Aveva da poco consegnato la lettera all’infermiera, che presumibilmente non aveva nemmeno fatto in tempo a leggerla tutta, quando una voce si fece largo tra la confusione e le raggiunse.
- Signorina!...Aehm…Write? –
Un uomo alto si stava muovendo verso di loro, sventolando la mano.
Si stava rivolgendo a lei? Che fosse lui il Direttore del San Mungo?
- Ehm, Read forse? Cercava me? -
Jane rimase interdetta, non tanto per il nome errato che non era chissà quale errore, quanto per l’uomo che si trovava davanti a lei.
Cercò immediatamente di nascondere la leggera sorpresa che sicuramente le si poteva leggere in volto: si aspettava una persona.. più anziana, di sicuro, invece a parlare era stato un uomo abbastanza giovane, che molto probabilmente non arrivava ai quarant’anni.
- Venga, venga. Lasci perdere l’infermiera, qui oggi è un trambusto -
Sì, si stava chiaramente rivolgendo a lei e di conseguenza non poteva che essere Paul Dwight, il Medimago a capo del San Mungo.
La donna le riconsegnò la pergamena e se ne andò, congedandosi con un lieve cenno del capo e senza proferire parola: sicuramente la professionalità rientrava tra le sue qualità.
Jane non riuscì a salutare o a dire altro, perché subito l’uomo la invitò a seguirlo nel suo ufficio: senza aspettare una sua risposta, si era già incamminato.
La ragazza si mosse e accelerò il passo, seguendolo lungo un corridoio piccolo e illuminato freddamente.
Cercò di concentrarsi sull’alta e magra figura davanti a sé, un po’ per tenere a freno la curiosità – la tentazione di guardarsi in giro e magari sbirciare dentro una stanza per vedere cosa stesse accadendo era davvero forte – e un po’ per cercare di non badare all’ansia che sentiva salire lentamente lungo il suo esofago, mentre una pietra sembrava essersi posata sul suo stomaco.
Fece un piccolo respiro profondo, alla ricerca di un po’ di calma e di coraggio: si accorse di aver incrociato le braccia, quindi si sforzò di abbassarle e lasciarle stese lungo i fianchi.
Era il suo primo colloquio di lavoro, non sapeva cosa aspettarsi e soprattutto non era certa di essere all’altezza di quel posto.
Poco meno di un minuto, e si fermarono davanti ad una porta di legno scuro.
- Prego, prego –
Il Medimago aprì la porta e con la mano sinistra accompagnò il suo invito ad entrare.
La ragazza mise piede nell’ufficio e si perse per alcuni attimi a guardarsi intorno: di nuovo, era sorpresa.
Si aspettava un luogo luminoso e formale, come l’ufficio del predecessore che aveva avuto modo di visitare anni prima, quando era stata ricoverata.
Eppure, Paul Dwight continuava a smentire i suoi preconcetti.
Pesanti tende scure coprivano l’unica finestra, rendendo l’ambiente poco illuminato: davanti a lei, una scrivania in legno scuro; adagiata sopra di essa una pianta di margherite, il bianco dei petali in contrasto con il cupo arredo circostante. Due semplici sedie, identiche, una per lato, andavano a completare la postazione.
Accanto alla finestra, un armadio alto, sulla cima del quale troneggiavano ampolle e bottigliette: presenza costante anche sul resto delle credenze e degli scaffali che arredavano l’ufficio.
C’erano talmente tante bottiglie, alambicchi, ampolle, strumenti e scatole che sembrava quasi di soffocare: in quella confusione però, Jane notò un’assenza per lei inconcepibile. I libri. Mancavano i libri. Com’era possibile che un Medimago non avesse nemmeno un libro pronto ad essere consultato? Era talmente bravo che non ne aveva bisogno?
In un angolo c’era un piccolo lettino, scomodo ad una prima occhiata; il camino era spento, alcune pergamene accartocciate sulla sua base. Il camice da Medimago, perfettamente stirato, era appeso sotto un orologio, che era fermo.
C’era confusione, certo, eppure.. era tutto perfettamente pulito. Non si poteva rilevare nemmeno il più minuscolo granello di polvere.
Se la madre adottiva di Jane fosse stata lì, sicuramente avrebbe chiesto a Paul Dwight quale fosse il suo segreto.
Jane cercò di distogliere l’attenzione dal quel piccolo tour della stanza, spostando lo sguardo su colui che stava per sottoporla al colloquio: dopo essersi chiuso la porta alle spalle, il mago si era diretto alla scrivania, ma invece di accomodarsi su una delle due sedie si era appoggiato al tavolo, rimanendo in piedi e osservandola. Non riuscì a capire se fosse una mossa per cercare di metterla a proprio agio o se semplicemente fosse il normale atteggiamento dell’uomo.
Però forse era il caso di dire qualcosa.
Jane deglutì, cercando di ignorare la bocca che improvvisamente era asciutta come il deserto.
- Buongiorno dottore, sono Jane Read. La ringrazio per avermi dato la possibilità di avere un colloquio con lei. -
Aprì la borsa, infilando la lettera di convocazione che ancora teneva nella mano sinistra, ed estrasse una cartellina blu scuro: fece un paio di passi in direzione dell’uomo, porgendogliela.
- Questo è il mio curriculum: essendo alla mia prima esperienza lavorativa, al suo interno troverà principalmente il resoconto della mia carriera scolastica. -
Sperando che non si concentrasse troppo su alcuni dei suoi voti, Jane approfittò del gesto per osservare meglio il Medimago.
Oltre alla sua giovane età, il primo dettaglio che notò furono i capelli: lunghi fino al mento, biondo cenere, coprivano parte del volto, quasi a cercare di nascondere una cicatrice profonda che occupava parte della fronte e lo zigomo sinistro.
Jane cercò di non fissare quella particolarità, temendo di apparire maleducata, mentre la più ovvia delle domande faceva capolino nella sua mente. Chissà come se l’era procurata. E chissà quante persone glielo chiedevano ogni giorno: probabilmente era anche stufo di sentirsi chiedere sempre la stessa cosa.
Non era l’aspetto fisico quello che le interessava e che al momento doveva coinvolgere la sua attenzione: desiderava quel lavoro, voleva meritarselo.
Voleva che il colloquio andasse bene, quindi doveva smetterla di perdersi ad osservare ogni oggetto o persona nelle vicinanze. Per una volta, doveva lasciare alle spalle la sua curiosità e le sue mille domande e concentrarsi sul presente.