Noah Dietrich Von Heinrich
Viceministro • Vampiro • Blood: 90%
Quando ho accettato questa intervista, ero pronto alle domande che mi sarebbero state poste. Del resto non avevo altra scelta: negare alla Gazzetta del Profeta l'esclusiva sarebbe stato controproducente. Tutti sappiamo che Seraphinus Bagley è uno di quelli che vorrebbero vedere il Ministero bruciare dalle fondamenta. Per quali ragioni lo ignoro, nonostante Rhaegar e Camille sembrano essere piuttosto apatici al riguardo. Suppongo siano abituati: da quel che so, è dai tempi di un certo Peverell che la Gazzetta è dichiaratamente anti-ministeriale. Non è di certo mia intenzione alimentare quel fuoco: non attendono altro. Così mi sforzo di frenare la lingua e di ascoltare con pazienza la mia intervistatrice. La domanda che segue, tuttavia, è tanto banale quanto pericolosa. Non posso dirle la verità, ma posso sempre inventare una scusa che sia abbastanza plausibile e che, in fondo, non contenga troppe bugie. Non so perché, ma mi dispiace mentirle. Amber mi piace, la sua fragilità mi incuriosisce anche se, mi dico, non è una cosa positiva: pur non volendo, tendo a spezzare tutto ciò che di fragile incontro; Brianna ne è l'esempio.
« Quando ero piccolo ero un bambino piuttosto solitario, mi piaceva molto partire in esplorazioni per le campagne. » La sto prendendo larga, ma non ho fretta e, credo, nemmeno Amber. « Mia madre mi rimproverava sempre di avere la testa fra le nuvole e per cercare di responsabilizzarmi, mi affidava mia sorella, di qualche anno più piccola. » Abbozzo un sorriso mentre ricordo il visetto di Liesel che mi chiamava perché camminavo troppo veloce. « Una volta, nella foresta, avevo trovato un rottame di una macchina Babbana e mi ci ero precipitato, lasciando indietro la mia sorellina. Ero estasiato da quello che avevo scoperto e frugando fra i sedili avevo trovato delle belle biglie di vetro che mi piacquero subito e che mi intascai senza troppi complimenti. Ebbene, successe che io, troppo preso dal mio egoistico desiderio, la persi e quando me ne resi conto, andai in panico. Mi misi a cercarla, a chiamarla, ma senza risultato. In più, si stava facendo buio. D'un tratto sentii un rumore. » Qui, devo cambiare il mio racconto. Non posso dirle che mi ero allontanato dalla zona sicura, né che avevo visto un membro dell'SS andare proprio verso la direzione in cui avevo lasciato mia sorella. E non posso nemmeno confessarle di averne ucciso uno con un sasso, per salvare Liesel, la mia Liesel. « C'era un orso, fra i cespugli, non troppo grande, ma pericoloso abbastanza per fare del male. Nei dintorni dovevano essercene altri così presi un bastone da terra e, quatto quatto, mi misi a cercare mia sorella, facendo attenzione all'orso. » Faccio una pausa, mentre cerco di rimuovere dalla memoria il momento in cui sono saltato dal cespuglio e ho fracassato il cranio di quel tedesco. Avevo solo quattordici anni. « Lei era dentro un tronco e stava piangendo, dapprima debolmente, poi sempre più forte. L'orso l'avrebbe sentita così mi sbrigai, le corsi incontro e la presi in braccio. Fui però più lento e l'animale riuscì ad afferrarmi per la gamba del pantalone. Caddi a terra, mia sorella con me e le biglie, che avevo nella tasca, rotolarono sul terreno. » Se chiudessi gli occhi ora, sono sicuro che riuscirei a vederne perfettamente la trama e i raggi del sole brillare attraverso il vetro colorato. « Mi resi conto in quel momento che avevo messo in pericolo mia sorella perché ero stato così cieco da dedicarmi a qualcosa di futile, qualcosa di puramente egoistico. Così trovai il coraggio di voltarmi e di colpire sul muso l'orso, che mi lasciò andare. Tornai a casa e pregai Liesel di non dire niente a nostra madre. » Sorrido, un po' colpevole. « Quella sera, mia sorella venne nel mio letto e mi abbracciò forte dicendomi... » Per un attimo il mio sguardo, senza che me ne renda conto, diventa vacuo. Come vorrei sentirla di nuovo, come vorrei dirle che non mi pento di quel che ho fatto, se è servito a dare a lei, e ai suoi figli, un mondo vagamente migliore. «... Che ero il suo eroe. » La morale è chiara e non è mia intenzione dirla, starà ad Amber interpretarla, ma mi premuro di aggiungere ancora qualcosa: « Fare questo lavoro non significa essere eroi. Significa voler metter da parte se stessi, per dare agli altri un posto migliore dove stare. Se per i propri cari o per perfetti sconosciuti non importa. Per me, combattere le ingiustizie, difendere questo Paese, che mi ha dato tanto, è un dovere morale. È quello che ho sempre voluto fare. » Pur non avendo mai voluto un ruolo così di spicco, né ho desiderato mai il potere, è vero. Mi sono imposto, da quel giorno, di difendere quella che è stata casa per me, mia sorella e mia madre. L'ho fatto sul mio aereo, l'ho fatto contro mio padre, ed ora con la Magia. Continuerò a farlo, nonostante tutto.