Χείρων

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view post Posted on 9/9/2019, 22:39
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Il Fato

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In fin dei conti che qualcosa di molto strano avesse preso piede da ormai lunghi minuti, forse un giro di clessidra, era manifesto. Tutta quella Storia era semplicemente frutto del caso, tale sarebbe rimasta, con quale valenza sugli ulteriori addentellati che lo stesso caso avrebbe infingardamente scomodato? Cos’era possibile vedere o intravedere dietro il più banale dei gesti? Quale verità si celava dietro la più sconcertante delle ovvietà? Ma a quel punto cosa poteva essere erroneamente visto, o forse meglio supposto tale, dietro alla più quotidiana delle azioni? Sdoganato il primo caso, la via della perdizione sarebbe risultata di volta in volta sempre più agevole. Ogni difficoltà sarebbe andata scolorendo. Cosa sarebbe rimasto? Un pazzo armato d’ascia poteva nascondersi dietro ogni porta, se anche si fosse visto che sarebbe successo, cos’avrebbe implicato quell’innocente informazione? Quali perversi effetti avrebbe continuato ad avere sino a che per caso o per il Caso fosse accaduta? Gli irti pendii del monte potevano essere visti quale metafora di quello che sarebbe continuato a essere un pericoloso sentiero, sulla lama di un coltello, in cui conseguentemente la più impercettibile delle deviazioni avrebbe significato un disastroso fallimento? Eppure erano ancora lì, sulla terra, in un’epoca differente da quanto sarebbe continuata a essere per il giovane Grifondoro, ma di cui nel corso del tempo aveva comunque maturato una tiepida conoscenza. In più rispetto al solito si sarebbe potuto apprezzare la netta agevolezza che era andata via via concretizzandosi. Superato il primo contatto, il resto per quanto in salita era poi effettivamente in discesa. Era davvero così?

A volte la migliore delle decisioni possibili è la negazione stessa della sua natura. In determinati contesti, spesso nella gran parte dei casi per un Veggente, non agire è il meglio che possa fare. La scelta consapevole più sofferta, più difficile, ma che date le circostanze non può che considerarsi migliore di tutte le altre possibili varianti.

Un tono leggero, ironico, soffice come un refolo di vento, impercettibile e impalpabile al pari dell’aria, si fece avanti, prese forma, per poi dissolversi così come era venuto. Su tutto pendeva del resto qualcosa che era anche peggiore a una vera e propria spada di Damocle. Un’ipoteca grande come una magione, che di fatto spingeva o doveva spingere a relativizzare il valore di qualunque ipotesi formulata su informazioni che erano e sarebbero rimaste parziali. Una conoscenza parziale, imperfetta e consapevole della sua natura, cos’avrebbe mai garantito? Quali ne sarebbero potuti essere gli effetti? Quali le più legittime pretese?

Perché non vedi il resto? Mio giovane Poeta, per quanto determinate capacità possano, se unite all’inesperienza che comprensibilmente non si può avere sin da subito, dare adito a pensare generando il legittimo sospetto che trascendiamo l’umana natura, in realtà è un fatto incontrovertibile che sia una percezione destinata a rimanere effimera. Quanto di più distante possa esservi con la solida realtà. Un Veggente non è comunque condannato e destinato a rimanere per lungo tempo una creatura del nostro mondo? Un Veggente è forse un dio? La tracotanza può condannare al più tragico degli insuccessi il più saggio dei saggi, qualora ne fosse anche solo momentaneamente dimentico. Non dimenticare chi sei, giovane, inesperto, ancora inconsapevole di te stesso, delle tue capacità. Non un dio, non onnipotente, incapace di piegare il Fato al tuo volere, ma più probabilmente uno strumento della Tuke, che come unico obiettivo dovrebbe avere il non macchiarsi di Ubris

Il Centauro tirava dritto lungo quello che doveva essere un sentiero noto, quotidiano, di una consuetudine andata stratificandosi nel corso dei decenni. Qualcosa che richiedeva il minimo dell’attenzione necessaria a una passeggiata in collina, che permettesse di dirottare tutti i pensieri in altre direzioni. Pensieri più spessi, profondi, in grado di mantenere la barra dritta anche nelle peggiori delle giornate. In quel singolo caso in compagnia di un viaggiatore smarrito. Un sentiero che poteva senza grandi pretese essere assimilato a più piani, più livelli di significato, al pari del viaggiatore, che era sì smarrito, ma in più d’una accezione. Ma quanto ne era davvero sinceramente consapevole? Qual era il vero problema di fondo, non visto, celato nell’ombra, nell’inconsapevole consapevolezza messo da parte, lontano dai riflettori? E quanto quella semplice piccola scomoda verità pesava sull’intero mosaico? Una piccola tessera, che quanto però doveva essere poi ponderata? Il vero problema era quello? Qual era la soluzione? Esisteva? Su cosa stavano scommettendo, e con quale probabilità di vittoria?

Non tutto quello che vediamo può e deve essere utilizzato. La pazienza e la moderazione sono le migliori alleate, nella misura in cui riescano a mitigare il trasporto emotivo che potrebbe erroneamente spingerci nel compiere passi che a posteriori potrebbero poi essere considerati come avventati. Sapere determinate cose può in certi casi motivare un intervento, nella consapevolezza di quanto esso finirebbe con il cagionare. Quanto possiamo essere sicuri che esso non faccia già parte di quella catena di eventi che in ultima istanza potrebbe essere inquadrata come parte di quel problema che nella migliore delle intenzioni avremmo voluto scongiurare? Il peggiore dei nemici di un Veggente è l’erronea convinzione di potere tutto, di avere l’obbligo morale di intervenire, in qualcosa che però non conosce davvero quasi sempre. Il vero fardello è non agire, nella consapevolezza di non doverlo fare.

Controsensi, non verità sussurrate, ma poi energicamente smentite. Poche certezze poste con riluttanza sul tavolo, poi prontamente svuotato, temendo forse di aver detto troppo. Una politica di piccoli passi, ondeggiante tra l’andare avanti, e il tornare indietro, lungo un sentiero stretto, in salita, ma agevole nella consapevolezza di chi lo stesse percorrendo. Il monte poteva essere scalato, doveva essere scalato se volevano arrivare alla meta, ma che doveva essere fronteggiato con tecnica. Un percorso che richiedeva intelligenza, non l’irruenza di un toro, non una carica a testa bassa e corna in avanti, parallele al suolo, ma nella certezza di quale dovesse essere il vero obiettivo, e di come potesse essere raggiunto, sacrificando quello che non era invece indispensabile. Poteva essere quello il significato di quella gitarella fuori porta? Ma se era quello, quali erano le implicazioni che aveva e avrebbe continuato ad avere su tutto il resto?
Perché c’era anche un resto.


Il che ci riporta a un elemento chiave, mio giovane Poeta, è un caso o il Caso ad averti portato qui? E soprattutto, ancora più importante, la domanda principe è quella di sempre, che spesso anche un greco rischia di dimenticare. Conosci te stesso? Senza di questo il resto è nulla, senza conoscere se stessi come si può pretendere di sapere il resto? Prima ancora di decidere il da farsi, quanto sia possibile fare, la vera domanda è cosa comporterebbe questo. Quali ne sarebbero le conseguenze dirette, ma soprattutto indirette. Ci dev’essere un grandissimo rispetto nei confronti di un periglioso compagno di strada, umorale e volubile, quale può essere il Futuro.

Inaspettatamente, ma quanto in fondo risultava giusto fare in quel momento, si erano fermati. Non troppo distanti dall’ennesimo cespuglio, abbarbicato intorno a un imponente sasso. Un vero e proprio ostacolo per chiunque si fosse trovato lungo un sentiero poche yarde più a destra di quanto non fossero, forse casualmente, loro. Se davanti di ostacoli apparenti non se ne vedevano, si erano lasciati alle spalle il problema? Tranquillo al pari di una sfinge, il precipitato di tutto si faceva avanti, bussando leggero all’uscio. Palesandosi in tutta la sua ingombrante presenza.

Mio giovane amico, conosci davvero te stesso?

 
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view post Posted on 22/9/2019, 10:15
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«Mio papà sa leggere la mente.»
Ricordava l'ultimo lancio di un ciottolo tra le acque del fiume Lee, la superficie improvvisamente increspata, le onde già pronte a convergere insieme, verso lo stesso solitario punto; ricordava la frase gettata all'aria, quasi come un altro dei sassolini che avevano raccolto pochi attimi prima, e di come quelle semplici parole avessero attirato a sé diverse sensazioni: curiosità, aspettativa, incomprensione, un pizzico di preoccupazione sul volto dell'uno, un barlume di consapevolezza su quello di un altro. Oliver, da parte propria, non aveva avuto alcuna manifestazione, impassibile e concentrato com'era ancora una volta sulla pietra che stringeva convulsamente nel palmo della mano destra. Il movimento di Loras al suo fianco era impercettibile, mentre sollevava un masso più grande del solito. Piegato a metà, accovacciato sulle rive del fiume irlandese, volgeva il capo al compagno di giochi che aveva parlato per ultimo.
«Mio papà invece cura le persone.»
«Ma non è un superpotere»
«Solo perché non l'hai mai visto ricucire una ferita.»
«Mio zio si trasforma in una lucertola»
«E mio-mio fratello non si brucia con il fuo-»
«E tu, Oliver?»
Ricordava sul viso dell'amichetto il lampo di un ghigno, la scintilla di una malefatta, la certezza di essergli superiore, per la prima volta in qualcosa. Forse, forse in quel modo avrebbe conquistato la fiducia di Loras, sottraendolo al rampollo Brior. La bocca socchiusa, l'espressione mesta, Oliver taceva ancora. Mio padre è un Curatore di Creature, avrebbe potuto dire; mia madre cucina le migliori torte di melassa della Contea; mio zio comprende le stelle e le costellazioni nel cielo più buio, e mia nonna, anche mia nonna ha un potere unico: tutto quello avrebbe potuto raccontare, e tuttavia percepiva di non avere un confronto così diretto. La voce del suo migliore amico giungeva di nuovo in sostegno e aiuto. «Lui sa leggere il cuore.» Con il tempo, avrebbe ricordato lo scoppio di gridolini e risate, il gruppetto che si allontanava, e infine il sasso di Loras abbandonato agli abissi. Soprattutto, avrebbe ricordato quella frase a metà.

Stava perdendo colpi, mentre la stanchezza diveniva una costante impossibile da ignorare; non aveva idea di quanto fosse trascorso né di quale potesse essere la meta finale, ma c'era qualcosa - una sensazione, più che altro - che lo spingeva a non porre di nuovo domande dirette, non in quel senso perlomeno. Affiancare Chirone era un pregio che non avrebbe consumato alla buona, e di cui avrebbe imparato a fare tesoro. Così camminava accanto, con il volto che cercava la figura imponente del Centauro di tanto in tanto: la salita era alla loro mercé, il tempo pure, e nulla sembrava poter intaccare quel momento prezioso. Controllò il respiro a più non posso, adagiando il corpo spossato al battito del cuore, e più le parole del Maestro influivano sulla sua attenzione, più si accorgeva di non essere fondamentalmente del tutto d'accordo. Si ritrovò a carpire, nel discorso intaccabile dell'altro, un velo di negativa accezione nei riguardi del suo Dono: il suo limitarsi e il suo essere limitante, i suoi confini di libero arbitrio e suo opposto, infine quella domanda - un Veggente è forse un dio?
Lasciò che le braccia scivolassero verso il basso, impassibili, mentre solleticavano le pieghe più sporche di terriccio degli abiti indossati in quel momento. Dove fosse capitato restava tuttora un dubbio curioso, ma perché vi fosse capitombolato diveniva per lui un segno ben più intenso del mero Caso. Annuì con un cenno leggero del capo, d'un tratto consapevole di non avere risposte concrete: la Guida accanto aveva ragione, per diversi aspetti, e tuttavia per altri c'era un contrasto di opinioni che non avrebbe avuto risoluzione, all'apparenza. L'obbligo di non intervenire, quasi come benedizione, era forse l'aspetto che più rientrava nell'etica del Grifondoro: il tempo, si augurava, avrebbe forse potuto fare chiarezza anche su quella parte. Non individuava un margine di errore in Chirone, la sua esperienza era di gran lunga superiore alla propria, ma c'era qualcosa, come una scintilla fuori posto, che il Caposcuola non sapeva accogliere pienamente. O che forse, riflettendoci, non avrebbe ancora voluto rendere propria. Fino a quel giorno erano state rare le volte in cui aveva avuto pieno controllo della Vista, il più delle occasioni si ritrovava in agonia delle trame in divenire; tuttavia, quando accadeva, al suo equilibrio sentiva di essere ben più di un semplice Osservatore, ben più di un solitario Viaggiatore in epoche indefinite. C'erano stati momenti in cui non avrebbe potuto negare di essersi sentito come un dio in piena ascesa, al cristallizzarsi di un Futuro chiaro soltanto alla sua attenzione. Tracotanza, ripeté. Una parola che rinnegava, che non comprendeva così nel profondo, e che a tratti lo spingeva al sorriso. Non vi aveva mai peccato, non una sola volta, perché anche nei momenti di estasi mantica, ne assimilava e comprendeva i confini prima che potesse essere troppo tardi. C'era stato qualcuno, in passato, che aveva consigliato di utilizzare la Vista come un Dono, e mai come una Maledizione. L'Esercito degli Studenti era un vago ricordo, ma il braciere traboccante d'oro al centro della Stanza delle Necessità restava un monito per il giusto impiego del suo potere. Accolse l'ultima parte del discorso di Chirone, senza interromperlo una sola volta: per educazione, per rispetto, soprattutto per i ragionamenti ancora in corso. Impiegò un paio di secondi aggiuntivi prima di inserirsi di nuovo. «Credo sia per me difficile da accettare, ora come ora, ma credo anche sia anche giusto per diversi aspetti. Se al cospetto della Vista agire è un'azione, anche il non farlo ne assume la stessa entità. Quindi sì, comprendere quando e quanto sia limitante tutto questo, così come quando e quanto sia necessario, è qualcosa sui cui dovrò ragionare più a lungo.» Sorrise mestamente, il capo chino. La strada non era mai apparsa così solitaria come in quel momento, e si chiese se la sensazione fosse per l'appunto tale o già presaga di una consapevolezza ben più matura per sé. «Mi perdonerà, Maestro, per non essere invece d'accordo sull'altra parte del suo discorso. L'arte mantica è un'arte che si eredita, che non si ottiene esclusivamente con un apprendimento come altre pratiche magiche, è al contrario un dono di pochi, un dono esclusivo, e per questo motivo è già di per sé unico. Essere un Veggente non è un ruolo, non è una scelta. Non riguarda l'esperienza, non da subito, è più la certezza di essere solitari, fuori dall'ordinario. La Vista è uno strumento del Tempo, siamo d'accordo, ma non lo è il Divinatore.» Comprese a sua volta, secondo dopo secondo, di come quelle parole fossero ancora enigmatiche perfino per se stesso, e di come una nuova strada stesse facendo breccia tra i suoi pensieri. Aveva sempre creduto, di persona, di essere indefinito, impassibile, soggetto - al pari di vinto e di vittima insieme - del suo potere, e mai una volta aveva potuto immaginare di essere più di un astante in corso. La spiegazione di Chirone lo aveva profondamente toccato, fino a scuotere una favella di orgoglio nei confronti della propria identità. Forse, si disse, non era poi per davvero solo un tramite. «La scelta, ora inizio a capirlo per bene, è quello che differenzia la Vista dal Veggente. C'è uno strumento in ballo, quando usarlo non è sempre possibile deciderlo, ma perché, come e perfino per chi usarlo, quello sì, quello è al mio solo comando. Tacere è un'azione, spesso anche importante, ma non diventa al pari di agire una forma di libertà, di consapevolezza, di autonomia? Diventerebbe quindi la scelta - ad uso esclusivo del Divinatore - nei riguardi del suo dono, del suo strumento.» Si era perso in una schiera di ripetizioni che già confondeva ogni suo prosieguo e così trasse un respiro, prendendo un attimo di pausa fugace. «Vedere il Futuro è sfidare le leggi del tempo, non può significare che siamo in questo mondo come tutti gli altri, è un-» Si lasciò andare infine ad un sospiro, per un attimo incerto circa come esprimersi al meglio. «Qualcosa di più.»
Un cenno d'assenso, raccogliendo le ultime riflessioni del Centauro e proprie. «Temo di essermi perso, Chirone. Ma credo di aver colto gran parte del discorso, la pazienza è la chiave principale d'azione, ne farò tesoro. Penso che tutto questo abbia una ragione d'essere, che trovarmi qui sia stata una decisione non fortuita, non casuale, ma destinata ad essere. Non so neanche dove siamo con precisione, Maestro, ma le probabilità si eclissano alla sicurezza di essere qui per un motivo, per un incontro, per tutto questo Bloccatosi così al punto raggiunto, lo sguardo si sollevò dalla figura del Centauro al suo fianco fino al cespuglio poco più lontano. «Sono stato inseguito da alcune Visioni, prima di arrivare da lei, proprio qui. Mi chiedo se sia un Tempo già scritto del tutto oppure in divenire, e ad essere sincero, Maestro, io non ho idea di come si possa conoscere se stessi.»
Si volse per riportare l'attenzione sulla Guida, mentre tra gli occhi rifulgeva quella viva scintilla di un verde smeraldo, agli albori di un'empatia e di una conoscenza agognata che da molto apparivano spente. «Mi piacerebbe saperlo.»

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
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view post Posted on 11/1/2020, 15:10
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Il Fato

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Se sino a quel momento la pendenza del sentiero non era altro che aumentata, in una scalata a tratti sfiancante, a tratti opprimente, in cui allo sforzo fisico un esponenziale sforzo mentale era andato accumulandosi, ponendo sotto una crescente pressione le giovani fondamenta su cui tale dialogo si reggeva, sembrava che infine stessero venendo a capo di qualcosa, di quel qualcosa. In tutta risposta anche il monte stava reagendo, il crinale andava perdendo in energia, la pendenza si addolciva, il percorso si ingentiliva rapidamente: era forse il peggio passato? Il giro di boa era già avvenuto, ed erano ormai prossimi a una qualche sorta di traguardo? Cosa li stava aspettando? Quale sarebbe stato il prossimo passo? Ci sarebbe stato davvero? Qual era il significato di quel tiro mancino che la Tuke aveva deciso di riservare al giovane Grifondoro? Era stata una forma atavica di fuga dalla realtà? Era forse corso sin sulla luna, alla ricerca di qualcosa che inconsapevolmente era andato perso, o peggio, non ancora trovato e compreso? Forme altalenanti di fuga, andate sommandosi le une alle altre, il cui esito qual era stato?
Il giovane aveva davvero compreso, o era una falsa comprensione, apparente e per questo convincente, ma che difficilmente sarebbe potuta essere veramente applicata? Era e sarebbe continuato a essere terribilmente complesso far seguire alle parole, anche i fatti. Erano questi destinati a rimanere, le scelte molto difficilmente potevano essere emendate da un narratore particolarmente benevolente. Potevano essere dimenticate, celate, nascoste con più o meno abilità, eppure non sarebbe cambiato nulla. Nel momento stesso in cui la frittata fosse stata fatta, solo un miracolo avrebbe potuto salvarli dal disastro. E per definizione i miracoli erano straordinariamente rari.
Un sorriso increspò i lineamenti antichi del viso del centauro.


È vero, è difficile. Eppure non c’è mai nulla di facile, quello che appare tale è assai probabile sia sbagliato. Il che è quasi sempre vero nel caso della Veggenza, solo il Tempo saprà istruirti a sufficienza, nel breve periodo il migliore dei consigli potrebbe essere questo: limita al massimo i danni. Le conseguenze di una scelta affrettata, mossa dalle migliori intenzioni, potrebbero essere molto più che catastrofiche nell’insieme. Forse limitate e limitabili nell’immediato, a livello personale, potresti esserne toccato apparentemente meno di quanto sarebbe potuto essere, ironicamente, prevedibile. Ma come potrebbe essere invece limitata e contenuta l’onda che tali decisioni solleverebbero?

Era giovane, acerbo e inesperto, cos’avrebbe dovuto pretendere un vecchio centauro? Era il massimo che potesse sperare, una speranza, limitatamente alla consapevolezza che tutto quello sarebbe in ogni caso stato fuori dalla sua portata. Alla base di tutto c’era un dettaglio, taciuto ma ben compreso da entrambi, che probabilmente rendeva più vero quel dialogo: il disinteresse più completo dell'uno di influenzare per un qualche tornaconto l’altro. Semplici consigli, che non avrebbero giovato in alcuna misura a chi li stava accortamente dispensando. A separarli una cortina di ferro, che non sarebbe potuta crollare. Qualunque cosa avesse fatto il giovane, il vecchio non ne sarebbe stato toccato. Se l’uno avrebbe potuto intuirlo, l’altro dopo tutto sembrava sottilmente averlo compreso.
Era forse un trapasso di eredità? Un passaggio di testimone? E se lo era, cosa stava alla base di tutto? V’era qualcosa? Dove si celava il Primo Mobile di tutta quella storia? O forse, in senso più lato, dell’intera Storia.


Se è veramente così, mio giovane amico, rispondi a una domanda: all’origine di questa venerabile discendenza, di questa stirpe di esseri straordinari, fuori dal controllo di potenti e del Tempo stesso, cosa c’è? Se questa Arte viene tramandata, e non può essere in alcuna misura appresa, ma solo affinata nel corso degli anni, il primo Veggente come l’ha ottenuta? Se la Vista è uno strumento, diversamente dal Veggente, che è invece agente indipendente, dove ha potuto trovare questo straordinario strumento? Per essere davvero tramandato, è ontologicamente necessario che quel qualcosa esista già, che sia iniziato a esistere in un qualche momento determinato della nostra Storia. Non credi? Di conseguenza, perché il Primo l’ha ricevuto? Se non è a sua volta uno strumento, al servizio di qualcosa sopra di noi, frutto di un disegno che ignoriamo, ma sappiamo esistere, perché proprio lui avrebbe dovuto ricevere questo dono?

Una domanda, esistenziale, la cui risposta non poteva essere imposta, ma solo compresa. Non era compito del centauro instillarla o persuadere il giovane di una convinzione, ma dopo tutto se la risposta non stava nella solida certezza della logica, dove stava? Il Caso era solito agire per caso? La casualità era o non era la migliore alleata della causalità? E all’interno di questa incredibilmente complessa equazione, il Divinatore era una costante o una variabile? Era possibile individuare e definire aprioristicamente e indipendentemente delle condizioni di esistenza rigorose che ne consentissero e delimitassero l’indagine? Ma se non era possibile, come lo era tutto il resto?

Immagino che da questo peculiare aspetto sia molto difficile uscire, l’episteme delle nostre più intime e certe convinzioni sta la comprensione e la lettura che diamo a quanto ci circonda. E non è compito mio dirti, giovane Poeta, quale sia la verità, dove stia, e se sia veramente afferrabile. A dipendenza della risposta che ci diamo, il Veggente è agente di se stesso o strumento di altri. Questa risposta è però determinante anche per la comprensione del nostro dono, e per l’utilizzo che conseguentemente ne faremo. E questo solo il Tempo potrà aiutarti a comprenderlo, sempre a patto certo che sia possibile. Se qualcosa ha voluto che incrociassimo il nostro sentiero, evidentemente deve saperla molto più lunga di quanto al momento possiamo saperlo noi, no? Allo stesso tempo la più semplice delle soluzioni è che effettivamente tutto questo sia semplicemente stato il frutto del Caso, e se è così non c’è alcun perché da trovare e comprendere, il che semplifica immensamente tutto.

Erano consapevoli di essere giunti a una qualche forma di epilogo? Era la fine di tutto, o semplicemente un nuovo inizio? O magari era semplicemente stato un tiro mancino di una dispotica Tuke, che agognava per diletto rendere incomprensibile quello che in fin dei conti non era mai stato un disegno particolare, ma semplicemente uno scarabocchio, ben nascosto. Restava un’ultima domanda, ma anche un’ultima risposta? Di chi era compito?

Per conoscere se stessi, è forse indispensabile prima comprendersi. Sapere quali siano le nostre più grandi virtù e i nostri peggiori difetti, e accettare l’intero pacchetto per quello che è. Accettare verità scomode, e continuare a farlo nel corso del Tempo, abbracciando eventuali cambiamenti. Probabilmente è un percorso, che però dipende esclusivamente da noi stessi. Ma anche in questo caso, c’è una meta fatta e finita? O è una più complessa tensione verso qualcosa di superiore, per definizione intoccabile e ineffabile?

Quante risposte avesse ricevuto, e quante domande avesse collezionato era in fin dei conti affar suo. Così andavano le cose. In tutta risposta la scalata era ormai terminata, erano ormai su un terreno pianeggiante ed erboso, salutato apparentemente a caso da solitari alberelli, e cespugli, al cui centro si spalancava l’antro di una fresca e ombrosa grotta. Erano arrivati a destinazione? Su un masso, poco distante, qualcuno attendeva. C’era forse tempo per un’ultima domanda. Ma il Tempo era ormai scaduto.
Aveva ancora un esame da consegnare, in fondo.

 
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view post Posted on 11/1/2020, 17:39
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Il pomeriggio di giochi stava per concludersi, l'ultima partita ad acchiappa-lo-gnomo aveva visto il suo peggior nemico vincitore e a quel punto, mentre la creaturina più minuta si attorcigliava nella barbetta così lanuginosa, per Oliver fu chiaro il desiderio di andare via il prima possibile. Si portò in piedi nell'esatto momento in cui veniva annunciata una seconda competizione, il fazzoletto di terra che avevano scovato nel parco era così pieno di funghi da aver attirato la curiosa presenza di una vera e propria comunità di gnomi da giardino. A dispetto di tutti gli altri, Oliver non era così abile dal calciare quegli esserini con un colpo secco, né vi trovava a quel tempo chissà quale divertimento. Uno sguardo veloce ai compagni, le mani infilate in fretta nelle tasche del cappottino che indossava quel giorno e infine, stringendosi tra le spalle, salutò in un filo di voce gli altri presenti. Era abituato a non ricevere risposta in circostanze simili, l'uno correva verso l'altro e la frenesia del gioco non ammetteva spazio per niente e nessuno. Provò una seconda volta, alzò anche le braccia al cielo e per un istante immaginò sua nonna sgridarlo per un comportamento così espansivo; poco dopo decise di tornare sui sui passi e si affrettò verso il sentiero sulla destra, lo stesso che conduceva alla staccionata della sua abitazione. Mancava ancora un'ora alla cena, lo sapeva bene, e sua mamma fondamentalmente gli avrebbe perfino permesso di restare all'aperto per più tempo; c'era qualcosa, però, che continuva a disturbarlo e non aveva capito per davvero cosa potesse essere. Partiva dallo stomaco come una sensazione di fastidio piuttosto crescente e chiudeva la bocca in una morsa stretta; non si accorse di aver cominciato a tremare, pensò invece che potesse trattarsi di indigestione per tutte le api frizzole che aveva mangiucchiato in compagnia. A pochi metri dall'ingresso del vialetto di casa, tuttavia, la voce familiare di Loras lo raggiunse da lontano. Per un attimo Oliver immaginò che l'amico, in assenza di un saluto per bene, fosse corso fin lì per rimediare, anche solo per assicurarsi che tutto procedesse per il meglio e augurarsi la buonanotte in vista per l'indomani. L'estate era tra i periodi preferiti di Oliver anche solo per la possibilità di trascorrere più tempo al di fuori della residenza di sua nonna, senza tutte quelle lezioni di etichetta cui era costretto a presenziare. Al secondo richiamo di Loras, quindi, ignorò di sana pianta la stretta allo stomaco e già più inesistente al petto, si volse infine verso la direzione giusta. Parve confuso più di quanto potesse credere e ammiccò verso il sentiero di fronte: non era ancora così notte da non vedere per bene, ma da nessuna parte riusciva a scorgere la figura dell'amico. Sentì chiamarsi di nuovo, e di nuovo si girò su se stesso verso l'una e l'altra parte, ma di Loras nessuna traccia. Pensò si trattasse di uno scherzo, ma neanche Loras sarebbe stato così bravo da praticare già magia a quell'età. Oliver tornò sui propri passi con un moto di stizza e lentamente la morsa al proprio corpo più minuto si fece perfino più decisiva. Non aveva idea che da quella sera non avrebbe rivisto Loras. Mai più, avrebbe chiesto di lì ai giorni successivi. Mai più gli avrebbero risposto.


Cominciava a capire. Una rivelazione appena accentuata, una scintilla preziosa, infine una consapevolezza ben più delineata. Annuì con un cenno del capo, dando adito ad un primo sorriso ad increspare il suo volto affaticato. Il discorso che Chirone al suo fianco stava compiendo, battuta dopo battuta, diveniva per Oliver sempre più veritiero - talvolta non riusciva ad afferrarne ogni messaggio, avrebbe dovuto ammetterlo, ma di gran lunga aveva ottenuto sufficienti riflessioni da cui partire per uno studio più accurato. Si chiese quale fosse la storia del Maestro, quale il suo giudizio più personale nei confronti del suo Dono, quale la sua vera e propria interpretazione: dalle sue parole trapelava più di quanto Oliver potesse pienamente cogliere; il valore di quella conversione appariva tanto inestimabile quanto profondamente articolato, e per un attimo fu forte per il Veggente il desiderio di fermarsi, di arrestare ogni passo lungo il sentiero, forse anche di tornare un attimo indietro. Al principio, immaginò. Al principio di ogni cosa. «Inizio a capire, Maestro.» Lo disse ad alta voce, quasi a rendere reale tutto anche per sé. «Credo di condividere il punto d'analisi, ma forse non userei la parola strumento, non per un Veggente. Non per me.» Aggiunse il commento in modo velato, mentre la riflessione attecchiva radici ben più fertili tra i suoi pensieri. «È vero, però, che se si tratti a tutti gli effetti di un dono compiuto al Primo Veggente e da questi tramandato nel corso delle epoche, allora a prescindere da chi o cosa l'abbia trasmesso e concesso, la Veggenza resta di per sé un dono divino. C'è qualcosa di sorprendentemente primordiale in tutto questo, mi affascina. Mi offre fiducia.» Non avrebbe saputo spiegare neanche a se stesso quello che stava provando, ma per la prima volta Oliver viveva una certezza tanto semplice quanto segreta: non era mai stato da solo. Era lì, alla sua portata, proprio dietro ogni angolo, ogni trama, ogni divenire - nella sua singolarità, non c'era altrettanta solitudine, non necessariamente. Sorrise, sorpreso. «Renderò miei i suoi consigli, Chirone. In virtù di tutti questi, sono ancor più convinto che il nostro incontro non sia stato frutto del Caso. Forse, mi piace pensare che sia un aiuto da parte del Primo Veggente. O di chi ancor più oltre.» Portò le mani al petto e strofinò il palmo aperto di entrambe proprio ad altezza cuore, in un gesto apparentemente casuale. «Immagino che conoscere me stesso richiederà del tempo.» Aprì le braccia e si volse lateralmente, così da osservare meglio il Centauro accanto. «Ma chi più di me ne ha a disposizione?» Sapeva che quel pizzico di ironia potesse essere colto facilmente dal suo interlocutore, e per un attimo fu chiaro anche per lui il riferimento al Futuro possibilmente visibile ai suoi Occhi, e non di certo al limite del tempo della vita che gli era stata concessa. Non aggiunse altro, impiegò al contrario quell'ultima pausa per un ripristino di tutto quello che aveva raccolto fino ad allora: il silenzio che percepiva alla fine delle parole di Chirone e delle proprie non gli appariva affatto imbarazzante, era invece un monito ad una ricerca appena sbocciata nel suo rigore più fervido. Sollevò per la prima volta lo sguardo al cielo, sempre più in alto, e non potè fare a meno di chiedersi chi o cosa lo avesse spedito per davvero in quel luogo. Se incontrare il Maestro di tanti eroi diveniva incanto evidente per Oliver, d'altra parte la cornice generale stuzzicava la sua curiosità anche più nel profondo. Sentì il soffio dell'aria divenire più libero, la natura risvegliarsi al suo richiamo, e non fu chiaro se tutto si stesse ad ora rivelando per davvero oppure fosse stato perennemente lì presente. Di certo Oliver stava cambiando, lo faceva quasi in itinere, e tutto prendeva una sfumatura diversa, più lucida, più accesa e luminosa di quanto potesse anche solo lontanamente immaginare in passato. Quando la salita del colle parve concludersi in un baluginio di terriccio e di verde nei dintorni, il Veggente respirò a pieni polmoni e socchiuse gli occhi per un frangente. Quando li riaprì, intimamente cominciò ad esprimersi una nuova aspettativa e lo sguardo prese a scorgere l'uno e l'altro confine circostante. Individuò una figura in lontananza e si chiese chi potesse essere, se stesse attendendo proprio loro, se fosse uno dei soldati già incontrati opoure chi altri; forse era un Cantore di passaggio, tutto poteva accadere in quel tempo, e l'idea lo sorprendeva vivamente. La grotta gli rimandò ad una lezione di Storia della Magia, ad un dettaglio tra molti che gli era rimasto impresso - e se all'esordio dell'avventura aveva creduto di essere al cospetto del divino Apollo presso la soglia d'ingresso dell'Ufficio del Professor Peverell, il pensiero alla vista della grotta in pietra attinse ad una possibilità tanto preziosa per Oliver. Forse, si disse. Forse era proprio quel luogo. Non era certo di come, quando e se il discorso con Chirone potesse continuare o meno, ma si volse verso il Centauro ancora una volta. Sentiva di avere una domanda, non di certo l'ultima, ma in parte la più importante per lui. «Poco prima ha parlato al plurale, ha detto il nostro dono.» Sorrise. «Vorrei aver potuto conoscerla meglio, Maestro, ma tutto questo è stato un privilegio per me. Ecco, se è il nostro dono, la riguarderà fin nel profondo. Con il tempo, ha imparato a conviverci? »
Una superanza, ancor prima di una certezza. Il desiderio di non essere più solo in quel mondo, di non essere più solo in alcun tempo. Qualunque fosse stata la risposta dell'altro, il cenno del capo - a mo' di inchino - sarebbe stato per Oliver istintivo. Era riconoscente al Centauro più di quanto potesse credere, ma una parte di sé sentiva di dover procedere. Cominciò ad avanzare, uno sguardo alla Grotta e un altro al Futuro.


Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
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view post Posted on 1/2/2020, 22:39
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Il Fato

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Così infine anche quella Storia volgeva al termine.
Erano stati più gli interrogativi sollevati, o quelli cui era stato possibile dare una risposta? Il giovane Grifondoro aveva trovato la conoscenza, nelle pieghe di un vecchio libro, o ne sarebbe uscito semplicemente più confuso di quanto non fosse già in precedenza? Alle pur poche domande cui sarebbe stato possibile rispondere, tali responsi sarebbero stati sufficientemente inequivocabili da rappresentare una nuova base da cui ripartire? Aveva trovato una qualche forma di inaspettata conoscenza? Era servita a qualcosa quella rischiosa improvvisata? Ma soprattutto, come avrebbe fatto a tornare indietro? Se Chirone avesse infine deciso di fare un salto alla locanda della Polis vicina, cos’avrebbe fatto il giovane viaggiatore? Si sarebbe accampato sotto un albero, aspettando un segno dal cielo?
Intanto, la Tuke stessa, ammantata dietro un masso o un cespuglio, attendeva un cenno, una risposta, dal protagonista dell’Opera, perché la scenografia fosse cambiata. Qual era quel cenno?


Capisco, giovane Poeta, strumento o meno che sia immagino effettivamente tu abbia a disposizione ancora molto tempo per pensarci, e arrivare a darti una qualche forma di risposta. Dal canto mio, non credo la mia storia faccia molto testo. Sono un centauro, figlio di un dio e di una ninfa, viviamo in posti immensamente differenti, e non da ultimo, sono molto vecchio. Ho imparato a convivervi? Sì, l’ho fatto, ma ero anche diversamemente preparato. Eppure credo di aver appena trovato una risposta alle mie più recenti domande, immagino conosca anche tu Agnoto, giusto?

Se il centauro sembrava divertito, e guardava allegro in avanti, dalla caverna cavalcava alla loro volta uno scocciato e spazientito vecchio, di bianco vestito, che mulinava in aria un inconfondibile bastone da passeggio. Aveva forse trovato qualcuno che l’avrebbe riportato al Presente? Era quindi tempo di andare?
Il vecchio Preside non sembrava averla presa troppo bene…



Con un po' di fortuna dovremmo esserci. Mi sembra di poter concludere di aver trovato un Divinatore esperto, e non poco paziente, il che non guasta mai.
La lunga maratona ti ha inoltre fruttato la bellezza di: 2 Pm, e 0,5 Exp.
Avrai sempre il dubbio di essere o meno stato bocciato all'esame di Storia, ma in fin dei conti forse la storia è valsa il rotolo di pergamena. :ihih:

Puoi terminare
 
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view post Posted on 21/2/2020, 12:22
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«Quando eravamo bambini, c'erano due storie che volevamo ascoltare a ripetizione: il mito di Adone e quello di Aracne. Il prodigio nascente dall'albero di mirra, la condanna infinita di un talento che faceva invidia. Chiedevi di restare a dormire da noi, nel divano così ampio, e ci nascondevamo sotto le coperte a dispetto di ogni stagione; quando Caramello spuntava con quel musetto curioso e il pelo arruffato, per noi era chiaro il segnale che attendevamo tutto il giorno: zio Albert stava arrivando, il racconto poteva iniziare. Così facevamo a turno, una scommessa dietro l'altra: la testa del Galeone era l'inizio della tua storia, mentre la croce, la croce del Galeone invece era la mia. Vincevi sempre tu, e io lo sapevo; mi piaceva saperlo in anticipo. Così il ticchettio sinistro si faceva strada lentamente, istante dopo istante, e il buio accoglieva la tessitura dell'incantevole Aracne: una fanciulla, diceva zio Al; non parlava mai di lei come una fanciulla di innata bellezza, non era necessario: il cruccio del fascino poteva esserci, ma non era predominante, non era mai stata la causa né la conseguenza della sua punizione. Aracne era sorprendente, aveva passione e aveva estro creativo, e tanto bastava per renderla ai miei occhi, ai nostri occhi perfino più amata di una dea. Quando la superbia la colse impreparata, la Tessitrice suprema non coltivò compassione; e perse il volto un tempo innocente, perse la sua stessa esile figura, perse ogni parte di sé e si ritrovò, a quel punto, trasfigurata. Non compresi mai perché quel mito potesse affascinarti, quale valore potesse avere per te e quale segreto invece potesse celare per me. Un giorno sarai abile come Aracne, sarai un Tessitore.
Lo dicevi come uno scherzo, credevo lo fosse per davvero, e con il trascorrere degli anni, con la tua assenza, il senso di quelle parole acquisì compostezza. Sarai un Tessitore, mi ripetevi. Ma non avevo mai avuto dimestichezza con ago e cucito, gli abiti di zia Brigitte erano sempre più intricati nelle loro rifiniture per me; annuivo, un po' come il desiderio di non voler deluderti. Quando toccava a me, e zio Al finalmente passava al racconto di Adone, mi sentivo in parte in difetto; era come se quel mito, il mio mito, non sostenesse il confronto con il dramma della tessitrice mutata in ragno. Per te andava bene, andava sempre bene. Adone era invece incanto e bellezza, era la gioia di ogni visione; portava con sé l'onta sacrilega al profumo di mirra, la relazione peccaminosa della madre, il peso di un'eredità con la quale non aveva mai fatto i conti. Conteso tra due divinità, scelse e fu scelto dall'Amore, ma entrambi volevamo che la storia procedesse, si piegasse al nostro desiderio, più avanti ancora. In fretta, dicevamo. Così zio Al saltava qualche parte, arrivava all'ultimo incontro più drastico, e tuttora si chiede come mai due bambini come noi, a quel tempo, potessero essere attratti dal finale e non dall'esordio.
Un cinghiale della Guerra, forse del Veggente: cambiava il principio, non la fine; e ripetevi che Guerra e Veggenza camminavano di pari passo, un po' come se quegli stessi dèi fossero in combutta perpetua. Quando tutto finiva, quando zio Albert tornava nelle sue stanze, anche Caramello andava via con lui - la coda vispa, lo sguardo buffo, il furetto sentiva di lasciare spazio per noi, soltanto per noi. Restavamo in silenzio per qualche attimo, era una scena che si ripeteva. Avevamo commentato così tante volte quei racconti da non avere forse più molto da dire, e tuttavia non appena pensavamo che l'uno o l'altro fosse già addormentato, uno dei due sussurrava qualcosa. Aspettavo che iniziassi proprio tu.
Sarai un Tessitore, dicevi. E non capivo, non avrei potuto. Mi piaceva pensare che il paragone con Aracne divenisse, per me, sinonimo di talento; forse ero capace, forse avrei fatto grandi cose, in quel senso sì, sarei stato per davvero un tessitore. Avevo sogni che avrebbero potuto riempire uno e più cassetti, avevo così tanto da offrire, così tanto da ricercare e da scoprire: la curiosità mi divorava, la superbia di poter sfidare gli dèi era per me insistenza, sicurezza, determinazione vera. Sarai un Tessitore, dicevi. Un cenno del capo leggero, lo sguardo abituato alle ombre della stanzetta. Da parte mia, non sapevo però cosa dire; il mito di Adone mi ispirava perché era vivo, vibrava di una verve romantica che non aveva eguali, era nelle sue battute finali tristezza e nostalgia, sfumava in una malinconia che sentivo mia, sempre più mia. Non era però un augurio, non avrebbe potuto mai esserlo; i fiori che il dolore evocavano, quelli cesellavano un valore inestimabile - il riverbero del sangue che zampillava nei petali cremisi di un fiore del vento; le lacrime, una e più lacrime, stilavano invece l'oro di un ricordo nella forma di calendule luminose. Avrei voluto dedicarti qualcosa, magari qualcosa di più di un richiamo ai fiori, e forse a quel tempo non avrei potuto lo stesso; dicevi che un giorno tutto sarebbe stato più evidente, che anche per noi ci sarebbero state scelte che avrebbero potuto fare la differenza, in qualsiasi contesto. Un po' come Aracne, un po' come Adone. Così stringevi le mani, le piegavi in una piccola coppa, e socchiudevi gli occhi insieme - un guizzo di magia passeggera, la notte rischiarata dall'aspettativa. Quando mi chiedevi di indovinare cosa nascondessero le tue mani, chiudevo a mia volta gli occhi e mi sembrava di vedere, di vedere già ogni cosa. Non c'era scoperta per me, non c'era sorpresa. Così fingevo, un po' per me stesso, un po' per non deluderti. Un rubino, dicevo. Un rubino della Spada di Godric. Aprivi gli occhi e mi guardavi - a distanza di tempo, ho imparato molto; ho imparato a scorgere, ho imparato a osservare, perfino a
vedere. Non ho mai imparato a guardare, non ci sono mai riuscito. Quando sul palmo scoperto si rivelava un bocciolo temprato di arancio e di ocra, il buio tra le pareti della cameretta non faceva più paura. Un fiore sbocciato, lo riconoscevo prima di qualsiasi altro. Una calendula, il fiore di Adone.
Una calendula, nata dal dolore. La stessa calendula che mi sferzò i ricordi, quei ricordi che non c'erano, che non avrebbero potuto esserci ancora; attorno il tuo pozzo le mie dita si sporcano continuamente di terra, invocano il tempo, richiamano le calendule alla vita: un fazzoletto iridescente, i petali d'oro, lungo un luogo di morte e un altro di riposo. Le calendule che rivestono il granito della lapide che ti accoglie, le calendule che cullano il tuo sonno. Con il trascorrere del tempo, ho imparato anche questo. Ho incontrato un Centauro, sai, che mi ha aperto la strada verso una rivelazione. Conosci te stesso, mi ha detto. Un po' come quel tempio che avremmo dovuto visitare insieme, un po' come tante altre cose tra di noi. Ora, a distanza di anni e anni, rientro in una Sala Comune che avrebbe dovuto essere nostra, soltanto nostra - e si spalanca una trama, sfila un legame, un altro, un altro ancora. Si spalancano gli Occhi, si spalanca il Futuro.
Ora è tutto più chiaro, lo sarà ogni giorno di più. Mentre le calendule accompagnano il mio cammino, mentre il mio viaggio travalica ogni umano confine, io ti vedo. Nel Passato, in una Grotta dell'Antica Grecia. Nel Presente, in un pozzo bagnato di pianto.
Nel Futuro, ormai per sempre. Ora si libera una parte di me, diventa così una parte di noi: di quello che siamo stati, di quello che siamo, forse di quello che saremo ancora una volta. Ho imparato a guardare, ho imparato a vedere. Le trame si infittiscono di filamenti, formano un reticolo, infine una ragnatela. Le trame scritte e quelle che attendono, le trame del tempo prossimo e più recondito.
Una ragnatela, così appare alla Vista. Ora capisco, Loras.

Sarai un Tessitore, mi dicevi.
E lo sono, lo sono davvero.

Sono un Tessitore del Tempo,
e qui inizia la mia Opera Madre.
»


Grazie davvero, è stato incanto.
 
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