Non spegnerti, fiammella. Non ora.
Allo sfinimento, all'ultimo bagliore, potrai correre, correre via. Lontano dal tempo che tutto vede, lontano dal sortilegio che ti contiene. Non spegnerti, fiammella; il ragno è imprigionato,
e del suo operato non resta che una ragnatela già sfilata.
Io ti invoco, Fiamma Eterna.
Io ti invoco, all'eco dei giorni e delle notti.
Non spegnerti, fiammella.
E divorali, divorali entrambi, divorali tutti.
Sulla superficie di una scacchiera non aleggia alcun dubbio: il bianco da un lato, il nero dall'altro; è il candore che si veste di neve, di fiocchi, di cristallo, la Regina che avanza vestita di biancospino, i petali luminosi di una corona che compie il suo prezzo; è il buio che diventa mistero e negligenza, l'oscuro assoluto, nell'accezione mai di male, ma di opposto, di necessità, di virtù, mentre il Re si bagna di inchiostro e parole e così avanza, un passo dopo l'altro. Un intreccio, il Bianco e il Nero. Un contrasto che si esprime in unione, l'abbraccio indomito, l'eterea danza di pedoni e pedoni, la freccia scoccata di un Alfiere in diagonale, la Torre che accoglie e tutto vede. Dall'alto, sempre più in alto, dalla cima di un mattone dopo l'altro, dalla vetta di una Battaglia destinata a percuotersi e percuotere,
infinita.
«Così si compia la volontà del Bene.»Una scintilla, la frase di un salmo, un soffio a fior di labbra. Il Lupo si portò indietro, appena un passo, e la sua mossa fu presto chiarificatrice; respinse in un battibaleno l'assalto di Casey, e la guardò a lungo, come una preda, come una scelta, non più come una vittima. Uno sguardo indagatore, il baluginio delle liane vicine a rischiarare due occhi come pozze d'acqua, infine il Nero. Sulla scacchiera, la partita giungeva al termine, e il Lupo, il Nero, il Buio, anche tutto quello decretava il suo ultimo incontro. Indice e pollice giunsero ad un leggero contatto, uno schiocco soltanto e le liane in avvicinamento si bloccarono: in parte cancellate dall'ennesimo colpo di bacchetta di Camillo, per il resto scomparse nel nulla. Là dove tutto apparteneva, anche quel sortilegio incauto poneva il compimento ultimo. Le Cucine si liberarono di una morsa che non potevano più contenere, le torce alle pareti si accesero e fu luce, fu visione d'insieme, fu
chiarezza. «Sono loro, David.»Chiamò così, la voce diversa, nuova, viva più di quanto non fosse apparsa fino a quel momento; il Lupo sorrise per la prima volta, e la bocca si screziò di una gentilezza che sapeva di poter governare per bene. La gabbia si spalancò di getto, le sbarre si eclissarono al bagliore delle fiamme alle pareti, e in quel luogo così in solitaria, anche l'Agnello saltò via. Un passettino, un balzo velocissimo, infine si piegò su se stesso, belò ancora e un'ultima volta, infine si contorse. L'Agnello, il Bianco, la Luce, anche tutto quello decretava il suo ultimo incontro. La lanugine si ritirò sulla pelle, il busto si piegò sotto una presa sempre più insistente, infine le lunghe orecchie furono vinte dalla trasformazione in atto e pochi attimi dopo, non più inerme, un ragazzo dai capelli biondi come l'oro, gli occhi color mandorla e un viso a punta, apparve nella stanza. Si riscosse dal torpore cui era stato costretto, si portò le mani alle ginocchia e poi sopra, fino al petto, vestito com'era di una divisa scolastica, color verde-argento. Quando parlò, la voce fu rauca in principio.
«Scacco matto.»Spostò l'attenzione su Casey e Camillo,
insieme, e soltanto alla fine sorrise a sua volta; si rivolse all'amico, al Lupo, e gli si avvicinò, stringendogli il braccio in un gesto d'affetto.
«Stavi per farmi fuori, Samuel. Se non avessero agito come da programma, l'avresti fatto.» C'era una nota divertita, sul volto del ragazzo. L'avambraccio era punteggiato di scarlatto, ad indice di una ferita che non si era ancora rimarginata. Tornò su Camillo.
«E tu, ragazzo, mi hai punto per bene!»C'era molto, dietro quelle parole. Una partita disputata, un gioco vinto, ma gli Scacchi esigevano chiarezza. Da sempre, fin dalla prima mossa. I due Animagi si osservarono brevemente, lì nelle Cucine. Ai loro piedi, la Stella di Davide era sparita.
«Vi abbiamo seguiti per mesi, ragazzi. Il mio nome è David, appartengo alla Casata di Salazar. Lui è Samuel, Corvonero.» Un cenno del capo, le bacchette riposte nelle tasche, l'uno e l'altro. Non c'era minaccia, non più. Se Camillo e Casey avessero deciso di ascoltare, allora avrebbero proseguito. Il Lupo, Samuel, prese la parola.
«C'è di più, in questo Castello. Segreti che possono fare la differenza, scelte che possono avere valore. Era una prova, per voi. Perché nel bene e nel male, fra il paradosso degli opposti, il Lupo è il Cattivo, il Buio è il Male, mentre l'Agnello è il Buono, la Luce è il Bene.» Sorrise.
«Stronzate.» Indicò alle sue spalle, là dove una porta era appena apparsa.
«In questa lotta, in questa vita, non c'è confine. Potevate agire in un modo, scegliere il percorso più facile e il più scontato, invece avete atteso, contro ogni ragione. C'è dell'altro, e potete fidarvi, adesso.» Una pausa, veloce.
«E seguirci oltre quella stanza. Non c'è pericolo, ma c'è verità.» Così facendo, Lupo e Agnello cominciarono ad avanzare, senza aggiungere oltre per quel momento. Non si volsero indietro una sola volta, attraversando la porta alla parete; si compiva una scelta, per Camillo e Casey: andare avanti, verso una spiegazione con tutta probabilità; oppure tornare indietro, a loro discrezione, dimenticando tutte le stranezze della sera.
Un ultimo passo, un'ultima mossa.
Scacco matto.