Dormitorio Grifondoro N2, 12.00 am
Questa volta sarà diverso, si era detto. Non vi avrebbe dato peso, non avrebbe considerato la presenza o meno dei regali, non avrebbe neanche atteso un solo istante i messaggi di auguri cui sapeva di tenere in ogni caso; avrebbe fatto finta di niente, non poteva essere così difficile. Un giorno come un altro, il quindici di Maggio. Si era svegliato di buona leva, come al solito, e aveva invitato un paio di concasati ad occupare per primi il bagno del dormitorio condiviso; un gesto gentile, accompagnato da un sorriso forse un pizzico forzato. Quando nessuno dei due aveva avuto l'ardire di sussurrare almeno un misero, banale "buon compleanno", aveva sentito il cuore spazientirsi in un fremito improvviso. Al terzo concasato che gli aveva chiesto la precedenza alla toilette, aveva semplicemente scoccato un'occhiata in tralice, e altrettanto in silenzio si era ritirato nella stanzetta prima che l'altro potesse aprire nuovamente bocca. Venti minuti dopo, era pronto per la giornata, e con un leggero profumo di biancospino sul collo e sui polsi, sentiva di poter conquistare il miglior autocontrollo. Passando accanto il proprio letto e il comodino, aveva trovato la classica, solita pergamena di sua zia Brigitte, e subito dopo quella dei suoi genitori. C'era anche un bigliettino del signor Harvey, e tanto bastava - si era convinto - per rallegrarsi. Aveva abbandonato la Sala Comune Grifondoro come in una mattina qualsiasi: un cenno di saluto alla cornice della Signora Grassa, un complimento educato per il nuovo smoking traslucido di Ser Nicholas, aveva perfino lanciato un sorriso di sbieco al perfido Dippet, lì al centro del pianoterra.
«Orribilmente poco raggiante, Brior.»*E che le fiamme del camino possano bruciarti, Armando*
Il commento stizzito, ne era sicuro, era stato piuttosto solitario. Di lì in poi, non c'era stato nulla di sorprendentemente rimarcabile. Le prime lezioni del giorno - tra l'Aula di Rune Antiche e quella di Storia della Magia - gli avevano tuttavia permesso di indugiare su un aspetto fuorviante: al tavolo rosso-oro, in Sala Grande, la colazione non gli era mai sembrata così vergognosamente silenziosa. I suoi concasati erano stati tranquillamente indaffarati, neanche la scena di lotta improvvisata tra due amici - con tanto di salsicciotti impugnati da forchette a mo' di spada - aveva potuto spingerlo ad un sorriso. Piuttosto taciturno per i suoi gusti, aveva prestato sufficiente attenzione alle lezioni soltanto per dovere scolastico, e così era rientrato in dormitorio, mentre tutti gli altri già si dirigevano al pranzo. Non aveva fame, e più rimuginava sulle proprie sensazioni, più si accorgeva di essere fastidiosamente spazientito. Si era ritirato nelle sue stanze, da solo, e aveva lasciato alla magia il compito di un sollievo - il migliore, il più rapido, forse anche il più semplice. Quando si accorse di Penny, era già trascorsa mezz'ora. Un mulinello di cristalli di ghiaccio e fiocchi di neve era tutto quello che gli restava, governato dal lento, pigro movimento circolare della sua bacchetta magica; le tende drappeggiate di vermiglio e ocra si riflettevano sulla brina come in un caleidoscopio, e se la temperatura dell'intera camerata non fosse scesa così vertiginosamente, la scena di per sé sarebbe stata incantevole. Indossava un cappotto invernale, perfettamente in contrasto con la giornata primaverile all'esterno, e quando la voce di Penny lo raggiunse, Oliver non poté fare a meno di sussultare.
«Lo sai che ci sono meno trenta gradi, vero?»Per tutta risposta, da parte propria calò semplicemente il cappuccio sul capo; un gesto veloce, di scatto, nascondendo il volto. Sentiva il nervosismo a fior di pelle, e non avrebbe neanche saputo spiegarsi il motivo. Più che l'assenza di partecipazione ad un giorno che riteneva speciale, quello che continuava a ferire - e non avrebbe potuto fare a meno di comprenderlo così pienamente - era l'indifferenza degli altri nei suoi confronti. Era sempre stato presente, sempre in prima linea, e non sentiva di aver mai peccato di empatia verso il prossimo. Avrebbe voluto lasciar perdere, avrebbe voluto davvero. Aveva avuto dimostrazione peggiore l'Estate precedente, si era detto. Un singolo giorno, anche se quello del proprio compleanno, non avrebbe potuto colpirlo più dell'assenza per tre lunghi mesi di degenza, non avrebbe retto affatto il confronto. Ma tra la consapevolezza e l'emotività, lì si esprimeva una voragine più grande del tornado di ghiaccio che aveva evocato. Penny prese posto sul letto di fronte al proprio, stringendosi nella divisa scolastica, e quando parve pronto ad aprire bocca, l'Incantesimo del Caposcuola guizzò di un potenziale maggiore: la neve stava aumentando, e cominciava a coprire il pavimento della camerata. Si crogiolò nella bellezza vendicativa del suo sortilegio, soprattutto al brivido improvviso e più continuo sul corpo dell'amico, lì vicino. Quando il Gufo di Casey Bell piombò nel dormitorio, Penny fu il primo ad accorgersene e colse la palla al balzo, recuperando la missiva. Oliver aveva riconosciuto il piccolo Marcabrù, e per un attimo sospese la magia elementale in un'ultima giravolta; forse qualcuno non aveva dimenticato, e se fosse stata il suo Prefetto, allora tanto di cappello. Chiese tacitamente al compagno di leggere per lui, un cenno del mento e via. Le parole della concasata lo colpirono come un fulmine a ciel sereno, e fu troppo sbigottito per pensare che fosse un brutto, infido scherzo del giorno.
«Ahia, guai in vista con il Preside.»Un'occhiata in tralice, il cuore in gola, infine lo scatto della destra sulla bacchetta. Il tormento di neve, ghiaccio e cristalli di brina si abbatté sul povero Penny come un tornado in piena, e le sue grida di protesta e di dolore apparvero ad Oliver come l'armonia di una dolce corda di violino.
Cancelli di Hogwarts, 16.10 pm
Camminava a passo spedito, la bocca tirata in una smorfia che a stento celava lo scetticismo e la rabbia del momento; un conto era ignorare il suo compleanno, poteva soprassedere andando contro ogni sua comprensione, ma un altro conto era organizzare un incontro per discutere dell'andamento della Casata Grifondoro. Non aveva neanche apprezzato il fatto che il Preside avesse contattato Casey e non lui per quella ramanzina, così gli era stato comunicato e superficialmente, sovrappensiero e innervosito com'era dal mattino, non aveva creduto neanche per un istante che potesse essere una notizia falsa. Il suo Prefetto non avrebbe avuto motivo di mentire, ma in parte Oliver iniziava ad essere risentito anche nei suoi riguardi. Odiava con tutto se stesso dover spingersi oltre i confini del Castello di Hogwarts, e si chiedeva per quale assurda, malefica decisione Casey Bell avesse optato per un incontro
al di fuori, ai Tre Manici di Scopa. Si aspettava di condividere una Burrobirra insieme, dopo aver ascoltato le critiche su Grifondoro? E poi, per l'amor di Godric,
quali critiche potevano mai esserci: la Casata non era mai stata così fiorente, avevano vinto di recente ben due Coppe in successione, gli allenamenti procedevano nel migliore dei modi, l'andamento sembrava sicuro e ben cadenzato, un ritmo che lo stesso Oliver aveva accolto con il fervore più vivido. Non erano neanche così lontani in classifica, la ripresa poteva essere perfettamente auspicabile, e l'occhiata che aveva dato alle clessidre in Sala Grande - quel mattino, a colazione - gli aveva fatto ben sperare: i rubini scintillavano anche tra i suoi pensieri, in quel momento. Più procedeva, tuttavia, e più si accorgeva di non aver ancora calmato il proprio animo, e non gli capitava da moltissimo tempo; calpestava l'erba smeraldina dei giardini scolastici con tutto il peso del corpo, spostandosi con una frenesia che poco gli s'addiceva.
Alle sue spalle, sentiva il respiro affannato di Penny e Timothy, entrambi troppo scossi dall'atipico comportamento del loro Caposcuola per poter aggiungere qualcosa; avevano capito che qualcosa non stesse andando come da programma, e l'uno dei due aveva anche letto la pergamena di Casey. Perché lo stessero seguendo, tuttavia, restava un mistero. Quando arrivò ai Cancelli, Penny spiccò uno slancio in avanti e parlò con un tono divertito.
«Hey Brior, in Sala Comune dicono ci siano dei preparativi per-»«Senti un po', Penny.» Si fermò di scatto, il piede sinistro a schiacciare completamente una campanula gialla, sul pendio in discesa. La bacchetta magica già era rivolta al petto del concasato, mentre poco più indietro il piccolo Timothy sembrava nascondersi con la schiena del più grande.
«Nessuno si è ricordato di questo giorno, neanche tu. "Oh Brior, siamo conosciuti come grandi organizzatori di feste", non avevi detto così? Invece un bubotubero. Quindi tornatene ad Hogwarts e lasciami in pace.»Un silenzio discreto, la tensione palpabile. Alla fine, Penny indietreggiò di un passo. Era vero, nessuno di loro aveva pensato a quel compleanno: non che si aspettasse chissà cosa, ma una frase di auguri, quella non sarebbe stata chissà quanto fuori luogo. Tutto quello che aveva ricevuto dalle persone a lui più care altro non era stato che una Strillettera, da parte di Casey.
Una Strillettera. Riprese il cammino, in fretta, e l'ultima cosa che sentì fu il commento di Penny.
«Bene, hai ragione. Ma ti prego, rivedi il tuo linguaggio, un bubotubero fa ridere anche i nargilli.»«E allora vaffanculo, Penny. Vaffanculo.»Touché. Enchanté. Era troppo anche per lui.
Tre Manici di Scopa, 16.30 pm
Al di là dei Confini di Hogwarts, sentì il cuore spezzarsi sotto un peso più grande di lui; aveva già litigato con Penny, e con altre persone, ma non avrebbe mai potuto dire di esserne così abituato. In più, lo comprendeva sempre più nitidamente, non avrebbe mai voluto essere condizionato in quel modo: a dispetto del galateo, delle norme che sua nonna gli aveva insegnato da bambino, dell'educazione così sferzante, l'emotività che scorreva nelle sue vene non poteva essere cancellata, e nell'ultimo periodo Oliver aveva sempre più difficoltà a tenerla a bada. Quello che aveva vissuto non era cosa da poco, e l'esperienza mutava in memorie infrante, in rimorso, in una scintilla di nostalgia, e malinconia, e tutto vibrava di un dolore ben più profondo. Ne era scosso, pienamente, da cima a fondo, e mai avrebbe creduto di arrivare ad esserne compromesso. Sentì gli occhi bruciare, i denti stridere e la bocca tirarsi all'interno, mentre si mordeva il labbro superiore. Si nascose a passo rapido alla prima curva del sentiero che si snocciolava fino al Villaggio di Hogsmeade, e si assicurò che alle sue spalle non giungesse nessuno - per un attimo, soltanto un attimo, aveva sperato di rivedere Penny. Indugiò sui proprio pensieri, comprese di essere visibilmente scosso, e ferito. Non era il compleanno in sé, non lo era. L'indifferenza, l'assenza, la lontananza, tutto quello tornava di tanto in tanto a fare breccia: il volto di Aquileia, quello di Valéry, quello di Helen, tutti e tre apparvero come colpi veri e propri, e ciascuno non gli era mai sembrato così nitido. Non aveva più loro notizie, ormai da mesi, e non aveva idea se stessero bene, se fossero preoccupati, se magari avessero rivolto qualche pensiero a lui, come Oliver faceva più e più volte. Dov'erano finiti, perché erano scomparsi, tutto non aveva senso; neanche le Visioni avevano potuto tracciare confini, non c'era Futuro. Si ritrovò accanto ad una parete di mattoni, il corpo leggermente piegato su se stesso, e perfino la giacca elegante che aveva indossato - di un dolce, leggero colore tendente al violetto - non riuscì a trasmettere quella sicurezza che di solito ritrovava negli abiti del genere. Modulò così il respiro, chiuse gli occhi un paio di volte, e alla fine allontanò la malinconia dei giorni trascorsi; c'era molto altro ad attenderlo, lo sentiva, e in parte - si disse - riusciva a scorgerlo. Quel quindici Maggio poteva anche essere un giorno qualsiasi, non importava, e scacciò via anche la consapevolezza di non aver ricevuto auguri da parte di zio Albert: con lui aveva un conto in sospeso, ed era responsabile. Quando si Materializzò, si affidò al turbinio di sfumature già temprate dal pomeriggio, e non appena tutto si oscurò, il nero lo avvolse come una benedizione. Apparve di lì a pochi istanti esattamente al lato opposto all'ingresso dei Tre Manici di Scopa. Conosceva da lungo andare quel locale e a dispetto di ogni altra cosa cominciava ad apprezzare di esservi di ritorno; anche se quell'incontro avesse trattato spiacevoli argomenti, ne sarebbe comunque valsa la pena alle cure di Madama Rosmerta. Il ricordo dei momenti più belli con i suoi concasati, con Fred e con Flaminia, e con tanti altri subito dopo, tutto quello gli riscaldò il cuore e finalmente gli permise di ripristinare l'aspetto usuale, elegante e composto. Avrebbe fatto finta di nulla anche con Casey, non avrebbe posto in ballo l'argomento del compleanno, né tutte le stupide rimostranze personali. Non avevano colpa, tutti loro, e forse andava bene anche così. Non si lamentò neanche dell'assenza di una missiva, perfino breve, da parte di Leah - era lui, si ripeté, ad essere troppo incisivo su quei momenti, e non era la fine del mondo. Quando raggiunse l'ingresso, rimpianse per come fossero andate le cose con Penny, poco prima. Certo, il concasato aveva la straordinaria capacità di far salire il sangue al cervello anche a lui, il pacato Caposcuola, ma per quel giorno Oliver l'aveva tormentato a sufficienza; si ripromise infatti di portargli una fetta di cheesecake al limone, che l'altro amava alla follia. Prima di procedere ancora di più e fare il suo ingresso, si guardò in fretta nella vetrina più vicina e sistemò in quel modo la giacca sul violetto, la camicia chiara e la cravatta stretta al collo, allentandola di appena un nodo. Una mano tra i capelli, e si disse pronto. Impeccabile, elegante, di stile: non festeggiare il compleanno non significava venire meno ai piaceri personali, e quel completo era il regalo che sua zia Brigitte - come ogni anno, almeno lei - aveva ricordato di spedirgli per posta, quel mattino.
«A noi due, Casey.» Ripose la bacchetta nella manica interna, e con le mani libere spinse così l'ingresso. Chiuse gli occhi, di scatto. Il suono assordante, la canzoncina gridata a raffica, la pioggia di coriandoli, sentì il corpo fremere sotto l'assalto imprevisto e sebbene tutto in lui stesse gridando all'allarme, una parte di sé non riuscì a fare a meno di bloccarsi,
totalmente. Forse restò con gli occhi chiusi per più di quanto previsto, per almeno diversi secondi, e man mano che i sensi si alteravano, la lucidità giungeva in soccorso - avrebbe potuto percepire i pensieri inseguirsi, i collegamenti unirsi come tasselli di un puzzle, mentre il "tanti auguri a te" arrivava come un canto d'altro tempo, e i colori scintillavano come pioggia sulla giacca, sulle braccia, sulle mani. Lasciò il pomello della porta e sollevò le palpebre, ma il cuore giunse alla chiarezza, là dove la mente arretrava ancora. Avrebbe voluto dire qualcosa, chiudere di certo la bocca, e togliersi quell'espressione tra l'impaurito, il preoccupato, il sorpreso e il "ma davvero" che gli era spuntata improvvisamente. Lui, padrone assoluto dell'emozione in pubblico, cedeva sotto il peso di un battito più grande, più vivido, più vibrante di ogni altro. Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che aveva sentito quel brivido di piacere, dalla schiena fino alla punta dei piedi, e perfino avanzare di un passo cominciò a sembrargli un'impresa. A dispetto della sua giovane età, aveva vissuto tanto, aveva visto moltissimo, in ogni epoca - una festa a sorpresa, tuttavia, era quanto di più lontano potesse immaginare. Riuscì a mettere a fuoco i presenti, tra il gruppetto dei Grifondoro in avanscoperta - Casey, la vedeva, e tra il sorriso di sbieco e il lampo luminoso degli occhi del Caposcuola, tutto annunciava in lui il primo, più grande ringraziamento; non avrebbe avuto bisogno di conferme per sapere che fosse stata opera iniziale del suo Prefetto, perfino la Strillettera trovava tassello giusto a quel punto - e poi Mary, Juliet, Seth, Rose, Caleb, Herbelia, Timothy...
Timothy, come aveva fatto ad arrivare prima di lui, si chiese; c'erano perfino le concasate più piccoline, al primo anno, con le quali sentiva di voler scambiare qualche parola da moltissimo tempo, per bene e per davvero, e i nomi giunsero nitidi come tutti gli altri: Vivienne, la coppia di Alice, e accanto al tavolo imbandito, tra l'ampia caraffa di acquaviola e chissà cos'altro, c'era anche lui, Penny. Iniziò a sentire improvvisamente caldo, e man mano che lo sguardo avvolgeva la sala adibita a festa, le emozioni più sopite si risvegliavano come un mulinello, lo stesso - si ritrovò a pensare - di quello di cristalli di ghiaccio che aveva evocato in dormitorio, quella mattina. C'era Leah, l'avrebbe riconosciuta e vista fra mille e mille altri, e la sua presenza arrivò dolcemente fin nel petto; c'erano i suoi Corvonero preferiti - ma non l'avrebbe detto ad alta voce, o forse sì -, Daddy e Megan. Lì vicino, l'eleganza in persona, c'era quella che ad occhi chiusi Oliver avrebbe potuto definire come la compagna di banco più interessante di sempre, Emily Rose, e il pensiero delle loro Divinazioni approssimate giunse a conferma di come, tra di loro, fosse nato qualcosa, qualcosa che trovava già speciale; non avrebbe potuto credere di ritrovare tra la folla sempre più crescente altre figure familiari, ma il volto di Thalia era inconfondibile - la bellezza della sua persona, la nostalgia che sentiva alla loro distanza, la
felicità di ritrovarla lì -; e ancora Aiden, una garanzia degli ultimi tempi, l'affetto più sincero a dispetto di tutto quello che avevano condiviso; e Mìreen, e la giovane Cordelia, conosceva entrambe e avrebbe tanto desiderato approfondire quelle relazioni, era contento che fossero presenti e si chiese se Lyam avesse parlato di quell'appuntamento, di quella festa; Jolene, c'era anche lei, e il sorriso raggiunse sulla sua bocca la curva di spicco della felicità assoluta. Lo sguardo passava da un volto all'altro di sfuggita, ne coglieva pochi, essenziali dettagli, ed agiva in fretta - trasmetteva, catturava, custodiva. Quando si spostò sull'ultima figura, quella di Sirius White, sentì il nervosismo del giorno trascinarsi via, e allontanarsi, via per sempre. Così avanzò di un passo, e poi un altro, e gli parve di sospendersi di qualche centimetro da terra, come quando si era ingozzato di Api Frizzole insieme ai suoi compagni di stanza. I coriandoli tra i capelli, i colori sui propri abiti, il sorriso sincero; era colpito, non avrebbe potuto negarlo, ed era altrettanto sorpreso. Avrebbe voluto dire tanto, e subito. Invece, al diavolo Penny, non riuscì a fare altro che mormorare un'unica, vibrante esclamazione.
«Per tutti i bubotuberi.» All'arrivo di lì a poche ore del Preside di Hogwarts, sarebbe tornato di scatto il pensiero di essere stato chiamato per davvero per un incontro accademico, per parlare dell'andamento di Grifondoro - così come la lettera di Casey aveva inizialmente affermato; sapere che il buon Peverell avesse deciso di lasciare per un po' la sua Torre per condividere i festeggiamenti, e scoprire che avesse portato con sé la scorta più grande di tè mai vista prima da Oliver, quello sarebbe stato il passo decisivo per iniziare a sorridere, e sorridere, e sorridere ancora. Non avrebbe potuto smettere, e forse non avrebbe voluto. Si affidò alla folla, agli amici, al pacchetto in volo verso di lui; e non gli importava cosa fosse in programma, in quel pomeriggio e nel tempo in divenire. Il Presente, quello vero, non era mai stato così brillante. Al centro esatto, come un bambino il giorno del proprio compleanno -
per davvero - il galante Caposcuola sorrideva ancora.
«Quindi...» L'indice sospeso avanti, spostandosi da un lato all'altro.
«Cento punti a Grifondoro e punizione per tutti gli altri che sono fuori dal Castello?» Scherzò in fretta, e via agli abbracci, ai baci, alle strette di mano. Via alla semplicità, via alla bellezza di un momento come quello, via alla sorpresa. Mentre cercava il contatto più sincero di Casey e le sussurrava di essere stato ad un passo da tagliare la testolina piumata del suo Gufo, il cuore di Oliver Brior continuò a battere all'impazzata, come non gli capitava da lungo andare. Perché era lì, lo era davvero.
Con i piedi piantati per terra, nel presente.
Lui, il Veggente, viveva il suo tempo.
Discorso del festeggiato (?)
È un po' come il discorso degli Oscar: sai cosa dire, ma non sai come dirlo. Controlli i nomi tra i ringraziamenti, ti assicuri che ci siano tutti, dal primo all'ultimo, e nel frattempo il fogliettino che hai preparato comincia a tremare tra le mani. Perché la bellezza di un momento del genere, alla fine, non coinvolge soltanto Oliver, ed io come narratore - e ancor più come utente, in questo porto d'approdo - ne sono profondamente colpito. La scrittura, lo sapete tutti, è un'arma a doppio taglio: è assalto, è violenza, è condanna, e talvolta ferisce più di quanto ci si possa aspettare; ma è anche, e spesso, salvezza, rifugio, incanto. Per me è un bellissimo assalto, questa volta, e nel paradosso si esprime la mia gratitudine - e quella del mio Oliver. Leggendo tutti i vostri post così vivi, mi dicevo "vorrei essere io lì ai Tre Manici di Scopa". Perché sarò sentimentale, e qualcuno criticherà (e come Penny insegna... "che bubotubero"), ma le amicizie che ho avuto e che ho tuttora nel Gdr sono per me le più significative, le più intense, le più preziose in assoluto. Quindi sì, è una festa di un Gdr, e lì fuori ci sono tanti altri utenti che stimo e a cui voglio bene, ma per me - il romantico, eccessivo -, è un momento di gioia a tutto tondo. Chiedo scusa per averci impiegato tanto, e per aver scritto più del dovuto, ma attingere alla parte più sentita è sempre complicato.
Quindi grazie.
A tutti voi: gli amici di Oliver, e anche miei.
♥