Closing Gate, Quest Vocazione.

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view post Posted on 5/3/2019, 14:52
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Il Fato

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Di palazzine come quella Nocturn Alley era piena: macchie di muffa agli angoli delle pareti, fitte ragnatele e polvere sui corrimani delle scale, oltre ad una serie di altri ospiti di tutt’altro che piacevole compagnia. Axel viveva un’esistenza da squattrinato e Megan avrebbe colto ben presto la ragione di quello stile di vita. L’appartamento occupato dal giovanissimo impiegato della Gringott si trovava al secondo piano ed era costituito di una sola stanza, ad eccezione del piccolo bagno, la cui porticina era incastonata miracolosamente tra un vecchio mobile, che fungeva da armadio, e un bancone della cucina. Una finestrella alta e stretta contribuiva malamente alla luminosità dell’ambiente che, purtroppo, appariva agli occhi di chi vi accedesse come una zona grigia e senza vita. Il vero centro dell’abitacolo era il caminetto di mattoni, che Megan trovò acceso dopo aver varcato la soglia.

Axel osservava le fiamme, rapito da quel gioco di luci che si riverberava sul viso stanco. Quando la ragazza ebbe fatto il proprio ingresso, lui le fece cenno di chiudere la porta e di accomodarsi su una delle due seggiole presenti nella stanza. Axel ne trascinò una vicino al camino e vi si sedette, assaporando il calore sulle membra intirizzite dal freddo dell’inverno. Rimasero in silenzio a lungo, studiandosi a vicenda, finché l'improvviso risolino dell’uomo - dapprima sommesso - non ruppe il silenzio. «Non pensavo mi avresti seguito.» cominciò, non appena riuscì a riacquistare una parvenza di serietà «Ma sono contento che tu l’abbia fatto e mi dispiace se ti ho spaventata. Dì un po'... com'è che ti chiami?»

Le sorrise gentile, incrociando le braccia al petto ed esaminadola con attenzione. «In quel vicolo hai rischiato grosso. C’era un uomo dietro di te. All’inizio ho pensato fosse con te, ma poi...poi ho capito che non eravate sulla stessa lunghezza d’onda.»
A quel punto si alzò, avvicinandosi ad una piccola credenza ed estraendo due bicchieri. In silenzio, versò dell’acqua da una caraffa di terracotta in uno dei due e se lo portò alle labbra con naturalezza. «Non permetterei mai a Penny di girare da sola per Nocturn. Devi essere molto coraggiosa o molto sciocca... per farlo a quest’ora.» ammise con sincerità, tornando a sedersi di fronte a lei. Si rigirava il bicchiere tra le mani, concentrandosi sul movimento lento e circolare del liquido nel bicchiere. Sembrava concentrato sul pensiero della sorella o, forse, su quello che avrebbe voluto dirle in seguito. Nel frattempo, da quella finestrella stretta giunsero i rumori ovattati degli schiamazzi da cui Axel l'aveva salvata, di nuovo. Il suo sguardo, allora, corse ad una fotografia appesa alla parete di fronte al caminetto, in cui un uomo e una donna - entrambi sulla quarantina - se ne stavano seduti su un divanetto non troppo dissimile da quello che Axel usava come giaciglio in quella bettola, proprio sotto la finestra. Il ragazzo sospirò più volte, prima di indicare i due soggetti con l’indice. «Non mi darebbero pace se sapessero che non faccio il mio dovere di fratello maggiore.»

Che effetto avrebbe avuto su Megan quell’allusione? Era chiaro che Axel fosse orfano, proprio come lei, ma perché enfatizzare tanto quell’aspetto comune delle loro vite? Prowse non le diede troppo tempo per rifletterci e si rivolse a lei con rinnovato vigore, ogni parola permeata da una palpabile eccitazione. «Se vuoi un consiglio, prima di avventurarti in sobborghi come questo… dovresti imparare a difenderti a trecentosessanta gradi.»
Avrebbe di certo voluto aggiungere qualcosa, si vedeva chiaramente, eppure il ragazzo decise di tacere, lasciandole il tempo di valutare quell'offerta velata che si era apprestato ad esporle tanto ingenuamente. Dal canto suo, lo Spezzaincantesimi aveva capito subito di avere una ragazzina abbastanza furba davanti a sé, la cui forza fisica non sarebbe mai stata sufficiente in uno scontro con un uomo ben più grosso di lui. Tuttavia, aveva l'impressione che ci fosse ancora qualcosa da fare per lei, lei che così energicamente aveva tentato di ribellarsi alla sua stretta salvifica. Sì, forse quella ragazzina avrebbe potuto imparare da lui qualcosa di eccezionale quella sera.

 
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view post Posted on 7/3/2019, 22:25
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Megan Milford-Haven

Quanto sarebbe stato difficile dover ammettere a se stessa di sentirsi completamente sbagliata in quel momento? Lo sapeva bene che ogni passo che stava compiendo era un errore e che se qualcosa le fosse mai successo probabilmente nessuno avrebbe avuto più notizie di lei. Eppure non riusciva a non staccarsi dalla sensazione che l’adrenalina le stava provocando, mentre l’ansia si avvinghiava al suo esile corpo dapprima lentamente poi sempre con più forza. Era fatta, aveva appena attraversato la soglia e qualsiasi cosa sarebbe successa, da lì in avanti, avrebbe dovuto controllarla con tutta la sua forza.
Si guardò attorno, scandagliando i muri di quella casa deteriorata. Chiedersi come si faceva a vivere lì dentro sarebbe stato lecito, tanta era la puzza di chiuso e di vecchio, ma si limitò ad appesantire il suo volto con una leggera smorfia di disgusto che proprio non riuscì a evitare.
Recuperò il fiato lentamente, mentre le iridi si allargavano per abituarsi a quella strana luce che illuminava appena il piccolo monolocale. Non vi era benché un minimo di colore e nulla faceva pensare a qualcosa di buono. Giudicare dall’apparenza sarebbe stato sbagliato ma come avrebbe potuto fare diversamente dopotutto? Niente lì dentro le dava una buona impressione e così cercò di distrarsi osservando le lingue di fuoco scoppiettare, danzare eleganti all’interno del camino. Provò a immaginare qualcosa di diverso, per cercare di non dare l’impressione della tensione che si stava portando appresso e che lentamente diveniva sempre più invasiva. Il suo atteggiamento aggressivo era dato in parte anche da quest’ultima e probabilmente Axel se ne era già accorto.
L’unico pensiero che riuscì a sfiorarla era il poter raccontare qualcosa di diverso se fosse andato tutto liscio, rispetto alle sue aspettative da cui non si era scostata nemmeno per un secondo. Poi accadde qualcosa di inaspettato; proprio mentre Megan aveva spostato lo sguardo sul ragazzo, osservandone meglio ogni lineamento da una distanza più ravvicinata e un tempo scandito da un lungo e piacevole silenzio, lui sogghignò.
Ruppe la quiete apparente e la Corvonero si accigliò appena poi gli rivolse un mezzo sorriso, per mostrare una complicità che in fondo non c’era affatto. Una maschera era ben piazzata sul suo viso, ora, e aveva scelto quale delle tante utilizzare; certo era che non avrebbe saputo quanto a lungo sarebbe stata in grado di tenerla.
«Megan.» rispose alla domanda e con un cenno del capo gli fece segno di non preoccuparsi.
Lo ascoltava perché non avrebbe potuto fare diversamente, lo assecondava per lo stesso motivo. Così si era seduta senza dire altro, osservando attentamente ogni singolo movimento del ragazzo. Lo guardava, cercando di comprendere se poteva realmente dargli fiducia, se poteva almeno provarci, ma qualcosa continuava a tenerla bloccata nella sua posizione e non sarebbe stato facile cedere, non per una come lei, o almeno questo credeva.
Era stata imprudente e lo sapeva bene; girare a quell’ora a Nocturn Alley significava cercare guai ma non le era importato fatto e non se ne pentiva. Se ripensava alle sensazioni che aveva percepito lungo il tragitto ne sentiva l’essenza, l’emozione che la rendeva viva e che faceva scorrere in lei l’adrenalina, qualcosa che non riusciva controllare.
Lo aveva seguito passo dopo passo, osservandolo mentre si versava da bere a qualche metro da lei. Sembrava tranquillo e non sapeva se attribuire a quel suo atteggiamento un’improvvisa reazione avventata o se doversi semplicemente rilassare a ciò che l’evidenza sembrava suggerirle.
«Cos’è una specie di ramanzina?» aveva ribattuto subito dopo aver incassato il colpo.
Lo aveva lasciato parlare e non aveva replicato in alcun modo ma quando si era abbandonata a quel silenzio, quando aveva sentito un briciolo di gratitudine nei suoi confronti - viste le grida lontane fra i vicoli buoi da cui era stata sottratta - si sentì colpire in pieno petto.
Le iridi blu avevano seguito l’indice del ragazzo e messo a fuoco una foto che ritraeva una coppia felice: erano i genitori di Axel e anche lui li aveva persi.
Megan non seppe descrivere cosa avvertì quando la certezza si insinuò sotto la sua pelle. Il dolore che cercava di mascherare, sotto un’apparenza forte e invalicabile, si accese improvvisamente. Doveva premere l’interruttore e tornare a non sentire niente ma sembrava così difficile in quel momento. Era sempre stato un problema gestire le emozioni per lei, cercare di non farle prevalere era qualcosa per cui lottava da sempre e ricordava a malapena le volte in cui aveva avuto successo.
Condividere quel dolore, avere la consapevolezza che qualcuno capiva esattamente come fosse il vuoto di quella mancanza le faceva venire voglia di aggrapparsi a lui. Ma non poteva e non doveva perché era lei, e solamente lei, a doversi sostenere da sola.
In quei brevi istanti sentì gli occhi bagnarsi e abbassò lo sguardo per evitare che lui se ne accorgesse; riusciva a comprendere benissimo cosa aveva provato, cosa provava, e faceva troppo male. Chiuse le palpebre appena cercando di fermare quel processo irrazionale e strinse le mani lungo le gambe.
«Senti… io devo tornare. Ti ringrazio per avermi guardato le spalle.» aggiunse poco dopo.
Si sollevò, alzandosi dalla sedia, non appena riuscì ad avere il pieno controllo delle reazioni che l’avevano immobilizzata per qualche attimo.
In quegli istanti sembrava che ogni cosa avesse acquisito meno importanza e che tutto ciò che aveva considerato pericoloso poco prima, ora non lo era più. Uscire fuori da lì era la cosa più facile e lo avrebbe fatto, pur di non affrontare ciò che più la feriva al mondo, soprattutto con uno sconosciuto.


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view post Posted on 14/3/2019, 14:31
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«Sei sola, Megan.»

Le parole scivolarono carezzevoli, colmando lo spazio tra lui e la ragazzina ormai di spalle e quasi giunta alla porta. L’essere orfano era una condizione piuttosto comune nel loro mondo: esperimenti mal riusciti, incantesimi fallimentari e azioni del Ministero contro i Mangiamorte. Quale che fosse la causa, molti - troppi - bambini rimanevano senza una guida e quelle stesse anime solitarie si riconoscevano tra loro, come se quello stigma fosse impresso a fuoco sulla loro pelle, nel brillio spento dei loro occhi e, persino, nelle reazioni esagerate. Megan non faceva eccezione e, anche senza saperlo con certezza, Axel aveva capito. «Sei sola. E non puoi fidarti di nessuno, lo capisco.» si alzò con calma, posando il bicchiere sul ripiano della cucina, e rimase lì. Non aveva bisogno di imporle la propria presenza per farle capire quanto avesse ragione. Si sarebbe limitato ad essere una voce fuori campo, una sorta di coscienza - così come suo padre gli aveva insegnato ad essere per Penny. «Ti si legge in faccia, Megan.»

Conoscendo ora il suo nome, continuò a ripeterlo nella speranza di creare con lei un legame diverso, di fiducia. Era impossibile prevedere che cosa sarebbe accaduto di lì a pochi istanti, ma Axel avrebbe provato una sorta di sollievo nel vedere ancora le iridi chiare della ragazza volgersi verso di lui. Tacque, sperando di trattenerla ancora un po’, per far sì che quell’incontro orchestrato dal Destino non fosse del tutto vano. Axel credeva nel Fato, nel modo in cui due fatti potessero essere collegati attraverso un filo invisibile, un collegamento incomprensibile per essere umani limitati com’erano loro. Doveva crederci, poiché se non l’avesse fatto non avrebbe mai trovato pace per la perdita dei suoi genitori. «Siediti, per favore.» glielo chiese con gentilezza, senza forzare troppo quella richiesta. Aveva intuito la fragilità di quella ragazzina ben prima che mettesse piede nel suo squallido appartamento e si era sentito legato a lei in modo inspiegabile. Non c’era nulla che potesse dire o fare per trattenerla. Questo, però, non gli avrebbe impedito di provarci ancora.

«A scuola vi insegnano ad agitare una bacchetta o a mescolare ingredienti in un calderone… ma qui quella roba non ti serve a nulla.» il tono si fece più convincente, mentre versava dell’acqua nel secondo bicchiere fino a riempirlo per metà. Non osò avvicinarsi a lei, ma incantò il bicchiere affinché quello volteggiasse dinanzi i suoi occhi velati di lacrime. «Dovresti chiederti come ho capito che sei quello che sei. Sola, fragile... indifesa.» riprese, tornando a prendere posto davanti al caminetto. Le fiamme amaranto danzavano tra i ciocchi di legno anneriti, riverberandosi sulle pareti fuligginose del camino e sul volto stanco del giovane. Stava bluffando, ma non era certo che Megan ne fosse pienamente consapevole. La speranza di aver riacceso una miccia ormai spenta si ridestò in un punto imprecisato del petto e Axel tentò un'ultima volta di tenerla con sé.

«Siediti, Megan, e ti dirò ogni cosa.»

 
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view post Posted on 16/3/2019, 15:34
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Megan Milford-Haven

Qualche passo ancora e sarebbe uscita da quello che sembrava essere un brutto sogno. Non riusciva ad accettare l’essere cosciente che tutto ciò che stava vivendo rappresentava la realtà, seppur del tutto insolita. Sentirsi nelle mani del fato, percepirne la sua essenza, creava in lei una mancanza di autocontrollo che non riusciva a sopportare. Avrebbe tanto voluto svegliarsi in Sala Comune avvolta fra le pesanti coperte calde, capire che tutto quello che aveva sentito e vissuto era rappresentato dalla sua fervida immaginazione. Invece si ritrovava a navigare nell’incertezza, in un mare blu notte che non lasciava intravedere nulla da poter seguire. Cercava la sua luce e probabilmente, prima o poi, si sarebbe accorta che non doveva andare proprio da nessuna parte per trovarla: era lì.
Nonostante tutto era convinta delle sue azioni, del voler varcare la soglia d’uscita e immergersi nelle tenebre, ma d’altra parte, però, non era sicura affatto di ciò che stava facendo. Sentiva la sua mente appesa a un filo che oscillava da destra verso sinistra e da sinistra verso destra, era così confusa da percepire chiaramente il poco controllo che l’aveva avvolta nella sua morsa potente.
Ora che era davanti alla porta allungò la mano posandola sulla maniglia; le scale stavano per darle un nuovo benvenuto, ripide e immerse nell’oscurità alle fondamenta. Così andava a compiere l’ultimo passo, lasciandosi tutto alle spalle nell’incertezza più assoluta, quando la voce di Axel la colpì ancora.
Una coltellata in pieno petto era certa che le avrebbe fatto meno male e fu inevitabile sentire un nodo alla gola stringersi ed emanare un lungo e intenso respiro. Lasciò scivolare le dita dall’impugnatura, accarezzando leggera la sua superficie, poi fermò le lacrime che copiosamente le rigarono il volto questa volta.
Il suono caldo, dolce e penetrante delle sue corde vocali invase la mente di Megan: si sentiva completamente nuda in quegli istanti e fu necessario per lei avvolgersi nel proprio abbraccio. Un gesto di totale difesa, come se bastava a poterla proteggere dal male che da tempo la logorava e che in quel momento aveva di nuovo fatto uscire. Lo faceva sempre anche da bambina: si stringeva perché si sentiva più sicura, pur sapendo, però, che non sarebbe bastato.
Lo ascoltava immobile senza muovere più alcun passo, poi spostò lo sguardo verso il bicchiere che si trovò davanti sospeso a mezz’aria. Lo afferrò, lo strinse forte, e quando senti il silenzio di nuovo farsi spazio dopo quella richiesta lo lasciò cadere a terra. Chiuse per qualche istante gli occhi, ascoltando il rumore del vetro infrangersi sul pavimento. Cosa doveva fare? Non lo sapeva ma quegli attimi di difficoltà le bastarono per comprendere che per una volta avrebbe dovuto fare qualcosa di diverso: ascoltare.
La mano libera andò a pulire il viso dal trucco, che aveva già macchiato lievemente la pelle candida, e quando fu pronta tornò a guardare il ragazzo.
Incrociò i suoi occhi e per un secondo le sembrò di vedere ancora qualcosa in lui, tanto che la familiarità di quei tratti tornarono a tormentarla.
Con molta probabilità si stava illudendo, cercando di ricondurre il volto del giovane a qualcuno legato alla sua famiglia, ma in quei momenti, di poca lucidità, non riusciva a fare a meno di sperarlo.
«Perché?» gli chiese semplicemente. Il tono pacato e arrendevole sarebbe stato uno dei primi segnali di un cedimento ormai vicino.
Fece qualche passo verso di lui, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un singolo istante. «Credi di riuscire a farmi sentire meglio, Axel? Credi di potermi insegnare a dimenticare? Ad essere capace di convivere senza essere toccata dal dolore?» le domande riempivano quel momento mentre i passi si arrestavano a pochi centimetri dal giovane. «Se sei capace di questo allora fa qualcosa!» alzò il tono della voce questa volta, impartendo quell’ordine, mentre le parole si spezzarono in un singhiozzo soffocato.
Non si sedette ma restò in piedi di fronte a lui. Gli occhi, colmi di rabbia e sofferenza, continuavano a fissare il ragazzo: voleva capire. Come aveva fatto? Come poteva conoscere il suo dolore e il suo stato emotivo così bene? La sua mente continuava a viaggiare e i pensieri negativi si accatastavano come cumuli di roba da buttare in una stanza troppo stretta. La speranza nel credere che Axel avesse le risposte che cercava da tempo si era fatta avanti sempre con più vigore. Megan aveva bisogno di una spiegazione, di sapere se lui conosceva i suoi genitori o se quello era semplicemente un giochino che il ragazzo aveva trovato per esercitarsi.
Oppure c’era altro.
Aveva la sua attenzione.


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view post Posted on 23/3/2019, 15:45
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Si limitò a ricambiare il suo sguardo, senza però lasciar trasparire la vicinanza emotiva che, in quel momento più che mai, sentiva legarlo alla ragazzina. Non aveva bisogno di qualcuno che la compatisse - allo stesso modo in cui, tanti anni prima, non ne aveva avuto bisogno lui - e si limitò a far spallucce, sapendo bene di indispettirla. Non si rispondeva certo con un’alzata di spalle ad un grande quesito come quello. «Non si scappa mai da certe cose, penso tu lo sappia.», commentò sardonico. Non ci mise molto a capire che Megan doveva essere sorpresa per reagire d’istinto e così, dopo qualche minuto di silenzio e titubanza, Axel sferrò il proprio attacco. Mascherata da affermazione innocente, la frase successiva venne pronunciata con voce suadente e quasi carezzevole, come se in un attimo la dinamica di quella conversazione fosse cambiata; Megan si sarebbe chiesta perché, dopotutto, Axel Prowse giocasse con lei come un gatto col topo dopo averla salvata non una, ma per ben due volte. «Non voglio farti perdere tempo, perciò ti dirò una cosa che è stata detta a me molto tempo fa.»

Si appoggiò allo schienale della seggiola malconcia, assumendo una posa tutt'altro che elegante. Non voleva certo che pensasse di aver di fronte un gentiluomo, ora, visto e considerato quanto sarebbe accaduto in seguito. Aveva bisogno di metterla alla prova, d'incrinare le sue certezze per poi distruggerle. Megan aveva la giusta predisposizione, lui ne era certo - lo era stato sin dal primo battibecco nel vicolo - e non avrebbe smesso di tentare di metterla in difficoltà finché non avesse raggiunto il proprio scopo. Perché lo stesse facendo, in realtà, era un mistero persino per lui e se avesse saputo la vera ragione per cui Megan era rimasta, forse avrebbe dovuto giocare le proprie carte diversamente.

«Puoi avere una bacchetta, ma se non sai usare la testa nel modo giusto, non andrai mai da nessuna parte.»

Per un attimo le labbra del giovane uomo si curvarono in un sorriso, quasi divertito, probabilmente a causa del ricordo suscitatogli da quella frase. Il tutto aveva senso e confutare quel pensiero sarebbe stato praticamente impossibile. Così, più abilmente di quanto la sua goffaggine solitamente gli consentisse, Axel aggiunse «Sai che cos’è la Legilimanzia, Megan?»
Sorridendole malizioso, intercettò il suo sguardo e prim’ancora che potesse aprir bocca per ribattere, il ragazzo mormorò «Ho capito che sei intelligente, ma che forse non hai tutte le risposte.», spiegò. Le dita del giovane tamburellarono sul vetro per qualche secondo, finché non ebbe la certezza di aver attirato la sua attenzione completamente. Solo allora il rullio soffuso cessò del tutto e lo sguardo penetrante si agganciò a quello di Megan. «Se vuoi, posso spiegartelo. Oppure…» borbottò a mezza voce, facendo spallucce nuovamente. «...posso mostrartelo. A te la scelta.»
Finalmente ci siamo: Axel si sta offrendo di insegnare qualcosa a Megan.
Ti ricordo che le conoscenze del tuo PG in merito sono limitate a nozioni molto molto vaghe, se non addirittura inesistenti. A te la scelta sul modo più appropriato di proseguire.

 
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view post Posted on 26/5/2019, 09:51
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Megan Milford-Haven

Nell’udire quelle parole Megan sentì il cuore sgretolarsi come granelli di sabbia fra le dita. Vi era la capacità di comprendere, perché era lei stessa a pensare quanto quell’uomo le aveva detto ma sentirselo dire sembrava essere tutt’altra cosa.
Abbassò appena lo sguardo distogliendo gli occhi blu - che rivolse verso le linee sporche del pavimento - da quelli di Axel e solo quando fu chiamata di nuovo all’attenzione tornò ad osservarlo. Incrociò le braccia e gli occhi si strinsero mettendo a fuoco la figura di fronte a lei. Si concentrava sui suoi lineamenti, cercando di trovare nella propria memoria qualcosa che potesse condurla a un punto preciso della sua vita. Le sembrava un volto conosciuto ma niente le dava la certezza e lentamente iniziava a credere che, forse, era solamente il suo desiderio a guidarla verso qualcosa che non c'era stato, che non era mai esistito. Si pentì di avergli mostrato le sue debolezze ma era davvero ben poco ciò che poteva fare. Doveva ancora imparare a controllarle, a non farsi inghiottire, a essere forte, ma era tremendamente complicato da rendere rare le volte in cui ci riusciva.
Cercò di ricomporsi lasciando lo sguardo mutare e così ogni emozione parve spegnersi, trasportandola ancora nel buio.
Non capiva, continuava a non farlo. Vane erano state le richieste di una spiegazione, questa non era arrivata e la frustrazione diveniva sempre più presente in lei. Cosa poteva fare? Andarsene, ma non riusciva a muoversi o con molta più probabilità non lo voleva affatto.
Vide Axel spostarsi sulla sedia, appoggiare la schiena sul legno e mentre lo sentiva pronunciare quelle frasi indietreggiò, allontanandosi appena.
Storse la bocca quando lo vide sorridere, rivolgendogli uno sguardo confuso, poi alzò le spalle.
«Vagamente,» rispose scandendo quella parola.
Non conosceva in maniera chiara cosa era la Legimanzia ma sapeva che alcuni maghi se ne servivano per leggere la mente: aveva un'infarinatura generale ben coincisa.
Fu proprio nell’elaborare il pensiero su quella parola che tutto sembrò divenirle chiaro. Malgrado la calma apparente assunta, Megan aveva iniziato a capire, o almeno lo credeva, e si sentì una stupida ad avere solo pensato che quel ragazzo poteva avere un legame con lei. Se ciò che sapeva era vero, allora Axel aveva potuto leggere ciò che sentiva, comprendere i propri pensieri e usarli a proprio piacimento. Si sentiva presa in giro e non vi era cosa peggiore che poteva percepire. Doveva stare sempre un passo avanti a chi aveva di fronte, verso la persona con cui si scontrava, ma in quel momento si sentiva in difficoltà per la prima volta.
«potresti spiegarmelo ma senza alcuna dimostrazione.» aveva concluso.
Solo in quel momento trovò posizione sedendosi sulla sedia. Le gambe si incrociarono e il gomito sinistro poggiò sul ginocchio destro, lasciando alla mano il compito di accogliere il mento sul suo palmo. La mano libera prima fece cenno al ragazzo di farsi avanti, poi si posizionò lungo i pantaloni all’altezza della vita, pronta ad afferrare la bacchetta qualora ce ne fosse stato il bisogno.
Non poteva fare altro che attendere, prestando la massima attenzione ad ogni movimento che Prowse avrebbe compiuto da lì in avanti. Stare al suo gioco era ciò che in quel momento le conveniva fare; mostrarsi del tutto accondiscendente e palesare in volto una maschera che ritraeva la sicurezza e la decisione usata nelle parole pronunciate pochi istanti prima.
Se ora si sentiva totalmente indifesa lui non doveva capirlo.


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L’ostinazione emerse piano piano, permettendogli di scorgere molto più di quanto la ragazzina avrebbe desiderato rivelare di se stessa. Si capiva perfettamente quanto, in quei pochi istanti di silenzio, cercasse nel suo volto una memoria di un tempo passato, studiandolo con cura, ma provando a fingere che non gliene importasse nulla.

Il suo sorriso, parzialmente mascherato dall’ombra, avrebbe saputo suggerirle uno stato d’animo ben preciso; sicuramente l’avrebbe fatta infuriare se solo avesse osato risponderle per le rime.
Scelse dunque di tacere, consapevole di non avere dalla sua il tempo necessario a convincerla con le buone maniere. «Pensavo ti servissero delle prove.»

La stuzzicò senza colpo ferire, apprestandosi a ricevere l’ennesima e velenosa stilettata verbale. C’era in lei una fierezza tale da indurlo in soggezione e, al contempo, la fragilità di una vita troppo giovane e provata dagli eventi. Naturalmente non ne sapeva nulla, ma glielo leggeva negli occhi, senza osare andare oltre quella cortina blu come il mare in tempesta.

«La mente umana è come un libro e la tua non è diversa dalle altre. Ricordi, segreti… bugie. Ne hai come chiunque altro, me compreso.» spiegò pratico, scrutandola senza troppa invadenza «Capisco che non ti fidi di me. Non ci conosciamo affatto. In cuor tuo sai bene, però, che senza di me adesso saresti alleggerita del peso della tua borsa e, forse, di molto altro.»

Il volto dell’uomo nel vicolo riemerse alla sua vista, provocandogli un movimento nervoso delle spalle, come se avesse voluto togliersi di dosso qualcosa di fastidioso. «Puoi scegliere se fidarti ancora di me o di non farlo. Devi capire se vuoi che chiunque possa leggere quello che c’è nella tua testa.» trattenne il respiro e solo a quel punto, quando il battito cardiaco cominciò a rallentare troppo e i polmoni stringersi alla ricerca di ossigeno, osò parlare nuovamente. «Posso insegnarti ad essere imperscrutabile, se lo desideri.»
Il suo modo di esporsi e di rivelarsi piano piano non aveva nulla a che vedere con la leziosità di alcuni individui né vi era traccia del tono mellifluo che avrebbe potuto far vacillare ancor di più la fiducia di Megan. Se avesse voluto, si sarebbe lasciata convincere dalla spontaneità dei comportamenti di Axel, dal suo sguardo gentile e mai invadente e, persino, dalle sue parole.

"Volere è potere", avrebbe detto qualcuno.

Una parte di Axel Prowse sperava di potersela cavare con un’affermazione o con qualcosa che somigliasse vagamente ad un tacito assenso. Megan non era facile da comprendere, a meno che non si cercassero in lei i segni di cedimento che tanto ostinatamente tentava di nascondere agli altri. Pochi minuti con lei, seppur concitati, gli avevano permesso di cogliere delle sfumature del suo carattere e del suo passato, tingendo quel quadro impreciso di colori e linee sempre più definite. «Non sono cose che ti vengono insegnate a scuola, queste, ma dovrebbero esserlo.» aggiunse dopo un po’, incerto sul modo migliore di proseguire «L’Occlumanzia ti sarebbe utile per nascondere agli altri ciò che non si vede ad occhio nudo.»

In un gesto fluido della mano, munita di bacchetta da pochi secondi, il bicchiere infranto tornò all’antico splendore - ben poco a giudicare i segni di usura - e da una gocciolina d’acqua impigliata sul fondo, Axel riuscì a riempirlo nuovamente. Solo quando fu soddisfatto del risultato aggirò Megan, raccogliendo da terra il bicchiere e porgendoglielo senza degnarla di uno sguardo. «Puoi provare a difenderti da uno sconosciuto.» disse allora «Ma se lo desideri puoi cominciare a capire se puoi difenderti da me.»

 
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Megan Milford-Haven

Le dita tamburellarono lente sulla guancia e la mano all'altezza della vita premeva sul fianco. Tensione e controllo si sovrapponevano prendendosi gioco della difficoltà che in quel momento Megan stava percependo. Gli occhi, fissi e attenti sulla figura, attendevano una mossa azzardata che non arrivò. Respirava lentamente cercando di decifrare ogni parola del ragazzo, non comprendendo il motivo che lo spingeva a volerle dare una mano. Ciò che era chiaro, per la giovane studentessa, era l’aiuto ricevuto in precedenza fra le strade di Nocturn Alley ma quanto le costava ammettere che Axel avesse ragione? Era così difficile cedere a un punto messo per principio e ostinazione dopotutto, però chi poteva biasimarla? Lui non era nessuno.
I pensieri sfuggivano via come acqua fra le dita, collocandosi nei due emisferi, frapponendosi fra loro, creando caos. Quest'ultimo riusciva perfettamente a farle perdere la percezione della realtà che stava vivendo e lo faceva a tratti, tant'è che alcune parole pronunciate dal mago le sfuggirono. Gli occhi spenti dal grigiore di un futuro spezzato si accesero improvvisi quando la spiegazione finalmente arrivò, lasciando ardere in lei l’impulso, suscitando interesse. Ciò che era disposto a insegnarle Prowse era invitante, così per la prima volta Megan gli concesse un mezzo sorriso e un ghigno, che si fece spazio fra le turgide labbra. Scostò lo sguardo altrove per una manciata di secondi; doveva far sì che la mente elaborasse quanto detto, poiché iniziava a convincersi che avrebbe potuto essere una scelta valida. Sì, sapeva bene quanto era difficile non far trapelare alcuna emozione, non riuscire a tenerle per sé, così se avesse avuto la possibilità di nascondersi, di fingere, l’avrebbe colta. Sebbene odiava fidarsi delle persone, doveva ammettere che quel ragazzo aveva la capacità di accendere in lei fin troppe sensazioni. Si sentiva lontana da ogni abitudine in quel momento e le piaceva, eccitata nel sentire le paure muoversi dentro di lei lasciandole vivere, attimo dopo attimo, ogni istante in maniera diversa. Lo sguardo tornò su Axel non appena lo vide afferrare la bacchetta. Megan si irrigidì e sciolse le gambe, lasciando toccare entrambi i piedi sul pavimento. Tirò su la schiena, severa, la mano destra afferrò la bacchetta e prima ancora di puntargliela contro comprese ciò che stava facendo. Non lasciò l’impugnatura del legno di ciliegio, nel mentre, però, osservava ogni singola mossa: vide il ragazzo alzarsi, raccogliere il bicchiere e riempirlo di nuovo d’acqua fino ad avvicinarsi a lei. Fu quando porse il calice verso la sua direzione e la invitò a difendersi da lui che Megan si alzò di scatto. Ora lo fronteggiava e gli occhioni blu cercavano i suoi, decisi a fargli capire che qualsiasi cosa avesse fatto non avrebbe avuto paura delle conseguenze.
«Non ho sete», ribadì a parole questa volta mentre la mano sinistra scostava il bicchiere ancora stretto nel pugno del giovane. «fai quel che devi e basta con i convenevoli!», aggiunse severa «Mi saprò difendere, non preoccuparti», concluse finché le palpebre si abbassarono e alzarono osservando per intero la figura a pochi centimetri da lei. I denti afferrarono il labbro inferiore, cercando di rallentare la tensione che in quel momento accresceva in lei impetuosa. Strinse con più forza il legno legato in vita e alzò il mento in direzione del volto di Axel.
«Forza», sussurrò appena, «fallo prima che ci ripensi».

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Il Fato

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«Non mi preoccupavo di certo della tua gola secca.» ancora una volta, la lingua tagliente di Axel lasciò il segno sull’orgoglio di Megan, una traccia invisibile che lui avrebbe saputo notare da quel momento in avanti. C’era tensione negli occhi della ragazzina, una curiosità accesa di ambizione e superbia; erano aspetti per i quali provare stima e avrebbe fatto in modo che niente di ciò che Megan avrebbe compiuto da lì in poi fosse del tutto vano. Nulla avrebbe spento quegli occhi brillanti e nessuno ne avrebbe valicato la soglia. Lui era lì per questo, una missione scelta per conto proprio, suggeritagli dall'istinto e senza una ragione apparente. Le sorrise sornione, incapace di sottostare a quello sguardo intenso e, del resto, infantile. Quanti anni poteva avere? Quindici? Forse, la sua vita - pensò - l’aveva temprata al punto tale da farle credere di poter incutere timore e soggezione in ragazzini ed adulti incontrati per caso. Che cos’era uno sguardo acceso di sfida contro la mente allenata di un Legilimens esperto? Non si trattava che di un castello di carte, pronto ad essere spazzato via in un soffio, bruciato fin nelle fondamenta dal dolore fisico che ben presto la ragazza avrebbe provato sulla propria pelle.

«Metti via la bacchetta, quella non ti serve a niente adesso.» proseguì, trascinando la seconda seggiola di fronte alla prima. Sedette, stringendo il bicchiere tra le mani, lo sguardo incatenato a quello di Megan. «Hai accettato. Dunque le regole le stabilisco io.» - sorrise di nuovo, questa volta con un'ombra di malizia in più - «Siediti, Megan.»

Inspirò a fondo, quand'ella ebbe preso posto come ordinato: poteva leggere nel suo sguardo la traccia invisibile del rancore crescente per quell'imposizione, mescolata a qualcosa di diverso, forse pura e semplice emozione per qualcosa di nuovo ed inesplorato. «Libera la mente. Respira profondamente e concentrati, ma senza esagerare. Se vuoi, puoi chiudere gli occhi, ma quando sarai pronta dovrai aprirli.»

Il suo primo tentativo da Legilimens era stato totalmente fuori luogo. Lo ricordava con precisione chirurgica, come se Shelley O'Connor fosse ancora lì, davanti a lui, in preda alla confessione di un sentimento affatto ricambiato durante l'esercitazione di Difesa Contro le Arti Oscure. Preda delle sue emozioni, la ragazza aveva abbassato le proprie difese e lui, stanco di sentirla parlare, aveva semplicemente sollevato la bacchetta e, le dita strette sul mento della compagna per farla smettere di parlare, aveva recitato l'incanto. Aveva visto ben più di quanto avrebbe desiderato: se stesso in diversi momenti della giornata; il ricordo sbiadito di biglietti indirizzati al suo dormitorio e mai ricevuti; i sospiri sognanti e l'emozione di averlo seduto accanto nelle ore di Storia della Magia. Uscire dalla sua mente fu l'esperienza più piacevole di tutte, ma Shelley O'Connor - preda della vergogna - non gli rivolgeva la parola da quasi cinque anni. La Legilimanzia era un'arma a doppio taglio, ma nel suo lavoro era utile quanto l'ossigeno per respirare. Megan avrebbe fatto tesoro di ciò che lui le avrebbe insegnato, se fosse davvero stata dotata come credeva? Axel non vedeva l'ora di scoprirlo. «Devi essere impenetrabile, Megan. Un muro. Una fortezza.» la sua voce, lenta e suadente, guidava i respiri della Corvonero; per certi versi, si sarebbe dovuta sentire rilassata nell'udirla. Una nota bassa, baritonale quasi, senza variazioni di sorta. La guidava senza sosta alla ricerca dell'equilibrio perfetto. Se l'avesse trovato immediatamente, Axel se ne sarebbe stupito, ma non troppo; quella che aveva davanti era una ragazzina dall'indole di ferro, o almeno così aveva creduto d'essere. Prowse avrebbe scavato in quella convinzione, creando cunicoli sempre più profondi, lasciando che le fondamenta cedessero per lasciarla senza fiato. Soltanto così avrebbe capito e appreso ciò che lui era disposto ad insegnarle.

La punta della bacchetta di Axel si adagiò sulla tempia sinistra dell'allieva e, a quel punto, il blu brillante tornò ad illuminarle il volto, un faro nell'oscurità rischiarata solamente dal riverbero delle fiamme sulle mattonelle caliginose. Le iridi grigie di Prowse ne incontrarono la vitalità e, con lo stesso tono calmo e pacato, la formula finì ciò che il movimento aveva cominciato. Il desiderio di oltrepassarli non l'avrebbe sfiorata nemmeno per un istante. Non l'avrebbe percepito nella sua testa finché lui non avesse deciso che sarebbe stato così. I Legilimens erano pericolosi e Megan non ne aveva la minima idea.

«Legilimens»

Le pupille nere come la pece si dilatarono senza sforzo, lasciandogli campo libero fin troppo facilmente. L'intrusione avvenne senza fatica, percepita con la leggerezza di una piuma che si posi delicatamente sul palmo della mano. Come un prurito da soddisfare, Megan avrebbe dovuto scacciarlo con l'occhio della mente e non con le dita nervose. Axel era curioso, spingendosi nel substrato di immagini che la memoria della ragazzina gli profilava in successione infinita. Non cercava nulla di preciso, ma qualcosa a cui lei tenesse e che gli sarebbe servito per far leva sulla sua volontà. Doveva desiderare di difendersi e respingere, di essere come l'acqua in quel bicchiere: ferma e imperscrutabile, scivolosa al punto da non potergli permettere di prendere nulla.
Ben ritrovata.

Axel non perde tempo e guida Megan nel corso del primo tentativo di intrusione.

Puoi scegliere che cosa mostrare ad Axel: un solo ricordo vivido o sprazzi di immagini scollegate tra loro.
Vorrei che ti concentrassi sulle sensazioni che Megan prova, fisiche ed emotive, più che sul tentativo di respingerne l'assalto; le emozioni sono importanti, dai libero sfogo a tutto ciò che ti passa per la testa, letteralmente.

Megan è alle prime armi e non ha mai sperimentato nulla di simile, non dimenticarlo.

 
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∆ Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida (legata in vita)
∆ Borsa a tracolla
∆ Anello Gemello (anulare sx)

∆ Anello Difensivo (indice dx)

∆ Mantello della Disillusione (nella borsa)


Megan Milford-Haven

Determinazione, incoscienza, abbandono. Se solo avesse compreso cosa la stava spingendo verso quella direzione, verso Axel in quel modo, avrebbe frenato molte cose. Correva il rischio di finire in guai molto più grandi di lei, lo sapeva, eppure non le importava affatto. Guardava gli occhi del ragazzo con sfida, lo invitava a farsi avanti e palesava la forza d’animo e il coraggio di poterlo affrontare. Dentro, però, il cuore batteva forte, la paura l’accarezzava con pressione, poggiandosi sulla schiena, spingendo con forza, ora che la distanza di sicurezza era del tutto svanita. Poi d’improvviso gli occhi mutarono in un’espressione di totale sorpresa, lasciandosi invadere dal piacere: Axel sembrava sapere bene come prenderla e questo riusciva piano a calmarla contro ogni volontà. Strinse le palpebre e serrò le labbra mentre, lento, il corpo si rilassava. Successivamente, non appena il ragazzo si allontanò, Megan allentò la presa dalla bacchetta fino a perdere completamente il contatto. Era nervosa, non le piaceva sentirsi dire cosa doveva fare e come farlo ma sapeva di non avere scelta. Lo vide avvicinare la sedia e posizionarla davanti a quella da cui si era appena alzata e per la prima volta non fece alcuna obiezione alla richiesta che Axel le fece. Si sedette ed entrambe le mani andarono a raccogliere le ciocche che erano cadute morbide sul viso, coprendolo in parte, portandole dietro alle orecchie. Aveva distolto lo sguardo quando lui le aveva sorriso e lo fece per evitare di ricambiarlo, era troppo per lei cedere con così tanta facilità ed evidenza. Dopo aver contato una, due, tre, quattro mattonelle sul pavimento, fece un profondo respiro e alzò la testa. Di nuovo i suoi occhi, il viso gentile e la voce calma la invasero e l’agitazione tornò con forza; se solo Axel avesse tentato di sfiorarla poteva sentirla tremare. Ora si lasciava semplicemente guidare, nessuna lamentela, nessuno sguardo colmo di rabbia. Chiuse gli occhi proprio come Prowse le aveva detto, profondi respiri accompagnavano quel momento mentre le linee guida dettate dalla voce calda, lenta e suadente le riempivano la mente. Un muro, replicò silenziosa poi il tocco della bacchetta sulla propria tempia la fece sussultare e gli occhi si aprirono di scatto. Udì la formula e il panico per qualche attimo le tolse il respiro; era rimasta immobile preda dell’incognito, tra la voglia di proseguire e quella di scappare via. Poi d’improvviso qualcosa mutò dentro di lei e i pensieri del presente furono calpestati da quelli passato, gli stessi che la tormentavano e allo stesso modo la rendevano viva.

***


«Meggy! Meggy!», il ragazzino dai capelli dorati e gli occhioni color dell’erba era in piedi su un ramo «Fammi vedere quanto sei coraggiosa!», gridava facendo cenno con le dita alla piccola Megan che l’osservava dal basso con la mano sulla fronte a riparare dal sole.
Paul Harris, abitava a qualche metro di distanza dalla casa dei Milford-Haven e insieme a Megan era solito intrattenersi nei pomeriggi quando la ragazzina non era impegnata con la musica o con gli allenamenti. Avevano davvero un bellissimo rapporto fino a che d’improvviso non fu costretto a trasferirsi per il lavoro dei genitori e Megan non aveva più avuto modo di rivederlo.
«Oh, vuoi vedere? Arrivo anche più in alto!», sentenziò coraggiosa mentre le mani si infilavano nei fori della corteccia dura della pianta facendo leva al corpo minuto e leggero. Un passo alla volta, lentamente.

***


Sorrise a quel ricordo nonostante la tristezza di quel piccolo trauma mai superato che ancora viveva in una parte del cuore, quello da bambina di soli dieci anni. Il periodo che susseguì all’addio mai dato fu indubbiamente triste, tutte le volte che tornava a casa durante le vacanze guardava la dimora degli Harris vuota. Si chiedeva spesso dove fosse quel ragazzino speciale, se stesse bene e se si ricordasse ancora di lei. Paul era stato il suo migliore amico d’infanzia, poi divenuto una mancanza che non avrebbe colmato nessuno in alcun modo.

***


Inspirava e buttava fuori l’aria cercando il controllo su ciò che stava facendo. Le mani le dolevano ma non abbastanza da farle arrestare la scalata che mano a mano la vedeva sempre più vicina alla cima. «Dai! Ci sei quasi! Voglio farti vedere una cosa», continuava Paul mentre stendeva il braccio pronto ad accogliere la mano di Megan. «Spero sia interessante! Non voglio più vedere una base militare per vermi» rise con in viso un’espressione tra il disgusto e il divertimento, poi la mano si tese e afferrò quella del ragazzino. Ora era seduta sul ramo dell’albero nel suo giardino affianco a Paul e guardava la grigia città da un angolazione diversa. I tetti colorati davano vita a un tappeto di mattoni sospeso nell’aria, immaginava di poterci camminare sopra, sospesa nel cielo: era tutto più bello da lì, perfino il suo Paul. «Allora? Cosa volevi farmi vedere?» chiese con voce impaziente, poi vide il biondino alzarsi e come un trapezista attraversare quel lungo ramo spesso senza alcuna difficoltà. «Dove vai? Ti fai male!», aveva aggiunto preoccupata mentre l’amico le faceva segno di tacere. «Avvicinati, guarda cosa c’è qui!», Megan lentamente si fece avanti fino a raggiungerlo. Gli occhi seguirono l’indicazione di Paul e incontrarono un nido. «Oh … wow!» esclamò portando una mano davanti alla bocca, con l’altra si manteneva in equilibrio afferrando i rami sopra alla sua testa. Paul si voltò e le sorrise facendole notare le uova al suo interno, poi protese la mano verso la piccola casa di rametti e Megan lo guardò con curiosità. Da lì estrasse una piuma colorata, il blu e il verde sfumavano fra loro, formando una scala cromatica senza alcun difetto. Ne rimase affascinata e quando Paul gliela diede sorrise semplicemente. «Meggy questa è per te, ha il colore dei tuoi occhi», ricambiò il sorriso «e dei miei!» concluse mentre il rosso sulle gote di Megan si faceva sempre più acceso.

***


Il colore della pelle era mutato anche nel presente, solo il ricordo di quel momento la metteva in imbarazzo. Quella piuma la custodiva gelosamente in uno dei suoi libri preferiti e amava ancora immaginare attraverso di essa il bambino biondo che l’aveva accompagnata in alcuni momenti della sua vita. Le mancava, una parte di sé lo avvertiva, ma era una mancanza che non le procurava tristezza, solamente nostalgia: sorrideva ogni volta che ci pensava.

***


«Megan! Dove sei?», le grida di Carl interruppero quel momento e Megan fu costretta a voltarsi in direzione della voce. Un passo e dovette reggersi per la fretta di tornare giù, sbilanciandosi e rischiando di cadere.
«Attenta!», aveva gridato Paul.
«Dobbiamo muoverci, se ci vede qua su è la fine!» raggiunse il grande tronco e con velocità scese scivolando sulla corteccia liscia. «Avanti Paul, avanti!», incitava il ragazzino a fare più veloce mentre il secondo richiamo non tardò ad arrivare. «Devo andare!», disse non appena Paul mise i piedi a terra, un cenno della mano ad accompagnare il saluto e con passo svelto, infilando la piuma fra i capelli raccolti, raggiunse Carl.
«Papà, eccomi!», aveva affermato quando ancora non vedeva la figura del padre che era in attesa davanti al grande portone.
«Meg, vieni dobbiamo farti sentire una cosa!», Carl allungò il braccio e con la mano afferrò quella di sua figlia sorridendole.
«Bella piuma!» le fece l’occhiolino e Megan capì senza aver bisogno di dire nulla.

***


Era bello vederlo ancora, percepire il tocco della mano calda sulla pelle e udire la voce gentile come fosse a solo un passo da lei. Il suo papà, la sua roccia che era stata spezzata e spazzata via; quanto le mancava. Gli occhi si colmarono di lacrime ancora una volta, scivolarono sul volto lentamente finendo a terra. Poteva sentirne il tintinnio assordante in quella stanza così silenziosa. Un battito di ciglia ed era di nuovo lì, attraversava la soglia di quella casa che non aveva più rivisto, dove non aveva avuto il coraggio di tornare.

***


L’atrio si apriva facendo spazio a un arco a tutto sesto che dava sul grande salone. Quattro scalini anticipavano l’entrata nella stanza che, illuminata dai grandi finestroni, poteva vantare della propria bellezza. Al centro un grande tappeto circolare spezzava il bianco candido del pavimento in marmo pregiato. Era beige come lo erano i divani e le poltrone, e su di esso un pianoforte della “Steinway&Son” a coda perlato.
«Siediti accanto a me», disse Eloise fronte allo strumento, «voglio sapere cosa ne pensi» sorrise. Megan l’aveva già raggiunta affiancandola, premendo le dita sulla tastiera alternando qualche nota di suo gusto nell'ottava corta di cui disponeva in quel momento. Sul leggio numerosi fogli di carta scritti a mano, colmati da infinite note musicali, solleticarono la sua curiosità e non le fu difficile riconoscere la scrittura di sua madre. «Cos'è?», chiese mentre leggeva infinite note, legati, pause e sincopi. «Hai scritto una canzone? Hai composto qualcosa?» continuò visibilmente emozionata. Eloise le sorrise, felice di vedere quanta gioia v'era negli occhi di sua figlia, «Esatto bambina mia, è una bozza per la candidatura in un teatro molto importante e voglio che tu l'ascolti. Sono mesi che ci lavoro sopra e il Direttore Artistico mi ha detto che è entusiasta di quanto ho scritto fino ad ora e...», un abbraccio colmo di felicità avvolse la donna interrompendo il discorso. Megan era così orgogliosa di sua madre, sapeva l'importanza che aveva tutto quello che stava facendo e non riuscì a gestire alcuna emozione. «Hai scritto una canzone? Hai composto qualcosa?» si staccò guardandola negli occhi, le fossette mettevano in risalto un’espressione stupita. «Una canzone? Questa è una parte dell’opera!» replicò Eloise divertita, «Vuoi che la suoni?» chiese subito dopo. Megan annuì silenziosa mentre il blu delle iridi cristalline si posavano sulla lunga tastiera d’avorio e sulle mani affusolate di sua madre che leggiadre iniziarono a muoversi sullo strumento.

***


Sentirsi sola in quel momento era necessario, libera di poter ascoltare ciò che percepiva: la musica che lontana le accarezzava i pensieri. Eppure se fino a quel momento aveva lasciato la mente pescare ricordi senza fermarne la corsa, ora qualcosa la tratteneva nell’andare avanti. Fu come svegliarsi da uno stato di trance, prendere coscienza e realizzare che non era sola. Tutto ciò che stava vivendo lo viveva insieme ad Axel e da quella consapevolezza venne investita violentemente. Doveva essere un muro, doveva essere una dannata struttura di cemento armato pronta a non farsi buttare giù da niente e nessuno, pronta a difendersi da qualsiasi nemico, solida e impenetrabile. Doveva esserlo e invece? Strinse i pugni e un “No” sussurrato uscì dalle labbra. Esci, esci subito «Esci dalla mia testa!» gridò, mentre gli occhi si strinsero e le braccia si allungarono verso il ragazzo con l’intenzione di spingerlo via. Avrebbe voluto afferrargli il collo, le spalle, qualsiasi cosa per farlo allontanare. Quello che covava dentro, la solitudine, la sofferenza, appartenevano solo a lei. Nessuno poteva sapere e vedere cosa nascondeva dietro la perfetta maschera che indossava. Nessuno, men che meno uno sconosciuto quale era Axel, non doveva permetterglielo. Era vulnerabile ma doveva dimostrare altro, così come aveva fatto fino a quel giorno. La paura tornò improvvisa, con essa la rabbia e la voglia di vendicarsi per ogni cosa che le era stata fatta e il ragazzo di quello stato d'animo ne era la vittima. Tuttavia, cercava di fare resistenza ma Prowse sarebbe stato in grado di spogliarla, lo avrebbe fatto, vedendo realmente chi era. Megan non poteva far altro che essere spettatrice di se stessa, cercando di trovare un modo per fuggire via.


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Nello scoprirsi Legilimens, Axel Prowse aveva provato un moto di indescrivibile felicità. Ai tempi della scuola, il ragazzo non era altro che uno studente ordinario, dai modi goffi e spesso deriso dai compagni; la sua curiosità lo faceva finire sempre in qualche guaio, eppure lui non se ne lamentava mai. Quella speciale dote, rivelatasi in lui con sorpresa poco prima di svolgere gli esami del settimo anno, lo aveva inorgoglito a dismisura, come se - d’un tratto - gli fosse stata riconosciuta l’invenzione di una cura miracolosa contro il peggiore dei mali. All’improvviso, insomma, Axel si era reso conto di quanto quell’anomala curiosità - da sempre sbeffeggiata da tutti - avesse in realtà una vera ragion d’essere. Come tutti gli adolescenti si era preso gioco dei coetanei, esercitandosi quando meno se l’aspettavano, saggiando la propria abilità con maggior maestria ogni volta che una mente si apriva a lui come un libro. Storie divertenti, tristi, anonime. Ciascuna raccontava spaccati di un vissuto che non era il suo, ma che - con l’aiuto della Legilimanzia - lo diventava. Aveva scoperto piccoli e grandi segreti, e quella speciale propensione a sviscerare i problemi attraverso una profonda analisi lo aveva aiutato ad ottenere un buon lavoro alla Gringotts. Ora spezzava maledizioni quasi tutti i giorni, scopriva tesori inestimabili e si guadagnava da vivere con la profonda conoscenza assorbita da menti forse più preziose della sua. C’era ambizione, in Axel Prowse, ma i suoi mezzi non lo dimostravano; a ciò si accompagnava una consapevolezza sopraggiunta con l’età, che filtrava - in un certo senso - il suo bisogno quasi patologico di scoprire nuovi segreti ogni giorno. L’adolescente che era stato si sarebbe gettato a capofitto nei ricordi di Megan ed avrebbe banchettato con quel dolore che tanto si preoccupava di nascondere. L’uomo, invece, soffriva con lei. Del resto, anche Axel Prowse aveva dimestichezza con la sofferenza, il lutto e l’abbandono. Lo aveva percepito in lei prima ancora che i suoi occhi gli aprissero le porte della mente e, ora che aveva visto ogni cosa, Axel poteva solo immaginare chi fosse quell’uomo.

Megan non avrebbe saputo descrivere a parole la sensazione provata fino al momento in cui, magnanimo, Axel sgusciò via dai suoi ricordi. Lo fece con garbo, naturalmente, ma nulla avrebbe potuto quietare il pulsare delle tempie, la sensazione di vuoto espressa dalle pupille ancora dilatate. Quando la vista riprese a mettere a fuoco i dintorni oscuri e il profilo dell’uomo, Megan non avrebbe potuto spiegarsi perché - in fin dei conti - lui le stesse sorridendo.
«Hai avuto un’infanzia felice.» disse, appoggiando la schiena alla seggiola, che scricchiolò sotto il suo peso. Valutò con attenzione le parole successive, soppesandone il valore: voleva che lei capisse, che sapesse che non l’aveva fatto per conoscere dettagli preziosi del suo passato. Certo, lui non voleva, ma la vita era fatta d’incontri e le persone non erano sempre oneste e trasparenti nelle proprie intenzioni. L’Axel di diciassette anni, del resto, non lo sarebbe stato mai.
«Credo tu abbia persino provato a buttarmi fuori, sbaglio?»
Ridacchiò, mostrando i denti bianchi sotto i baffi scuri. Non voleva certo prenderla in giro, anzi, desiderava solamente lodarla senza darle l’impressione sbagliata. Se ci aveva provato, Megan aveva fallito. Eppure, non era stata una disfatta totale: Axel si era sentito spingere verso l’esterno con la forza di bambino che si opponga alla presa ferrea di un genitore. Megan doveva impegnarsi molto di più se voleva proteggersi dai mali tutt’intorno a loro.
«Credo che potresti far meglio di così. Urlare per scacciarmi non ti servirà a nulla, però.» l’indice picchiettò gentilmente la tempia sinistra, là dove la bacchetta aveva colpito. «La guerra la devi combattere qui. E’ uno spazio in cui la parola non vale, dove la magia stessa non vale. Devi costruire un muro, essere impenetrabile...» sorrise incoraggiante, a quel punto «Getta un velo di oscurità su quei ricordi preziosi. Non devi eliminarli. Devi solo nasconderli.»

Le concesse qualche minuto per massaggiarsi le tempie, ritrovare se stessa e asciugare le lacrime che le rigavano le belle guance. Aveva percepito il suo stesso dolore, l’avevano condiviso e capiva il peso di quel pianto, persino di quell’urlo finale. Si era fatto sentire, il buon vecchio Axel. Non si era introdotto furtivamente né aveva cercato di non lasciar traccia del proprio passaggio. Era stato un intruso molesto, un ladro di ricordi disattento che aveva lasciato tutto in disordine e colto in flagranza di reato. Ebbene sì, Axel poteva scegliere che tipo di legilimens essere, ma Megan sarebbe stata in grado di essere un Occlumante migliore? Prowse ne era certo. Così, aggirandola in silenzio e allontanandosi da lei, le volle dare l’impressione che il gioco fosse già finito, lo spettacolo concluso e il sipario calato su quella scena pietosa. Megan aveva molto su cui riflettere.
Quando egli tornò a sedersi, la trovò più sicura e sorrise di rimando a quegli occhi seri e pronti a dar battaglia. La bacchetta si avvicinò con delicatezza alla tempia, gli occhi grigi si specchiarono in quelli azzurri della ragazza e i loro volti vicini non ebbero da far altro che rimanere impassibili come maschere antiche. «Legilimens.»

Ottimo tentativo, davvero.

Ci riproviamo, questa volta seguendo i suggerimenti di Axel.
Per qualsiasi dubbio, sai dove trovarmi.

 
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view post Posted on 16/11/2019, 23:33
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Il cuore singhiozzò qualche battito. Piano, la vista appannata metteva a fuoco la figura davanti a sé: Axel le sorrideva ma Megan era troppo sconvolta per ricambiare. Rendersi conto che le grida, i gesti che credeva aver compiuto, fossero solamente frutto di una volontà mai realizzata la facevano sentire terribilmente debole. Dove erano le mani tese pronte a spingere via l’uomo? E le gambe in movimento con l’intento scalciare? Tutto era rimasto immobile e lei non se ne capacitava.
Prendere cognizione del fatto che il ragazzo avesse scelto di uscire e che non fosse stata lei a spingerlo via la fece riflettere su quante poche probabilità avrebbe potuto avere con lui. Riusciva a metterla in ginocchio in quel modo, con altro avrebbe fatto anche peggio. Axel, però, non le avrebbe mai fatto del male. Sebbene Megan avesse un atteggiamento restio nei suoi confronti in cuor suo sapeva che era così. Lo guardava e credeva fortemente in quelle parole che segnavano un percorso che avrebbe dovuto compiere e portare a termine a qualunque costo. Sentirsi protetti da una mente impenetrabile era la sua priorità e lo era sempre stata; un’attitudine che l’avrebbe accompagnata nei momenti peggiori e migliori della vita.
«Sì ma è acqua passata» aveva replicato con distacco poco prima, nonostante le lacrime rigassero ancora il volto. Poi aveva accettato il risolino che definiva il proprio fallimento a quel tentativo e s’era lasciata sfiorare. Inutile qualsiasi sforzo per fermare i propri battiti agitati e il petto in continua propulsione. Il proprio silenzio aveva accompagnato quel gesto, gli occhi penetravano le iridi tempesta e il mare vi si scontrava con coraggio mentre il ragazzo definiva con più precisione cosa avrebbe voluto che facesse. Le parole di convinzione causarono in Megan un forte sentimento di rivalsa che non aspettava altro di vedere esplodere, e quando lui si staccò, aumentando la distanza, la ragazza percepì lieve nostalgia.
Lo seguì con lo sguardo. Le palpebre socchiuse cercavano di mettere a fuoco ogni oggetto dentro quella stanza. Di ottenere maggior nitidezza fra il sale che le appiccicava le ciglia.
Megan pulì il volto con la manica della giacca, poi le dita premettero lo strato di pelle sulle tempie, con un movimento circolare cercarono di alleviare la tensione.
Torna qui, «voglio provare ancora.»
La voce era debole ma decisa, Axel doveva capire che non avrebbe rinunciato in alcun modo. Lo sguardo tornò a posarsi sul pavimento, a contare ancora una volta le maioliche sporche. Chiuse gli occhi ed emanò un lungo sospiro prima di parlare ancora. «Mi sto fidando, Axel» in quel modo lo intimava a non andare via da lei. Da quell’ultima frase le parve passare un’eternità; le mani si strinsero in un pugno e per la prima volta sperò di sentire di nuovo la sua voce. Una replica alle proprie parole. Un soffio. Un brontolio. Tutto era fermo, come se il tempo avesse deciso di immortalare quel momento con uno scopo preciso. I pensieri non smettevano di diffondere caos e consapevolezza. Doveva riuscirci. Doveva essere capace.
Il collo s’irrigidì non appena avvertì i passi alle spalle. Tirò su il mento e si voltò appena. Quando Axel fu all’altezza del proprio fianco tornò a guardarlo. Gli occhi segnavano gratitudine e non smisero di seguirlo fino a che non tornò a sedere di fronte a lei. Lo vide sorridere e questa volta Megan non lasciò celare il proprio riso dietro a una maschera. Un lato delle labbra si curvò, quindi un battito di ciglia lento e un respirò profondo sancirono quel momento. La bacchetta tornò a toccare la tempia, i respiri s’incrociarono e un palpito tuonò nel petto. Era pronta.


***


Luce. Modulazioni veloci. Un lento dondolio cullava i corpi. Gli occhi attenti. Orecchie a captare ogni cadenza.
Mani sinuose si muovevano rapide sulla tastiera e il suono dolce, prepotente, entrava nell’anima di chi era presente in quella stanza. Non chiedeva permesso, s’insinuava lasciando sulla pelle brividi di nostalgia.
Rabbia. Paura. Sentimenti in contrasto risuonavano con veemenza. Megan ora sentiva, avvertiva quanto dolore quelle note provocavano. Eppure lì, affianco a Eloise, sorrideva; poggiava la piccola testolina sulla spalla della donna con gli occhi chiusi.
Quanta ingenuità in quei gesti, quanta poca attenzione verso le iridi spente di una madre. Ma quel ricordo era così bello.
Carl poggiato sul pianoforte osservava le sue donne con in volto un sorriso fiero; il cinguettio di una primavera in fiore fuori le mura di quella casa. Una cornice perfetta che ritraeva un quadro familiare senza difetti. La magia dell’amore. La bellezza dei volti. Si percepiva chiaramente la felicità.

***



Era forte quel ricordo. Era difficile potersene liberare. La mancanza la uccideva e non riusciva in alcun modo a non permetterle di farlo, a reagire. Avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederli. Rivivere realmente i momenti più intensi della propria vita fra le braccia di suo padre, sotto gli sguardi severi di sua madre. Di sentire la dolcezza, l’amore che giorno dopo giorno stava dimenticando e che, ora, riusciva a percepire grazie ad Axel.
Lì era la forza. Era proprio di fronte a quell’immagine che Megan avrebbe dovuto costruire il muro. Celare agli occhi di chi aveva intenzione di scoprire le proprie debolezze la felicità. Tuttavia, abbandonare quel luogo in quegli istanti, lasciare che tutto sfumasse via era così complicato.
«Non ci riesco» la voce tremava. «Ho bisogno di vederli» implorava. Il suono flebile che usciva dalle labbra era straziante.
Cosa l’avrebbe davvero convinta? Se dapprima aveva cercato di tagliare fuori il ragazzo ora, avendo cognizione del fatto che attraverso di lui poteva arrivare lì, le risultava impossibile. In quel momento l’uomo rappresentava per lei un ponte: dall’altra parte c’era ciò che voleva vedere e non l’avrebbe in alcun modo chiuso una porta.
Tornò lì. Incurante di quanto male le avrebbe procurato.

***


«Cosa ne pensate?», aveva chiesto Eloise non appena l’ultima nota stabilì la fine del componimento.
«È meravigliosa, mamma! » rispose. «Sono sicura che andrà tutto bene.»
La giovane donna poggiò lo sguardo su di lei e ricambiò la dolcezza. La mano delicata si spinse a lisciare la chioma corvina, pettinandola. Megan l'avvertiva e nel presente respirò profondamente.
«Grazie»
«Sai, ho composto qualcosa anche io. Dovete sentirla!» aveva aggiunto poco dopo, fiera.
«Sono sicura che è bellissima ma ora ho bisogno di riposare» replicò la donna. La piccola aveva sorriso amaramente e annuito. Lo sguardo, poi, si posò sul padre che si avvicinò accarezzandole la testa. «Bimba mia, accompagno tua madre. La prossima volta.»
Lo sguardo si spense dopo quel gesto. «La prossima volta» bisbigliò. Le piccole dita premettero sull’avorio e alcune noti gravi si diffusero nell’ambiente.
Allontanamento. Quello che aveva provato.
Abbandono. Ciò che provava adesso.

***


Qualcosa mutò nel presente. Ecco cosa la convinse. Loro.
Megan si sentì colpita. Come all’epoca provò lo stesso identico impulso. La rabbia riuscì a prevalere nel suo animo e insieme anche la voglia di non farsi vedere così, sola. La razionalità tornò con fervore e nel ricordo iniziò a costruire la propria fortezza. Come un perfetto spettatore cercò di celare ai propri occhi i dettagli evidenti di quel momento. Una bambina in difficoltà, prevalsa dal risentimento, seduta davanti a un pianoforte. Il silenzio e poi il riverbero di quelle note scoordinate.
Cercò di focalizzarsi sul bagliore che proveniva dalla finestra. Gli alberi in una leggera danza che si dondolavano muovendo le possenti chiome, le foglie che vibravano. Provò a concentrarsi sul suono degli uccelli, il canto leggero e dinamico. Leggerezza. Distacco. Era ciò che doveva sentire.
Non vi doveva essere alcuno spazio per gli estranei. Axel non era nessuno e per un attimo lo aveva dimenticato. Si era lasciata trasportare dai gesti, dai modi gentili, dal tono della voce.
Che stupida! «Non c’è niente da vedere» suonò rude, finché tentava disperatamente di far cadere il buio su quel ricordo e di spostarsi altrove.
«Esci!» intimò con calma apparente.
Un avvertimento?

PS: 156 | PM: 102 | PC: 95 | EXP: 12,5


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view post Posted on 26/11/2019, 16:46
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Il Fato

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Note leggere, fluide e impalpabili, carezzevoli come una brezza estiva. Il ricordo di Megan vi era immerso completamente e i volti erano solamente dettagli di un quadro più complesso. Axel si muoveva in quella stanza, scrutando Eloise e Carl da vicino, da vero impiccione. Se avesse voluto, avrebbe potuto persino manomettere quel ricordo, storpiarlo e distruggerlo. Forse, Megan ne sarebbe stata addirittura contenta.
Questa volta, lo Spezzaincantesimi si trattenne più a lungo, saggiando la capacità di Megan di scacciarlo quando fosse stata davvero pronta a farlo.
Il primo tentativo era una dimostrazione.
Il secondo avrebbe sancito un vero fallimento.
Axel si augurava che il terzo sarebbe stato anche l’ultimo: l’indole della Corvonero non ammetteva errori di sorta, tanto meno fallimenti esemplari come quello a cui il giovane stava assistendo.
Il lamento - pronunciato sommessamente - lo raggiunse come da una distanza siderale, ma gli fu chiaro che Megan non stesse provando abbastanza ad escluderlo dalla sua memoria. Avrebbe potuto trattenersi ancora, osservare la delusione sul volto piccino ed innocente di una Megan ormai sepolta sotto strati di ricordi e sentimenti diversi, ma scelse di non farlo. Restare era inutile.

Uscì prim’ancora che lei glielo intimasse o, forse, nel medesimo tempo. Di certo, non era stata la sua volontà a indurlo ad uscire da dov’era venuto e, quando Megan riemerse dalla coltre di sofferenza e dolore fisico, trovò Axel ad osservarla, serio ed impassibile come un gargoyle di pietra.
«Non ci siamo, Megan.» sospirò affranto, passando una mano sul volto e grattando la barba sul mento con fare pensoso. Poi, d’un tratto, si alzò dalla seggiola - posandovi la bacchetta - portando le mani ai fianchi. «Mi stai lasciando troppo spazio. Avrei potuto sedermi e suonare quel pianoforte con lei. Potrei farlo, se volessi.» sbottò esasperato. Era difficile, lo sapeva fin troppo bene. Quand’aveva scoperto di essere un Legilimens aveva provato a propria volta a padroneggiare l’Occlumanzia senza riuscirvi. Non era una sua dote, quella, ma Megan aveva qualcosa che lui non avrebbe mai avuto: la capacità di chiudersi, poiché - in fondo - non era mai stata aperta all’altro. Non gli sarebbe servito affatto leggere i suoi pensieri e ricordi come un manuale di istruzioni per capire che Megan fosse diversa da lui, più capace e meno propensa di quanto pensasse al contatto col prossimo. Non si sarebbero trovati in quel tugurio altrimenti. Axel ne era convinto.
«Io posso scegliere di non usare ciò che ho visto per ferirti. Altri potrebbero non essere così generosi.» sedette nuovamente di fronte a lei, riprendendo possesso della bacchetta e la guardò intensamente, senza osare oltrepassare il confine sancito dalle pupille - ora non più dilatate «Lascia perdere i capricci, le parole, le minacce. Scegli il mezzo che più ti si addice: l’oscurità, la luce, un qualsiasi elemento di disturbo che mi possa disorientare. Anche il silenzio assoluto andrebbe bene! Megan...» a quel punto, se gliel’avesse concesso, la sua mano sarebbe corsa a stringere la sua con forza e delicatezza al tempo stesso «Non posso aiutarti se tu non mi aiuti.»

Tornando ad appoggiarsi allo schienale, Axel si chiese se non avesse sbagliato. Se non avesse sopravvalutato Megan e la sua attitudine. No si disse. Non poteva essere. In un certo senso, quella ragazzina sembrava urlare a pieni polmoni - pur restando in silenzio - quanto gli fosse dissimile e contraria. Non poteva essersi sbagliato. La verità era che, forse, non ci stava provando abbastanza. «Voglio esplorare meglio quel giorno. Quello del pianoforte.» affermò infine, dopo un silenzio durato a lungo «E desidero che tu non mi faccia vedere niente. La tua mente deve essere libera. Una tela bianca. Non voglio sentire alcun suono. Nessuna musica. Nessuna voce… e nessuna scusa.»
Quell’ultima parola non si riferiva affatto al comportamento di Eloise e Carl, ma al lamento sopraggiunto nel bel mezzo dell’esercizio. Se Megan credeva di non poter riuscire in quell’impresa tanto valeva che uscisse da casa sua così com’era entrata, lasciandosi alle spalle un ricordo di lui che difficilmente avrebbe dimenticato. Axel sperava che - usandole un tono perentorio e un’espressione colma di disappunto - avrebbe saputo ripagarlo con la moneta di scambio che più desiderava in quel momento. Un solo tentativo da manuale, un primo successo - anche parziale - che potesse rendere entrambi orgogliosi del tempo trascorso insieme.«Hai detto che ti fidi di me. Ebbene… non dovresti. Adagiarti sul fatto che non ti farò del male… non ti aiuta ad imparare. Devi essere diffidente, molto di più. Impenetrabile e sicura che non riuscirò a superare le tue difese.» sospirò, osservando il pavimento per un istante «Pensi di poterlo fare?»

Dopo qualche minuto di religioso silenzio, Axel impugnò saldamente la bacchetta e sfiorò la tempia di Megan con tocco leggero. Che fosse pronta oppure no, i suoi occhi penetrarono la cortina buia delle sue pupille e la formula, per la terza volta, ruppe il silenzio.
«Legilimens.»

E tornarono a quel giorno, col pianoforte in sottofondo e le dita di Eloise a correre su quegli ottantotto tasti. Era una scena felice, una di quelle che Axel avrebbe voluto continuare a vedere di continuo. Megan era lì e nulla sembrava poterle togliere l’espressione di pace dipinta sul volto. Tutto sembrava perfetto.
Le avrebbe concesso solo qualche minuto, prima di spingersi più a fondo come solo un vero Legilimens ostile avrebbe potuto fare.

Terzo tentativo e questa volta Axel ti richiede qualcosa di preciso, meno “libero”.
E’ lui a riportare Megan all’ultimo ricordo visionato e chiede a Megan di scacciarlo in un modo piuttosto preciso e deciso. Deve essere un tentativo sentito, questa volta, in cui Megan concentra ogni forza allo scopo di isolare Axel, dapprima togliendo gli stimoli uditivi e poi quelli visivi. Deve essere un processo graduale, ma è necessario un maggiore impegno da parte di Megan.

Per qualsiasi dubbio resto a tua disposizione tramite MP.

 
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view post Posted on 22/1/2020, 15:55
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Ocean eyes.

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Inventario

∆ Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida (legata in vita)
∆ Borsa a tracolla
∆ Anello Gemello (anulare sx)

∆ Anello Difensivo (indice dx)

∆ Mantello della Disillusione (nella borsa)


Megan Milford-Haven


Tremava. Le mani poggiate sul grembo le lanciavano impulsi frenetici. Tese le braccia lungo gambe incastrandole fra le ginocchia, provando a fermare l’agitazione, mentre, lenta, la figura di Axel diveniva di nuovo nitida. Un battito di ciglia e un respiro. Sembrava passata un eternità dall’ultima volta che gli occhi avevano incrociato quelli del ragazzo. Un’eternità da quel ricordo ancora così vivo, tangibile. Avrebbe voluto non svegliarsi da quello stato, essere proiettata in quella realtà passata e riviverla di nuovo. Cambiare il passato. Fuggire dal presente. Non le importava nient’altro in quegli istanti.
«Non ci siamo» replicò con un filo di voce facendo eco ad Axel. Imprimeva nella mente quelle tre parole, consapevole del secondo fallimento. Poi, spostò lo sguardo altrove e strinse i pugni a ogni sillaba che seguì.
Sentiva lo sguardo di quell’estraneo pesare come piombo; in piedi a pochi centimetri di distanza Prowse affermava che non stava facendo abbastanza. Il tono di voce era duro, percepiva l’inasprimento, e Megan non aveva replicato in alcun modo. Poteva forse dargli torto? Era stata lei a esitare nei primi momenti del ricordo. Era consapevole che erano quest’ultimi a legarla ai suoi genitori ormai, rappresentando il punto debole, un taglio profondo ancora aperto e sanguinante. Tuttavia, l’abbandono per lei era troppo difficile. Dubitare di sé fu semplice e incontrollabile.
Tornò a posare gli occhi su di Axel quando lo sentì spostarsi e tornare in posizione. Le mani si liberarono dalla presa stretta delle ginocchia e tornarono sciolte sulle gambe.
«Perché...» accennò con un filo di voce, per poi bloccarsi non appena vide il ragazzo allungare la mano afferrando la sua. Il cuore non frenò l’impulso di qualche battito fuori ritmo e Megan sentì mancarle l’aria di nuovo. Percepì il calore della pelle scontrarsi con il freddo che attraversava la propria. Fu piacevole, ingestibile. Negli occhi un bagliore di smarrimento.
Condusse lo sguardo verso il basso, a guardare quell’azione, per poi spostarlo nuovamente in direzione di Axel. Riuscì a percepire qualcosa di diverso in quel momento e andava oltre la gratitudine. In qualche modo Axel la stava salvando, lo sapeva e non riusciva a dire nulla. Perché lo fai? Cosa ti importa? Lo fissò intensamente per poi scivolare via da quella presa con leggero imbarazzo.
«Non posso aiutarti se tu non mi aiuti» a quelle parole Megan rispose con breve cenno del capo in segno di affermazione. Una spinta volontaria per sbarazzarsi delle sensazioni che parevano volerla domare.
Imitò i movimenti del giovane e si abbandonò sulla sedia, provando a prendere pieno contatto con la realtà mentre le parole scorrevano e a tratti prestava attenzione.
Sì, consentirgli il passaggio e lasciare che diventasse impossibile da percorrere era ciò che avrebbe fatto. Avrebbe aiutato se stessa in quella piccola battaglia dalla quale voleva uscirne vincitrice a qualsiasi costo. Le debolezze dovevano essere rinchiuse altrove e con loro qualsiasi emozione che in quel momento albergava nella mente, palpitava nel cuore.
«Va bene» strinse i pugni tornando in posizione.
Schiena dritta. Sguardo sicuro. Si morse le labbra scaricando il nervosismo che dentro di sé cresceva senza alcun impedimento e poi fu pronta. Nel silenzio, negli istanti che precedettero il ritorno nel passato, Megan sorrise ad Axel. Non entri, la fossetta evidenziò uno sguardo malizioso. Se prima aveva dubitato ora sembrava essere più sicura. Tra dire e fare v’era però una linea netta che andava spezzata. Trovare il coraggio, battersi e salvarsi dall’oblio.
Doveva andare avanti.

***


Ecco quel suono.
Prepotente si insinuava nella testa. Tagliava la pelle e penetrava come una lama ben affilata.
Dimenticare. Lasciare che un velo scuro si posasse davanti agli occhi e nascondesse le debolezze.
Sim, La, Sol, Re, La.
Trattenne il fiato. Il nodo alla gola stringeva. Soffocava al solo pensiero dell’abbandono.
Eloise era lì. Bella. Incantevole.
Si muoveva su quella tastiera e tutto intorno a lei sembrava essersi fermato. Megan la guardava e forte era ogni emozione che attraversava il suo corpo.
In quel momento dire addio era così difficile ma la consapevolezza di doverlo fare avrebbe presto preso la giusta strada.
Guardò Carl. «Papà» un sussurro assente mentre gli occhi si riempirono nuovamente di lacrime. Frenò la caduta e lo fece respirando profondamente; era giunto il momento di aiutare se stessa.
Così mentre la melodia riempiva la stanza Megan provò a non sentire più nulla. Davanti a quell’immagine lasciava che il suono divenisse ovattato, quasi come fosse nascosto da una parete spessa. Le figure dei suoi genitori, allo stesso modo, poi divenivano sempre più lontane. Stava uscendo, o almeno era ciò che stava provando a fare. Allontanarsi da lì. Chiudere la porta e rinchiudersi in una stanza dove il vuoto era l’unica cosa che sarebbe rimasta.
Forse una porta non sarebbe stata abbastanza ma ci stava provando. Non doveva sentire e né vedere, perché era ciò che Axel a sua volta avrebbe visto e sentito.
La decisione presa sarebbe diventata presto tangibile? Mentre il cuore si spezzava – reduce di un ulteriore abbandono — Megan stava facendo qualche passo indietro. Vedeva Carl ed Eloise, vedeva se stessa ma aumentava le distanze, usciva dalla stanza, provava ad abbandonare quel luogo. Le scale, la mia camera, pensò come unica direzione e punto di fuga.
Tu vedi ciò che vedo io.


PS: 156 | PM: 102 | PC: 95 | EXP: 12,5


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Edited by Megan M. Haven - 26/1/2020, 13:20
 
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view post Posted on 25/1/2020, 18:41
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Il Fato

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Un nuovo abisso, fatto di musica e nostalgia. La prima costituiva una perfetta cornice ad un ritratto famigliare ormai perduto; la seconda si dipanava da essa come le radici di una pianta tentacolare. Si aggrappava a Megan - piccola e indifesa -, ad Eloise e Carl - genitori amati e ormai perduti. Persino Axel, assistendo a quella scena, si sentiva minacciato dal malessere della ragazza: lo percepiva come proprio e forse perché, dopotutto, dal medesimo trauma si era originato quel bisogno di aiutare chi, come lui, aveva perso ogni cosa.
Si spinse a fondo, con prepotenza, aggrappandosi al ricordo con ogni forza. Era il momento che Megan reagisse, senza badare a ciò che non sarebbe stato mai più, ma a convivere col ricordo e con le sue conseguenze - quel presente divenuto triste passato.
Megan avrebbe percepito la sua intrusione, come se Axel si fosse spinto attraverso un cunicolo, facendosi spazio e causando dolore. Se Megan stava soffrendo fuori e dentro e tutto ciò le sembrava terribile da sopportare, Axel sapeva di non aver usato nemmeno la metà della propria abilità per farla capitolare. Alternò quell’intrusione eccessiva a modi più blandi per qualche istante, finché non percepì qualcosa di diverso. Qualcosa di non ancora perfetto, ma sufficiente per lasciare allo Spezzaincantesimi la possibilità di sperare.

Qualcosa si muoveva, finalmente, e non si trattava di Megan o Axel. La volontà della Corvonero aveva finalmente deciso di rivelarsi in tutta la sua tenacia. All’esterno, mentre Megan non poteva affatto vederlo - o se poteva non l’avrebbe certamente ricordato -, Axel sorrise. Ci era riuscito, qualcosa era scattato. La sua capacità di reagire era entrata a far parte del complesso gioco in atto.
Nella mente di Megan, il Legilimens si sentì strattonare - attirato altrove da un’assenza di suono. Vedeva Eloise, la distingueva ancora con quei suoi lineamenti eleganti e lo sguardo fiero. Vedeva Carl, fiero ed orgoglioso delle donne nella sua vita. Eppure, Axel non udiva alcunché. Benché Megan si stesse comportando da aspirante Occlumante per la prima volta da che avesse varcato la soglia del suo appartamento, ancora non bastava. Tuttavia, c’era margine di miglioramento.

«Basta così.» mormorò e, solo a quel punto, anche Megan riemerse dall’ombra dei propri ricordi. Trovò Axel lì dove l’aveva lasciato, con un sorriso appena accennato sul volto in penombra. Con un movimento fluido della bacchetta il ragazzo riattizzò le fiamme nell’alveo del caminetto, che gettarono ombre fosche sulla sua espressione. Era emozionato, forse? Non poteva dirlo con certezza, ma qualcosa gli brillava negli occhi. «C’eri quasi, Meg.»
Sapeva che l’uso di quel diminutivo avrebbe potuto mettere a repentaglio ogni cosa, ma era certo che intrufolarsi nella mente e nei ricordi di qualcuno avrebbe risparmiato a tutti le regole e le convenzioni sociali. C’era confidenza tra loro, benché la mano della ragazzina fosse scivolata lontano dalla sua al minimo cenno di doveroso imbarazzo.
«La mente è straordinaria. Immagina quante cose conosci e quante devi ancora scoprirne. E pensa...» fece una pausa, inclinando il capo e volgendo lo sguardo al soffitto «...pensa a quanto potresti fare se solo sapessi sfruttarne ogni singola parte!»
Il suo tono si fece allora più serio, lo sguardo più impenetrabile che mai «Sono le emozioni a uccidere il tuo potenziale. Ci arriverai, prima o poi. Le seppellirai in un angolo remoto e le riesumerai quando sarà il momento giusto. Ora, però… ora devi dimenticare di avere un cuore, dei sentimenti… delle emozioni che ti rendono vulnerabile.»
Se Megan avesse avuto delle domande a riguardo, quello sarebbe stato il momento giusto per farle; emozionato com’era di aver capito chi Megan fosse davvero, Axel aveva esitato qualche minuto prima di manifestare l’intenzione di procedere con un ulteriore tentativo. Quella finestra di libertà sarebbe durata ancora per poco.

«Stai facendo bene, Meg. Davvero. Ora voglio che l’immagine si sfaldi totalmente. Che i suoni non esistano... Che il tuo cuore si faccia da parte.»
Sapeva di chiedere molto e sapeva di aver osato troppo con lei per una sola sessione di prova. Eppure, Axel sentiva di potersi spingere oltre con lei. In qualche modo, Eloise e Carl gli avevano confermato che la loro bambina sarebbe sopravvissuta a questo e molto altro. «Pensi di poterlo fare?»

La bacchetta le sfiorò la tempia per la quarta volta, la barriera delle pupille - ora dilatate - si sgretolò dinanzi alla sua pressione. La mente della giovane gli aveva spalancato nuovamente le porte. «Legilimens.»

Musica. Amore. Famiglia.
Tutto ciò doveva, semplicemente, svanire.

 
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