G.U.F.O. di Amber Serenity Hydra

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view post Posted on 28/4/2019, 09:38
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AMBER SERENITY HYDRACAPOSCUOLA DI TASSOROSSO ✧ 18 Y.O. ✧ O.W.L. ✧ INCANTESIMI
Percependo un inammissibile nodo alla gola, Amber seguì le interazioni di White con la boccetta di presunto antidoto. Non si era fermata un solo secondo da quando aveva selezionato gli ingredienti, a quando li aveva uniti per creare il liquido aranciato nella fialetta lunga. Ogni gesto era stato misurato, si era mossa con una consapevolezza che difficilmente aveva ostentato, ma sarebbe bastato? L'abilità pratica, da sola, era sterile come un ramo secco. Lasciandosi cullare dal profumo dei fiori d'arancio, la Tassorosso si impose di attendere l'esito di quel test prima di aprire bocca o di fasciarsi la testa. Era abbastanza certa di essersi mossa nel modo giusto, aveva ponderato le sue scelte sebbene consapevole che non vi fosse una univoca combinazione esatta di ingredienti e lavorazioni... doveva però funzionare quella che alla fine aveva scelto. Non si era mai impegnata così tanto in Pozioni come durante i G.U.F.O., quando finalmente aveva capito il valore di una materia sottovalutata per anni. *Andiamo..* intimò a labbra sigillate, allungando il collo quando bastava per cercare di scoprire l'esito finale quando in contemporanea al docente. Tenne lo sguardo fisso sulla terza boccetta, e quando quell'ultima lasciò intravedere la trasparenza di una reazione quasi perfetta, Amber si concesse il sospiro tanto atteso. Ancora una "O" ad aggiungersi alla serie. «Grazie, professor White.» concluse, tornando al suo posto, con le maniche della camicia ancora piegate oltre il gomito. Si sedette in silenzio, appena più leggera.

Non rimanevano molti altri docenti in commissione e, se aveva fatto i conti giusti, nemmeno troppe materie da superare. la stanchezza era comunque lungi dal coglierla, tutt'altro; se possibile lo sguardo di Amber si era fatto sempre più vivace. Ogni domanda era una sfida, ogni nozione che veniva rielaborata con successo; una conquista, e lei non sembrava voler cedere facilmente alla tranquillità che l'avrebbe accolta alla fine di tutto. Oh, no, c'era così tanto ancora da dire che per prima non si sarebbe ritenuta soddisfatta se non avesse avuto modo di dar fiato ad ogni riflessione compresa in cinque anni ad Hogwarts e fuori. Pochi altri respiri ed il successore designato fece la sua mossa: Atena McLinder, la sua Capocasa. Ricordava bene il momento in cui, bloccato da una situazione che andava ben oltre il limite della sopportazione, Horus si era fermato ed era stata lei, Amber, ad avvicinarsi alla docente di Astronomia per darle un benvenuto il più ufficiale possibile nella Tana dei Tassi. Ma in realtà le due si erano già conosciute, in quello che - dopo tutto il tempo trascorso - sarebbe quasi sembrato un universo parallelo, ma che invece era stato fin troppo realistico. Volenterosa, Atena era anche supplente di Incantesimi, da quando la Bennet li aveva lasciati, e con un certo stupore dell'esaminanda per quell'occasione sarebbe stata anche la supplente di Trasfigurazione. In effetti, notò, di Channing non v'era l'ombra tra la commissione, ma lei era rimasta talmente fossilizzata sull'idea di affrontare un argomento alla volta, che inizialmente non vi aveva prestato attenzione. Un sorriso soddisfatto seguì la notizia di altri due voti eccellenti negli scritti delle materie in questione, ed ancora una volta l'orgoglio si permise di sussurrarle un "te l'avevo detto" che sarebbe valso un giro di Burrobirra per i più affezionati. Annuì in quel cenno di saluto, mantenendo una posizione composta e attenta, forse appena sofferente all'idea di tornare forzosamente a sedersi. Quando le era stato chiesto di alzarsi e mettere in pratica un po' di quella teoria studiata a lungo, si era sentita... libera. Nulla però che non potesse sopportare. L'accenno alla "fisica della magia", un concetto che aveva messo appunto nel tempo, agitò il sano desiderio di esprimersi a dovere che ardeva in lei come una fiamma, sempre più viva. Ma dovette tenere a freno il primo forte entusiasmo, come era abituata a fare - valutando da sempre ogni situazione - perché la domanda, in realtà, non riguardava quel punto preciso. Attese ed ascoltò, nonostante ritenesse quasi superfluo specificare di non limitarsi a nozioni da primo anno: sterili e insapore. Non si rese nemmeno conto del lampo di concentrazione che attraversò le sue iridi in quel momento, quasi sfiorando la sfida sottolineata dalla McLinder. Lei, d'altro canto, l'avrebbe visto senza troppo sforzo quel bagliore, sintomo di una dedizione quasi naturale. Era proprio lì, nella complessità di una domanda nemmeno apparentemente semplice, che si nascondeva la possibilità di emergere. Amber aveva scelto un percorso che altri aveva ignorato, l'aveva capito con maggior precisione quando White si era meravigliato che una studentessa del quinto anno conoscesse un'incantesimo avanzato come il "Revelio", ma in verità lei conosceva anche qualcosa di ben superiore. Ma non era nemmeno uno sfoggio di abilità, quel che veniva richiesto, bensì un'analisi che certo nessun undicenne avrebbe potuto compiere, ma che lei che non lo era più da un pezzo, sapeva come affrontare. Il discorso richiedeva una certa meticolosità e per questo la strega si sarebbe appropriata del tempo necessario per elaborarlo a dovere. Inspirò quando fu pronta. Non solo voleva esprimersi a dovere, ma cercava la conferma che le somme tirate in anni di studi e situazioni complicate, fossero corrette. E chi meglio della docente stessa, avrebbe potuto avvalorare le tesi della studentessa? «Chiunque voglia eseguire un incantesimo non può e non deve limitarsi alle nozioni basilari che ci vengono impartire il primo anno.» Sottolineò, semplicemente, preannunciando ad Atena che no, non avrebbero parlato di percorsi banali. «Così come non si può pretendere di essere in grado di castare alla perfezione un qualunque incanto appreso, che sia in biblioteca o in classe, senza aver davvero affrontato una situazione di necessità.» rifletté, abbassando appena il capo. Lo sguardo s'incupì sotto il peso di quelle avventure cruente che l'avevano accompagnata e che ora tiravano i fili delle sue parole, come esperti burattinai. «Ho capito che c'è un elemento, una componente - o qualità se così vogliamo definirla - che diviene indispensabile a lungo andare, soprattuto se si ha a che fare con incanti di una certa levatura, ed è la Consapevolezza. Intesa come padronanza di una situazione e di una nozione.» andava spiegato, ovviamente, e la McLinder aveva chiesto di infondere la sua personale esperienza. Seppur non abituata a farlo, Amber continuò per non fermare il ragionamento.«Professoressa, io non posso concepire che un mago o una strega facciano uso di un incantesimo senza aver almeno appreso esecuzione e senso, e questo lo ritengo il minimo indispensabile per essere ciò che siamo. Ma non basta. Padroneggiare davvero una situazione significa essere in grado di creare in un ambiente di pericolo o necessità, lo spazio in sé per accogliere la memoria magica che permette di lasciare alla mente il giusto luogo immaginario perché la concentrazione trovi i proprio modi, e agisca.» Non si rese conto di quel lampo di frustrazione, passato in sordina a ricordarle quanti tentativi erano serviti per capire di essere comunque inutile in quei mondi che la Scuola di Atene permetteva loro di rivivere. «Quando studio e mi esercito, percorro sempre lo stesso iter. Imparo i gesti, per primi, li ripeto all'infinito finché non sono sicura che siano come devono essere. Poi studio la pronuncia della formula, le inflessioni - se ve ne sono - e gli scioglilingua che ogni tanto confondo. Ma queste non comportano gran difficoltà, richiedono "solo" una precisione ed una meticolosità necessarie. La componente mentale, poi, occupa il resto dei miei pensieri. Visualizzare come dovrebbe andare l'incantesimo, cosa dovrebbe fare ed in quale modo potrebbe servirmi, è un percorso lento che affronto consapevole di dover lasciare spazio anche ad errori banali, spesso dovuti ai troppi... pensieri.» C'era un ma, sospeso in quel discorso anche troppo lungo per i suoi standard, eppure necessario. «Ma è solo quando capisco che è ciò con cui convivo da sempre a dover plasmare l'incantesimo e dar vita alla soluzione che sto cercando, che i miei sforzi trovano pace e successo.» Il pollice dolcemente accarezzò le linee nere del tatuaggio sul polso. «La maggior difficoltà che può incontrare un mago, è sempre composta dalla realtà. Nella sua complessità, anche un incantesimo elevato come l'Incanto Patronus è "facile" se evocato in un momento di quiete, tra le mura sicure di Hogwarts o con gli amici in giardino. » un velo liquido scurì le iridi acquamarina. Per quanto metodica e precisa, Amber era ben lontana dall'essere imbattibile o insensibile e tutto quanto aveva visto in quei cinque anni, non poteva non averla in qualche modo segnata. «Ma in quel momento non c'è un Dissennatore a rendere l'impresa più ardua, né un entità oscura pronta a distruggerti. La consapevolezza e la padronanza di sé, richiedono lo sforzo di saper agire anche in situazioni in cui è più facile bloccarsi e soccombere, anziché reagire e far fruttare gli anni di studio. » Poi, aggiunse, tornando a centrare lo sguardo in quello della Capocasa. «Ho sempre creduto che per me sarebbe stato più facile fare uso di incantesimi, in fin dei conti vivo a contatto con la magia da quando sono nata. Ma ho capito che non è così, e che per tutti valgono le regole che la realtà impone, e gli ostacoli che erige. Senza prontezza di spirito, la difficoltà aumenta. » infine, un accenno a quell'antro oscuro in cui entrambe si erano trovate a combattere prima ancora di conoscersi. «Ho incontrato più difficoltà di quante avrei creduto, nel momento in cui ho provato ad evocare il mio Patronus a due passi da -..» si fermò, esitò un istante rilasciando il polso, «dal pericolo contro cui cercavo difesa. O quando le grida di un campo di battaglia riecheggiavano.» Tacque.

G.U.F.O. - Giudizio Unico per Fattucchieri Ordinari

 
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view post Posted on 1/5/2019, 17:05
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GIUDIZIO UNICO FATTUCCHIERI ORDINARI
Era consapevole che la domanda posta alla ragazza si discostasse dalle consuete e comuni riflessioni. Non prendeva in esame, come sarebbe stato logico pensare, alcun incanto particolare studiato a lezione, né era volta a disquisire gli effetti o le funzionalità di una specifica magia. Chiedeva lo sforzo di un ragionamento e un’analisi su se stessi – dal momento che era proprio da se stessi che il flusso informe della magia prendeva una forma. Ma la domanda non era fine a se stessa, e non sarebbe passato molto tempo affinché anche la Tassorosso avesse modo di appurarlo.
Amber non parve intimorita dalla sfida che il quesito le poneva, anzi un luccichio percorse il suo sguardo ed Atena sorrise tra sé nello scorgere in esso la familiare scintilla, frutto del guizzo prodotto dai pensieri che si mettono in movimento. Raddrizzò la schiena sulla sedia, facendo ricadere i capelli sulle spalle, attenta a quanto la giovane stava per dire.

Consapevolezza, era la qualità da lei individuata, quale sinonimo della capacità di essere presenti in una situazione e di saperla affrontare in virtù delle conoscenze e delle competenze sviluppate nel corso degli studi. Annuì una volta con il capo, mostrandosi sostanzialmente in accordo e invitandola tacitamente a proseguire con il filo dei propri pensieri.
Passò poi in rassegna le fasi di apprendimento di un incanto, esponendoli non per pigrizia di mente, quanto con la sicurezza e l’esperienza, carica di tentativi, fallimenti e successi, di chi nel tempo si è applicato con determinazione alla propria crescita formativa. Atena socchiuse appena gli occhi, come se così facendo potesse intravedere le immagini che come sagome fatte di ombra e nebbia sfilavano nei ricordi della ragazza. Che vi fossero ombre era consolante, segno inconfutabile di un carattere forte e di una personalità che si era misurata più volte con le prove del mondo; ma era anche terribile, giacché il mondo, lo sapeva bene, era solito forgiare senza clemenza. La natura ruvida della realtà fu proprio la difficoltà che la studentessa volle sottolineare, con il suo carico di complessità e imprevedibilità.
Lo sguardo restò fisso in quello della Tassorosso, quando un fruscio nelle sue parole le suggerì che si stesse riferendo a quanto entrambe avevano vissuto durante il loro primo incontro.
«Ottime conclusioni.» decretò, dopo un attimo di silenzio. Si alzò dalla sedia, iniziando a camminare lentamente, avanti e indietro, lungo lo spazio antistante la posizione della ragazza. Tra le mani teneva morbidamente la bacchetta, picchiettandola di tanto in tanto sul palmo, come se fosse un prolungamento di sé o una sorta di talismano in grado di far fluire meglio le parole. «Ha detto che è fondamentale la Consapevolezza, l’essere completamente presenti all’interno della situazione che si sta vivendo, nonostante il pericolo, la paura, l’incertezza, il carico di emozioni da cui veniamo inevitabilmente sommersi quando ci troviamo a vivere una situazione fuori dall’ordinario.» negli anni, Atena aveva imparato a ricacciare prontamente ognuna di queste sensazioni in un angolo profondo del proprio essere, schiacciandole sul fondo, laddove non avrebbero potuto intralciare un lucido pensiero. Aveva imparato a creare un involucro, non nei confronti del mondo, quanto piuttosto nei confronti di se stessa. Eppure esse persistevano, in ogni singolo istante di una battaglia o di uno scontro, pronte a piombarle addosso nel momento in cui la tensione, finalmente, si allentava.
«E’ la consapevolezza che ci permette di valutare la minaccia che stiamo affrontando. Allo stesso tempo, lo studio attento e la padronanza degli incantesimi appresi in un contesto sicuro – un passaggio fondamentale – ci forniscono gli strumenti per vagliare in tempi brevi la nostra risposta e a metterla in atto in modo efficace. Penso anche sia fondamentale essere consapevoli dei propri limiti…» la mente corse ai ricordi evocati dalle parole della ragazza, quando aveva accennato all’Incanto Patronus, all’odore metallico delle proprie debolezze e al sapore acre dei propri fallimenti. «…E trovare modi alternativi per aggirarle o colmarle. Ti invito a non tralasciare questo aspetto: riconosci le tue paure e i tuoi limiti, scontrati con i tuoi punti deboli e ragiona sulle alternative, in modo tale da non farti trovare impreparata.» era un invito che esulava dall’esame in se stesso, configurandosi quale indicazione su come approfondire il lavoro negli anni a venire, e che la ragazza avrebbe potuto tenere a mente come ignorare. Inconsapevolmente, nel parlare, aveva assunto un tono più informale.
«Prontezza di mente, quindi» continuò, tirando le somme «sangue freddo, ma anche inventiva e creatività. Istinto, oserei dire. Ha qualcosa da aggiungere, a riguardo?» si fermò, interrogandola con lo sguardo. Avrebbe quindi atteso una risposta, positiva o negativa che fosse, infine avrebbe ripreso. «C’è un'espressione che ha usato che mi ha colpito in modo particolare e che vorrei sottolineare: “Senza prontezza di spirito, la difficoltà aumenta”. Vuole darci una dimostrazione?» e, stavolta senza attendere alcuna risposta, fece roteare la bacchetta nell’aria. Un primo colpo, rapido e sicuro, e ne uscirono due lingue argentate, che ben presto assunsero sfumature verdastre e un corpo lungo, liscio e viscido. Piombarono sul tavolo a cui era seduta Amber con un sibilo irritato; una delle due figure ne percorse tutta la lunghezza,
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come lanciato da una fionda, scivolando dal bordo e ritrovandosi per terra, dove iniziò a strisciare ai piedi della ragazza.
Un secondo colpo della bacchetta sferzò celere lo spazio e una fiammata si accese con invadenza accanto al tavolo, elevandosi per circa un metro di altezza. Mentre il calore improvviso pungeva le guance della Caposcuola, il serpente alzò la testa verso di lei, soffiando spaventato e mostrando i denti affilati, pronto a sferrare il suo attacco: nelle pupille nere, insieme alla paura, baluginava il riflesso dorato della fiamma. Ma non era finita. Un terzo colpo di bacchetta e il sibilo del serpente fu presto coperto da un rumore più cupo, un
clack sordo e un suono come di catene che scorrono a grande velocità. Se la giovane avesse alzato lo sguardo avrebbe visto uno degli imponenti lampadari staccarsi dal soffitto e piombare, in piena caduta libera, proprio sopra la sua testa.
ATENA MCLINDER - INCANTESIMI


Bene, movimentiamo un po’ le cose. La situazione è abbastanza chiara e tutto sommato semplice: a fronte delle premesse di cui abbiamo parlato, ad Amber è richiesta una piccola dimostrazione. Ti chiedo di scrivere un post autoconclusivo in cui fronteggiare la situazione e i tre ostacoli che ti sono stati posti davanti simultaneamente (serpenti, fuoco e lampadario), calandoti in essa in modo verosimile e non banale. Puoi usare tutti gli incantesimi che vuoi, senza alcun limite; ti chiedo solo - per una questione di coerenza con la materia che stiamo affrontando - di selezionare quelli non palesemente riconducibili ad altre discipline, come Trasfigurazione o Difesa. Per qualunque dubbio, non esitare a contattarmi!
 
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view post Posted on 3/5/2019, 07:50
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AMBER SERENITY HYDRACAPOSCUOLA DI TASSOROSSO ✧ 18 Y.O. ✧ O.W.L. ✧ INCANTESIMI
Composta, ascoltò il lento battito del cuore, appena calmatosi. Esporre davanti alla commissione quei piccoli frammenti di sé, non sarebbe mai stato semplice. La Tassorosso immaginava che avrebbe dovuto farlo; il senso del colloquio orale includeva anche una valutazione più intima, introspettiva. Se da un lato, quindi, trascrivere su carta i procedimenti studiati all'infinito in classe e in biblioteca, le era sembrato sufficientemente fattibile, dall'altro lato c'era l'introversione cronica avvinghiata al suo animo che vibrava di terrore all'idea di svelarsi, di perdere misurati frammenti di una corazza costruita nel tempo. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e ripercorrere il ticchettio dolce del carillon che John le aveva regalato poche settimane prima. Un oggetto strano e affascinante, incantato per riprodurre una melodia breve ma sicura, e l'immagine in rilievo di un percorso boschivo. A prestare attenzione si poteva credere di essere avvolti dal profumo di un umido sottobosco. Lo custodiva così gelosamente che l'aveva perfino reso invisibile a chiunque. E vi aveva fatto appello anche più volte di quante effettivamente avrebbe desiderato ammettere. Ma c'era poco da fare, quell'uomo aveva imparato a conoscerla nonostante le mille barriere erette dalla figlia. Seguì il discorso della McLinder senza distrarsi troppo, ricacciando quel dolce desiderio un po' più in fondo, oltre la coltre di spessa attenzione che doveva prestare al suo esame. Annuì nel leggere in quelle parole un assenso profondo per quanto espresso fino a quel momento. Consapevolezza, il motore trainante di un ragionamento minuzioso. Era anche vero, come la docente sottolineò poco dopo, che si poteva avere l'istinto più reattivo dell'intero universo o una velocità di raziocinio altissima, ma a poco avrebbero valso entrambi se non v'era niente alla base della conoscenza. «Nulla da aggiungere. Come ha detto anche lei, se non vi sono nozioni a cui appellarsi, non si può nutrire a dovere la prontezza di spirito, e così facendo questa potrebbe non essere sufficiente» Ma non era il suo caso, lo sentiva. Sapeva di aver studiato e con ben poca modestia aveva imparato a credere nelle proprie capacità, costruendo nuovi appigli su cui arrampicarsi. Dopo una serie di missioni fallimentari, di viaggi in cui l'unica morale riscontrata albergava proprio nella sua incapacità di reagire, Amber aveva capito che avrebbe dovuto fare un lavoro impressionante su se stessa, e l'aveva fatto. L'orgoglio ferito l'aveva spinta a non fermarsi.

Trattenne il consiglio della docente, una conferma di quanto si era impegnata a comprendere per conto proprio. Avrebbe liberato un sospiro, se solo non fosse stata intenta a dividere la propria attenzione tra i movimenti della donna e la bacchetta che si rigirava tra le mani. Piccoli segnali, insufficienti per preparala a quanto sarebbe successo nei secondi successivi. Il tempo - irrisorio - di un battito di ciglia e perfino i trascorsi più burrascosi con l'animo martoriato della dodicenne che era stata, vennero accantonati dal sibilo di un serpente, e poi di un suo gemello. Uno scatto istintivo portò Amber a trascinare la seduta all'indietro di mezzo piede, quasi potesse bastare per allontanarla da quegli aculei velenosi già in bella mostra nelle fauci viscide. *Serpenti...* Un brivido tamburellò con fastidio lungo la spina dorsale. Sebbene Amber non schifasse particolarmente i rettili, non riuscì a reprimere il ribrezzo primordiale dell'averne uno che le strisciava lungo le caviglie, scivolando, freddo, tra le calze scure. Tre secondi di pura immobilità. Ma non bastava. Il tempo di allungare la mano verso il fodero della bacchetta ed una vampa di calore esplose letteralmente al fianco, distraendo - per fortuna - anche le serpi. Nel notare il timore delle bestie nei confronti del fuoco, la mente si accese e la mano corse ad astrarre finalmente il catalizzatore. Nelle iridi verdi si specchiavano le fiamme basse, un nuovo nemico da non sottovalutare. Accelerato, il ritmo del cuore implose letteralmente quando il terzo sventolio di bacchetta - che lei non vide - fu seguito dal clangore metallico delle catene di un lampadario, oh e quello invece lo udì. Non si trattava di un lampadario qualsiasi, ovviamente, ma di quello sopra la sua testa, trasfigurato per l'occasione in un orologio inclemente che segnava il tempo di una fuga urgente. Rapida, con la bacchetta in sorbo stretta nella mano dominante, la ragazza si diede la spinta con il piede libero dal serpente e si lanciò letteralmente dal lato opposto alle fiamme. La forza esercitata, aumentata dallo scorrere di un fiume di adrenalina nelle sue vene, le permise di atterrare sulla spalla destra e trascinarsi ancora pochi centimetri, mentre il grande lampadario vedeva l'inesorabile fine dei suoi giorni. Frammenti di ferro battuto urtarono ampolle di vetro e il tutto esplose in un fragore prevedibile, ma troppo vicino ad Amber. Due piccole lame di vetro affondarono con poca clemenza all'altezza della vita, stretta in quella camiciola non più così candida. Niente di profondo, ma le goccioline di sangue cremisi macchiarono l'impeccabile divisa. Lei però non seguì con lo sguardo quel colpo, perché la stretta del primo serpente lungo la caviglia destra ed il sibilo inferocito del secondo, innalzatosi oltre la piccola scrivania in legno, catturarono le sue intenzioni. Invisibili ingranaggi mossero la mano della ragazza, lo sguardo fisso sulle squame verde scuro e sulla testolina triangolare. Quel primo serpente non aveva ancora snudato le zanne e non v'era tempo da perdere prima che lo facesse. Un battito della terza palpebra candida, fu tutto quanto Amber gli concesse. Ruotò il polso in senso antiorario, ancora adagiata su un fianco, e ringhiò la formula della liberazione dimenticandosi di quanti la stessero osservando. Il movimento più preciso possibile, venne quindi seguito da un *Relascio!*. Imperativo e pulito, l'ordine tremò per frazioni di secondo, rianimando il nucleo della bacchetta e producendo il raggio che spedì il primo nemico sibilante verso le fiamme. Spinto dall'intenzione di affondare i denti nella carne morbida della studentessa, il secondo serpente ignorò il compagno lambito dal fuoco e si lanciò oltre il metro e mezzo di piccolo vuoto, cadendo al suolo nell'esatto momento in cui Amber si era rimessa in piedi. Le schegge in vita premevano, imponendo almeno che le togliesse per non ferirsi in continuazione, e così lei assecondò quel volere, sollevano appena la camicia e lasciandole cadere al suolo, facendo espandere ancora di poco la chiazza rossa al fianco. Una lieve smorfia di dolore le arricciò le labbra, ma non sarebbe bastato a distrarla. Il calore delle fiamme in avanzata verso di lei era comunque messo in secondo piano rispetto all'ancora velenoso rettile in avvicinamento. Non voleva propriamente mandarlo al rogo, il primo ci era finito per l'impeto usato nel liberare la caviglia, al secondo forse sarebbe spettato un destino migliore. Le servivano incantesimi veloci, istintivi e in grado di portare a termine i suoi desideri in fretta, e questi non si fecero pregare. Precisa, vinta forse da quell'impeto di necessità che sorgeva come una fenice dalle ceneri del suo spirito, puntò la bacchetta verso l'animale, già pronto a dare dimostrazione della sua pericolosità. Il corpo molle avrebbe compiuto l'ennesimo scatto. Fauci aperte, denti in mostra e gocce di veleno da inoculare direttamente nella caviglia della malcapitata. Ma la studentessa non l'avrebbe permesso. Distese il braccio, tenendolo perpendicolare al corpo - più in là avrebbe ringraziato le ore spese a studiare ed esercitarsi, e le lezioni impartite da Nonna Cordelia, che avevano reso la postura di Amber pressoché perfetta - immaginò un blocco totale del serpente, dalla punta viscida della prima estremità, alle squame ruvide del muso, attraversando le viscere molli, il sangue e quel canale ignobile di puro veleno che finiva proprio in quei due stiletti affilati. «Immòbilus» ordinò, accentando la seconda sillaba, quasi stesse discutendo con lui come con un qualsiasi studente. "Non devi più muoverti, siamo intesi?" sembrava imporre lo sguardo determinato. Lo scatto non si concluse, rigido come un tronco, il piccolo strisciante nemico si immobilizzò come desiderato dalla Tassorosso, che però non si concesse alcun sospiro di sollievo; era un blocco solo temporaneo, c'era bisogno di renderlo effettivo, ma prima ancora di rendere innocue le fiamme che ora si inerpicavano sui resti del banchetto, mezzo distrutto dal lampadario e dello stesso distruttore. Ignorò il pizzicò delle lievi ferite, aggirando i detriti e portandosi a distanza di sicurezza. Rigirò il catalizzatore tra le mani, ma non perse altro tempo. Si muoveva con la precisione di chi era un tutt'uno con la propria bacchetta, ormai resa estensione naturale del proprio volere. Inquadrò il fuoco in tutta la sua nuova dimensione, muovendo il sorbo dall'alto al basso finché non fu sufficiente. Una sola occhiata al corpo carbonizzato del primo animale, poi le iridi acquamarina imposero alle fiamme di morire, di estinguersi come non fossero mai state generate. Avevano fatto la loro corsa, non erano certo state inutili, in qualche modo doveva perfino ringraziarle, ma ora basta. La formula, contro ogni previsione, le morì in gola nel momento in cui un grido di dolore prese vita in quella giovane mente sotto pressione. Le sclere candide respinsero la Sala Grande, dipingendo davanti allo sguardo vacuo, i profili di una Gerusalemme invasa dal fuoco nemico. Piegata sotto il volere dei Romani, degli invasori che con l'intento di portare a forza il loro volere avevano fatto insorgere la popolazione, prima di una vera difesa. O forse no, no perché era Amber la loro difesa, lei era la stata scelta per guidare quei Ribelli in un'impresa che fin da subito era parsa incredibilmente complesse. Era già passato un anno, eppure niente era riuscito a rimuovere da sporadici incubi il rumore di lame di ferro che stridevano l'una contro l'altra, di spade che affondavano in carne debole, ignorando anche le corazze più dure, o perfino quella Nieve così diversa che si era aggrappata a lei cercando una protezione che non era stata in grado di offrire. Eccola quella debolezza che abbatteva la prontezza di spirito, quella che Amber non poteva più permettersi di provare. Strinse l'impugnatura e tornò forzatamente alla realtà, alla commissione che la stava osservando - forse ora perfino con più attenzione - ed alle fiammelle ben più innocue che doveva spegnere. Non avrebbe mai avuto una seconda occasione di difendere Gerusalemme, e non l'avrebbe mai chiesta, ma quello non le avrebbe impedito di estinguere le fiamme della McLinder. Il barlume di consapevolezza invase lo sguardo quando quello tornò alla realtà. Ancora un movimento dall'alto al basso della bacchetta, ancora il delineare preciso del pericolo. E, dopo, la formula. Stavolta niente distrazioni. «Extinguo!» alzò il tono per sovrastare il crepitio acceso del fuoco e chiudergli ogni possibilità di respiro. Ansimava per lo sforzo impiegato ad uscire dal loop della Scuola di Atene e da quella serie di piccoli e prolungati traumi che ancora costellavano il cielo oltre le pagliuzze dorate in quelle iridi. Il chetarsi lento ma preciso del suo obiettivo, fu coperto da un colpo di tosse che la costrinse ad un ulteriore passo indietro. Lenti scricchiolii le ricordarono che la questione "serpente immobilizzato" ancora non si era conclusa. Osservò la bestiola iniziare lentamente a muoversi, segno tangibile di quanto avesse poco tempo anche per razionalizzare il passo successivo. Ma fu proprio la memoria delle sue esperienze come ateniese a creare un connubio logico nella sua mente. Rimase a distanza di sicurezza e ricordò precisamente quell'incantesimo che le aveva permesso di innalzare grandi muri di rovi, nati dalla roccia frantumata delle mura di Gerusalemme. Sapeva che il Repsi prendeva i materiali direttamente dal punto in cui lo si evocava, ed il pavimento della Sala Grane era certo particolarmente ostico. Ma non era impossibile. L'Aula 21 l'aveva già vista cimentarsi in quell'esperimento, sebbene la terra sarebbe sempre stata il luogo migliore per dargli vita. Represse un "ahi" infastidito; dopo avrebbe dovuto pensare anche quella ferita superficiale. Fece roteare la bacchetta tra le dita, al solo scopo di trovare la giusta concentrazione, poi iniziò a coinvolgere la mente in ogni singolo respiro. Voleva un'edera dal gambo spesso, un rampicante recidivo e difficile da abbattere, invadente come pochi altri. Gli chiese, in quell'immagine, di inspessire i proprio "muscoli" affinché la gabbia di rigida impalcatura divenisse impenetrabile ma non soffocante. Avrebbe lasciato al serpente il giusto spazio per respirare ma non gli avrebbe permesso di strisciare oltre le grate, troppo strette perché le superasse anche appiattito al massimo delle sue capacità. Disegnò un cerchio in senso orario, come aveva imparato a fare, e costruì con precisi gesti quella gabbia a cupola che avrebbe circondato e rinchiuso l'animale. Impiegò tutto il tempo necessario per definirne i dettagli, perché non vi fosse modo di eluderla e richiamò la formula con lo stesso impegno con cui aveva imposto al serpente di rimanere fermo. «Repsi Genìtum» accentò la "i" della seconda parola senza sforzi, l'aveva usato talmente tanto quell'incantesimo che ormai enunciarlo aveva assunto un certo "che" di familiare. Dopo un secondo di stasi, il tempo forse di generare rovi di una struttura non ideale, e prima che l'incantesimo di fermo si sciogliesse, la gabbia di edera indurita si chiuse iniziando dalla pavimentazione e finendo di nuovo in essa, piantata saldamente al suolo. Allora sì che Amber si concesse un respiro più profondo, quasi soddisfatto, sebbene non fosse concluso lì l'esame. Erano trascorsi pochi minuti, eppure nel suo immaginario c'erano volute ore per disfarsi di quegli "imprevisti". Ma senza nemmeno cercare il conforto della commissione, voltò loro le spalle, per permettersi di studiare meglio le ferite sotto la camicia sporca. Tastò i due piccoli tagli, stringendo gli occhi. Il resto fu semplice, anche quell'incantesimo di medicazione le era noto, per lei era estremamente naturale guarire così le ferite meno gravi, quelle che non necessitavano di decotti o incanti più invasivi. Un piccolo semicerchio orario dal basso verso l'alto, un colpetto - senza toccarle - verso le due striscioline rosse, polso sciolto dalla rigidità dei precedenti incanti, e la formula nota a riempire la mente a labbra sigillate. *Medèor Vulneràtio*. Istantaneo sollievo, ed una ciocca bionda sciolse una parte dell'impalcatura di quella treccia tanto pratica e raccolta. Muovendosi con accortezza, riabbassò la camiciola e tornò a lasciare che la commissione osservasse il continuo delle sue gesta, dichiarando l'intenzione a proseguire. I pericoli erano stati risolti, ma il caos non andava bene comunque, così come non andava bene lasciare le cose com'erano. Ripulì la divisa: nuova rotazione oraria del polso, movimento veloce dall'alto al basso e colpetto di bacchetta, sempre senza toccare la camicia, per un *gratta e netta*, muto. Inclinò la tesa di qualche millimetro mentre soppesava il da farsi, sufficientemente logico, per risistemare il grande lampadario distrutto ed il banco che per metà era perfino stato divorato dalle fiamme. Il serpente, ostaggio infelice, sibilava insulti dalla sua gabbia, poco ma sicuro. Riparare al danno era il minimo, ma non sarebbe bastato e dunque, con un mezzo sorriso obliquo, la biondina osservò il punto da cui l'oggetto era sceso e la lunga catena che prima lo aveva tenuto in sicurezza per chissà quanto tempo. Avrebbe tentato qualcosa che mai prima d'ora aveva pensato. Non sarebbe stata la prima, certo, ma se ci fosse riuscita avrebbe aggiunto un punticino alla tacca dell'orgoglio. Postura composta, bacchetta puntata verso lo scheletro del grande oggetto, e mente pronta a ripercorrere il vocabolario latino che aveva imparato obbligatoriamente a sfruttare nelle più disparate occasione. Quel che accadde dopo, sarebbe stato puramente scenico, e perdersi nel contemplare il possibile risultato sarebbe stato semplice come guardare una scena di un film preferito. Il polso si mosse dal baso verso l'alto, in un moto continuo, mentre la formula ben scandita lasciava le labbra di Amber come un soffio imposto. Un'aggiunta, infine, a legare il movimento nel tentativo di far sì che i fili argentei e chiari riportassero il lampadario laddove si era sganciato, per ripararlo e ricollegarlo al soffitto. «Mobili Funale.... Repàro.» mosso da un'imposizione rallentata, l'oggetto cigolò più volte, in quel lento ricomporsi mentre veniva trascinato in alto dai moti della bacchetta di Amber, concentratissima, fino all'aggancio della catena. Frammenti di vetro strisciarono sul pavimento fino a riformare le ampolle distrutte, le corde legarono di nuovo i punti saldi della struttura, il metallo si piegò al volere della giovane strega, richiamando la forma che quell'oggetto aveva sempre avuto. Un'ascesa paziente e metodica, precisa. Attese l'avvolgersi delle maglie, prima di recidere la connessione tra il catalizzatore e respirare. Un ultimo gesto, un puntar deciso verso il banco ed anche quello, libero dal suo aguzzino, riprese la forma originale. «Scamnum Repàro.» sussurrò con decisione. Non fosse stato per il serpente chiuso nella cupola a terra, e per i segni di quel breve tratto appena bruciacchiato, nessuno avrebbe sospettato nulla. Con la treccia scomposta e scivolata a destra, un segno di inequivocabile umanità, ed il cuore ancora a mille, Amber afferrò la bacchetta anche con la mano libera. Basta, aveva finito. Iridi fisse su Atena McLinder.


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Era questione di frazioni di secondo, attimi infinitesimali che si tendono, come un elastico; l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento, la percezione del tempo rallenta, ogni singolo istante sembra assumere la larghezza di interi minuti. Un battito di ciglia, la scelta di agire anziché rimanere fermi.
La ragazza fece appena in tempo a catapultarsi di lato, prima che il lampadario terminasse la propria corsa abbattendosi con un grande fragore contro il tavolino in legno. Si udì il clangore del metallo gemere nell’impatto e le ampolle andare in frantumi; schegge di vetro vennero sbalzate tutto intorno ed alcuni frammenti, con i loro ticchettii sottili, riuscirono a raggiungere il tavolo dei docenti. Una fiammata aggredì vorace il metallo, come una bocca affamata, rendendo presto rovente la porzione lambita.
Anche nel frastuono, Atena non distolse per un solo istante le iridi dalla studentessa; nemmeno un battito di ciglia perturbò il suo sguardo e nessun movimento sembrò indicare la volontà di scostarsi o ripararsi dai frammenti. Restò ritta in piedi davanti a lei, irremovibile, solo il mantello ondeggiò alle sue spalle, la stoffa smossa dal movimento dell’aria. Teneva ancora la bacchetta stretta tra le mani, pronta ad intervenire nel caso in cui la ragazza non fosse stata in grado di agire in modo tempestivo.
Gli abiti della Tassorosso si scomposero nella caduta, alcune ciocche sfuggirono dall’ordine imposto dall’acconciatura e le sue guance sembrarono colorirsi di una sfumatura più intensa, come se la frenesia ne accentuasse la colorazione ambrata, anziché smorzarla. Il suo sguardo, però, rimase fermo e risoluto: gli ostacoli che le si paravano davanti avevano indubbiamente trovato un degno avversario.
La bacchetta si mosse, la magia obbedì e un sibilo straziato precedette una nuova fiammata: una tragica fatalità per il serpente, una circostanza fortuita per la ragazza. Dal canto suo, il fuoco parve ringraziare, crepitando gioviale mentre fagocitava quel pasto inaspettato.
Fu solo quando l’Immobilus echeggiò deciso – stroncando alla nascita ogni possibile obiezione – che Atena si rilassò, mentre le labbra si incresparono in un sorriso enigmatico. Accostò la schiena al tavolo dei Docenti e posò i palmi sul bordo; alle narici le giungeva l’odore pungente del legno bruciato e il sentore più acuto di ferro e ruggine incandescenti. Sbuffi di fumo nero si alzavano dalla fiamma, accumulandosi poco a poco in una nube più densa, formatasi a diversi metri d’altezza, sopra di loro.
Un attimo di esitazione percorse il viso della studentessa, un’insicurezza o una crepa di umanità forse dovuta alla stanchezza, forse alla paura, forse all’indecisione sulla mossa successiva - Atena non avrebbe saputo dirlo. Socchiuse appena le palpebre, seguendo accorta ogni suo movimento. Ciò nonostante, l’ombra evaporò presto dai suoi lineamenti e le fiamme furono domate senza eccessiva difficoltà, ammansite come un demone ormai sazio, rispedito docilmente nell’oblio da cui era stato chiamato. Sul pavimento, al suo posto, rimase soltanto una sorta di incarto scuro e raggrinzino: ciò che restava del primo serpente. Sarebbero bastati pochi, flebili, movimenti dell’aria per ridurlo definitivamente in finissima cenere.
La Docente si portò una mano al mento, trattenendo quasi il respiro, mentre foglie e fusti erbacei fuoriuscirono dalla pietra come le dita stesse della Terra, intrecciandosi abilmente fino a formare una cupola intorno al corpo sinuoso del rettile. Sentì un calore scorrerle sotto la pelle – e forse anche sopra; affine e sensibile alla magia Elementale, non poté fare a meno di riconoscere l’esecuzione particolarmente curata e l’intrinseca armonia che sottostava alla natura dell’incanto: la Terra stessa pareva richiamare e trattenere tra le sue dita una creatura che, per antonomasia, ad essa apparteneva. Che si fosse trattata di una scelta voluta da parte della ragazza o solo di una decisione dettata dall’istinto, quella trovata le piacque.
Le piacque molto.
Nel momento in cui le ultime radici si ancorarono fermamente al terreno, un respiro più profondo lasciò le labbra della studentessa e con esso anche la tensione che si era accumulata nell’aria parve lentamente diradarsi.
Atena alzò un sopracciglio, a metà tra il curioso e l’interrogativo, mentre la Tassorosso prese a sistemarsi gli abiti prima ancora di porre rimedio allo sfacelo presente in Sala Grande –
*fa sul serio?*
Gli ultimi colpi di bacchetta furono infine riservati al lampadario e al tavolino. Incantesimi che, nel loro insieme, davano mostra di quel che di scenico particolarmente apprezzato – immaginò – dal Collega di Difesa. Tuttavia non si voltò per trovare conferma della sua supposizione, né cercò mai la reazione dei Colleghi, alle sue spalle. Mentre il Mobili sollevava lo scheletro del lampadario e il Reparo ne riassemblava i pezzi, Atena mantenne la concentrazione fissa sulla ragazza. Era una faccenda tra loro due, quella, e nessun altro. Quanto a lei, non fu tanto l’apparenza a sorprenderla, quanto piuttosto la sostanza da cui l’incanto era stato generato, il modo in cui le due formule fossero state abilmente fuse insieme e come i gesti dell'uno continuassero in quelli dell'altro, formando un tutt'uno.
Un ultimo tonfo e anche il tavolino riprese le sembianza originali.
Ad esso seguì il silenzio.
Amber, in piedi, composta, rimase in attesa.
Lo sguardo di Atena, in piedi, composta, rimase puntato in quello della ragazza, il tempo di due respiri, come se volesse concedersi lo spazio per assorbirne ogni frammento.

«Eccellente.» disse infine, pacata. «Una…scelta insolita, il Repsi Genitum.» commentò, soppesando nuovamente l’intreccio di edera ancorato al pavimento. Non fece nulla per far sparire il serpente né la gabbia in cui era stato imprigionato, lasciando che i suoi sibili sommessi facessero da sottofondo alla loro conversazione – se ne sarebbe occupata di lì a poco, pensò tra sé. «La trovo particolarmente dotata negli Incanti Elementali.» Ne era la dimostrazione la naturalezza con cui aveva evocato l'incanto e la precisione nella sua esecuzione. Su queste parole tornò a fissare le iridi chiare di Amber, come se in esse vi volesse depositare qualcosa o se tentasse di carpirne i segreti. «Può sedersi per qualche istante, se lo desidera.». Lasciò alla Tassorosso il tempo per decidere il da farsi, poi si schiarì la voce e proseguì. «Ho un’ultima domanda per lei. Unire due incanti richiede conoscenza della magia e dimestichezza, nonché una certa dose di sicurezza in se stessi. Vuole spiegarci come sia possibile un simile tentativo? Quali accortezze è bene tenere a mente, cosa può favorire, e sfavorire, la sua riuscita? E ancora, cosa lo rende diverso dal creare ex novo un incantesimo?». Inclinò appena la testa da un lato, soppesando tra sé un pensiero. «Mi dica, è una cosa che fa spesso?» chiese infine con nonchalance, come se le stesse domandando quanti giorni a settimana andasse a pesca.
ATENA MCLINDER - INCANTESIMI
 
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Un "clang" finale, seguito dallo scivolare metallico della grossa catena, decretò la chiusura del processo. Soddisfatta, Amber rimase letteralmente immobile, in attesa di un giudizio che sperava fosse positivo. Aveva agito d'istinto, aveva rischiato di perdere quella prontezza di spirito che tanto valeva sulla carta, e per un soffio i suoi peggiori incubi ateniesi erano tornati a farle visita. Dopo, però, aveva fatto tesoro di anni di studio e perfezionamento, di ore su ore passate tra i libri di Bibliomagic e del Ghirigoro, ed aveva afferrato a due mani l'essenza magica di cui era in possesso dalla nascita. Come a voler esercitare un suo personale diritto, aveva dismesso le spoglie di una studentessa qualunque, animando invece la strega che sottopelle febbricitava.

Accolse lo sguardo della McLinder, senza forzare la ricerca di un verdetto, consapevole che quello sarebbe giunto comunque. Le mani a stringere il legnetto dai gradienti chiari e scuri, aveva esagerato con la riparazione del lampadario? Forse, si disse, avrebbe potuto anche fermarsi prima, ma l'idea di proseguire nel caos o far fare agli altri qualcosa che sentiva di essere in grado di fare per conto proprio, sarebbe stato assurdo. Un tenue sorriso seguì l'"eccelente" espresso dalla docente, e rimase al suo posto anche quando l'incantesimo con cui aveva rinchiuso il sibilante serpente, venne messo in luce. Le iridi di giada seguirono gli interessi di Atena, ripercorrendo anch'esse gli intrecci della cupola d'edera, nata da uno dei terreni più sterili in assoluto. Annuì, appena più soddisfatta, senza provare a nascondere il moto d'orgoglio nato dal complimento, in concomitanza con la seconda nota della McLinder sugli incantesimi elementali. Non vi aveva mai fatto caso, in verità, ma non riusciva a negare che era stato proprio l'istinto a suggerirle una soluzione elementale. Forse si trattava di un discorso ancora acerbo, complesso da affrontare di fronte all'intera commissione, ma anche il solo accenno, servì ad accendere una nuova fiammella nell'animo sotto pressione della studentessa. Una risposta antica, inconsapevole, aveva già iniziato ad agitare i meandri della memoria di Amber, ma la strega non le diede retta, si limitò a ricambiare lo sguardo della Capocasa, nell'attesa di una domanda a cui rispondere sul serio. «Oh..» un sussurro sfuggì al controllo, l'idea di sedersi proprio non poteva essere presa in considerazione, nelle sue vene l'adrenalina vibrava, come un gladiatore non del tutto soddisfatto. «No.. se a lei non dispiace, rimarrei in piedi per il momento» si sentì proferire con più sicurezza. Il vagare quieto delle acque racchiuse in quei piccoli grandi fari, si spense in favore di un'attenzione dovuta a quella che veniva preannunciata come "ultima domanda". Si era letteralmente vietata qualsiasi tentativo di previsione delle mosse dei docenti, onde evitare di compiere un passo più lungo della gamba, ma anche in quel caso riuscì a non essere preparata. «L'unione di due incantesimi è anticipata da alcune logiche premesse.» un tono più sicuro si fece strada, cancellando le esitazioni della fretta con cui aveva dovuto agire poco prima. «Per prima cosa, è consigliabile scegliere due incantesimi che abbiano un fine simile. Nel mio caso, il Mobili serviva a riposizionare il lampadario al suo posto, ed il Reparo a far sì che, al suo posto, il lampadario tornasse con le stesse fattezze di prima, riparato dopo la caduta.» proseguì «Eseguire un'unione del genere, a conti fatti, prevede il congiungere la fine del movimento necessario al primo incantesimo, con l'inizio del movimento del secondo incantesimo, ed una concatenazione adeguata delle formule da enunciare.» Sebbene fosse teoria, un brillio familiare in Amber avrebbe sottolineato come scovare questi espedienti nascosti tra un'incantesimo e l'altro, rendesse la materia così affascinante anche per lei. Padroneggiare, modellare, scolpire la magia su se stessi, era quella l'essenza di un mago, no? «Chiaramente va tenuta da conto anche l'esperienza del mago che vuole tentare un'esecuzione composta, deve esserci una profonda conoscenza sia del primo che del secondo incantesimo da concatenare.» Neanche si rese conto di essersi inserita in una categoria a sua volta; troppo presa dalla melodia che stava suonando. «Inventare un incantesimo è ancora differente. Se con la fusione di due incanti possiamo fare affidamento sui libri e sui dettagli che sono stati scritti da chi per primo li ha inventati e migliorati, ben diverso è inventare un incantesimo in prima persona. Non avremo movimenti descritti, formule già note e intenzioni replicabili.» Un respiro più profondo, e le mani sciolsero la presa sulla bacchetta, che tornò a ciondolare lungo il fianco destro della Tassorosso. «Credo che, al giorno d'oggi, non sia facile ideare incantesimi che non siano già stati provati... magari non sono tutti noti, è vero, ma l'originalità è una merce sempre più rara.» aggiunse, soppesando le parole successive. «Questo, però, rende l'impresa dell'ideazione una vera... sfida.» Concluse. Diversamente da alcuni nati babbani che aveva conosciuto, Amber aveva sempre amato la sua natura magica. Mai una volta aveva denigrato il sangue che le scorreva nelle vene, o sperato di poter essere semplicemente babbana. Più volte aveva provato afflizione e tristezza per chi era nato senza una stilla di magia, i magonò, soprattutto. Era piuttosto consapevole di quanto persa avrebbe potuto sentirsi se di punto in bianco ogni potere le fosse stato sottratto.

L'ultima analisi, più personale, sgorgò come un tenute ruscello di risorgiva, dopo aver viaggiato a lungo in canali di terreno fertile. «No» ammise, ragionando visibilmente su come e quanto l'idea di unire due incantesimi avesse spiazzato anche lei, pochi minuti prima. «Non lo avevo mai fatto prima d'ora.» disse, con neutra umiltà «In quel momento mi è sembrata la cosa più logica da fare, ho seguito solo l'eco di un'idea.»

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Annuì con un breve cenno del capo alla decisione della ragazza di rimanere in piedi. Con ogni probabilità, pensò tra sé, a ruoli invertiti avrebbe compiuto la medesima scelta.
Terminata la foga e la frenesia dello scontro, era giunto il momento di raccogliere i pensieri, ragionando sulle azioni messe in atto e sulle condizioni che le avevano rese possibili. Ancora una volta, l’obiettivo della domanda non era la mera ripetizione a memoria delle nozioni apprese a lezione, quanto piuttosto sondare la capacità di applicarle nella vita reale in modo efficace e creativo. Questa, secondo il pensiero della Docente, era la differenza tra
conoscere la Magia e padroneggiarla.
Tre furono i criteri individuati dalla ragazza alla base della possibilità di fondere due incanti: concatenazione dei movimenti e delle formule, assonanza della finalità e, da ultimo, capacità del Mago. Si poteva dire, in tal senso, che fosse come scrivere i versi di una poesia, o tradurre in note musicali le melodie di una componimento. Giocare con suoni e parole, trovare legami e somiglianze, dosare tempi e pause. Come il lavoro di un poeta o di un musicista, anche il Mago era chiamato a ricercare una sorta di musicalità all’interno degli elementi che compongono gli incantesimi. Da tale prospettiva, un simile procedimento si poteva considerare a tutti gli effetti un’Arte, dove la qualità dei risultati era direttamente proporzionata alle capacità dell’Autore.

«La Magia è come un flusso.» riprese, non appena la ragazza ebbe terminato di parlare. «Per comodità e per l’insita natura dell’essere umano a catalogare ogni cosa, essa viene insegnata tramite forme, schemi e classificazioni ormai considerate convenzionali. Eppure, come tutto ciò che è presente in Natura, essa sfugge da ogni sorta di definizione, trasborda, per così dire; è una forza malleabile, difficile da afferrare nella sua interezza e per questo altamente recettiva alla creatività. Conoscerne i fondamenti, ragionare su di essi e permettersi di reinventarli è una sfida che auguro a qualunque Mago o Strega.». Si prese qualche istante per riflettere ulteriormente sulla risposta alla seconda domanda. Inventare nuovi incanti era indubbiamente possibile; difficile, si, dal momento che richiedeva non solo una profonda conoscenza della Magia, ma anche la capacità di ragionare fuori dagli schemi e di immaginare nuove soluzioni possibili. Lei stessa, nel corso della sua vita, aveva potuto assistere a forme di magia inconsuete e non convenzionali; il pensiero, prima ancora che potesse fermarlo, corse inevitabilmente ad un fatto avvenuto nel suo passato più recente. «C’è anche chi ha dedicato l’intera esistenza alla ricerca di una formula in grado di creare la Magia stessa - continuò, dando voce al filo dei propri pensieri - nel tentativo di renderla accessibile a Babbani e Maghinò.». Era il primo caso che le era stato affidato al Quartier Generale, quello che aveva visto il suo battesimo come Auror e lo stesso che per giorni e notti aveva continuato a ronzarle nella testa, insistente e martellante. In quel momento, il ricordo risuonò nel suo animo quasi con prepotenza. Lei stessa, in seguito, si era interrogata sulla fattibilità di un simile proposito. All’epoca aveva considerato impossibile la sua riuscita, ritenendola una battaglia persa in partenza, i cui esiti non potevano che essere nefasti; eppure non poteva negare che in un cassetto della sua scrivania custodisse ancora gelosamente il quaderno in cui aveva raccolto appunti, ipotesi e riflessioni personali sull'argomento. Aveva ceduto alla tentazione di trascriverli, come se incidere su carta formule matematiche potesse servire a svelare una falla nelle regole convenzionali, a permettere l'accesso alle forze che plasmano gli strati più profondi della Magia, o anche solo a smentire definitivamente simili ipotesi. Ogni calcolo, però, era rimasto incompiuto e la soluzione al dilemma ancora sconosciuta. «Tuttavia, nessuno è mai riuscito nell'impresa.» Scosse la testa, tagliando il filo dei suoi ragionamenti e chiudendo, per il momento, un argomento che forse sarebbe stato troppo spinoso da discutere in un Gufo.
Annuì all’ultima considerazione della ragazza, più a se stessa che come reale risposta, senza aggiungere nulla in proposito.

«Se non c'è altro che desidera sottolineare, direi che possiamo considerare conclusa questa parte dell’esame e passare senza ulteriori preamboli a Trasfigurazione.» non fece alcun accenno all’esito della prova, roteò invece la bacchetta in direzione della cupola di foglie e verso il serpente che, al suo interno, sibilava inquieto. Seguendo il dettame di movimenti precisi e misurati, il corpo del prigioniero prese lentamente a ingrandirsi, dapprima premendo contro la rete di foglie e steli – una mossa che non fu particolarmente gradita al malcapitato e che gli costò diverse lacerazioni superficiali – poi spezzando il fitto ricamo dell’intreccio.
Prima che il serpente potesse godere della ritrovata libertà, la magia lo avvolse nuovamente, come in una ragnatela, e fili invisibili lo mantennero fermo e momentaneamente innocuo. Senza allentare la presa, Atena lo sollevò da terra, posizionandolo al centro della porzione di spazio che separava lei da Amber.
Un secondo svolazzo della bacchetta andò a materializzare una clessidra sul tavolo dei Docenti: era una semplice costruzione in vetro, dalle forme rotondeggianti, senza sostegni né abbellimenti di sorta; al suo interno, ben visibile, un mucchietto di sabbia chiara. Nonostante le modeste dimensioni, Amber non avrebbe fatto alcuna fatica a riconoscere la natura dell'oggetto.

«Ci mostri cosa è in grado di fare.» fu la sola istruzione che le diede e, senza attendere risposta, voltò la clessidra dando inizio allo scorrere frenetico dei secondi. Un ultimo, rapido, scocco della bacchetta e il serpente fu finalmente libero da ogni presa. Grato della nuova condizione, prese a muoversi repentinamente, come per sgranchire ogni muscolo indolenzito e godere della ritrovata libertà; i sibili sembravano gridolini di gioia.
Atena mantenne la posizione, il braccio perfettamente allineato con il corpo, lo sguardo vigile e attento, pronta a rispondere a sua volta alla mossa della studentessa. Ciò che si aspettava da lei per la seconda parte dell'esame era ormai chiaro. Oppure no?

ATENA MCLINDER - INCAN~SFIGURAZIONE


Altro giro, altro regalo: si passa a Trasfigurazione! Ha qui inizio quello che sarà un breve, brevissimo, duello trasfigurativo: rapido, veloce, indolore essenziale. Per iniziare ti è chiesto di trasfigurare il serpente in ciò che ritieni più opportuno; vista la natura alternata della sfida, stavolta sarò io a decretare l'esito finale dai tuoi incanti: niente eccessivi formalismi, ciò che mi interessa è comunque il ragionamento che ci sta dietro, l'originalità nella scelta della mossa e una relativa correttezza nell’esecuzione. Sii veloce, in on saranno rapidi botta e risposta tra Amber ed Atena. Non avrai molto tempo per ragionare – la clessHyidra non perdona – il tuo obiettivo è agire nel modo migliore nel minor tempo possibile.
Stavolta via libera agli incanti trasfigurativi, banditi tutti gli altri.
Per ogni dubbio, resto a tua completa disposizione!
 
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Come gocce, le considerazioni dettagliate di Atena McLinder scalfirono la roccia, insinuandosi più a fondo nei ragionamenti di Amber, abbracciandoli come figli della stessa mente. Attenta anche ai più piccoli sospiri emessi dalla Tassorosso, la docente si stava dimostrando in grado di destreggiarsi con la materia che non le competeva nello specifico, con una maestria che la stessa biondina avrebbe invidiato a lungo. Capace ed affidabile, la sua Capocasa aveva più di un asso nella manica ed il coinvolgimento degli occhi azzurri ne era la prova evidente. Uscire dagli schemi, trasfigurarli in quelle basi necessarie a proseguire poi con i propri passi, anche nel vuoto se necessario... era quello che significava superare esami del calibro dei G.U.F.O. e dei M.A.G.O.? Amber, che delle regole aveva fatto una ragion d'essere, era però abbastanza matura da affrontare il discorso con la dovuta cautela: sì, la McLinder aveva ragione, la magia non andava incatenata come una schiava, nessuno poteva davvero dichiarare di possederla come un bene - anche se di inestimabile valore -, bisognava imparare a conviverci, a plasmarla ed evolversi con lei. Eppure, nonostante la libertà di pensiero che l'idea di sperimentare suggeriva, senza basi non v'era grande margine di manovra. Conosci le regole, se vuoi infrangerle o modificarle, era il motto. Più seria, l'espressione di Amber tradì un battito perso nell'immaginarsi qualcuno dedito a cercare di creare una magia a portata di chi non poteva accoglierla. La condizione dei "magonò" era peggiore perfino di quella dei Babbani, perché almeno i secondi potevano rimanere a vita ignari dell'esistenza di un altro mondo parallelo al loro, ma... i primi erano condannati a conoscere ogni cosa e non poterne fare il benché minimo uso. Il pensiero volò a Persephone prima ancora che ai domestici di Villa Hydra, infrangendosi lungo gli scogli dell'isola in cui era rinchiuso un rancore antico. Chi poteva osare tanto? , si chiese, pronta ad accogliere una storia, forse anche troppo intima per la situazione "pubblica" in cui si trovavano, ma di sicuro in grado di attirare al cento per cento l'attenzione di Amber. I capelli corvini, però, scossi in un breve diniego, annunciarono il taglio netto di quell'argomento e quel filo di pensiero, spegnendo ogni speranza con quel "Tuttavia, nessuno è mai riuscito nell'impresa." C'erano leggi naturali incontrovertibili, e basta.

Ancora una volta, la Tassorosso non aggiunse nulla alle considerazioni più che giuste di Atena, annuì semplicemente confermando l'accettazione di quel nuovo cambio di argomento. In piedi, come aveva scelto, non rimpianse la decisione presa: pronta a passare a Trasfigurazione, tra i sibili velenosi del serpente. Non passò inosservata, alla mente attenta, la mancata espressione del giudizio complessivo di Incantesimi, ma non se ne curò eccessivamente. Si disse che, probabilmente, la donna aveva scelto di portare a compimento entrambe le materie affidatele prima di esprimersi. Poco male, Amber ancor di più non vedeva l'ora di mettersi alla prova, consapevole che il giro di boa era stato fatto. Neppure il tempo di capire con esattezza dove volesse arrivare la docente, che la mano dominante strinse l'elsa della bacchetta. Le prove non erano finite; molto bene! Vibranti, le iridi chiare seguirono l'esito dei movimenti della strega; la gabbia di rovi che veniva spezzata da un ingigantirsi del serpente, e lo stesso animale che - immobilizzato - le veniva posto davanti, nuovamente a pochi scatti da lei. Irrigidì lo sguardo, volto alla donna e poi ancora allo strisciante ospite: sibilava con più rancore di prima. Una rapida analisi e il tutto divenne più chiaro e concitato: una clessidra avrebbe scandito il tempo delle sue reazioni, mentre la piccola grande minaccia sollevava MOUSE il capo ricoperto
di squame verdastre. Un respiro, e le sabbie si mossero. Uno scatto indietro per evitare l'attacco ancora impacciato del serpente. La bacchetta era già alta e la formula, ripetuta per i primi anni e poi abbandonata, risuonò nelle tempie di Amber. Esisteva un incantesimo molto specifico, in grado di trasformare un serpente in un flauto: Calamus. E la fretta d'agire la stava già portando su quella strada, con il catalizzatore alzato e pronto a compiere la rotazione necessaria. Poi, d'improvviso, con già metà clessidra svuotata, nel suo retrocedere con attenzione, il piano cambiò. Non avrebbe potuto sfruttare un incantesimo così banale, ai G.U.F.O. Quell'esame meritava di più, ed anche lei. Inconsapevole del sorriso storto che le incorniciò le labbra, e di quel brillio negli occhi verdi, fermò il suo retrocedere. Con la bacchetta tracciò una "C" abbastanza ampia da comprendere la figura a testa alta del serpente e quelle sembianze che il rettile avrebbe assunto se tutto fosse andato come previsto. Immaginò il più accuratamente possibile il volatile di cui l'animale avrebbe preso la forma. Un cigno. Grande, maestoso ed elegante... e decisamente NON velenoso! *Olorifors*, rispose approfittando di un'enunciazione muta, al sibilo ultimo - o così sperava - della bestiola ingigantita; imponendole di trasformarsi. Dalla pelle viscida sarebbero spuntate candide piume, morbide o rigide a seconda della posizione che occupavano, il lungo collo infinito del serpente sarebbe sbiancato, lasciando spazio all'elegante silhouette del cigno e le fauci si sarebbero chiuse in un becco arancione scuro. Ben piantata al terreno, Amber avrebbe atteso l'esito, mentre i granelli di sabbia gestivano il tempo a disposizione. Il cuore in petto tamburellava, mantenendola all'erta.

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Un passo indietro, forse l’istinto, forse la cautela. I muscoli tesi, pronti a scattare. Bastarono pochi attimi affinché Amber comprendesse cosa avrebbe dovuto fare, come se in quella porzione infinitesima di tempo fosse riuscita a tracciare le linee che collegavano i segni di un codice: Atena glielo lesse sul viso, nella caparbietà dello sguardo e nel lampo che attraversò le sue iridi. Conosceva bene quella sensazione. Era sicurezza, appagamento, era il respiro che si allinea al corpo durante una corsa. E la certezza di arrivare al traguardo. Sorrise di rimando, inconsapevolmente, come se il solo pregustare quella sensazione l’avesse resa sua, viva e reale sulla propria pelle, vivace nelle proprie vene.
L’ultimo sibilo del serpente si spense nel vuoto, alla pari una fiammella a cui manca l’aria e lentamente muore. Le squame verdi si ricoprirono di un sottile piumaggio; dapprima appena accennato, soffice e candido, simile a quello di un pulcino, poi sempre più folto e definito. Le zanne acuminate si ritrassero, la bocca si allungò, restringendosi in un becco arancione e levigato. Due zampe si protesero dove prima vi era il ventre, si piantarono ben a terra con le dita palmate.
La mutazione non durò che una manciata di secondi, al termine della quale un cigno reale fece la sua comparsa nell’improvvisata arena della Sala Grande. La stazza era leggermente più grande rispetto alla media, similmente alle proporzioni del serpente da cui aveva preso vita, ma senza dubbio non v’era nulla di minaccioso in lui, né di velenoso o mortale. L’incantesimo era andato a buon fine, l’esecuzione era stata eccellente e il risultato degno di nota.
Il cigno sollevò e abbassò le ali, come a voler sperimentare la nuova forma; tastò il terreno con le zampe, muovendo alcuni passi intorno a sé e gli occhi, di un nero pacato e profondo, valutarono l’ambiente. Mentre gli ultimi granelli di sabbia correvano inflessibili sul fondo della clessidra, il lungo collo si mosse verso destra e verso sinistra, sollevando appena il becco, dando mostra di un portamento regale e di una naturale eleganza – non era difficile pensare che fosse un riflesso della strega che lo aveva evocato, come se attraverso la magia anche l’essenza della sua natura si fosse riversata nell’animale.
Poi il flebile fruscio della sabbia cessò; seguì un attimo di sospensione, sembrava che il tempo stesso avesse spiccato un balzo, librandosi nel vuoto. Con un tintinnio, la clessidra roteò su su stessa, si assestò nella nuova posizione e il fruscio riprese a scandire lo scorrere inesorabile dei secondi.
La corsa continuava. Stavolta era il turno di Atena.
L’ombra di un sorriso curvò appena la linea delle labbra e le guance sembrarono assumere una sfumatura più intensa, come se il sangue che le scorreva nelle vene avesse atteso con impazienza la possibilità di far fluire la magia attraverso le fibre del proprio corpo.
Il braccio si tese davanti a lei, senza apparente fretta, dosando con precisione millimetrica movimenti e inclinazione. La bacchetta puntata sul suo obiettivo; una formula scandita senza voce, perentoria e inflessibile.
Il piumaggio del cigno abbandonò l’ordine imposto dalle rigide piume, come se un colpo di vento avesse scombinato ogni fibra della loro trama e le avesse poi ricomposte fino a formare un soffice manto bianco e folto. Anche le zampe furono ricoperte di pelo: la magia tesseva con dovizia ossa e muscoli e da una posizione eretta, l’animale si piegò in quadrupedia. Il becco divenne un muso, fauci con denti affilati. Gli occhi si ingrandirono, e nel loro grigio intenso sembrarono radunarsi tutti i misteri delle foreste più selvagge. Una muscolatura definita completò l’opera, insieme ad una folta coda e a due orecchie a punta.
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Un lupo bianco, dello stesso candore del cigno, si stanziò in mezzo a loro. Aveva una spruzzata di pelo nero intorno agli occhi, simile ad una maschera, specchio dei colori del suo predecessore. Come il cigno e il serpente prima di lui, anch’esso era leggermente più grande della norma. Abbassò il muso, annusando a terra, le orecchie dritte sulla testa, alla ricerca di odori familiari o di segnali di pericolo. Atena non si concesse il tempo per ammirare la sua opera e senza perdere la concentrazione spostò la bacchetta di alcuni gradi, puntandola contro la porzione di pavimento ai piedi della ragazza. Un movimento rapido e sicuro del polso e il terreno, arrendevole al suo volere, si fece liscio e scivoloso. Forse la Tassorosso non sarebbe caduta, ma sicuramente l’improvvisa instabilità avrebbe attirato su di lei lo sguardo del lupo. Un ringhio sommesso, antico, riempì la sua gola e una zampa si spostò in avanti, calcando con le unghie la dura pietra del pavimento.

Sul tavolo, lo scorrere della sabbia cessò. Si udì un tintinnio e la clessidra roteò nuovamente su se stessa.
Era il turno di Amber.

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Fissò il serpente dondolare ancora una volta l'intero corpo, prima che candide e potenti piume forassero la pelle e trasformassero lo strisciante animaletto - ingigantito per l'occasione - in uno splendido cigno. Un solo passo indietro, istintivo, per permettere al nuovo esemplare di prendere le misure con un'apertura alare non indifferente. Era anch'esso più grande della norma, una derivazione del primo incantesimo della McLinder, quella catena non era ancora riuscita a spezzarla. "Bene", pensò comunque, in qualche modo era riuscita a gestire il suo primo giro di clessidra, ma già sospettava che non sarebbe stato l'unico. Lo sguardo istintivamente tornò verso la sabbia, ora nemica della Capocasa, e di nuovo sul volto della strega che distava un cigno da lei. Qualunque cosa avesse fatto, Amber avrebbe dovuto prepararsi ad agire in fretta, perché la prima trasfigurazione era giunta al limite degli ultimi granelli e non doveva permettere che accadesse di nuovo. Intorno a lei avrebbe potuto esserci chiunque, ma la concentrazione non sarebbe venuta meno. Strinse l'elsa della bacchetta e mantenne il braccio dominante appena distaccato dal corpo, assumendo quella posa che mai si era accorta di possedere, quella che permetteva ai gesti che aveva imparato di prendersi il loro spazio. Avvalersi di incantesimi non verbali, dava all'esame quel tocco "privato" che la giovane strega non aveva osato sperare. Era sciocco, un'inezia in realtà, ma aggiungeva quel brivido dell'imprevisto indispensabile per portare avanti un duello simile. Se Amber avesse udito la formula prima di vedere con i suoi occhi il suo effetto, sarebbe stato troppo semplice e scontato. Idem, dall'altra parte. Ebbe il tempo di due respiri ed un battito, poi...

La staticità del piumaggio candido mutò di sostanza, ed una folta pelliccia sostituì anche le fibre più tese dei tessuti. In corsa contro il tempo, il cigno cambiava identità. Le estremità palmate si ritirarono permettendo al nuovo animale di poggiare ben quattro zampe al suolo, grandi abbastanza da far temere gli artigli che le avrebbero armate fino all'osso. Prima che la lunga coda vaporosa fendesse l'aria come una katana affilata, un muso allungato sostituì il becco aguzzo del volatile, permettendole di dare un nome al suo nuovo nemico. Profondi come pozzi di pura nebbia, gli occhi del lupo riflettevano un'intelligenza ben superiore a quella dei due animali precedenti, non ci sarebbe stato bisogno di troppe indicazione affinché facesse quanto suggerito con la stressa trasfigurazione. In bilico tra il tempo che rimaneva alla McLinder e quello che presto avrebbe dovuto sfruttare lei, Amber perse manciate di secondi ad osservare come l'animale affrontava il nuovo mondo e tutti gli istinti che premevano lungo la corteccia. Per quanto ammirasse quelle fiere, non avrebbe mai sottovalutato le arcate aguzze delle zanne candide; ben consapevole di doverle fermare prima ancora che il lupo decidesse di farne uso! Ma la docente con lei non aveva ancora finito, non le concesse neppure il tempo di un passo indietro. La scarpa bassa scivolò sul pavimento improvvisamente lucido e fu solo la prontezza di riflessi ad evitarla di finire in ginocchio. La mano sinistra premette il palmo a terra, facendo assumere alla ragazza una posa molto simile alla partenza di un corridore. I capelli biondi, ricaduti in avanti, sfiorarono la pietra, e quando sollevò lo sguardo, Amber non evitò di scoccare un'occhiata pungente alla McLinder, prima di concentrarsi sul Lupo... ora totalmente rapito da lei. Respirò due volte, quasi muso a muso con la fiera, prima che la clessidra ricominciasse il conto alla rovescia. Incrociare lo sguardo troppo a lungo, avrebbe incentivato il canide ad avanzare, sfidato dalla Tassorosso, ma al contempo lei stessa aveva bisogno di prendere le misure con l'animale prima di alzare la bacchetta. Di una cosa però era certa: se avesse perso tempo a rialzarsi, ne avrebbe regalato troppo al lupo. Tagliate di netto come testa da una ghigliottina, le prime idee si spensero con il ringhiare che riempì l'aria, e ne rimase solo una. Non si mosse bruscamente, nel rialzare il braccio dominante e piegarlo fino a puntare la bacchetta verso il lupo bianco, la inclinò verso il basso, tenendo il polso alto ed il braccio teso. Avrebbe usato - forse - lo stesso incantesimo della docente, ma portandolo a suo netto favore. Richiamò velocemente l'immagine di una volpe dal pelo rossiccio ancora acerbo, le estremità scure appena accennate e zampe non del tutto in grado di mantenerla in equilibrio: un cucciolo. Gli occhi nocciola, ben lontani dal divenire ambrati, avrebbero chiuso l'opera. Con la chiara idea, quindi, di dire addio al grande lupo bianco, in favore del piccolo cucciolo di volpe, Amber invocò la formula, con la dovuta attenzione all'accento. *Pàstor*. Se fosse andato come previsto, l'animaletto schivo e probabilmente spaventato, avrebbe sostituito il feroce avversario, prima che la clessidra lasciasse passare l'ultimo dei granelli. Solo dopo, Amber si sarebbe rialzata.



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Con un fremito la magia attraversò il corpo del lupo. I denti si ritrassero e il ringhio morì in gola, come se quel calore sconosciuto lo avesse colto alla sprovvista. Il manto bianco assunse in fretta sfumature più scure, alla pari delle setole di un pennello intinte nell’acquarello. Il corpo robusto divenne più snello e affilato, i lineamenti furono smussati, pur senza cambiare nella loro sostanza.
*Un fennec. Se è un fennec giuro che la faccio passare seduta stante al settimo anno.* pensò Atena, mentre attendeva che la magia completasse il proprio dovere. Era curioso come nessuno scegliesse mai di trasfigurare un fennec: cani, lupi, volpi, iene erano gettonatissimi; una volta aveva visto anche un coyote e in un giorno particolarmente fortunato addirittura un dingo. Ma mai un fennec. Un fatto insolito, di cui non riusciva proprio a capacitarsi.
Anche in quell’occasione, tuttavia, le sue speranze furono disattese e lei avrebbe dovuto attendere ancora del tempo prima di vedere il suo desiderio esaudito. La creatura, obbediente al braccio teso della ragazza, continuò a rimpicciolirsi, ben oltre le aspettative della Docente; il colore della pelliccia si assestò su un tenue rossiccio, più scuro in corrispondenza delle zampe, divenendo man mano sempre più soffice e sottile. Un codino corto, all’insù, prese il posto della folta coda bianca, finché della stazza del lupo non restò altro che una rotondità appena più accentuata. Un cucciolo di volpe era rannicchiato a terra, le orecchie inclinate, attente ad ogni rumore, la zampa anteriore che – cedendo ad un istinto innato – di tanto in tanto si arrischiava a giocherellare con un ciuffo invisibile di polvere. La scelta attuata dalla studentessa era stata astuta: avvalendosi dello stesso incantesimo che l’aveva messa in difficoltà, era riuscita a volgere la situazione a suo netto favore; non solo si era limitata a mutare le sembianze dell’animale, ma lo aveva reso un cucciolo indifeso e, senza ombra di dubbio, decisamente innocuo. Non era un fennec, però.

«Hydra, cos’è questa palla di pelo una nota divertita colorì la voce di Atena, mentre la clessidra, silenziosa, roteò su se stessa. Obbedendo ad un tacito ordine la ragazza si rimise in piedi e la Docente stese il braccio davanti a sé.
Negli ultimi minuti le due contendenti avevano passato in rassegna gran parte del regno animale, ma la Trasfigurazione non si limitava soltanto a questo; il repertorio di cui vantava era ben più ricco ed era giunto il momento di dare una svolta al duello.
La Docente puntò la bacchetta verso l’animaletto, socchiudendo gli occhi nella concentrazione, come se così facendo potesse sovrapporre l’immagine che aveva nella mente con quella reale, raggomitolata sul pavimento. Ci fu un lampo di luce, una formula pronunciata nel silenzio e infine uno
stunk sordo, come di qualcosa che cozza contro una superficie dura. In men che non si dica al posto del volpacchiotto era comparsa una zucca, perfettamente rotonda. Il colore era un arancione intenso, la superficie liscia, percorsa solo da solchi a forma di spicchi.
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Le dimensioni riproducevano suppergiù quelle del cucciolo ma, fatta eccezione per questo particolare, dell’animale non v’era più alcuna traccia. La zucca si inclinò di lato, rotolando stancamente sulla pietra e fermandosi subito dopo non appena una crepa nella pavimentazione ne arrestò il moto. Ancora una volta, Atena non distolse lo sguardo dal suo obiettivo; corresse l’inclinazione della bacchetta e un secondo
stunk sancì la comparsa di un’altra zucca, accanto alla prima, identica in tutto e per tutto alla gemella. Non lasciò ancora la presa, e una terza zucca rotolò sul pavimento, e poi una quarta, e una quinta, finché la clessidra non avesse decretato la fine del tempo a disposizione. Solo allora si sarebbe rilassata e con curiosità avrebbe atteso la risposta della ragazza.
Le zucche rotonde, nel frattempo, cozzando tra loro presero a bighellonare sul pavimento.

ATENA MCLINDER - TRASFIGURAZIONE


Dato che forse ci stiamo avvicinando alla fine e visto il mio vizio di metterti in difficoltà con più di un incantesimo, hai la possibilità di rispondere a tua volta con più incanti, tenendo sempre in considerazione il lasso di tempo a disposizione. Puoi scegliere di utilizzarli come no, a tua discrezione, ma personalmente ti invito a farlo. ϟ
 
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Attento, lo sguardo di Amber non aveva lasciato un solo istante quello feroce del lupo. Le zanne snudate erano state un chiaro segnale, un piccolo avviso di cosa sarebbe accaduto se lo avesse lasciato fare. Era fin troppo consapevole che un solo gesto brusco, avrebbe impedito ogni difesa. La studentessa si era imposta di non soccombere alla pigrizia che l'idea che non potesse realmente succederle nulla di male, avrebbe suggerito. Se non si fosse totalmente calata nella simulazione, allora non avrebbe mosso un dito. Figurandosi l'innocuo cucciolo di volpe, aveva agito secondo l'idea che - nelle sua mente - avrebbe messo fine al duello trasfigurativo; trasformare una bestia grossa e feroce in un batuffolo di peli a malapena rossastri poteva garantirle l'accesso all'ultima materia? Appreso l'inizio della mutazione, si azzardò a tornare in piedi, sebbene il pavimento non fosse tornato alla ruvidità necessaria. Il tempo di raddrizzare la schiena, e l'innocua risposta si presentò in tutta la sua dolcezza. La giovane tenne per sé il lampo di soddisfazione che aveva agitato il petto, soprattutto dopo l'esclamazione della McLinder, alla quale rispose con un semplice sguardo e con gli angoli delle labbra appena sollevati. Aveva reso inoffensivo il lupo, alla fine dei conti, ma la clessidra non aveva smesso di ribaltarsi allo scivolare degli ultimi granelli di sabbia. Altro giro, altra trasfigurazione. La mano strinse l'elsa della bacchetta.

Non era sicura di cosa aspettarsi, ma di certo - pensò - non zucche. Oh, aveva anche assistito a cocomeri incendiari ai tempi di Gerusalemme, ma vedere quel piccolo batuffolo diventare un perfetto ortaggio autunnale la lasciò particolarmente interdetta. Sollevò d'istinto un sopracciglio, mentre ad una prima forma rotondeggiante se ne aggiungeva un'altra, e un'altra e così via fino allo scadere del tempo per la docente. Ed esattamente, Atena, cosa voleva che facesse? Le iridi di giada si spensero al mondo per un istante, una frazione temporale necessaria a darle modo di capire che, ora, era tutto uno sfoggio di abilità, più che una risposta immediata ad un pericolo imminente. Le zucche non erano pericolose - riaprì gli occhi - ma erano un ostacolo non indifferente. Qual era la cosa migliore che poteva fare con quell'elemento? E come poteva rendere al massimo sfruttando esclusivamente incantesimi Trasfigurativi? Osservò la sabbia muoversi a velocità disumana, rammentandole che perdere granelli preziosi non era consentito. Determinata, osò un mezzo passo, prima di ricordarsi di essere ancora su un terreno instabile. Allora, rapida, puntò la bacchetta verso la porzione di pavimento che era stata oggetto della manipolazione della McLinder, avvalendosi quindi di un semplice *Finite Incantatem* per tornare a poggiare i piedi sulla roccia porosa del pavimento. Incanto dopo incanto, alcune lezioni di Channing si sormontarono nella mente di Amber, che le vagliò velocemente, scartandole quasi tutte. Troppo banale, troppo breve, troppo... inutile. E intanto la sabbia scorreva rapida come un corridore in procinto del traguardo, ed il pericolo maggiore diveniva l'assenza di risposta. Poi, l'idea.

La Trasfigurazione submolecolare era quella che più di tutte l'aveva attratta dall'inizio. Ricordava benissimo il momento in cui avevano smesso di trasformare oggetti in sgabelli ed avevano iniziato ad indagare le proprietà fisiche della materia. Distorcere la realtà, mutare l'apparenza, prendere la peculiarità di un elemento e cambiarla a proprio piacimento, annullandola laddove necessario. Muri che diventavano morbidi veli o vetri trasparenti, o ancora: gomma. Con il percorso da seguire chiaro in mente e solo un terzo di granelli in clessidra per lei, finalmente si mosse. Dopo secondi di stasi in cui il mondo trasfigurativo aveva letteralmente iniziato a girarle intorno, incitandola a darsi una mossa, lei si era infine decisa. C'era qualcosa di innato nei movimenti che la Tassorosso compiva, un'eleganza di cui lentamente prendeva consapevolezza, ma che più di tutto traspariva dalla sua magia. Nei momenti in cui abbassava la guardia e cedeva all'istinto, quel che ne usciva la colpiva particolarmente. Puntò la bacchetta verso ognuna delle zucche, ripetendo la procedura con tutte quelle che sarebbe riuscita a trasfigurare fino al crollo dell'ultimo granello di sabbia. Sguardo fisso sulla superficie del vegetale, e chiara in mente l'immagine della trasparenza tipica del vetro, che avrebbe donato alle zucche una sorta di invisibilità, tradita solo dai raggi obliqui del sole, alla quale però avrebbe dato l'inconsistenza tipica dell'aria, affinché avvicinandosi Atena avesse capito che non avrebbe potuto toccare qualcosa di intangibile. *Verto Lucidus et Tenuis*, l'imperativo ripetuto con costanza e sicurezza, affinché una ad una le forme arancioni mutassero sostanzialmente, e l'invisibilità intangibile le contagiasse come un morbo inarrestabile e letale. Dopo avrebbe atteso, per osservare il risultato dei suoi sforzi. La sabbia era finita.

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Inspirazione. Pausa. Espirazione. Silenzio. La sabbia scorreva febbrilmente alle spalle delle contendenti, lasciando cadere i secondi nell’aria, come in una spirale vertiginosa che scendeva verso il basso. Sul pavimento le zucche avevano smesso di rotolare - sembrava che nell’attesa si fossero assopite.
Senza troppa difficoltà, una formula muta aveva annullato gli effetti del precedente incantesimo e ora la ragazza si ergeva ritta sul pavimento, i piedi ben ancorati alla solidità della pietra. Dall’universo al di là delle ampie vetrate giunse il gracchiare di un corvo e lame di luce gettavano bagliori soffici sul legno dei tavoli. Nella Sala Grande era calata l’immobilità. Il silenzio aveva un suono teso, laborioso, come quello di una corsa. Tendendo l'orecchio, ci si sarebbe aspettati di udirne l'affanno.
Nessun pericolo, stavolta, minacciava la sicurezza della Tassorosso e lo stesso scorrere del tempo sembrava aver ritirato i suoi artigli. Se fino a quel momento l’istinto aveva dettato il ritmo concitato – inevitabile – dello scontro, ora una placida calma invitava alla riflessione e ad un’esecuzione accurata: diversa, sotto molti aspetti, dalla precedente, ma altrettanto fondamentale. La Magia, del resto, non era sinonimo di sola sopravvivenza o mera necessità, ma una forza che permeava ogni sfera della vita di un Mago, linfa della sua stessa essenza. In quanto espressione della propria singolare personalità, poteva addirittura essere definita come una forma d’arte. La studentessa si sarebbe adattata alle nuove necessità che il contesto richiedeva? Avrebbe compreso cosa avrebbe dovuto fare? Sarebbe stata in grado di trarre il maggior vantaggio dalla situazione? Atena osservò i movimenti delle sue iridi, i muscoli tesi, recettivi, la matassa dei pensieri che sembrava fremere nel tentativo di assumere una nuova forma.

Infine, qualcosa si rimise in moto. Composta, sicura, precisa, la figura della ragazza sembrò raddrizzarsi e la bacchetta sferzò l’aria. Al comando della Magia, la prima zucca iniziò lentamente a sbiadire, come se le singole particelle di colore evaporassero dalla sua superficie; al suo posto non una scorza bianca, bensì un sottile specchio trasparente: la fragilità del vetro riverberò per un istante alla luce del sole, sotto gli occhi dei presenti, mandando uno scintillio dorato. Amber non lasciò la presa e la Magia penetrò ancora più in profondità, raggiungendo ogni singola molecola di cui l’oggetto era composto; la trasparenza del vetro divenne presto impalpabile, timida allo sguardo, fino a mutarsi in un alone sbiadito. Di sicuro se un osservatore ignaro avesse guardato in direzione dell’oggetto, non avrebbe notato nulla, se non una lieve increspatura dell’aria, simile ad un miraggio estivo. Se avesse allungato la mano, le dita avrebbero afferrato il vuoto.
Atena fu soddisfatta, quasi compiaciuta, nel vedere la Tassorosso ripetere l’operazione sulle zucche restanti; la ragazza aveva assunto un cipiglio risoluto, attento, punta di diamante del carattere che tanto la contraddistingueva.
Fu proprio mentre il flebile scricchiolio del vetro decretò la trasfigurazione dell’ultima zucca, che la clessidra si sollevò di qualche centimetro, librandosi nell’aria per alcuni istanti. Poi, anziché roteare su se stessa, fu scossa da un fremito, come se una forza sconosciuta la stesse trattenendo. Anche la zucca, dal canto suo, venne scosse da un tremito; tintinnò lievemente sul pavimento, fino a quando anche la seconda parte dell’incanto non fu portata a termine e il vetro non scomparve alla vista. Con un morbido
puff, la clessidra scoppiò, alla pari di un palloncino. Granelli di sabbia si sparsero sul tavolo e sull’ambiente circostante, per poi sparire anch’essi, senza fare rumore.
Il tempo del duello si era concluso.


«Evanesco.» con un gesto esperto Atena riportò ordine in quello che era stato l’improvvisato campo di battaglia; le zucche – o ciò che di esse rimaneva – sparirono, e insieme a loro anche le foglie che in precedenza avevano intrappolato il serpente. Solo allora Atena rilassò i muscoli, ma il suo sguardo era ancora rivolto verso la sua studentessa – alle sue spalle il tavolo dei Docenti rimaneva un’entità sfocata, così come il resto della Sala Grande. Fece alcuni passi in avanti, riponendo la bacchetta sulla cintura; il mantello ondeggiava, gonfiandosi lungo i bordi, le scarpe ticchettavano sulla pietra del pavimento. Si arrestò davanti ad Amber; osservandola da vicino notò che alcune ciocche erano sfuggite dal controllo della treccia, ciò nonostante nulla nel suo aspetto sembrava essere realmente fuori posto. «E’ stato un piacere, signorina Hydra.» disse, porgendole la mano; la voce sottolineava che quelle parole erano solo per lei e lo sguardo ne rimarcava il significato. La stretta di mano sarebbe stata salda, né troppo breve, né troppo lunga. Eloquente, come l’impercettibile segno di assenso che fece con il capo.
Infine si voltò, le scarpe ticchettarono nuovamente sul pavimento, il mantello svolazzò alle sue spalle, stavolta formando volute più ampie. Tornò a sedersi al suo posto, prendendo tra le dita una penna in un unico gesto.
«Il nostro esame termina qui. Per entrambe le materie le confermo la O.» poche parole, concise, essenziali. Non serviva dire di più. Ogni cosa era già stata resa palese.
Con la penna scribacchiò qualcosa su un foglio, infine rilassò la schiena contro lo schienale.
Allora si, e solo allora, la sua attenzione tornò a volgersi verso i Colleghi.

ATENA MCLINDER - TRASFIGURAZIONE


Siamo giunte alla fine. E' stato un piacere, e un divertimento, accompagnarti in questo – seppur breve – percorso. Hai saputo metterti in gioco, sei stata precisa, intraprendente e in grado di sfruttare ogni situazione per arricchire il tuo pg, brava.
Ti lascio nelle mani di Dorian.
 
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Dorian Hades Midnight

Esame orale di Amber Serenity Hydra





Lui aveva sempre creduto che la vita fosse come una bolla di sapone.
Leggera, doveva alzarsi nel cielo, rubare le ultime luci del tramonto e solo poi scoppiare.
Ecco cos’era per lui: Luce.
Una rifrazione sottile di raggi, prima dell’annullamento completo.
Il suo Dio era il Giorno.

Dorian, invece, aveva sempre pensato che la vita fosse una foresta.
Immersa nelle tenebre, spaventosa. Doveva impedire ad ogni anima di scoprire i suoi più reconditi segreti, sprofondati nel buio.
Ecco cos’era il suo dio: Notte.
Un’oscurità piena di arcani, in cui la natura umana perde di significato e il solo istinto viene eletto a sovrano.

Notte e giorno si incontravano nel bosco morbido di vaporosi capelli castani. Un dito cattura un ricciolo ondulato come le trame del Fato ed ecco…

…Dorian alza la testa malinconico.

Si era perso a contemplare uno dei suoi segnalibri: ritraeva la brughiera inglese in quel momento in cui i lillà e le ginestre dei carbonai si arrendono dolcemente al vento freddo e alle piogge d’autunno. Una macchia d’inchiostro vermiglio imbrattava la carta, trasformandosi ora in un rosso affluente, ora in una rosa selvatica. Seppe che era il suo turno perché Atena si era zittita; non parlò e si limitò a picchiettare la stilografica sul banco.

Tic. Tic. Tic.
Punti di sospensione in un finale aperto.

«Un buon compito, il suo. Direi eccellente. Eccellente più, in effetti».
Sfiorò il foglio con eleganza, lo girò e glielo mise di fronte.
«Ma questo certamente non mi basta».
Sorrise, portandosi l’indice alle labbra, gesto di preludio ad un segreto ormai svelato.
Se qualcuno avesse potuto utilizzare il vecchio moncone di una candela per penetrare l’oscurità densa, fitta, aurea dei suoi occhi, avrebbe potuto intuire quanto in realtà avesse a cuore la giovane e provasse per lei un naturale moto di simpatia. Ma nessuno avrebbe potuto farlo e chiunque si sarebbe fermato all’espressione impersonale, severa, neutrale sul suo volto.
«Immagini che il giorno del suo compleanno – solo e soltanto in quel momento preciso – allo scoccare della mezzanotte le sia concesso di poter viaggiare nel tempo e di interferire liberamente sul corso della storia, senza conseguenze. Cosa farebbe?»
Chiese, arricciandosi una ciocca di capelli attorno all’indice.

E l’odore di menta lasciò di nuovo spazio a quello dei libri in una biblioteca universitaria.


«E l’odore di menta lasciò di nuovo spazio a quello dei libri in una biblioteca universitaria.»


C O D E @Serenity


Giungo col mio testamento spirituale in un momento particolarmente gnì-gnì. Perdona il ritardo!
 
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view post Posted on 28/6/2019, 11:44
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AMBER SERENITY HYDRACAPOSCUOLA DI TASSOROSSO ✧ 18 Y.O. ✧ O.W.L. ✧ Difesa contro le arti oscure
La trasfigurazione delle zucche proseguì fino alla chiusura del cerchio, e fu solo quando Atena le fece svanire che la ragazza trasse un sospiro, l'ennesimo. Accettò di buon grado la fine del duello, e così anche la stretta di mano della Capocasa, che ricambiò in egual misura. «Anche per me, professoressa.» ammise a fil di voce, chinando il capo e salutando la donna che più di tutti - fino a quel momento - l'aveva messa alla prova. Amber aveva sempre creduto di sapere quale voto meritarsi in ogni situazione, ma quella certezza veniva meno una volta entrati in Sala Grande per i G.U.F.O. tanto che non si rese conto di aver trattenuto il fiato fino alla dichiarazione lampante di altre due valutazioni identiche alle precedenti. Ricordava benissimo la fatica della settimana appena trascorsa, l'ansia che aveva ingoiato a forza mentre si sedeva sul banco assegnato a lei e l'oppressione percepita al termine degli scritti. Mentre alcuni sciocchi avevano festeggiato, quella sera, lei non se l'era nemmeno sentita di cenare, preferendo ripercorrere le sponde del Lago Nero in lungo ed in largo. Non poteva concedersi di gioire per qualcosa di compiuto solo a metà, meno che meno poteva lasciarsi andare a brindisi prematuri. Dopo. Dopo ci sarebbe stato il tempo per ogni cosa, non prima. Un sorso d'acqua e la parola passò all'ultima materia, all'ultimo docente.

Un passo dopo l'altro, Amber si avvicinò al lungo bancone del corpo docenti. Il tempo trascorso dall'inizio dell'esame - che non sapeva quantificare - era leggibile sul volto fresco. La treccia non più sospesa, ora scendeva morbida lungo la spalla destra, la camicia era lievemente stropicciata nel punto in cui era stata tagliata da un frammento di lampadario e sull'incedere lento pesava la stanchezza di cinque anni da portare a termine in mezz'ora. Eppure, Amber non lo vedeva, troppo concentrata sul chiudere un capitolo al meglio delle sue possibilità, e soprattutto sul godersi ogni secondo dell'esame. L'acquamarina racchiusa nelle iridi chiare, fissò per un secondo il foglio dell'esame di Difesa, tanto da accertarsi di quell' "E+" che non le bastava, per poi tornare seria verso Midnight. Non mi basta, ripeté lui, trovando accoglimento del drizzarsi della schiena della giovane strega e nell'arroventarsi del suo sguardo. Nemmeno a lei andava così bene quel voto. Non si era mai ritenuta una studentessa modello, ma sapeva che avrebbe dovuto dare il meglio di sé durante uno degli esami più importanti della sua vita e, se non l'avesse fatto, avrebbe avuto l'obbligo di rimediare. Dorian era lì per fornirle quella possibilità? Concentrata, aprì il cassetto della memoria in cui custodiva gli insegnamenti, gli appunti e le idee sviluppate dopo aver seguito anni di lezioni di Difesa ed aver visto un susseguirsi perpetuo di docenti. Mai si sarebbe aspettata di doverlo richiudere tanto bruscamente. A bruciapelo, la domanda del Vicepreside si abbattè su di lei con una forza inaudita, costringendola ad affrontare uno dei bivi cruciali dell'esistenza. Per lei, in verità, non era mai stato davvero un bivio... lei non aveva mai avuto alcuna scelta, alcun ruolo chiave se non quello del testimone. Un passo indietro. «Immagini che il giorno del suo compleanno – solo e soltanto in quel momento preciso – allo scoccare della mezzanotte le sia concesso di poter viaggiare nel tempo e di interferire liberamente sul corso della storia, senza conseguenze. Cosa farebbe?». Cosa farebbe? Cosa farebbe? Il velo della memoria del cuore scese su di lei come una maledizione infame, il battito in arresto, il capo chino.

...Mamma...
«Will, sono suo padre io DEVO fare qualcosa, ma...»
«Ma?»
«Ma non sono lei. Amber ha bisogno di sua madre... e anche io. Le manca.»
«Johnny, smettila. Ti fai solo del male. Certo che ne avete bisogno, ma dovete vivere con quello che avete ora. Dovete bastarvi a vicenda, non pensare che- »
«Ti rendi conto che non mi parla da due giorni e io non so perché? »
«Ha sedici anni, è normale. Non ricordi com'eri tu? Guarda che ti somiglia più di quanto pensi.»
«Se ci fosse Eve qui saprebbe cosa fare con entrambi. Se non fosse morta...»
«Ora basta, non ti aiuti e non aiuti lei. Non puoi permetterti di sperare nell'impossibile. Eve è morta.»
«Credi che non lo sappia? Indietro non si torna, ma se solo ci fosse un modo...»

Lentamente dischiuse le labbra lasciando che un sospiro evidenziasse il suo ritorno al presente, lontano dalla discussione origliata anni prima. La domanda non era scontata, sebbene lei se la fosse posta più volte dai tempi del primo viaggio nella storia, tanto che lo sguardo non mancò di posarsi sul Preside prima di tornare da Midnight. Fece il possibile perché la sua voce non sembrasse solo un rantolo incomprensibile.«Se me lo avesse chiesto un anno fa, avrei dato una risposta diversa. Troppe volte ho sperato in un'opportunità simile per poter riavere indietro una persona molto importante.» Nessuna piega a scalfire l'espressione di ceramica, solo il luccichio triste una di malinconia intima. «Ma voglio essere onesta con lei, e le dico che se mi fosse data questa possibilità, io la rifiuterei.» il motivo andava spiegato, o almeno così si era detta, se non altro per se stessa, per mettere un punto alla convinzione che l'aveva condotta proprio lì. Aveva sfiorato con la mano quel pensiero, come una ladra si era introdotta mentalmente nel museo del suo dolore ed aveva quasi azionato la leva per riavere indietro Eve, ma sebbene la spiegazione comprendesse il non averne conseguenze temporali spiacevoli, non sarebbe mai stato quello il modo giusto di agire. «Non credo che mi sarebbe davvero utile cambiare qualcosa che so essere andato diversamente, non credo potrei imparare » le costava dirlo, tantissimo «ad affrontare gli imprevisti e gli incidenti di percorso se sapessi di poter usufruire di quel momento per cancellarli.» La mano candida sfiorò l'interno del gomito sinistro, le labbra si strinsero appena per reprimere la sofferenza reale che il bivio le procurava. Crescere richiedeva un impegno non indifferente, e capire che alcune cose non potevano richiedere un controllo, ne chiedeva ancora di più. Midnight non poteva sapere che la notte del suo compleanno Amber la passava spesso a chiedersi come avrebbe festeggiato se avesse ancora avuto Eve con lei. Le lacrime assorbite dalle federe in quelle notti non si contavano più. Il pensiero di poter fare qualcosa per il mondo la sfiorò ancora meno, vinta principalmente dall'egoismo di una vita persa alla ricerca di eguagliare la madre assassinata. «Ingannare gli eventi, per orribili che siano, non mi affascina.»

G.U.F.O. - Giudizio Unico per Fattucchieri Ordinari

 
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view post Posted on 21/7/2019, 14:20
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Esame orale di Amber Serenity Hydra





«All’alba dei tempi, gli uomini non avevano il fuoco e la notte era buia e piena di terrori. Un giorno, un Titano rispose alle loro sofferenze e lo rubò agli Dei, per aiutarli.
Prometeo – questo il suo nome – venne incatenato dai suoi simili a una rupe, completamente nudo, mentre un’aquila gli squarciava il petto e gli dilaniava il fegato che ricresceva la sera, e così in eterno.
Nel corso dei secoli sono esistiti tanti uomini come Prometeo, disposti a sacrificare ogni cosa, a sfidare le istituzioni e le leggi della natura, affinché l’essere umano potesse vincere su tutto.
Purtroppo l’umanità non è mai cambiata. Mai: a furia di affannarsi per superare i propri limiti ha dimenticato ciò che le è stato imposto.
E tuttavia da questa ricerca perpetua è nata la civiltà, e con essa si è sviluppata la magia, che a sua volta ha permesso agli eletti cui è stata donata di rendere sempre più fragile il confine tra possibile e impossibile»
.

Dorian tacque e un brivido freddo risalì lungo la sua schiena. Sistemò i fogli e sorrise, in modo vago e misterioso.

«Forse è veramente come si dice: il tempo è solo percezione. Noi crediamo che scorra, che passi… e moriamo pian piano, preoccupandoci di calcolare le ore, i minuti e i secondi, dimenticando che il presente è l’unico momento dell’esistenza».

Con quella semplice osservazione si concluse la prima parte del colloquio. Il discorso di Dorian, per quanto non confutasse né comprovasse ciò che era stato detto, aveva una sua consistenza; lo spessore del suono di una poesia rivolta agli alberi solitari in una notte di luna.
Serio, prese un foglio tra i tanti e trasse fuori gli occhiali neri dalla custodia; li inforcò e sotto gli occhi di Amber si mise a scrivere veloce, nella sua splendida grafia elegante.

Prese la pagina e la girò sul tavolo, sottoponendogliela con un unico, fluido gesto.

«Legga, traduca, contestualizzi e commenti, spiegandomi cosa ha a che fare tutto questo con il mio corso».

«Aveva... lo spessore del suono di una poesia rivolta agli alberi solitari in una notte di luna.»


C O D E @Serenity



Dunque, de facto non ti è richiesta una vera e propria traduzione (impensabile, anche se non nego che l'idea sarebbe stata sfiziosa), ma una semplice traslitterazione, come da sillabario. Naturalmente, ai fini dell'on gdr tutto è da considerarsi effettivamente in lingua. Concentrati, ovviamente, sul sistema alfabetico e non sulla pronuncia. Conto, qualora ci dovessero essere errori, sul tuo ingegno del copista. Buona fortuna!
 
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