In the memory of living
is placed the life of the Dead.
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La mano, libera dalla morsa, ha un tremito. La stringe, onde evitare che accada l'irrimediabile: le dita si avvicinano a quel volto tanto fragile, lo liberano dalla ciocca, le lisciano la guancia cancellando via gocce di dolore.
Non lo fa, si trattiene e s'abbandona alla presa di lei mentre gli occhi fissano le labbra aride come in attesa che il nome appena pronunciato possa svelare una verità ancora più profonda.
La frustrazione affonda il colpo, Emily lo incassa con elegante rassegnazione: non conosce alcun Wymond, non sa della sua esistenza così come di chiunque faccia-- Faceva parte della famiglia di sua madre.
Come sarebbe stato poterle parlare senza il rumore del cuore in pezzi che imperversa? Il suono eterno del ricordo, della consapevolezza che non c'è tempo e che, molto probabilmente, mai ce ne sarà per loro.
I macchinari vorrebbero la sua attenzione ma la Serpina non ha occhi che per Lilian.
Oh, come vorrebbe che la guardasse. Sua madre le somigliava? Anche Louisa si mordeva le labbra quando era tesa? Il suono della loro risata era simile? Sorrideva spesso - aveva spesso immaginato - al contrario di lei.
Alcuno di questi pensieri fa capolino nella sua mente, spazzati via dall'eco del nome appena udito e dal battito che cala di colpo
... 60..59..65...Socchiude appena gli occhi. Ha imparato a gestire la sua natura, le visioni e tutto ciò che l'inquietudine di essere
appena un essere umano comporta. Sa che i suoni hanno un valore, così come la superficie dell'acqua rischiarata dal bagliore lunare.
Si concentra sul battito, tenta la sorte. Il presente, il passato e il futuro si mescolano, sì, ma lei può porvi rimedio, no? Viaggiare nel tempo, aprire scorci nella vita degli altri, persino prevederne il futuro imminente.
«Non... Lulu.. non farla nascere..»Colpita in pieno. Al punto che non sa più distinguere quale dei due cuori abbia perso un battito.
Non avrebbe dovuto nascere.
Ha ragione.
«Hai ragione. Non deve.», mormora appena ed espira sommessamente, per evitare che, questa volta, sia la sua piccola mano a stringersi in quella della zia.
«Sono qui», aggiunge poi, con una calma che non le appartiene, concentrandosi sul tocco della pelle di lei. Gli occhi scivolano sulla ciocca che squarcia il viso. Le pulsazioni irregolari fanno da contorno così come il respiro inerte.
La preghiera non è plausibilmente rivolta a lei, Emily non può saperlo ma comunque
è lì e non ha intenzione di lasciarla andare,
non così.
«Sono qui» ripete a voce così bassa che le labbra a stento si toccano,
«Dallo a me».
Il dolore. Il fardello. Il rimpianto. Il sacrilegio.
Ascolta il suo cuore. Riscalda la sua pelle. Chiude gli occhi.