Non spegnerti, fiammella. Non ora.
Allo sfinimento, all'ultimo bagliore, potrai correre, correre via. Lontano dal tempo che tutto vede, lontano dal sortilegio che ti contiene. Non spegnerti, fiammella; il ragno è imprigionato,
e del suo operato non resta che una ragnatela già sfilata.
Io ti invoco, Fiamma Eterna.
Io ti invoco, all'eco dei giorni e delle notti.
Non spegnerti, fiammella.
E divorali, divorali entrambi, divorali tutti.
Era come una partita a scacchi.
La prima mossa all'avversario, la successiva ai gareggianti, e in quella presa di coscienza si correva talvolta ai ripari, talvolta all'assalto. Uno scacco matto, forse, era già all'ordine del gioco, ma più di un dubbio stava dando vita ad una risposta, poi una seconda, infine una terza. Il sentiero corretto di supposizione e di comprensione, una riflessione costante e versatile, che sfumava tra un pericolo e un altro in rapido avvicinarsi. Le liane, infatti, sembravano impazzite: in una voragine che non ammetteva incontri, che spezzava ogni legge magica e non solo, in un disegno - sulle pareti, ormai sulle torce sempre più spente, sull'intero corridoio raggiunto - che si piegava su se stesso, si espandeva, ad ogni costo brillava a più non posso. Perfino il gesso di cui il tribale atipico era costituito diveniva ormai concreto in un profumo asfissiante, un odore pungente, vicino a tal punto da pizzicare il naso. I primi colpi di tosse si formarono alla scia del fumo e del gesso in eccesso, ma il fuoco lambiva con la sua onda d'urto ogni altro candore lì nei paraggi. Scivolava come un demone appena liberato, primordiale tra tutti, un sortilegio tanto incauto da ferire il suo stesso incantatore. Il Serpeverde si ritrovò a tutti gli effetti vittima di se stesso, mentre la prima delle tre liane si stringeva attorno alla caviglia destra, stirandosi fin sottopelle. Era un grido incessante, dall'altezza dello stomaco fino ai denti tremanti, mentre le ultime goccioline di sudore - dalla fronte imperlata dello studente - tentavano invano, poche solitarie superstiti, di spegnere una fiamma più grande del solito, più grande di qualsiasi altra cosa. Bruciò per davvero. Prima come fuoco, poi come sangue, e l'uno e l'altro sulla scia del dolore più vivo. Per quanto tutto potesse sembrare un'illusione - e a buona ragione, Casey iniziava a coglierne il senso più intimo -, nulla lasciava tuttavia intendere che non fosse reale, almeno un poco, almeno in parte. Camillo si pose come stendardo di coraggio e fu premiato, fin nel profondo, con la sola peccaminosa realizzazione di una scottatura al polpaccio destro, là dove una liana era sfuggita alla sua protezione (
-15 PS). L'Extinguo, in ogni caso, aveva posto il suo esigente controllo e già i primi filamenti si annullavano, si eclissavano, infine scomparivano in un tacito sfrigolio. Aveva spinto se stesso, il suo corpo, la sua figura, proprio davanti la Grifondoro, e in quell'atto si delineava una consapevolezza che avrebbe potuto fare la differenza, per più fronti, per più situazioni. Ad ogni modo, se Casey era stata risparmiata in ampia parte dal fuoco, stesso discorso non poteva dirsi per il Serpeverde. Il ragazzo aveva perso i sensi, spinto contro una parete dalle stesse geometrie di gesso e di fuoco, fin quando Ari - libera ad un tratto dalla morsa illusoria, cancellata dall'azione repentina del Prefetto Rosso-Oro - finalmente capitombolava al suolo. Sanguinante, il respiro leggerissimo, sbatteva gli occhi - ancora vigile, chissà per quanto. Il pericolo del gesso parve ritirarsi, sospinto a più non posso dagli assalti ricevuti, e forse sembrò non giocare più quella partita. Non ancora, non per il momento. Così come in principio, vibrarono tutte insieme - liane, diagonali, filamenti - in un'ultima intensa bolla luminosa e dalla pareti furono fagocitate, scomparendo con tutti i loro segni. Le Acromantule, poco dietro, zampettarono un'ultima volta. Così com'erano apparse, non c'erano più. Ma qualcosa di nuovo, qualcosa di altrettanto irrazionale, già diveniva atto in espansione. Il silenzio del corridoio era spezzato dai gemiti di Ari, dell'altro ragazzo c'era soltanto un guscio vuoto - gli occhi chiusi, le palpebre calate, il sangue delle ferite aperte su gambe, torace e braccia, sembrava a tutti gli effetti andato, ma respirava fiocamente: il petto si alzava e abbassava lentamente, per la coppia di Salazar non c'era tempo. Si sentì uno scoppiettio poco lontano, alla fine del corridoio, e i sensi all'erta dei ragazzi ancora svegli furono prontamente rapiti dalla nuova scena in corso. Come in soccorso, prima l'uno, poi l'altro, due Elfi Domestici si Materializzarono - vincendo le leggi umane del Castello, per natura e disciplina antica - e a passi rapidi si avvicinarono al gruppetto.
«Billy ha sentito gran fracasso, signorina Prefetto»«Ursula anche, signorino. Correre, dice Billy, correre e vedere»«Preside chiederà spiegazioni, signorina, signorino»«Ma Billy non sa nulla»«Ursula nemmeno, giuro davvero»«Le Cucine, signorina»«Oh le nostre Cucine»«Il demonio, il demonio arriva e-e-»«Le nostre Cucine!»Occhi grandi, profondi, come pozze di petrolio scuro, Billy e Ursula si guardavano a vicenda, spostavano poi attenzione alla coppia di fronte e infine verso il basso. Erano impauriti, tremavano da capo a piedi, ma non avrebbero saputo spiegare molto. E non c'era tempo. Si affrettarono verso i due studenti morenti, li presero per la mano e attesero un richiamo qualsiasi. Avrebbero tentato di rispondere, di spiegarsi, ma la paura li fagocitava più di qualsiasi cosa. Le ultime parole sarebbero state dirette, forse troppo, e tuttavia valide.
«Billy porta signorini in infermeria, ma signorina»«Signorino, signorina, Mariù combatte demone con tutti»«Dovete aiutare, signorini. Dovete aiutare Mariù»«Le nostre Cucine, il demone nelle nostre-»Bop. Scomparvero, insieme, in un batuffolo di gesso.