L'incontro inatteso, l'unione dell'uno e dell'altra: avrebbe fatto differenza ancor prima di comprenderne l'esito, e a quel punto la chiarezza sarebbe stata di dominio perpetuo. Non era il momento, tuttavia: di parole a mezza voce, di sussurri indistinti, di spiegazioni vere e proprie. Lo spazio si faceva stretto, mentre un infido rituale si compiva alla loro attenzione. Selene si volse leggermente alla sua destra, lo sguardo catturò un bagliore improvviso: era una donna sorprendentemente bella, il viso incastonato in una forma perfetta, i tratti aggraziati, ma c'era furia nel suo sguardo, ed era tensione e percezione di un segreto mai dimentico, e pronto a salirne a galla ad ogni comando. In quell'equilibrio d'insieme, l'espressione tradiva un picco di frenesia. Aspettativa, attesa, apatia, l'uno e l'altro mischiavano le conclusioni e realizzavano conseguenze ancor più del previsto. Non avrebbe potuto trattenersi più del dovuto, lo sapeva e lo avrebbe compreso anche Sefior. Quello che accadeva poco distante non era governato dal raziocinio degli incontri casuali. Era al di là del loro operare, e di molti, molti altri ancora. Intimò il silenzio, l'indice sulla propria bocca.
«Non seguivo te.» Parve una risposta plausibile, un cenno esclusivo; poteva essere veritiera o meno, per il momento era quanto necessario per non essere scoperti. Ci sarebbe stato modo e tempo di provvedere al resto.
«Guarda.»L'altare era ormai nitido, seppur lontano, dalla nuova postazione che avevano raggiunto Sefior e la donna. Non si era presentata ancora, non ne aveva avuto modo, ma c'era qualcosa nell'aria circostante pronto al cambiamento: l'essenza delle rose si raccolse in un profumo più greve, arcigno e asfissiante, che apparve lì nell'immediato come incenso vero e proprio. Dai bracieri che riempivano l'altare in pietra nella radura di fronte, infatti, continuavano ad innalzarsi spirali di fumo e di vapore, spirali bianche, spirali concentriche. Salivano al cielo, nella notte scura, e tempravano di candore tutto il resto. Il canto assumeva tratti veloci, istante dopo istante, e divenne ritmico in un cadenzarsi di lingue, lettere e fruscii: la bocca, una e l'altra, le
bocche. Si muovevano di scatto, quasi feline, mentre la voce delle figure segrete finalmente si allineava, trovava costanza, infine plasmava e infondeva sicurezza al Canto stesso. Era armonia, la più bella, la più pericolosa. Sefior ne sentì l'impulso: di avvicinarsi, di cantare con loro, di lasciarsi andare; muoversi con loro, in cerchio, stringere le mani delle donne, infine perdersi in un oblio dal profumo di fiori, di rose e di incenso, dalla certezza di pace eterna.
«Occorre fermarle.» Un suono aspro, ruvido, contrastivo all'insieme che Sefior stava assaporando: giunse dal fianco, appena udibile, e si accorse di Selene che lo guardava di sottecchi. Aveva estratto la bacchetta magica, la stringeva convulsamente.
«Appena estraggono il corpo dall'acqua, attacchiamo.» Aveva dato per scontato la partecipazione dell'altro, il suo intervento comune, con lei, al suo fianco. Forse sarebbe stato per davvero così, oppure no. Sefior aveva una scelta: bizzarramente, non dipendeva dall'onore né dall'orgoglio, era qualcosa di più intimo, qualcosa di profondo. Andare via, tornare indietro: pensare di riuscirci non era così certo, a quel punto. Il Canto aumentava, le figure si vedevano partecipi di una litania vivida. Ma i suoni si abbassavano, si affievolivano, come se fossero giunti ormai alla conclusione. Sefior percepì ancor più
intensamente il desiderio, ormai l'istinto, di gettarsi a capofitto verso l'alcova per rendersene parte attiva. Voleva andare, voleva andare da loro a tutti i costi. Dal lago cominciò a salire una piccola onda e pian piano assunse i tratti di un vortice. Lento, leggiadro, libero, fece spazio alle mani in superficie: il corpo stava finalmente salendo a galla e Selene, attenta, sarebbe stata pronta.