poveretta, pensò, mentre la guardava atteggiarsi: sembrava così affamata di rispetto da dimenticare che dentro quella scuola non erano rimasti poi così tanti pesci. Credeva davvero di essere speciale? Horus passò velocemente in rassegna i volti dei docenti: rimanevano fuori dall’appello Cedric Black e Sirius White. Per quanto non conoscesse Black al di fuori della Scuola, di White era sicuro di una cosa: non avrebbe protetto nessuno. Del resto, tre quarti dell’attacco a Dulwich lo aveva passato svenuto su un marciapiede. Horus non poteva biasimarsi nel pensare che non avrebbe affidato a Sirius neanche lo sgabuzzino delle scope. La rabbia ed il rancore che aveva provato in tutti quegli anni, allora, cominciò a fare capolino, affacciandosi come una bestia dalle profondità degli abissi della sua coscienza. Trattieniti, pensò, e socchiuse gli occhi, deciso a non rispondere alla provocazione della Morgenstern. Così quando Peverell prese parola, il Caposcuola ruotò leggermente il corpo nella sua direzione, guardandolo ostinatamente in volto. Con decisione, ma con il garbo che lo contraddistingueva, il Preside chiarì ogni dubbio e fugò ogni sospetto. Horus non pretendeva l’assicurazione totale e, anzi, a dispetto del suo discorso, sapeva che Peverell aveva, in un certo senso, le mani legate. Non poteva fare altrimenti. Perciò era più che intenzionato a chinare il capo in un muto cenno d’assenso ed accettare la sua parola. In fondo, era questo che necessitava: che qualcuno ci mettesse la faccia. Non voleva armare nessuno —l’Esercito degli Studenti non esisteva forse per quello?—, né voleva affidarsi al Ministero. Voleva solo un’assicurazione e l’aveva avuta… finché Dorian Midnight non prese parola. Horus si voltò molto lentamente verso di lui, con una flemma quasi teatrale. La voce di Dorian, calda, morbida e decisa era imperlata di fiele e stillava superbia e giudizio da ogni parola. Quella boria, quella sicurezza fintamente paterna di cui il professore si ammantava gli procurò un’ilarità forse maggiore di quella generata da Astaroth. Ad eccezione di Atena e Christopher, decisi, ma umili, trovava la Morgenstern e Midnight semplicemente ridicoli. Horus era sempre stato un ragazzo ligio al dovere e alle gerarchie: la sua natura ribelle si esprimeva in tanti altri modi, ma negli ultimi anni a quella parte (e soprattutto dopo essere diventato un Animagus), dogmi ed imposizioni cominciavano ad andargli stretti. Si rese conto in quel momento di come il suo ruolo lo costringesse in una spirale dorata che ad ogni respiro si chiudeva sulla sua cassa toracica come un serpente. Era stanco di tacere, ed era stanco di obbedire, così come era stanco di subire e vedere la Morte sfiorare chi amava. Lui aveva voce in capitolo e non lui, ma anche Daddy, Emily, Amber, Mike, Megan, Oliver, Nieve: tutti loro avevano voce in capitolo e nessun ruolo poteva permettersi di chiuder loro la bocca. Avrebbe volentieri soprasseduto in un’altra situazione, ma non in quella. Si schiarì la voce, avanzando di un solo passo, la postura eretta, perfetta. Le mani, ancora incrociate dietro la schiena, sottolineavano la marzialità di quella posizione che Horus non sciolse nemmeno per un istante. Il viso, statuario, non era incrinato dalla minima espressione e neutrale sottolineava il profilo fiero del ragazzo. Sostenne allora il profondo sguardo di Dorian e tutto scivolò via. Era l’Istinto che avrebbe parlato, lo sapeva già. « Danielle Evans. Alisea Halliwell. Micheal Mayers. Sarah Steven. » Esordì con dei nomi, che a molti di loro non avrebbero comunicato niente, ma che per lui rappresentavano una croce che da anni lo perseguitava ancora. « Sono solo alcuni dei nomi di coloro che sono morti nella Battaglia di Ottobre, un’ecatombe che tutti conosciamo bene e che tristemente mi riporta ai fatti recentemente accaduti.» Si riferiva, ovviamente, ai G.U.F.O. di Swan. « Li ho conosciuti tutti, dal primo all’ultimo, ed erano dei Tassorosso. Quando la Battaglia si è conclusa ed io mi sono risvegliato al San Mungo, uno ad uno i loro genitori sono venuti nella mia stanza. Alcuni hanno pianto, altri mi hanno gridato contro. Ero solo un Prefetto, un ragazzino molto più piccolo di tutti quanti, ma i loro genitori sono venuti da me, perché non c’era nessun Capocasa, non c’era nessun insegnante pronto ad assumersi le sue responsabilità. Ed io sono rimasto in silenzio, ad ascoltare, a comprendere, a capire che non potevo biasimarli per essere lì. All’inizio mi ero arrabbiato: avevo rischiato di morire anche io, e così i miei amici, che altro potevo fare? Ero un Prefetto, non un Auror, né un insegnante. Ma poi ho capito: anche se ero più piccolo, anche se ho combattuto per proteggere altri studenti bloccati dalle Passaporte non funzionanti, tutti loro erano mia responsabilità per via della spilla che portavo al petto; una spilla molto simile a quella che ora è appuntata alla mia camicia. » Rimase in silenzio, prendendo fiato; i ricordi di Aster cominciarono a gravitare nella sua mente come satelliti distorti ed artificiosi. Il sangue, l’odore di bruciato, le viscere sparse sull’addome, le ferite, le grida. « Ho chiesto al Preside di darmi la sua parola non perché non ho fiducia in voi o non veda le vostre qualità, né perché non mi fido del professor Peverell. L’ho fatto perché volevo un’assicurazione, volevo che tutti voi foste presenti e consapevoli. Perché qualunque cosa accada, a quei genitori, parenti, amici, io darò ogni vostro singolo nome. » Passò in rassegna prima Dorian, poi Astaroth e si soffermò poi su Christopher ed Atena. « Qui non si tratta di eleggersi dittatori, né si tratta di dimostrare doti o conoscenze che gli altri non hanno. Si tratta di prendersi delle responsabilità e assicurare a tutti noi che farete di tutto e non scapperete come sono scappati coloro prima di voi. Non potete biasimarci se ci sentiamo insicuri, se abbiamo paura, se siamo forse fragili e se chiediamo al nostro Preside la sua parola anche solo per rassicurare noi, i nostri cari, i nostri amici, i nostri studenti. » Ancora una pausa e gli occhi che tornavano velocemente al volto cesellato di Dorian. La sua voce non si discostava poi molto dai toni finora usati da tutti: accondiscendente, pacata, profonda, gestiva con maestria il discorso senza lasciar trapelare la rabbia che, invece, scuoteva il suo animo. « Dov’erano tutti quando le mura cadevano? Dov’erano quando Voldemort ed i suoi seguaci... » Pronunciò il nome del Signore Oscuro senza tentennamenti, con la sfida a scivolare sinuosa sulla punta della sua lingua. Non avrebbe ceduto.« ...Sono penetrati nella Scuola? Quando centinaia sono rimasti feriti, altri dispersi? Perdonatemi, signori, se vi sembro arrogante. Ognuno ha vissuto i suoi orrori, sono sicuro che anche voi avete vissuto i vostri come io ho vissuto i miei. Non è una gara, ma a conti fatti, in passato e nell’immediato abbandono di Persefone, poco prima della nomina del nostro attuale e stimato Preside, non ero rimasto che io a rassicurare i genitori dei miei Tassini. E se ho detto loro che Hogwarts sarebbe tornata il porto sicuro di un tempo, che avrei fatto di tutto per proteggere i miei concasati, è perché ci credo. » Il sorriso svanì, lasciando il posto ad un’espressione di cruda freddezza; il disprezzo, abilmente celato nel tono di voce pacato e controllato, non era percepibile, ma dentro il suo corpo serpeggiava come veleno. Quell’astio, quel rancore che sentiva di provare, riguardava non solo chi aveva davanti —sconosciuti—, ma anche se stesso. Era stato debole, incapace, ma ora non più e mai si era sentito padrone di se stesso come in quel momento. Si sentiva cambiato, rinnovato, quasi rinvigorito dalle parole sprezzanti di Dorian, come se non avesse atteso altro: sapeva cosa fare e in fondo non aveva che da ringraziare il professore di Difesa. Misurato, Horus camminava sul sentiero della sua Ragione con sorprendente equilibrio: non sarebbe caduto, per quanto forte Dorian, o chi per lui, avessero tentato di minare la sua stabilità e la sua integrità. Sapeva perfettamente, del resto, a chi doveva fiducia. « Non sono qui a sindacare la scelta del Preside, sono qui a chiedere una sicurezza. Non è ostentare il proprio ruolo o la propria sovranità che riusciremo a risollevare questa Scuola e vi assicuro, professore, che non è screditarvi ciò che è nei miei interessi. Credo che partire dicendo che non abbiamo voce in capitolo, sia il primo errore; dare per scontato che non sappiamo cosa stiamo dicendo, con tutta onestà, credo sia cominciare a mettere un muro che non dovrebbe esserci. È collaborando e guadagnandoci la fiducia l’un dell’altro che il muro si costruisce, non tra di noi, ma contro ciò che c’è fuori. Sono sicuro che sa di cosa sto parlando, professor Midnight. » Un sorriso fugace, di pura circostanza: era sicuro che no, non sapesse minimamente di cosa stesse parlando. « Per quel che riguarda me, se vi ho mancato di rispetto, me ne dispiaccio e mi scuso; ma se l’offesa è la prima cosa che balza alla mente, quando tutti noi siamo responsabili, in misura più o meno maggiore, allora, con tutto il rispetto, le priorità andrebbero riviste. In ogni caso, sono pronto, per l’appunto, a prendermi le mie, di responsabilità. » Indugiò un ultimo momento sull’insegnante. Infine, si volse verso Peverell. « Qualunque punizione pensiate io mi possa meritare per aver espresso un mio pensiero, signore, sono pronto ad accettarla. Ma la prego di non credere che io stia dubitando delle sue scelte, mi fido di lei, dopo tutti gli anni in cui è stato nostro Capocasa nonché Preside. Ciò di cui avevo solo bisogno era la sua parola, l’ho avuta e mi basta.» Solo allora, definitivamente, tacque. Sostenne ancora per qualche secondo lo sguardo del Preside ed infine tornò indietro di quel passo, riprendendo posto vicino ad Amber; nel farlo, fu tentato di afferrare la mano di Emily, di fianco a lui, ma non lo fece. L’avrebbe cercata dopo, di ritorno dal volo, per affondare il viso nel suo grembo, lasciando che le sue dita gli carezzassero i capelli per sentirsi rassicurato, anche solo per una notte. Quindi rivolse un breve cenno verso Atena; era felice di quella scelta, molto più di quanto avesse dato a vedere, ma non riuscì a palesarlo, nonostante il rassicurante tocco di Amber al momento dell’annuncio. Placido come l’oceano in superficie, dentro di lui le acque si agitavano in tempesta, una bufera di sentimenti che si accalcava come correnti contrarie. Le avrebbe chiesto finalmente quel colloquio, e allora le avrebbe spiegato: forse fra tutti quei volti nuovi, Atena era l’unica verso cui nutriva un’istintiva fiducia. Lei non li avrebbe mai traditi, e anche se era un pensiero irrazionale basato sul nulla, Horus lo sapeva in fondo al cuore. Ora l’unica cosa che voleva fare era abbandonare quell’ufficio, lanciare la spilla da qualche parte e volare via, lontano, sfiorando con le ali le cime degli alberi della Foresta Proibita, dove nessuno avrebbe potuto impedirgli di gridare.
Horus R. Sekhmeth ▵ [ sheet ] ▵ Let’s lay down our masks, and be true. [ code by psiche ] Diddini, Rothini, vi voglio super benissimo lo sapete!
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