I Dugbog risultavano innocenti, almeno all'apparenza. Creature somiglianti a coccodrilli in miniatura, gli occhietti pronti a guizzare verso le prede più vicine in un lampo d'acciaio; pelle di corteccia, più legno che carne vera e propria, con un corpicino tanto lesto in acqua - soprattutto in zone di palude - da non lasciare scampo. Non rappresentavano un incontro nuovo, non per Elizabeth. I piccoli, fastidiosissimi morsetti alle gambe e alle caviglie di poco prima lasciavano intendere tutt'altro, pizzicando ora a mo' di avvisaglia: presto, infatti, si aggiunse il ticchettio sinistro delle zanne aguzze delle bestie del lago, tutte risvegliatesi dal torpore degli ultimi tempi. Il Ministero della Magia non aveva mai considerato i Dugbog estremamente pericolosi, eppure... i più avrebbero rapidamente cambiato opinione, alla presenza di un nutrito drappello degli stessi. Uno, due, tre, si staccarono velocemente dalle piattaforme d'alghe e di ferro tutt'intorno, scattando in più direzioni - un mulinello di bollicine d'acqua, i riflessi ramati delle creature come vessilli di battaglia. Bartold, poveretto, non ebbe fortuna, non all'esordio. I Dugbog, così numerosi, gli si avvinghiarono con una frenesia che lasciava di stucco: il lago, oltre ad essere impreparato ad accogliere i giocatori, non offriva granché come alimentazione? Morsi, graffi, squarci più insistenti, Bartold tentò invano di respingere gli assalitori, un po' con l'ausilio di braccia e gamba, un po' con colpi di manico di scopa sulle loro testoline. Non riuscì ad impugnare efficientemente la bacchetta magica, al contrario il volo stesso - nell'accezione atipica dell'ambiente, sott'acqua - gli si ritorse contro nella perdita dell'equilibrio. Il grido, benché ovattato, squillò come campanello d'allarme, un'onda che giunse a stridere oltre i confini di Delta delle Acque.
Elizabeth aveva ragione, difficilmente avrebbe potuto aiutare in prima linea - fisicamente - il collega. Il nugolo di Dugbog si era esteso a vista d'occhio, in modo vertiginoso: le loro zanne risuonavano come una promessa verso uno e più angoli, l'acqua stessa vorticava come in estasi. Malgrado velocissime, le scope avrebbero impiegato troppo per giungere a destinazione. Pochi metri, una scena disarmante. La prima statua s'animò in un sortilegio d'eccezione, il Kelpie di roccia si districò rapidamente dal sonno stesso, in un movimento caotico degli zoccoli davanti che tanto ricordavano un cavallo vero e proprio. Partì al galoppo, inseguito in pochi istanti da una scultura dopo l'altra, una schiera di Kelpie come soldati all'avventura. In prima linea, in avanzata, nuotarono come privi d'ogni resistenza, il peso della roccia favorito dalla magia in atto di Elizabeth. Realizzarono un bastimento, i giunchi delle criniere volteggianti oltre il velo d'acqua. S'abbatterono insieme contro i Dugbog, in colpi fuorvianti di code di pesce, di zoccoli di cavallo e di... testate, senza alcun dubbio. L'acqua si tinse, maldestramente, di gocce vermiglie, alcune più scure delle altre, e non divenne chiarissimo - non subito - se per opera delle ferite dei Dugbog oppure di Bartold, oramai già finito. Parve sollevarsi un breve maremoto, la forza dello scontro portò via numerosi Dugbog, alcuni schizzati in fretta e furia contro Elizabeth. Come ultimo atto di vendetta, in effetti, scorticarono lembi di pelle (-10 PS -7 PC) della strega, nella morsa di denti aguzzi e di dita pensili finché non si rintanarono altrove. Una nube polverosa, di alghe, corteccia, infine schegge di rocce (qualche Kelpie era stato morso a sua volta, privo naturalmente di ogni dolore). Ben presto non restò che qualche Dugbog, minacciato tuttavia dallo sguardo di pietra dei combattenti. Delta delle Acque rispondeva all'appello, e così Bartold.
«'appa via 'ubito, è REA'E» gridò, d'un tratto, come un folle. La voce, a stento distinguibile, si mescolò alle bolle d'aria in crescendo, in una stilla di tensione tanto estrema da far accapponare la pelle. Eppure era lui, a riprova che stesse bene o che, perlomeno, fosse ancora vivo. Cos'era, allora, che tentava di comunicare? L'acqua s'increspò di un'energia singolare, l'idea di un vortice che trascinava verso i fondali. Perfino Elizabeth, tuttora distante, poté accorgersi del cambiamento in corso: la scopa stessa volse il manico verso il basso, come in una pressione costante. Bartold, che non aveva smesso di gridare, zampillò oltre la nube finalmente in dissolvenza. Sembrò circondarsi di Kelpie, una statua e un'altra, tutte in attesa di ulteriori comandi. Alcune, come stanche, già tornavano alle postazioni iniziali, disperdendosi dal sortilegio che le aveva animate. C'era una, poi, tanto vivida: galoppava velocissima, la criniera esplosiva di verde smeraldo e di tinte ramate, giunchi intrecciati tra loro in modo impressionante. Occhi di perla, luminosi e vivi, indugiavano in lungo e in largo, come in caccia verso i fondali; gli zoccoli davanti sfidavano le onde, la coda anteriore si contorceva priva d'ogni ostacolo. Si muoveva a scatti fulminei, come a voler togliersi di dosso...
«Kel'ie ver'oo» Nell'ultimo avviso, si ritrovò finalmente lo stesso Bartold. Non aveva più la scopa, anzi risultava avvinghiato alla statua animata per via di una treccia d'alghe lungo il torace. Si notavano i suoi sforzi, tuttavia vani, di sfilarsi via i filamenti d'erba e liberarsi. C'era da chiedersi perché, allora, la statua avesse colpito anche lui. Appena più vicina, divenne evidente: il Kelpie che aveva intrappolato Bartold non era una statua. Il tempo di un battito di ciglia, prima che trascinasse la vittima verso i fondali.