Shedding skin, Privata

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Era evidente che il ponte non avesse apprezzato l’intervento provocato dal ruzzolone di Eloise: aveva preso a lamentarsi con un cigolio acuto e molesto, oscillando a destra e a manca con la stessa stabilità che si può provare all’interno di uno shaker e facendo di quelle due pulci che avevano osato disturbarlo un cocktail di viscere e ossa. Aggrappata alle assi usurate, la rossa attese che l’equilibrio si ristabilisse e la risata si estinguesse, completamente abbandonata al moto di cui era stata il mandante. Il cielo sulle loro teste era terso, di un ceruleo intenso, e le nuvole cumuliformi gravitavano lente. Almeno lì, non c’erano presagi di maltempo, o tempeste in arrivo, o roboanti tuoni. Quello che tramava Niahndra, invece, era tutta un’altra storia.
Fu solo quando la mora la raggiunse che Eloise si sollevò sui gomiti. «Ti ringrazio...» Un sopracciglio alzato e un sorriso sghembo tradivano la disinvoltura baldanzosa e sicura di sé di un atleta che ha appena mostrato ai suoi fan una tecnica mirabolante. «Gli autografi dopo.» Socchiuse gli occhi e distese il collo come se stesse prendendo il sole, quando invece si beava di quei complimenti lusinghieri e fasulli. Tra le palpebre socchiuse stringeva l’immagine insidiosa di Niahndra, crogiolandosi
ancora nell’atmosfera giocosa che avevano costruito.
Per qualche istante, il mondo rimase sospeso. Nella calante oscillazione del ponte, preda e predatore (o predatore e preda, la distinzione tra chi era chi era sfocata), si studiavano a vicenda, silenziose e attente. Cosa prevedeva il passaggio successivo del copione non era chiaro, ma loro erano pronte a indossare la pelle successiva in quel gioco delle parti. Si chiedeva, Eloise, se la mora sarebbe passata al contrattacco, o avrebbe deciso di uscire da ring per portare la sfida altrove. Ferma e zitta, attendeva, e scopriva una pazienza che non pensava di possedere, cedendo all’amica il ballo successivo.
Quello che non si sarebbe aspettata di trovare al seguente lancio di dado era quello che poi accadde. La Alistine vestì i suoi stessi panni, facendo di quelle menzogne la sua stessa menzogna, caricandosi dell’onere di portare avanti la farsa. Un ghigno si distese sulle labbra di Eloise al constatare quanto lontana si fosse spinta l’altra rispetto alla sua zona di comfort, e con estremo godimento la osservò raddrizzarsi e prepararsi al suo personalissimo salto nel vuoto.
Restava sempre piacevolmente sgomenta nel cogliere l’intelligenza, la prontezza e la precisione dei calcoli della Alistine, ma le occasioni che preferiva erano quelle in cui concedeva a se stessa di lasciarsi andare, e in cui, con un’impercettibile scrollata di spalle (più mentale che fisica), si affidava all’imprevisto. Perché per quanto razionale e misurata, non era una rigidona incapace di lasciarsi andare, ma anzi, si dimostrava impulsiva e molto più flessibile di tanti coetanei. Parte del merito doveva necessariamente risiedere nella Camerata n°3, che aveva visto tante dimostrazioni di coraggio e tanti sacrifici all’altare dell’imprevedibilità, ma doveva per forza averlo nel sangue. E se una parte di lei sentiva che doveva esserci una forma di premeditazione per arrivare a uno scopo finale, per spremerle via le informazioni che cercava, a Eloise non importava, perché sapeva di avere ceduto in partenza. Doveva giusto farla sudare un pochino.
«Sì, sì...» Fece sbrigativa, la mano sventolata a mezz’aria per confermare una formula inesistente. Si mise a sedere a gambe incrociate, arrotolando divertita la bacchetta tra le mani. «Vai, prova! Il pubblico da casa attende...» La incitò gioviale, pronta al capitombolo.
Quando la mora si fu girata, la rossa si preparò all’azione: strinse la bacchetta nella destra, e plasmò i pensieri per intervenire al momento giusto. Voleva consentire alla sua palese menzogna di reggere, ed evitare danni... Ma Niahndra avrebbe avuto il coraggio di lanciarsi, sapendo che l’aiuto a cui faceva appello non avrebbe funzionato? Sperava di sì, perché il suo Arresto Momentum era pronto a essere lanciato, a sopperire a una mancanza evidente, a spalleggiarla in quella narrazione.
Era sempre più convinta che quel miracolo architettonico si reggesse in piedi per magia, e aveva deciso che preoccuparsi per eventuali cadute doveva essere superfluo. Ma cosa sarebbe successo se un piede in fallo avesse aperto la strada per il precipizio?

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view post Posted on 22/7/2020, 16:38
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Nel cercare di afferrare quel concetto labile che è l’identità personale, molti studiosi della natura umana si erano arresi all’evidenza che fosse impossibile sintetizzare la complessità di un individuo in una descrizione statica e complessiva, avulsa dal contesto sociale nel quale invece gli uomini sono calati. Ne era seguito un dibattito che aveva portato alla distinzione tra una dimensione pubblica ed una privata, differenti in termini di espressione del sé e di autenticità; ma c’era chi si era arrischiato a sostenere che di un individuo esistono tanti sé sociali quante sono le persone che lo riconoscono. Il punto di vista in questo modo traslava: l’uomo non era più uomo in quanto tale, bensì derivava il suo essere dal modo in cui credeva che gli altri lo percepissero.
Niahndra non avrebbe saputo dire cosa fosse più vero, non ne aveva le competenze e, in tutta onestà, in quel momento non le importava: di tutte le versioni di lei che potevano esistere nel mondo e sulle quali non aveva controllo alcuno perché plasmate dalla percezione altrui, di tutte quante, poteva dire con sufficiente certezza che la sua preferita fosse quella di quando era in compagnia di Eloise in momenti come quelli.
La rossa sostenne il suo sguardo, incurante di vederla avanzare verso il patibolo. Davvero non l’avrebbe fermata, pur sapendo che quel tentativo fosse destinato al fallimento? Non si era neanche preoccupata di correggerle la posizione o la formula: da un gioco a chi la spara più grossa era diventato un gioco a chi cede per primo; e Niahndra dominava nella seconda categoria.
Mantenne il contatto per un istante di troppo, desiderosa di scovare in quelle iridi un segno di cedimento. Quando non ne trovò non le rimase nient’altro che mantenere la propria poker face —anche mentre adocchiava le assi del ponte— e voltarsi.
Distanziò la Lynch solo di un paio di passi, ma non si sarebbe lanciata. Non in avanti, quanto meno.
All’orfanotrofio lo chiamavano “il gioco della fiducia” e prevedeva che un bambino chiudesse gli occhi e si lasciasse cadere all’indietro contando sul fatto che il compagno dietro di lui lo avrebbe preso al volo, accompagnandolo poi docilmente in terra se non riusciva a rimetterlo in piedi. A Niahndra, neanche a dirlo, quel gioco non era mai riuscito. Guardava gli altri bambini lasciarsi andare quasi con invidia, ma quando veniva il suo turno qualcosa la bloccava; una sfiducia cresciuta nel tempo, radicata in fondo all’animo insieme all’ostinato desiderio —bisogno?— di fare affidamento solo su sé stessa.
La bambina dell’orfanotrofio, però, apparteneva al passato. Al suo posto stava maturando una persona diversa.
Dando le spalle all’amica, Niahndra allargò le braccia senza curarsi neanche di fingere di eseguire l’incantesimo. Dimostrare che fosse una balla era diventato superfluo, lo sapeva lei come lo sapeva Eloise. Dimostrare fiducia, invece, poteva essere un buon modo per ottenerla a sua volta; e se l’altra le chiedeva di lanciarsi l’avrebbe fatto.
*Non sarebbe neanche la prima volta*. Il flash della loro gara in sella ad una moto le dardeggiò dietro le palpebre e le fece affiorare un sorriso sulle labbra. Per l’amor del cielo, si erano buttate da un burrone: cosa poteva mai essere un ponte sospeso in confronto?
Inconsapevole dei piani della Lynch, Niah cadde all’indietro.
Non era così che si immaginava una lezione a tu per tu, ma d’altronde nessuna delle due era la classica studentessa modello.


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view post Posted on 5/8/2020, 20:18
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Un singulto sommesso e un groppo allo stomaco avrebbero raggiunto Niahndra quanto prima. Lo sapeva bene, Eloise, di quella sensazione di abbandono, di vertigine, di precarietà e insicurezza. L’aveva provata tante volte in quello stesso gioco, sulle altalene, tra le fronde più alte degli alberi e a bordo di una scopa. L’aveva provato quando l’Aria l’aveva chiamata a sé, subito prima di ricevere in dono una Gelbsturm impalpabile, prima di venir salvata dall’abisso dalla sua stessa natura. E da allora aveva smesso di sentirla: la vertigine, il timore del vuoto, il terrore dell’inesorabile caduta avevano smesso di fare parte di lei. Era diventata altro, e per quanto inesperta e incapace a controllare il suo Elemento, la paura di sfracellarsi a terra aveva semplicemente cessato di appartenere a quella sua declinazione dell’umanità. Ghignante, irresponsabil, mosse un passo indietro, spostandosi dalla traiettoria dell’amica e lasciandola alla sua precaria instabilità.
Il ricordo di un tempo era rimasto vivo, stressato e reiterato da tanti tentativi di spezzarsi l’osso del collo, e le permetteva di comprendere con chiarezza come doveva sentirsi Niahndra centimetro dopo centimetro, mentre l’angolo tra la sua figura dritta e il pavimento andava ad azzerarsi. La osservava scivolare in basso impassibile e crudele, certa che la disperazione fosse inversamente proporzionale al valore di quell’angolo, e solo in quei pochi centesimi di secondo soppesava la fiducia disarmante che aveva mostrato nei suoi confronti. Era stato un colpo di testa, una decisione presa all’improvviso, ma nessuna esitazione aveva sbavato i suoi gesti. Si affidava a lei con tutte le membra del suo corpo, si lasciava scivolare a terra con la certezza che l’avrebbe pescata al volo. Niente, nella personalità della Alistine, tradiva la natura della principessa da mettere in salvo, eppure era entrata nella parte senza esitazioni. Ed era stata capace di stupirla con un'azione poco ragionata e poco misurata, delegando a lei quel ruolo. Piacevolmente colpita dall'inversione dei ruoli, si domandava se fosse davvero una responsabilità così inestimabile, quella che stringeva tra le dita. O era soltanto un modo subdolo per convincerla di essere degna di fiducia, per spingerla a spifferare i suoi segreti? Era una dimostrazione fisica del fanciullesco ti dico un mio segreto se me ne dici uno tuo? Ormai la cieca fiducia era stata spiattellata, e pur non sapendo per quale ipotesi propendere, era in svantaggio.
L’Eloise birichina del suo passato non avrebbe ragionato molto sul da farsi: tanti amici, pochi legami solidi, avrebbe lasciato scivolare l’ignara vittima verso il pavimento senza l’ombra di una remora. In effetti, l’aveva fatto più di una volta, sottovalutando come ogni bambino le possibili conseguenze di un colpo del genere; la faceva ridere come il far scivolare via le sedie dal sotto il sedere di chi si stava accomodando, e tanto le bastava. Tuttavia, questa Eloise era più saggia e lungimirante, ma non meno furba. Attese fino all’ultimo per concedere alla bacchetta il fremito necessario, per delegare a quell’Arresto Momentum il compito di confermare la fiducia ben riposta di Niahndra.
Ormai in posizione semi-orizzontale, la mora raggiunse il terreno con la stessa impotente sottomissione di un paziente sulla poltrona meccanica del dentista. La Lynch resistette all’impulso di impartire all’amica l’ordine di aprire la bocca, e si accucciò in prossimità della sua testa, senza avere il tempo di calcolare le parole che avrebbe rivolto alla vittima. «Incantesimo appreso.» Borbottò con la stessa, impassibile verve di un Master che commenta in darkred. «Per oggi è sufficiente, Alistine, ma la prossima volta ti spiego il livello successivo.» La guardava a testa in giù, dall’alto al basso, le braccia che cingevano le ginocchia. Aveva l’aria di una ragazzina che scopre una famiglia di girini tra le rocce basse del fiume, con quel suo aspetto di chi sta per condividere qualcosa di importante e ghiotto. «Hai presente quella sensazione che hai sentito mentre cadevi? Quando non sapevi ancora se ti avrei preso al volo o meno? Ecco...» Fece, uno sguardo furbesco sul suo volto, senza lasciarle il tempo di ribattere che non aveva provato niente del genere. «Io quella sensazione non la provo più da un po’ di tempo.»

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view post Posted on 2/9/2020, 18:45
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Lo stomaco si accartocciò su sé stesso, pesante, per recriminarle quella scelta innaturale e al contempo assurdamente umana. Come umani erano la propensione al rischio, il fascino dell’ignoto, il brivido del pericolo; scommesse d’azzardo, bungee-jumping, montagne russe, tutti esempi di quanto assuefanti potessero diventare certe sensazioni. Dietro al salto non si celava il bisogno di un’iniezione di adrenalina, ma insieme alla paura istintiva Niahndra non poté impedirsi di provare anche un certo piacere.
Da ultimo, quando ormai proteggersi sarebbe stato impossibile, fece in tempo soltanto ad analizzare i danni imminenti. La botta avrebbe fatto sicuramente male, si disse, e avrebbe dovuto ricordarsi di non tenere la lingua tra i denti per il rischio di morsicarsi; probabilmente la schiena avrebbe accusato il dolore maggiore e c’era sempre la possibilità di una sorta di colpo di frusta. L’indomani si sarebbe svegliata con un mal di testa da paura, ma se anche fosse svenuta c’era sempre Eloise in grado di chiamare i soccorsi. Le conseguenze sull’orgoglio, per il momento, vennero accantonate. Analisi a parte, non poteva ammettere di essersi sbagliata, di aver letto in quel rapporto con Eloise più di quanto non ci fosse in realtà.
La caduta rallentò ad un soffio dall’impatto e Niahndra riaprì gli occhi con un sorriso che le andava da parte a parte. Guardò l’altra trionfante, dal basso verso l’alto, incurante della posizione scomoda. Nel suo distorto modo di vedere le cose era innegabile che avesse vinto; contro Eloise, discutibilmente, ma soprattutto contro sé stessa.
Solo che qualcosa non andava.
La caduta era stata arrestata, ma lo stomaco continuava a stringersi e torcersi; una vertigine che le rimescolò le viscere e che le avrebbe fatto sentire le gambe molli se solo fosse stata in piedi.
A volte capitava. Capitava che senza preavviso una fitta di nostalgia la colpisse; mentre si lavava i denti, per esempio, oppure in sala comune o poco prima di addormentarsi, con la luce delle stelle adesive ancora impigliata nelle retine. Era il rimpianto di un qualcosa che non aveva mai avuto, il senso di colpa del non apprezzare ciò che aveva. La consapevolezza di desiderare qualcosa che non avrebbe dovuto desiderare.
A volte capitava. Capitava che il solo guardare Eloise facesse male, e quello era uno di quei momenti.
Il sorriso esultante era sparito, gelato sulle labbra; le braccia ancora allargate, così crocifissa alle travi del ponte: il tempo parve fermarsi. La mora chiuse gli occhi, incapace di afferrare le parole dell'altra o quell'ennesimo gioco di ruoli. Soltanto un momento, si promise; si sarebbe concessa un momento di debolezza prima di tornare in controllo. E così fece.
Appena si fu sentita più sicura batté gentilmente con la mano la propria pancia e schiuse le palpebre. «Ha senso, suppongo.» Mai come in quell'attimo ebbe così netta la sensazione delle pesanti radici che le avviluppavano le caviglie, ancorandola al suolo. «Se c'è qualcuno abbastanza espansivo da farsi amico persino il vento, immagino che sia tu.»
Lasciò andare una risata e qualcosa in lei si sciolse. Forse fu il residuo dell'adrenalina, forse fu l'astinenza del brivido, forse fu il perverso piacere nell'arrivare ad un soffio dal vedere svelati i propri segreti più intimi; fatto sta che non che non trattenne le parole. «Ha senso— ripeté —Magari è per questo che ogni volta che penso di averti inquadrata, scivoli via.»
"Io quella sensazione non la provo più da un po’ di tempo", aveva detto El. Niahndra non ebbe il cuore di ammettere che lei, invece, la provava sempre più spesso.


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view post Posted on 30/9/2020, 08:04
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«Pronto?» Sdraiata e silenziosa, abbandonata a braccia aperte alla caduta, Niahndra si era freezata, palpebre calate e cipiglio teso. Come un cagnolino fedele fiuta il padrone addormentato, Eloise si era sporta su di lei per capire cosa fosse successo in quei pochi secondi: una fugace analisi l’aveva convinta di aver perso l’amica nella caduta e, rassegnata, si era ritratta. Alla sua coscienza aveva sbolognato l’ipotesi che stesse fingendo un crollo, quando in verità non poteva cogliere le sfaccettature e la complessità del flusso di pensieri che aveva dato come esito quella reazione.
Era chiaro che non possedeva sufficienti dati per riuscirci, ma era anche vero che c’era, in quel suo modo di partecipare al mondo con leggerezza, un limite nell’interiorizzazione. Scivolava su episodi e relazioni mantenendosi a distanza, incapace di rielaborare la vita vissuta in un apparato digerente dei pensieri, un sistema di smaltimento per scomporla e ricostruirla in forme nuove. Ogni esperienza che avrebbe potuto arricchirla con generose sostanze nutritive dell’anima, e strumenti di paragone per l'interpretazione dei fenomeni, le scivolava sopra come acqua su un tessuto idrofobo. Partoriva le idee più astruse, la sua mente funzionava ed era svelta, ma quando si trattava di leggere le situazioni ed elaborarne le sfaccettature, fare previsioni ed essere empatici, comprendere gli altri e vivere i loro sentimenti, il meccanismo si inceppava.
Percepiva che c’era qualcosa che la distingueva da Niahndra, da Amber, da WIlliam, da Horus e da Thalia, in quello, ma non ne aveva piena coscienza. Era qualcosa che non le apparteneva, o forse non ancora, e il solo fatto che ne avesse il sentore era un piccolo passo avanti. Presto, non appena avesse compreso che l’Aria era, tra le altre, spirito, interiorità, anima e introspezione, avrebbe potuto abbracciare anche quella parte del suo essere. Era pur sempre all’inizio di un lungo percorso.

Fu con una battuta sagace delle sue, che Niahndra riprese il filo del discorso. La Lynch ghignò, sicura che con gli altri Elementi non avrebbe avuto lo stesso successo. Piuttosto, il prosieguo delle reazioni generò in lei uno sdegno divertito. «Sfuggente, io?!» Non credeva alle sue orecchie. «Ma sono sempre la solita vecchia Eloise!» Si alzò, puntellata da quel pensiero, e si sarebbe messa a rimuginare con le mani in tasca, se solo la gonna della divisa ne avesse avuto un paio.
Dai commenti precedenti aveva constatato che i ragionamenti di Niahndra avevano colpito il bersaglio con precisione, ma ora non riusciva a ritrovarsi in quelle parole. Lei era un’anima semplice, un tipo affabile e aperto, magari pieno di sorprese frizzantine, ma sempre ben incastonato in un ruolo preciso. O no? Fece per replicare, e prese anche fiato, ma un pensiero sfuggente catturò la sua attenzione e la trascinò via. Il motore delle sue azioni, le sue ragioni e i suoi principi erano chiari e palesi; o forse era lei, che ci conviveva da una vita, a vederli così? E quanto si era capita, comunque? Quanto poteva autodefinirsi, lei che aveva appena giurato a se stessa di comprendersi così bene, lei che non era certo un talento di introspezione?
Forse i suoi confini erano veramente sfocati e sfuggenti; forse era in quello che risiedeva la sua natura. Il pensiero che Niah avesse ragione superò il suo scudo e rese il terreno sotto i suoi piedi meno stabile di quel ponticello su cui erano abbarbicate. Di contenere moltitudini e di contraddirsi da sola erano definizioni che aveva accettato solo di recente, che non si allontanavano così tanto dal suo essere aria. Anzi, ci andavano a braccetto. Ora vedi come scivolo via dalle tue dita, così come affermo di non saper fare. «Tu sei quella difficile da inquadrare.» Specchio riflesso. Ghigno affilato, sguardo dall’alto e indice puntato: il suo atteggiamento di infantile ribellione soverchiava qualsiasi volontà razionale a favore, ancora una volta, di un esito narrativo e fantastico.

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view post Posted on 19/10/2020, 14:42
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Su quel ponte sospeso, in un punto infinitesimale del tempo e dello spazio, i minuti rallentarono finché —per una manciata di battiti— Niahndra non riuscì a percepire più niente se non il rombo tonante del sangue nelle orecchie, come tappate per la pressione. Il flusso di stimoli in arrivo dall’esterno perse qualsiasi accesso alla coscienza finché lei non fu in grado di sentire niente se non sé stessa: la visuale si era ristretta sensibilmente, incapace di mettere a fuoco nient’altro che un punto sulla retina, lo stomaco si contrasse una volta di più irradiando calore lungo ogni terminazione nervosa.
Detestava quella mancanza di controllo.

Avrebbe dovuto aspettarsi la reazione di Eloise, le suggerì una voce nella testa; una parte di lei sapeva che difficilmente avrebbe potuto ottenere qualcosa, qualsiasi cosa, affrontando l’amica di petto e costringendola ad arrestare il proprio vorticoso tragitto in favore di una presa di coscienza. Cosa volesse ottenere, poi, rimaneva una domanda alla quale non osava dare risposta. Era ingiusto da parte sua far gravare sull’amica un peso che riguardava lei e lei soltanto: i ruoli erano chiari e le dinamiche rodate, Niahndra non aveva alcun diritto di desiderare qualcosa di diverso, di interferire in quel modo con la traiettoria di Eloise.
Era in frangenti come quello che si rendeva conto per davvero del peso dell’esistenza, dell’impatto che una vita ha sulle altre, della responsabilità che ciascuna persona ha nei riguardi del prossimo. Si trattava di un onere che Niahndra non era certa di riuscire a sostenere, un prezzo che non avrebbe pagato per una semplice, disarmante ragione: non la meritava.
Quel pensiero non la ferì neppure, non più. Non c’era cattiveria né alcuna volontà di offendere; era una constatazione neutra, una consapevolezza radicata nelle ossa che le spezzava il respiro.
Eppure rimaneva umana anche a lei, contrariamente ad ogni suo sforzo e tentativo di dimenticarsene, e capitava che il controllo venisse meno. Allora si ritrovava a giocare col fuoco, spingersi laddove altrimenti non avrebbe osato, sedotta dall’idea di gettare la maschera ed esporsi. Talvolta, si lasciava ammaliare dal lieto fine, ma perlopiù forzava la mano con la speranza che il fato la rimettesse a posto; come se sputare fuori quei sentimenti li avrebbe resi qualcosa di altro rispetto a sé, qualcosa di eliminabile; come se la prospettiva di essere respinta fosse l’unico rimedio contro il contagio.
Si meritava quella reazione, quell’improvvisa distanza che Eloise frappose tra loro, quel punto di rottura ormai prossimo. Da sempre, Niahndra allontanava le persone prima che queste avessero l’occasione di allontanare lei; un meccanismo di difesa chiaro come il sole e limpido persino nella sua fallacia, ma era diventato seconda natura e da tale non poteva scrollarselo di dosso. Per quanto ci provasse, le era impossibile allontanare la Lynch: l’unica soluzione, perciò, rimaneva fare in modo che fosse l’altra ad allontanarla. Sapeva che prima o poi la magia si sarebbe interrotta e che quel rapporto si sarebbe sciolto; Eloise si sarebbe resa conto della natura di Niahndra e ne sarebbe stata inorridita. Tanto valeva affrettare il processo, no?
Lentamente la morettina si rimise seduta mentre un brivido le scosse le spalle man mano che l’aria frizzantina e mordace le ghiacciava il velo di sudore sulla schiena. Con le dita tamburellò sulle assi di legno senza avere il coraggio di posare lo sguardo sulla compagna. «Non voleva essere un commento negativo.» Precisò pur sapendo che fosse inutile. Il vento aveva già cambiato direzione, bizzoso e indomito, e lei ne aveva perso il favore.
Il giudizio le venne ritorto contro e, stavolta, aveva il sapore di un'accusa accompagnata da un dito puntato che Niahndra scrutò per qualche secondo. Frustrata e intimamente meschina, non avrebbe negato la presenza di una parte di lei che avrebbe soltanto voluto ferire Eloise, in un assurdo tentativo di pareggiare conti che esistevano solo nella sua testa. Aveva fatto tutto da sola.
«Può essere» Concesse infine. «ma in un modo diverso da te.» Con una spinta delle mani si rimise in piedi e poi sfregò via la polvere dai palmi. «Specchi e vetri sono cristallini ma puoi comunque combinarli in un caleidoscopio.» La trasparenza era essa stessa un inganno. «È una cosa bella. Voglio dire...» cosa? Perché i pensieri, maledettamente chiari nella sua testa ai limiti del dolore, diventavano un guazzabuglio incomprensibile nel momento in cui cercava di verbalizzarli? Incapace di spiegarsi meglio, Niahndra sbuffò spazientita e scrollò le spalle. «Non lo so cosa volevo dire. Lascia perdere, torniamo indietro.»
Il tempo non si era sospeso, il ponte era solo un ponte e loro erano amiche. Poteva sopportarlo, si disse.
Her soul is a kaleidoscope
Bursting with every shade and hue
But shift your gaze ever so slightly
And she's something entirely new.
— Erin Hanson
 
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E così era scivolata via. Sulla prossima nuvola, a cavallo del vento, a distanza di sicurezza da qualsiasi tornado che la sballottasse troppo in giro. Sapeva vivere con pienezza, era parte attiva dei mondi che attraversava, ma non abbastanza da vibrare in risonanza con essi, da entrare a farne parte e renderli suoi.
Si era sempre considerata una che compartecipava alle vite altrui, ma in fondo sapeva di non essersi mai avvicinata al vero cuore delle cose. Si faceva trasportare dai flussi, conosceva il nuovo con curiosità, ma il suo diletto non era mai stato capace di spingerla oltre la gioviale conoscenza, la scoperta di tratti comuni e di idee peculiari. Non era per superficialità, che passava oltre, ma per quella sua insofferenza per la noia e per la ripetizione; per quella paura paralizzante di mettersi a nudo davanti agli altri. Conosceva metà della scuola, ma di nessuno aveva mai compreso l’essenza, per quanto certe volte ci fosse andata vicina: l’intimità era bidirezionale, e la fuga era sempre stata la scelta prediletta.
Capì che riprendere il punzecchiamento non era stata una delle sue mosse più sagge. La paura di esporsi l’aveva spinta a sollevare ancora una volta quel muro di distanza che le sue battute taglienti generavano: aveva colto quel velo di rassegnazione che la precisazione di Niahndra celava, e forse aveva anche percepito le sue spalle abbassarsi. L’idea che fosse rimasta delusa dalla sua uscita e risultava insopportabile, e se c’era una cosa che non aveva intenzione di concederle era di interrompere quella parentesi di tempo che era stata concessa loro. Quando comprese di non essere osservata, si rilassò, e il ghigno lasciò il posto a un sorriso più genuino, spontaneo, e vero. Se la moneta di scambio era aprirsi un po’ di più, e cambiare passo di danza, era disposta a farlo.
«Col cavolo.»
Afferrò Niah per un polso e decise in quel momento che la fase del ponte era finita. Prese a camminare trascinandosela dietro con ben poca grazia, e senza spiegazioni per sé o per lei. Se doveva cambiare atteggiamento nei confronti della situazione, doveva anche cambiare luogo.
Raggiunsero la terraferma e la stabilità, e proseguirono oltre. Il prato curato lasciò spazio a una vegetazione sparsa, dove l’odore delle foglie umide e del muschio si faceva penetrante e denso.
La liberò dalla presa solo quando ebbero raggiunto l’inizio del bosco, quando, sperava Eloise, Niahndra non sarebbe più scappata. Continuò a camminare dandole la schiena, ma rallentò il passo e si scoprì più calma e focalizzata. «L’ho capito, cosa intendi...» Proseguì il discorso di prima solo lì, dove si sentiva più protetta e meno esposta all’immagine che aveva di se stessa, all’idea di come doveva comportarsi e agire. Era come se la cupa boscaglia la proteggesse dal suo solito modo di fare; e se allontanava la consapevolezza di quel che stava facendo, esprimersi diventava più semplice. «È che neanche io ho compreso appieno questa cosa.»
Le foglie secche sul tappeto erboso erano inermi fino a un istante prima, semplici decorazioni di un paesaggio da fotografia. Il primo movimento fu anticipato un lieve scricchiolio, e presto una brezza prese a insinuarsi tra esse, sollevandole a poco a poco da terra, trascinandole in un giocoso movimento rotatorio, un vortice in miniatura che le avvolgeva intorno a Niahndra. La loro danza, caotica e imprevedibile, rendeva il mondo circostante intermittente e inafferrabile come un soggetto impossibile da mettere a fuoco. Heisenberg avrebbe potuto dedicarle il suo principio di indeterminazione: il solo operare un’osservazione sul fenomeno Lynch l’avrebbe influenzato e modificato, e avrebbe reso obsoleto il risultato dell’analisi.
Un tono pacato e maturo, sconosciuto anche a lei, accompagnò la sua presa di coscienza. «Il modo per inquadrarmi è non inquadrarmi direttamente, immagino.»

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view post Posted on 1/12/2020, 22:34
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Niahndra amava le parole. Amava servirsene, assaporarle sulla lingua, distorcerle e scoprirle. Amava spogliarle e regalar loro nuovi significati; amava la loro esattezza, la loro musicalità, amava la libertà che le davano. Le usava come un bisturi, preciso e chirurgico; le usava per proteggersi, per ferire, per nascondersi e dissimulare.
Hameeda le aveva sempre detto di prestare attenzione alle parole, alla loro energia, alla loro capacità di accendere fuochi nella mente degli uomini. Le parole erano potenti, ma i nomi lo erano di più: «una parola non è nient'altro che il dipinto di un fuoco. Il nome è il fuoco stesso»*, si raccomandava.
Niahndra era brava solo con le parole, non con i nomi. Con le parole che altro non erano la pallida imitazione delle cose che sono.
Si chiedeva adesso se non fosse diventata così abile a plasmare la percezione altrui con esse, da non riuscire più ad usarle per esprimere la verità. E forse si era abituata così bene a tacere la verità —a negarla, persino— che il solo atto di verbalizzarla avrebbe significato distruggere se stessa nel processo.
Qualunque cosa le premesse contro le labbra, venne ricaccia indietro mentre già si incamminava per la via di ritorno. Lo stesso grumo intricato minacciò di saltarle di colpo in gola nel momento esatto in cui sentì le dita di Eloise chiudersi intorno al suo polso.
Abbassò lo sguardo come a confermare che sì, stava accadendo davvero e che no, non se lo stava sognando e che sì, di nuovo, quella registrata dalle sue orecchie era la voce della rossa, carica di una ruvidezza che non le aveva mai riservato prima di allora.
«El...» Le sfuggì detto, ed avrebbe detestato la nota supplichevole sotto i bordi se questa non fosse stata sciacquata via dal martellare del sangue nelle tempie. Non sarebbe stata in grado di sopportare un eventuale scatto d'ira nei suoi confronti, non in quel momento.
Sarebbe stato impossibile nelle sue attuali condizioni opporre resistenza all'impeto dell'amica, confusa com'era da quel repentino cambio di direzione. Stavano tornando indietro? L'aveva irritarla più del previsto? Avrebbe potuto rimediare? Avrebbe dovuto?
Infilò i passi giusti uno dopo l'altro, senza tante possibilità di guardarsi intorno se non quanto bastava per rendersi conto che non si stavano avvicinando al castello. Non osò spiccicare parola.
La presa di Eloise svanì altrettanto inaspettatamente, ma l'eco di quel tocco fantasma ancora indugiava sulla pelle.
Un'occhiata ai dintorni la informò che si trovavano nei pressi del bosco, lontano dallo sguardo della scuola e dalla parvenza di civiltà che regnava ne giardino curato; la sua attenzione tornò rapidamente alla ragazza che ancora le dava le spalle, nel tentativo di cogliere qualche indizio su ciò che l'aspettava.
«L'ho capito, cosa intendi...» Fosse stata appena più rilassata —o più nervosa— Niahndra avrebbe riso, certa che lei ed Eloise stessero seguendo binari molto diversi.
Dopo qualche istante, tuttavia, cominciò a intuire il senso di quel discorso che si allacciava direttamente a ciò che Niahndra aveva tanto maldestramente blaterato poco prima.
Trasse un respiro e parte della tensione si sciolse udendo il tono calmo dell'altra. Rimase ancora in silenzio, consapevole di star assistendo ad un momento di delicata metamorfosi, e si scoprì grata di poter assistere all'emergere di una nuova sfumatura di quella creatura poliedrica che era la Lynch.
A metà tra l'essere intrusa e testimone, Alistine socchiuse gli occhi mentre un primo sospiro di vento si faceva strada tra fili d'erba e fogliame, piegando i primi e sollevando il secondo in una coreografia improvvisata di cui lei era diventata il perno.
Dopo il primo attimo di sorpresa, la mora lasciò che i bordi delle cose sfumassero. Tentò di ricostruire la figura dell'amica nel marasma di foglie, ma rinunciò subito dopo. Si concentrò allora sulle correnti che le tremavano d'intorno e si rese conto che anche in loro era presente Eloise, o una parte di lei.
Era a quello che si riferiva prima, sul ponte? A quella trasfusione di volontà nello spazio circostante per cui la natura si plasmava secondo il suo umore? La magia le ruotava attorno come un'estensione di sé. Poteva sentirla riverberare nell'aria.
Eloise era cresciuta e maturata così tanto sotto ai suoi occhi in tutti quegli anni, che Niahndra si chiese se non fosse davvero destinata ad ammirarla come si ammirano le stelle: in silenzio e da lontano.
«È un bene, allora— dopo tutto quel silenzio, la voce risultò quasi estranea alle proprie orecchie —che io sia diventata brava a vedere senza guardare.»
Vibrazioni, oscillazioni, tremolii e perturbazioni. Quello era un linguaggio che, seppur faticosamente, Niahndra comprendeva. Aveva imparato da piccola che talvolta il modo migliore di osservare qualcosa è focalizzarsi su un punto vicino e passare oltre.
«Non mi illudo di poter intrappolare il vento.» A quale scopo, poi? C'era della grandiosità nel vederlo spirare senza vincoli e senza padrone.
«È questa distanza, a non andarmi giù.» Si ritrovò a dire, poi, allungando senza convinzione la mano verso la barriera invisibile che le separava. Stava ancora parlando alla schiena di lei? Con ogni probabilità non avrebbe comunque avuto il coraggio di affrontarla apertamente.
«Quindi, tieniti pure i tuoi misteri, Eloise. Sono tuoi.» Aggiunse conciliante. «Ma lasciami avvicinare.»
Se la voce non le tremò fu per puro atto di volontà. D'altronde, le rammentò una vocina sottile nella testa, le stelle sono fredde e irraggiungibili, ma questo non impedisce a chi le ammira di esprimere desideri.

*Citazione tratta da "Il nome del vento" di Patrick Rothfuss.
 
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Il movimento costante delle foglie attorno a Niahndra era diventato presto un vortice. Volteggiavano leggere, prima, e con un impulso sempre più serrato avevano preso a stringersi a lei, a incalzarla, a chiuderla in una barriera. Da metafora di libertà, si erano trasformate quasi in asfissiante limite. Sarebbe bastato un passo della mora, per disperderle, ma l’effetto generato era d’impatto. La luce che filtrava dalle fronde si era fatta intermittente e stroboscopica, e il mondo esterno a quella parentesi era visibile solo a tratti: era vittima di un gioco di prestigio, dell’illusione di vivere a singoli istanti isolati, ben distinti dal fluire continuo della vita reale. Se avesse guardato bene, oltre il fogliame e la sua barriera, avrebbe potuto scorgere che Eloise si era avvicinata un poco, mossa dalle parole e dai pensieri che le erano stati rivolti.
Nel momento in cui i suoi passi l’avevano spinta a rapire l’amica dall’aula di Difesa Contro le Arti Oscure non avrebbe mai immaginato che sarebbero andate così lontano. Provava la stessa soddisfazione di quando riusciva a padroneggiare una competenza nuova: dopo un’interminabile successione di tentativi, aveva superato il rischio di superficialità, aveva saltato a piè pari il richiamo all’immobilità, al distacco, all’isolamento in se stessa. Aveva abbattuto il muretto che circondava il cortile di casa sua, e la via per raggiungere la soglia era stata spianata. C’era qualcosa di nuovo e sorprendente nel dare quel benvenuto, ma c’era anche una sottintesa ovvietà nel constatare che l’ospite era Niahndra, la sua amica più fidata di sempre.
Non tutto era chiaro: sintonizzare le frequenze era un lavoro che richiedeva impegno costante, ma c’erano aspetti delle vite interiori che dovevano necessariamente rimanere personali e indipendenti. L’aveva detto bene, lei, dell’impossibilità di catturare il vento, ma il cavillo su cui Eloise aveva posato la sua attenzione, a cui non riusciva a darsi una spiegazione, era stato un accenno di poco prima. Vedere senza guardare poteva sembrare la semplice prosecuzione di un discorso teorico, una risposta spontanea e generica buttata lì per gioco, un’esaltazione baldanzosa delle proprie capacità. Ma veniva dalla bocca di Niahndra, e se c’era qualcosa che aveva imparato negli anni era che non parlava quasi mai a vanvera; che fosse per un commento pungente, per un’autovalutazione, per esprimere un pensiero, nulla si fondava su voli pindarici distanti dalla realtà. Le parole sono importanti*, e saperle collocare nel giusto spazio significava capire qualcosa in più su di lei. Vedere senza guardare era scivolato fino a lei oltre la tenda incostante del vortice di foglie, afferrato ma inafferrabile.
Aveva sempre avuto la percezione che l’amica avesse una spiccata consapevolezza del mondo circostante, una sensibilità acuta e una minuziosa capacità di lettura degli eventi. Lo aveva dimostrato anche poco prima, quando le aveva fatto una lettura precisa e puntuale del suo modo di essere. Ma ora, a valle di quella frase scivolata nel Vento, iniziava a pensare che le sue capacità andassero oltre l’inclinazione naturale e l’affinità, che si spingessero al soprannaturale. Qualcosa, dei fatti di Cadair Idris, era rimasto ancora inspiegato, e l’ipotesi di un talento divinatorio rimase a volteggiare a mezz'aria.
Conoscere e farsi conoscere sono due moti paralleli e inseparabili. Il desiderio di avvicinarsi espresso dall’amica era parallelo al suo desiderio di farsi avvicinare, e di avvicinarsi a sua volta. Avrebbe voluto farle vivere sulla pelle il significato del suo potere, comunicare quella simbiosi con l’Aria, farla volteggiare al suo fianco e condividere quell’esperienza fino alle viscere, ma non era abbastanza forte, esperta e consapevole per riuscirci, non ancora. Allo stesso tempo, la volontà di comprendere le sfumature nelle sue parole era altrettanto forte e imperativa; voleva studiare come funzionava la sua mente, capire il suo talento nel leggere le situazioni, scovare la fonte di quel suo lato riflessivo e minuzioso e la radice della severità che rivolgeva a se stessa.
Quello che poteva fare era aprire un sentiero alla comprensione, che a piccoli passi avrebbe scavato nelle profondità inesplorate di una e dell’altra. Un gesto spontaneo della mano, come una carezza posata su una guancia intangibile, liberò la Alistine dalla prigionia. Alcune foglie vennero lasciate al loro destino e si dispersero nel vento, altre rimasero a volteggiare attorno a entrambe, a segnare la strada da percorrere per vincere quella vicinanza.
Lo stivaletto di Eloise trovò il terreno, la gamba mosse un passo, il corpo assecondò la strada, sospinto dalle foglie tutto attorno. Le braccia lungo i fianchi e i palmi rivolti a Niahndra manifestavano concretamente come si era sempre sentita, come avrebbe voluto porsi nei suoi confronti fin dall’inizio: trasparente, aperta, intelligibile.

«Sono qui.»

I’ll dust up the days 'til I’ve gone every way


*Ho pensato al buon Nanni e non ho potuto non inserirci Niahndra

 
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Avrebbe dovuto sentire freddo. Il pensiero la colpì di traverso, come un suono lontano e non del tutto processato. Ne era consapevole ad un livello squisitamente razionale perché gli impulsi fisici che le giungevano raccontavano un'altra storia. Il rombo che le otturava le orecchie seguiva il ritmo forsennato del suo cuore, sincronizzato col pulsare delle labbra; il taglio nella parte inferiore pizzicava a contatto con l'aria di inizio primavera, sensibile per l'aumento del flusso sanguigno. Addosso sentiva la pelle liquefarsi ed incresparsi come lava che sfrigola.
Non era paura, non nel senso stretto del termine. La fiducia che riponeva in Eloise le impediva di lasciarsi spaventare da quell'impressionante manifestazione d'abilità; da quel gioco di luce ed aria che ora si stringeva ora le lasciava respiro. Sotto al tramestio prodotto dalle foglie Niahndra registrò il suono delle proprie parole e le lentiggini quasi scomparvero sotto il rosso dell'imbarazzo. Si rifiutava di credere di averle davvero pronunciate, patetiche e vere com'erano.
Una parte di lei ringraziò della presenza di quella barriera a schermare la sua reazione, a farla sentire un po' meno nuda, un po' meno esposta. Sarebbe stato facile scivolare nuovamente nei panni confortevoli delle vecchie abitudini, mantenersi a distanza di sicurezza senza che niente veramente la toccasse. Panni che adesso, si accorgeva, le stavano stretti. Aveva avuto un assaggio di quel che significava conoscere qualcuno, ricercarne la compagnia non per necessità ma per puro piacere e l'idea di privarsene adesso le risultava insopportabile.
La possibilità che Eloise le sfuggisse dalle dita in maniera definitiva pendeva su di lei come una minaccia pronta a concretizzarsi, eppure ancora non riusciva a rimpiangere del tutto le proprie parole. S'annidava una vena di follia nello svelarsi, ma rimanere in superficialità mentre ogni particella del proprio io anelava a qualcosa di più avrebbe richiesto una forza di cui non era dotata.
Aveva danzato con passi leggeri e audaci intorno alla verità, l'aveva corteggiata e stuzzicata per poi ritrarsi giocosamente e tornare all'attacco in un ciclo perpetuo; mai troppo vicina, per non rischiare di lasciarsi sedurre dalla sua luce e dal suo calore.
Quando tuttavia il mulinello di foglie si fu dissipato e la figura di Eloise ebbe recuperato materialità, anche quel monito parve sbiadire fino a ridursi ad un pungolo distante e puramente razionale. Perché la Lynch era ancora lì, sempre lì, presenza inossidabile nella sua vita e Niahndra si chiese come avesse potuto dubitarne. Non aveva forse superato ogni sua aspettativa dal momento in cui l'aveva conosciuta?
Mentre replicava i suoi movimenti e colmava la distanza, un unico pensiero prese possesso della sua mente. Ebbra di quel delirio di onnipotenza di chi forza la mano al destino e ne esce vittorioso, impossessata dalla febbre del giocatore d'azzardo che raddoppia la posta dopo una vincita insperata, Niahndra si lasciò attrarre come falena alla luce abbandonando qualunque traccia di resistenza ancora persistesse. Se anche il pegno da pagare fosse stato bruciare al cospetto della fiamma, l'avrebbe accettato.
Fece scivolare le proprie mani contro le palme aperte di Eloise e intrecciò le dita con le sue. Nel tempo di una carezza gentile sui dorsi cercò il viso di lei per posarle sulle labbra la prima delle verità che voleva condividere. La parentesi di un mezzo respiro, quasi impalpabile sulla bocca, fu tutto ciò che si sarebbe permessa prima di retrocedere d'un passo. Dita ancora intrecciate, un rossore visibile sulle guance, occhi che si rifiutavano di incrociare lo sguardo di Eloise.
«Non mi aspetto niente.» Quelle parole da sole sarebbero bastate a rivelare più di quanto avrebbe voluto in un qualsiasi altro momento. La fronte si aggrottò ed un lampo azzurrino corse verso la ragazza prima di interrompere nuovamente contatto visivo. «Volevo solo che lo sapessi.»
A malincuore ritrasse una mano per portarla al volto e grattarsi la guancia. Riprese a parlare solo per tenere a bada i nervi. Qualunque cosa per distogliere l'attenzione di entrambe dal bacio.
«Il vento ti ascolta.» Lo disse come se fosse giunta a una tale realizzazione solo in quel momento. «Sei sempre riuscita a farlo?»
Ora che la prima verità era stata svelata, sentiva una certa pulsione a liberare anche le altre se la Lynch avesse voluto ascoltarle; per il momento, tuttavia, si godeva la calma prima della tempesta.
 
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Ci sono brezze quasi impercettibili, venticelli che rubano scie di neve spazzando le cime dei monti, e fruscii che spettinano i ciuffi d’erba in mezzo ai prati. E poi ci sono quei venti primaverili che annunciano l’arrivo della primavera, che gonfiano le chiome e spingono via il grigiore per dare al sole tutto lo spazio di irradiare vita nuova. Se Eloise era convinta di aggirarsi nel mondo delle correnti lievi, delle foglie vorticanti e dei capelli un po’ annodati, presto dovette fare i conti con quell’aria travolgente e imprevedibile, pregna di profumo di rinascita, carica di segni di rinnovamento. Anche il cielo parlava chiaro: il sole splendeva sui boschi scozzesi, il grigiore e le nubi erano stati sconfitti.
Tutto accadde con una linearità sorprendente, come se i passi incerti messi uno in coda all’altro, le mani intrecciate e il contatto leggero fossero l’esito naturale di un percorso iniziato anni prima, in una mattina di ottobre, tra le poltrone della Sala Comune. La semplicità di un bacio fugace seppe esprimere ciò che le labbra non avevano potuto articolare, e le parole che seguirono confermarono che un cambio di prospettiva era necessario. Il vento si era alzato, e lei non ne aveva alcun controllo.
A occhi socchiusi, inspirò a fondo, e prese coscienza del roboante scossone che la travolse all’altezza del petto. Eloise Lynch, la Eloise che presentava al mondo, era pronta a darsi alla fuga, a seppellire nel profondo la sorpresa e lo smarrimento, a fingere di non aver compreso davvero il significato di quello scambio per preservare lo status quo delle relazioni. Ma per quanto la sua intuitività emotiva fosse sottosviluppata, non c’era niente di fraintendibile nei gesti di Niahndra: in effetti, sembrava che la mora avesse fatto il possibile per renderglielo chiaro. Per come si era espressa, sembrava una constatazione, un risultato semplice di un’operazione matematica, un esito inevitabile degli intrecci delle loro vite; per lei, invece, era una novità spropositata, imprevista, travolgente. Era terrorizzata? Certo. Sapeva come reagire? Certo. Che no. L’unica cosa che le gravitava con chiarezza dietro alle palpebre ancora calate era la volontà di mantenere aperte le porte che avevano sfondato a forza. Le sue labbra si arcuarono in un sorrisetto quasi ironico, come se fino a quel momento avesse sopravvalutato l’effetto che la complessità di una situazione affettiva poteva esercitare su di lei. Se riuscì ad accettarla, però, fu tutto merito di Niah, che aveva deciso di condividere quel che provava nell'istante in cui i loro cuori erano spalancati, pronti a farsi conoscere.
Si concesse un momento per chiedersi come si sentisse a riguardo, ma la voragine era ampia, e il salto pericoloso. Non aveva mai pensato all’amica in termini romantici - era raro che arrivasse a quel punto con chiunque - e il valore dell’amicizia che le legava superava di importanza qualsiasi altra relazione che aveva costruito nella sua breve vita. La decisione di rifiutare etichette e definizioni puntuali emerse spontaneamente, liberando lo spazio alla volontà di portare avanti quel coraggioso processo che le due Tassorosso avevano avviato su se stesse, e una sull’altra.
La mano ancora intrecciata si sollevò, il palmo rimasto libero si ricongiunse a quel contatto. Si appoggiò il suo dorso sulla fronte, come uno scudo dietro cui nascondersi. Pelle contro pelle, anima contro anima, un febbricitante incontro tra due realtà. Un lieve, impercettibile cenno del capo, rivelò che stava annuendo, che aveva capito il messaggio, che la sua mente era pronta a processare l’informazione. Si portò l’intreccio di mani al cuore, lì dove avrebbe conservato quella verità, in un gesto rituale e quasi sacro. Aprì gli occhi per scoprire che la mora guardava altrove, e decise di sciogliere il contatto, traballante e incerta su come muoversi da lì in poi.
Il primo passo sarebbe stato fondere quegli istanti con tutto ciò che le riguardava, trovargli un posto nella complessità di un rapporto longevo. Accettò l’offerta della mora, decise di tornare ad affrontare una verità altrettanto importante, perché mai, prima di quel momento, era riuscita ad aprire il cuore e condividere il suo rapporto con l’Aria. «È iniziato tutto per caso, quasi due anni fa.» Cercò il suo sguardo, sorprendentemente a suo agio in tutta quella situazione. Erano sempre Niahndra ed Eloise, un’accoppiata che conosceva bene. «Le vacanze di primavera, un'innocua partitella a Quidditch con Ned e Jared, un prevedibile invito a un amico di Ned.» Il labbro tremolò, domandandosi se il trasporto che aveva sentito nei confronti di Geralt avesse qualcosa a che vedere con quello che Niah provava nei suoi confronti. Si sporse a recuperare una foglia che era rimasta incastrata nella chioma corvina dalla sua dimostrazione di poco prima. «Questo Geralt è un giocatore professionista, e aveva portato un Boccino d’Oro, uno di quei modelli che vengono scartati dalle case di produzione perché non raggiungono gli standard di qualità richiesti. In un primo momento è andato tutto bene, poi il Boccino è impazzito.» Sentiva un brivido nel ripercorrere gli eventi, nel raccontare ad alta voce una storia che le aveva scosso le fondamenta della vita e che aveva cambiato la prospettiva con cui guardava il mondo. «Sai come vanno le cose con i miei fratelli, no? Sono partite le sfide, le scommesse, io cavalcavo la Gelbsturm e volevo far vedere a un vero giocatore di Quidditch di essere all’altezza dei suoi standard.» Ghignò con autoironia: non era mai stata particolarmente competitiva o desiderosa di mettersi in mostra, ma quando ci si spostava tra i sei anelli la prospettiva cambiava un pochino. La foglia, pinzata tra pollice e indice, prese a vorticare all’aumentare della tensione. «Il Boccino schizzava sempre più in alto, io lo inseguivo anche se la scopa aveva iniziato a vibrare e dare segni di cedimento. L’ho sforzata oltre il limite, e mi ha abbandonata: ho iniziato a precipitare.» Mimò il gesto con la foglia, un capitombolo memorabile verso terra con cui aveva rischiato di salutare il mondo dei vivi una volta per tutte. «E poi l’Aria mi ha salvata. E Geralt, anche. Lui riesce a… Fare con l’Acqua quello che io faccio con l’Aria, e mi ha evitato di precipitare tuffandomi in un… tubo d’acqua? Insomma, credo di aver anche rischiato di affogare, ma… L’Aria si era risvegliata e ha dato forma a una Gelbsturm di vento, grazie a cui sono riuscita a uscire dal tubo e tornare a terra sana e salva.» Lasciò cadere la fogliolina, che gravitò serena verso il letto di foglie che l’avevano preceduta. «Da non credere, eh? Poi da lì è cambiato tutto: ho scoperto che esistono gli Elementalisti, maghi e streghe capaci di entrare in comunione con un Elemento, la cui magia viene plasmata da esso. Credo di essere una di loro, perché da quel momento sono stata capace di fare… Quel che hai visto.» Senza la guida di Geralt, probabilmente avrebbe capito un decimo di quanto aveva vissuto. «E a te… Non è mai capitato niente del genere?» Il capo, chinatosi per seguire la fogliolina, tornò a sollevarsi, a incontrare il volto di Niahndra. Quante volte l’aveva guardata così, casualmente, senza sapere? La polvere che si era accumulata negli anni era stata sollevata dalla sua brezza prima, spazzata via da quel vento vigoroso poi: luce e limpidezza vincevano la scena.

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Era una fortuna che le ragazze si fossero allontanate dal ponte sospeso per inoltrarsi nelle zone boschive perché Niahndra sospettava che altrimenti si sarebbe lanciata senza troppe remore dal burrone. La mancanza di disinvoltura con la quale aveva cambiato discorso, liquidando la parentesi imbarazzante ad un episodio già dimenticato, non era stata frutto unicamente di una volontà altruistica, quanto di un'esigenza personale: in background, nella sua mente, infatti, stava già valutando la possibilità di fare le valigie e sparire da Hogwarts per evitare di affrontare le conseguenze. Quanto lontano? Sarebbe bastato lasciare la Gran Bretagna? Avrebbe potuto chiedere un trasferimento a Beauxbatons e insediarsi in Spagna; certo, avrebbe dovuto informarsi circa i costi della vita a Granada, per esempio. *Pensa più in grande.* Magari qualcosa più a oriente, nel Peloponneso? Forse si stava lasciando influenzare dalle gite fuori porta di Peverell.

*Respira.*
Rimase in silenzio per un po' inspirando aria dal naso e buttandola fuori dalla bocca. Di sottecchi studiava la figura di Eloise. L'unico indizio che suggeriva che si fosse effettivamente accorta del tocco leggero di Niah era l'intreccio di mani portato prima alla testa e poi al petto, oltre al flebile sorriso che le era comparso, uno che non era sicura di come interpretare.
Alistine distolse di nuovo lo sguardo, combattuta. Ogni fibra pareva essere stata contagiata da un misto di fretta e frenesia a lei sconosciuto. Era quello il pegno da pagare dopo una vita passata a trattenere qualsiasi cosa? Avvertiva lo strano impulso di lasciar andare, svuotarsi completamente e al tempo stesso si scontrava con la consapevolezza di non sapere come. Possedere l'intelligenza emotiva di un australopiteco non aiutava affatto.
*Respira.* Si impose di tenere la bocca chiusa e concentrarsi sul battito nel petto. Le erano serviti mesi —se non di più— per venire a patti con quella verità, e non era sicura di averla completamente accettata ancora. La scelta più rispettosa sarebbe stata quella di concedere ad Eloise il tempo e lo spazio di cui aveva bisogno per fare lo stesso. Una soluzione che codardamente faceva comodo anche a lei, forse.

Persisteva il timore di aver incrinato gli equilibri di quel rapporto, nonostante il garbo dimostrato dalla rossa nell'adeguarsi al cambio di rotta. Al di sotto, lo spazio tra loro riverberava di un qualcosa che non puoi ritrattare. Era il tipo di sospensione che portava Niahndra a rimuginare furiosamente su ogni piccolezza, alla ricerca di significati nascosti; e laddove non ve n'erano, rischiava di costruirli.
La sua attenzione vacillò nel momento in cui la ragazza le sfiorò i capelli per liberare una foglia impigliata. Si sforzò di riprendere le fila, consapevole dell'importanza dell'aneddoto che l'altra stava condividendo.
Non aveva difficoltà a immaginarsi la scena, i fratelli Lynch intenti a sfidarsi in sella ad una scopa con il medesimo entusiasmo che il vice-capitano dimostrava sul campo da quidditch. Aveva annuito al bisogno di Eloise di dimostrare le proprie capacità e lo sguardo azzurrino si era affilato per l'anticipazione. Non aveva più bisogno dell'immaginazione adesso per visualizzare la Gelbsturm in caduta libera —ed El con essa— perché aveva assistito ad un episodio simile a Cadair Idris. Iniziava a notare un pattern che non era sicura le piacesse.
Benché immobile, percepiva il ritmo del proprio respiro seguire l'andamento del racconto, gli occhi attirati una di volta di più dalla foglia sottile mentre cadeva inesorabilmente a terra. Ciò che Eloise le stava riportando aveva dell'incredibile, non solo per via della portata di quelle informazioni —Niah non aveva idea dell'esistenza di maghi dotati di simili abilità— ma anche per l'assoluta tranquillità con cui si era espressa. Se non altro, era stata in grado di diradare la cortina d'imbarazzo dandole qualcos'altro a cui pensare.
«Sei stata-» Corrugò la fronte prendendosi un attimo per mettere in fila le parole. «incredibilmente fortunata. Se non ci fosse stato l'amico di Ned o se tu...»
Scosse la testa come ad interrompere la spirale di "se", poi un secondo pensiero la colpì. «Lui è come te.» Una ripetizione inutile, non fosse che Niahndra non aveva mai ragionato attivamente sul fatto che non importa quanto tu sia speciale, c'è sempre la possibilità di trovare un'anima affine. Valeva anche per lei? Aveva avuto modo di intuire di non essere l'unica, la stramba signora con la veletta che era comparsa alla Stamberga Strillante doveva condividere la sua natura; tuttavia, non aveva mai avuto modo di rintracciarla e chiederle spiegazioni, ritrovandosi a gestire tutto da sola. Non aveva fatto un buon lavoro.

La domanda di Eloise la colse in contropiede e per un attimo si chiese stupidamente se tra le sue capacità non vantasse la lettura del pensiero. O forse, si disse, in tutto il tempo trascorso assieme aveva avuto modo di accorgersi di qualcosa.
«Nessuna affinità con gli elementi, temo.» Aveva scosso la testa soffocando una risata amara. L'irrefrenabile spirito di condivisione che l'aveva colta poco prima era sbollito rapidamente alla prospettiva di rivelare alla rossa l'ombra che incombeva su di lei da quel giorno alla Stamberga. Forse, persino da prima.
Aveva abbassato gli occhi sulla mano che ancora teneva intrecciata alla sua. Col pollice disegnò un cerchio leggero sul palmo di lei. *Non voglio dirtelo, non ti piacerebbe. Io non ti piacerei.*
Sorrise del proprio egoismo, della paura che ancora l'attanagliava, eppure sapeva di non potersi tirare indietro. Non più. Non avrebbe osato sperare che Eloise reciprocasse i suoi sentimenti, ma il loro legame di affetto e amicizia permaneva e meritava quella confessione. La ragazza iniziava capire che per ottenere la ricompensa di essere amati, occorreva sottoporsi al calvario dell'essere conosciuti* e affrontare il rischio di essere disprezzati.
«Ricordi quando ti ho detto che avrei potuto portarti alla dimora di Bendigeidfrân, ma che non avrei potuto dirti come facessi a saperlo?» Aspettò che la memoria dell'altra venisse solleticata. «Tu ti sei fidata di me.» Aggiunse, come se fosse la cosa più importante in tutto quel discorso.
«È una specie di sesto senso», avesse avuto un briciolo in meno di autocontrollo si sarebbe messa a ridere sul posto per via dell'eufemismo. «si può dire che l'abbia sempre avuto, o almeno credo, ma da qualche tempo è*peggiorato*più forte.» Come se il sigillo che aveva tenuto a bada quelle capacità fosse stato strappato via dal morso del mannaro e dall'urlo della misteriosa donna con la veletta.
Si strinse nelle spalle, consapevole di non poter indorare la pillola più di tanto. «Pensa ad un'antenna settata su Radio Sventura. Solo che non è sempre ben sintonizzata. E per lo più il segnale è disturbato. E le voci sono incomprensibili e piuttosto deprimenti. E non sai come spegnerla o abbassare il volume.» A dispetto delle migliori intenzioni, era ricorsa ad un briciolo di ironia. La tensione della mano avrebbe tradito la difficoltà che provava, ma tutto sommato doveva ammettere che pronunciare quelle parole ad alta voce aveva un effetto catartico. Solo Sam era a conoscenza della verità mentre Hameeda la intuiva soltanto. Quella, tuttavia, era la prima volta che Niahndra si apriva semplicemente perché voleva invece che per necessità.


* "if we want the rewards of being loved we have to submit to the mortifying ordeal of being known" —Tim Kraider

Edited by Mistake - 21/2/2021, 19:22
 
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Che il tempo stesse cambiando per la primavera imminente era stato appurato, ma che l’aria venisse percorsa da quell’elettricità frizzante da sollevare capelli era del tutto imprevisto. O forse era lei che influenzava il clima più prossimo con quella destabilizzante novità nel modo di relazionarsi a Niahndra. In entrambi i casi, sembrava che il clima volesse sintonizzarsi con quel modo schietto di spingere via le nubi, di vedere il cielo, di sollevare la polvere.
La novità le piaceva e la spaventava al tempo stesso: se ogni superficialità era stata sconfitta, il modo in cui il loro rapporto era evoluto la esponeva più di ogni altra relazione sociale che aveva costruito al di fuori della sua famiglia. Il timore di ricadere nel solito gioco delle parti l’avrebbe spinta ad agire con un tatto sconosciuto e con passi delicati: ricordava ancora con dispiacere l’occasione in cui aveva forzato Amber ad aprirsi con lei, e l’idea di tornare a commettere un errore simile la nauseava. Aveva dimenticato il rispetto per lo spazio personale, aveva travolto con distacco e ironia, e rifare lo stesso errore era un rischio tangibile. Quel filtro che avrebbe dovuto anteporre, quella correzione e maturazione, non andavano contro la sua natura? Era censura, o era crescita? Sarebbe stata la perdita definitiva della spontaneità, o era il nodo da sbrogliare per superare la limitatezza dei rapporti di amicizia?
I cavalloni erano ancora alti, ma continuare a soffiarci su tutte le ipotesi e le possibilità parallele avrebbe causato un nubifragio inutile. Doveva concedersi il tempo di tornare a una dimensione più reale di quell’idilliaca radura nel folto del bosco, e aggrapparsi proprio al fulcro della questione - la spontaneità.
Farlo era più semplice, con una narrazione da portare avanti. I ricordi si intrecciavano alle sue parole, e la trama complessa di un meccanismo entrato in azione da tempo si dipanava davanti ai loro occhi. Dopo una breve pausa nel racconto, in cui si era limitata ad annuire a Niahndra, si avviò alla conclusione, rivolgendo all’amica un inevitabile ghigno provocato dall’apprensione registrata nella sua voce. Valeva la pena correre pericoli e mettere a repentaglio la propria sicurezza, quando in gioco c’era una comprensione del mondo più vera e più completa. Così ragionava Eloise, e non c’era minaccia che le avesse ancora fatto cambiare idea. Nel pieno della sua adolescenza, neanche contemplava la possibilità che la sua esistenza potesse finire: in quei momenti era immortale, la fine non esisteva.
Il volto di Geralt fluttuava davanti ai suoi occhi, l’urgenza del pericolo, il sollievo e la felicità della scoperta. Aveva trovato dentro di sé una verità nuova, in quell’occasione, aveva scoperto di appartenere a una classe: e se era un branco, quello che avrebbe voluto trovare, doveva accettare di fare i conti con la realtà. In quel branco erano solo in due.
Lui è come te.
Il fatto stesso di essere l’unico rappresentante di un insieme più ampio aveva acceso su di lui l’occhio di bue. Il suo era l’unico posto in sala a essere occupato, e lui era la sola fonte di informazioni: era inevitabile sottolineare il legame, e se si sentiva simile a lui era perché non c’erano altri metri di paragone, perché difficilmente c’erano altri capaci di spiegarle la sua stessa natura. Era un’affinità innata ma imprevista, che solo gli eventi accaduti le avevano permesso di scoprire.

Il rilancio della palla era pronto da ben prima che il discorso prendesse la piega plasmata dal vento. Sapeva che Niahndra aveva qualcosa di importante da condividere da molto tempo, e non poteva negare che il baratto di informazioni era tra le ragioni meno nobili che l’avevano motivata ad aprirsi fino a quel punto. Non era mercificazione della conoscenza, ma solo un atteggiamento che le veniva istintivo e naturale, un patto sociale su cui non aveva dovuto indugiare e riflettere: esprimersi con schiettezza avrebbe portato ad altrettanta schiettezza. Era una legge scritta nella loro natura umana.
Non che con la Alistine fosse scontato: schiva di indole, o plasmata a esserlo dagli eventi infelici della sua infanzia, parlava a cuore aperto con una frequenza simile a quella del campionato di Quidditch scolastico. Il suo passato emergeva per aneddoti ironici, che altro non erano che una pennellata accennata che tratteggiava l’esperienza in orfanotrofio con metodica superficialità.
Pur avendo vissuto un’esperienza di vita diametralmente opposta, calda e protetta, Eloise capiva di non dover invadere quello spazio privato, e neanche pretendeva di comprendere al 100% chi fosse Niahndra Alistine. Là dove la Lynch si fidava ciecamente, lanciandosi a cuore aperto e piena speranza, la Alistine titubava e soppesava, diffidava e valutava. Il più delle volte - l’aveva constatato lei stessa poco prima - interpretava le situazioni con un acume preciso e infallibile. Ma nel profondo Eloise si chiedeva se non fosse stata derubata di una spontaneità che altrove sarebbe fiorita serena.
Eppure sembrava essere proprio quello il suo destino: comprendere i fatti prima che fossero accessibili alla gente comune. Osservare e capire era la sua inclinazione naturale, la sua indole, e aveva finito per conquistarsi un'abilità eccezionale in rima.
Gli eventi di Cadair Idris a cui Niah faceva riferimento erano all’origine dei suoi sospetti e delle sue teorie, e trovava difficile supporre che fosse dotata di qualche abilità simile all’Elementalismo, alla luce dello stupore palesato nei confronti della sua dimostrazione. La domanda con cui l'aveva incalzata non era altro che un assist per arrivare al fulcro. «Certo.» Rispose immediatamente per darle conferma di una realtà ovvia. Non c’era forzatura, perché non c’era persona in tutto il castello in cui riponeva maggiore fiducia. E continuò a guardarla, sperando che proseguisse, e non liquidasse la questione con un giocoso Ti sei fidata? Bene, continua farlo.
La faccenda si sovrapponeva parzialmente a una delle teorie che aveva elaborato dal loro ritorno dal Galles, e se in un primo momento le parve una capacità pazzesca, lo scetticismo dell’amica le impartì una certa prudenza. «Ma sembra una cosa utile.» Azzardò prima che concludesse, focalizzata sul bicchiere mezzo pieno. La spiegazione proseguì, e la complessità della faccenda emerse nella sua tridimensionalità.
Certo non doveva essere piacevole dover sentire il peggio di quanto accadeva nel mondo, sicuramente non aiutava il buonumore. «Non dev’essere bello... Ma esisterà qualche modo per esercitarsi a incanalare meglio, per… Migliorare la ricezione, no?» Capiva la ragione di tanti malumori, tanti cipigli preoccupati, tante occhiaie da notte insonne, e quasi provava il bisogno di alleviare quel peso dalle spalle di Niahndra, di prendere un po’ di quelle sventure e lasciarle il lusso di dimenticarsene.
«E come funziona? C’è qualche collegamento con la Divinazione, puoi percepire cose prima che accadano?» Anche se conosceva poco la materia a causa dell’inevitabile pregiudizio radicato nelle sue origini di famiglia purosangue e pragmatica, non le sembrava di aver mai sentito parlare di una Vista (o più un Udito, da come ne parlava Niahndra) così settoriale. Ma era flessibile come l’Aria, e pronta a conoscere qualsiasi realtà incredibile che le si prospettava davanti.
Troppe erano le domande che si affollavano nei suoi pensieri, e dovette mordersi la lingua per non lasciarle scappare. Spazio, Eloise. Lascia che respiri.

Call me the wind in the hole
Blowing my way to the call
I’ll dust up the days 'til I’ve gone every way
No less and I’ve never wanted more
Johnny Flynn - Country Mile


I’ll dust up the days 'til I’ve gone every way


*buon un anno di role :fru:
 
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view post Posted on 25/4/2021, 22:23
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Sometimes I can feel my bones straining under the weight of all the lives I'm not living.

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Aveva dischiuso anche quella seconda verità volontariamente, illudendosi forse di poterne controllare la narrativa in qualche modo. Come se verbalizzarla potesse aiutarla a proiettarla all'esterno e trattarla come un corpo estraneo a sé, punzecchiarla e smembrarla per analizzarla in maniera obiettiva. Come se una volta restituita al mondo, la verità avesse smesso di avere controllo su di lei.
Improvvisamente spogliata di una parte dell'armatura, invece, Niahndra emise un brusco respiro; era un nervo scoperto sensibile al bacio pungente dell'aria aperta.
Sputare fuori la verità, renderla argomento di conversazione, significava permettere a qualcun altro di intrudere in qualche modo.
Quando il primo moto di fastidio le corse lungo la schiena, Niahndra si sforzò di tenere a mente che Eloise era guidata dalle migliori intenzioni e che indagare e punzecchiare le novità era il suo modo di approcciarsi al mondo. Un'attitudine che in circostanze diverse avrebbe —e di fatto aveva— trovato affascinante, ma che adesso percepiva ingiustamente come un attacco alla sua persona. Era soltanto naturale che la Lynch si ponesse le sue stesse domande, intenzionata a trarre il meglio dalla situazione con la fresca disinvoltura di chi non è coinvolto personalmente e desidera essere d'aiuto.
Senza che potesse impedirlo, Niahndra registrò il proprio corpo fare un mezzo passo indietro —non abbastanza per chiudersi definitivamente a riccio, ma sufficiente a tradirsi. Distolse di nuovo lo sguardo in imbarazzo per quella dimostrazione emotiva e accennò un risolino a mo' di scuse mentre sfilava la propria mano da quella di Eloise.
Si grattò il sopracciglio prima di parlare. «Non saprei da dove cominciare per controllarlo. Non sono neanche sicura che sia possibile.» Ora che cominciava a tornare padrona di sé s'azzardò a riallacciare lo sguardo a quello della ragazza. «Devo ancora capire cosa è successo a Cadair Idris, ma detto tra me e te è stato più un miracolo che altro.» In qualche modo, imprevedibilmente, era riuscita ad aprire un canale di comunicazione con la foresta che aveva finito col salvare loro la pelle.
Scosse la testa. «Di solito è così tanto tutto insieme e così confuso che non riesco a fare niente se non aspettare che passi.» E sperare che rimanga qualcosa di me.
La domanda sulla divinazione la distrasse. Meditabonda Niahndra inclinò la testa soppesando la propria risposta. Di sicuro c'erano delle affinità, si disse, e alle lezioni scolastiche si affiancarono ricordi di Hameeda e delle sue pratiche.
«Hai presente quella lezione della McLinder in cui abbiamo discusso della connessione che esiste tra astronomia e divinazione e di come alcuni punti geografici in terra siano allineati in modo da riflettere questa cosa?» Per quanto amasse le parole, capitava che avesse difficoltà ad esprimere i concetti che le frullavano nella testa, specie perché il più delle volte pensava per immagini o percezioni incompiute. Perciò spesso rinunciava in partenza alla prospettiva di farsi comprendere. Quando invece decideva che ne valeva la pena allora faceva di tutto per trovare una base di conoscenza comune e costruire un percorso congiunto. «Io il mondo me lo immagino così, percorso da chilometri e chilometri di linee energetiche che si intrecciano a formare una rete di conduzione. A volte queste linee trasmettono suoni a centinaia di chilometri e decine di anni da dove sono stati uditi per la prima volta. Una propagazione radio imprevedibile in cui quasi ogni cosa lungo la linea potrebbe fungere da ricevitore. Inclusa me, suppongo.»
Deglutì a forza e scrollò le spalle, impedendosi di interrompere il contatto visivo o chiudersi definitivamente. Pronunciare ad alta voce quelle parole, tentare di spiegare una parte di sé che ancora sentiva ruvida e dolente —nonché intima e privata— le sarebbe parsa normalmente una violenza insopportabile. Ma c'era qualcosa in Eloise, nel sentire il calore irradiato dalla sua pelle, che le faceva soltanto desiderare di mettersi a nudo e farsi conoscere.
«La propagazione è continua, solo che a volte per un motivo o per un altro è più facile captare una voce o un suono. Non sono sicura che le pratiche divinatorie siano applicabili in questo caso, forse sono strumenti diversi che indagano il medesimo fenomeno. Di solito però è difficile distinguere le cose che sono state da quelle che devono ancora accadere.»
Un respiro, il battito del cuore accelerato. «E non sono del tutto sicura di volerlo sapere.» Ecco, l'aveva detto. L'ultima affermazione uscì con voce sottile, ma bordata di una vena di ostinazione che voleva sfidare Eloise a contraddirla o rimproverarla per quella mancanza di responsabilità. Dopotutto, era davvero da biasimare il suo tentativo di rifuggire gli echi e i ritorni che le giungevano alle orecchie se le mostravano incubi orrendi?
«Pensi che sia pazza?» Le rivolse un'occhiata inquieta da sotto le ciglia folte, incerta persino della propria risposta.


Avevamo un po' di roba on gdr da smaltire, eh? :ihih:

Edited by Mistake - 26/4/2021, 10:00
 
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view post Posted on 25/5/2021, 20:28
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Al soffiare del vento sulle nubi, la nebbia densa si dissipava, lasciando che il paesaggio tornasse ai suoi contrasti originari, alle luci intense, alle ombre scure. Ma se anche il vento si sapeva sbarazzare della foschia, doveva mantenersi tenue perché il paesaggio non venisse sconvolto dal suo intervento: foglie e petali, così, restavano al loro posto, ondeggiando gentilmente al ritmo della brezza. Così Eloise orientava la sua interazione con Niahndra, solleticando le chiome dei suoi alberi senza travolgere e spazzare, senza invadere gli spazi, senza monopolizzare con modi impetuosi. La fretta di conoscere veniva attenuata dalla ricchezza dei dettagli che le venivano offerti, e solo lasciando le parole ad aleggiare a mezz’aria, a riempire quello spazio in mezzo a loro, avrebbe potuto leggere il loro significato profondo.
Lasciò a Niah il suo passo indietro, permettendole di scivolare via e concludendo di non essere l’unica inafferrabile, lì in mezzo. Era stranamente in pace, Eloise, ma era anche la prima volta in cui aveva accesso alla porzione di anima di qualcuno. Il solo fatto di sapere di essersi meritata quella fiducia la acquietava e responsabilizzava, instillandole la volontà netta di ascoltare con attenzione, di mettere in pausa pensieri, giudizi e valutazioni, e lasciare che fosse la voce altrui a riempire la sua mente. I metri ordinari per valutare le persone e le situazioni - buono e cattivo, dannoso e vantaggioso, simpatico e antipatico - erano misure sconvenienti, ma rappresentavano un buon punto di partenza. «Un miracolo è una definizione decisamente positiva» La incalzò, enfatizzando il chiaroscuro attorno alla misteriosa abilità di Niah. Per lei il bicchiere era sempre mezzo pieno - spesso di liquore di Gladys - e nel loro gioco delle parti aveva scelto di rivestire il ruolo dell’ottimismo. «E infatti la tua premonizione ci ha portati precisamente dove dovevamo andare.» La lasciò proseguire, chiudendo la bocca e aprendo le orecchie.
Se la definizione della sua stessa abilità le sfuggiva - eccezion fatta per il nome Elementalismo - difficilmente avrebbe potuto inquadrare con chiarezza qualcosa di cui non era protagonista diretta. Ma fece uno sforzo, ritrovando nel parallelismo della radio la metafora con cui aveva compreso il suo contatto con l’Aria. L’aveva chiamato canale di comunicazione, di cui l’Aria era l’emittente e lei il ricevitore; aveva compreso che si fondava su un medium parallelo alla realtà conosciuta, che i ricettori erano sensi diversi dagli ordinari, e che lei, per ora, non poteva controllarne il funzionamento. Non le sembrava così diverso da quanto stava dicendo Niah: era come se fosse diventata capace di cogliere frequenze diverse dal normale, come se il suo udito si fosse sviluppato per quel genere di segnali. Erano suoni, ed erano incostanti e incontrollabili, capaci di sopraffarla con il loro impatto: messa così, le sembrava una faccenda un po’ diversa dalla Divinazione, se non per il fatto che la Alistine era un po’ come una Stonehenge durante un Solstizio d’Estate. Ma se lei era la radio, qual era l’antenna, la sorgente? Se per lei stava nel fulcro dell’Aria, per Niah poteva trattarsi dell’essenza della Sfiga?
Socchiuse gli occhi quando dal discorso emerse che in quei segnali potevano esserci echi del passato. Da un lato, la storia del mondo era talmente antica che c’era materiale da far impazzire chiunque in uno schiocco di dita, e dall’altro c’era la vastità di conoscenza a cui le orecchie della Alistine potevano attingere. Dovevano essere stati proprio quegli echi a condurla nel luogo giusto, a scovare la storia di Tosca e dei suoi alberi.
Lo sguardo tormentato dell’amica era eloquente. Eloise prese la parola dopo un momento di silenzio, dopo aver soppesato le sue possibilità. «Penso che tu sia spaventata.» Anche se la domanda si riferiva al fenomeno che la vedeva coinvolta, al sentire le voci, aveva deciso di spostare la riflessione su un piano meno neutro. E aveva optato per la schiettezza: conosceva la Niah dura, forte e diretta - quella che in un primo tempo aveva creduto l’unica Niah - ma aveva imparato a riconoscere le timide apparizioni di incertezze, di emozioni, di dubbi e sensibilità. E un’abilità come la sua non poteva lasciare impassibile neanche un troll. «Essere invasi nell’intimità della propria mente senza averne alcun controllo è un’esperienza dannosa, soprattutto se a invaderla sono segnali di disperazione, o richieste di aiuto.» Quanto ci si doveva sentire impotenti, poi, a sapere delle sventure altrui, ma senza avere idea di come intervenire? E senza poter chiudere le comunicazioni? «Ma se è stato un aiuto prezioso quando non avevi la minima idea di come usarlo, chissà cosa potrà fare quando avrai imparato a padroneggiarlo.» Non c’era spazio per i se: era certa che le abilità di Niah avesse la forza di imparare a convinverci. Sempre che volesse farlo.
«Se ti venisse data la possibilità di rinunciare a questa… Abilità, di non saperne più nulla a partire da domani, di ritornare alla vita di prima… Tu accetteresti?»

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Edizione on-game di “What would your character do?”

 
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