Fault in our stars, Colloquio Francis Dhevan Drake

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view post Posted on 18/2/2021, 03:30
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Francis Dhevan Drake
Corvonero - Mago Adulto - Hogwarts

Narrato / "Parlato" / *Pensato*

Mentre Lucille Darmont si districava tra le pause puntellandosi le tempie, rimasi in silenzio continuando ad osservare le mie mani. Stranamente, riuscii ad ascoltare con attenzione ogni sua parola. Ogni commento. Senza perdermi tra visioni o immagini particolari. Il ché fu davvero peculiare, considerato il tempo che sembrava ormai essere intercorso dall’inizio di quel colloquio. Da quanto ero seduto su quella sedia? Le chiappe iniziavano a dolermi e una colonia di formiche parve d’improvviso risalire lungo le mie gambe, a lungo rimaste nella stessa posizione. Provai a tirare su la punta dei piedi, notando che un torpore aveva invaso le mie membra dalla vita in giù. Era difficile per me mantenere una posa statuaria e stabile per troppo tempo. Per questo, in genere, preferivo una posizione eretta che potesse permettere a gambe e braccia di muoversi liberamente. Quella, però, era un’occasione formale e se avessi avuto troppa libertà di movimento, sarei passato sicuramente per un pazzo. Quantomeno, più del possibile. Forse. Così, non appena la segretaria terminò il suo appunto - riguardo il “dosare le conoscenze con gli alunni” - ne approfittai dando dei colpi di piede, non troppo rumorosi, sul pavimento.

“Voglia scusarmi…”

Dissi gentilmente elargendo l’ennesimo sorriso per poi - una volta sinceratomi del corretto utilizzo degli arti inferiori - tirarmi su dalla sedia. Mi sgranchii un po’, eseguendo giusto un paio di mosse di stretching. Prima braccio destro su, ripiegandomi sulla sinistra e, successivamente, braccio sinistro su ripiegandomi sulla destra. Emisi un sospiro soddisfatto, sedendomi nuovamente come se fosse la cosa più normale e naturale al mondo. A quel punto ruotai i muscoli intorno alle labbra in un gesto simile a quello dei roditori dopo essersi puliti il muso o quando sniffano qualcosa nell’aria. Anche quello era uno stretching. Per rilassare il viso e prepararmi a rispondere alle nuove domande che non tardarono ad arrivare.

”Sa, io continuo a domandarmi costantemente se questo suo essere così gentile sia in grado di farsi rispettare dagli studenti. I giovani sono spesso smaniosi di attenzioni, di apparire, di sembrare al di sopra di tutti, anche del docente stesso; avrebbe un modo per gestirli e imporre la sua autorità?”

Ma la donna non aveva finito lì, ebbe altro da aggiungere in poco tempo. Un susseguirsi di domande che rammentava tanto quella serie di scalinate esposte in quell’ufficio. Ad ogni gradino scavalcato, ce n’era un’altro da superare. Ad ogni risposta, una nuova domanda. Una nuova prova.

”Immagino che abbia un’arte divinatoria che predilige alle altre. Me ne può parlare?”

Osservai Lucille Darmont il tempo che poteva bastare per stabilire un contatto visivo che le permettesse di comprendere che chi aveva di fronte poteva essere fuori dagli schemi, certo, ma non uno sprovveduto. Da quando essere gentili implicava la perdita di rispettabilità o autorità? Trovai quella domanda particolare. Non mi aveva mai sfiorato l’idea che il mio essere gentile potesse in qualche modo essere etichettato come una sorta di deficit. Poteva davvero essere così?

Non smisi di guardarla negli occhi. Non con astio o insistenza, ma riservandole uno sguardo tanto attento e vigile quanto dolce. Nel parlare mi sono sempre concentrato su labbra e occhi. Le labbra ci danno indicazioni sul modo in cui una persona si esprime al mondo. Gli occhi, invece, sono una finestra nell’anima di chi parla e di chi ascolta, creano una condivisione profonda che permette a chi interagisce di andare più nel profondo. Di scavare sulla superficie e scorgere le vere inclinazioni o intenzioni. Se qualcuno vacilla, mente o teme, gli occhi sono quel punto diretto che permette di constatarlo. Volevo che Lucille sapesse che chi aveva di fronte era anche una persona sicura e forte nella sua gentilezza. Più il tempo passava, più mi sentivo presente e in forze nell’affrontare quel colloquio. Funzionavo proprio al contrario. O, forse, era stato merito dello stretching?

”La sua domanda mi fa riflettere, Mrs Darmont. La ringrazio. Tuttavia temo ci sia un errore semantico in quanto ha appena enunciato. Rispettabilità e autorità sono concetti che si muovono sullo stesso asse. Sono entrambi valori intrinsechi che non sono innati ma vanno acquisiti. Forse quello cui lei fa riferimento è il potere. In questi termini il potere coinvolge l’uso, potenziale o effettivo, della forza al fine di ottenere un dato risultato. La rispettabilità e l’autorità sono connesse al potere ma differiscono da esso poiché si tratta di facoltà che un individuo non possiede di per sé, ma vengono guadagnate o assegnate da qualcuno di esterno. La gentilezza non può che essere un valore aggiunto nel raggiungere autorità e rispettabilità. La stessa storia ci dimostra come un leader, un capo, un direttore possa essere spodestato da un colpo di stato qualora eserciti il suo potere in modi che non incontrano, appunto, il rispetto o l’appoggio del popolo. Per questo, ritengo che sia l’uso errato del potere a non portare alla giusta autorità e rispettabilità. Certo è che i giovani sono imprevedibili, ma imprevedibili quanto possono esserlo gli adulti… Dunque, per rispondere alla sua domanda e stando a quanto detto, non potrei imporre la mia autorità perché, prima di farlo, dovrei guadagnarmela. In questo senso è mia premura dirle che per gestire gli studenti non farei altro se non rispettarli nella stessa misura in cui loro rispetteranno me. Farò uso della mia gentilezza e delle mie qualità, anche quelle più strambe, con l’unico fine di trasmettere loro la passione che nutro per le arti divinatorie. E le dico… li ascolterò e li sosterrò anche quando avranno smania di attenzioni, di apparire o di esprimere un’opinione diversa dalla mia poiché è dando loro ascolto - e il dovuto rispetto - che potrò guadagnare quell’autorità cui penso lei faccia riferimento.”

Utilizzai un tono pacato e tranquillo. Credevo fortemente in quanto detto e fui certo che Lucille potesse notarlo da quello sguardo che, dall’inizio della mia risposta, non aveva mollato per un attimo la presa sul suo. Ricoprire un ruolo come quello della docenza era chiaro implicasse del potere in una certa misura. Ma il potere andava dosato ed usato nel modo giusto, così come in una pozione ogni erba va dosata e usata nel modo giusto. Altrimenti potrebbe esplodere. L’uso coercitivo del potere non rientrava tra le mie opzioni. Sarei stato me stesso ed ero sicuro che gli studenti avrebbero avuto modo di apprezzarmi o disprezzarmi per quello che ero. E, sebbene nella vita non si possa presupporre di piacere a tutti, la rispettabilità e l’autorità erano traguardi cui potevo ambire - e poi ottenere - senza insicurezza alcuna. Sete. Se Lucille avesse continuato a farmi parlare, prima o poi avrei finito per chiederle un bicchiere d’acqua. Ma decisi di attendere ancora un attimo, prima di farlo. C’era un’altra domanda che attendeva risposta e non poteva aspettare, era subito pronta sulla punta della mia - ormai secca - lingua.

“In ogni caso… prima di parlarle della cartomanzia, arte divinatoria che prediligo, le darò dimostrazione dell’uso che ne faccio. Prenderò il mio mazzo ed estrarrò una carta accodandomi a quanto lei stessa ha chiesto poc’anzi, solo riformulando leggermente… Chiederemo… ‘Su cosa dovrei puntare per gestire al meglio gli studenti e guadagnare rispettabilità e autorità?’”

Le mani, veloci, avevano già estratto le carte dal loro involucro di stoffa. Si muovevano frenetiche creando una danza ipnotica volta al mescolamento del mazzo. La mente concentrata. Gli occhi chiusi. Anima e corpo ben radicati nel momento presente. Ogni carta, nel suo muoversi, andava a posizionarsi nel punto esatto in cui doveva trovarsi finché una di queste non saltò fuori come se spinta da una forza invisibile, andando a finire sul pavimento. Posai il mazzo tra le gambe, scomparendo dalla visuale di Lucille. Presi la carta da terra e saltai su come una molla esclamando un “Eccola!”. La segretaria aveva sussultato? O aveva semplicemente sbattuto le palpebre? Non c’era tempo per perdersi in pensieri. Posai il tarocco sulla scrivania, mostrandolo alla segretaria. Ero felice come una Pasqua.

JE9INGE

“Non mi sorprende affatto che sia venuta fuori la Giustizia.” dissi mostrando mille denti, scuotendo leggermente la testa come gongolando, come se l’intuito avesse già saputo che non poteva che venire fuori proprio quella carta. “La giustizia è un buon collegamento con quanto detto finora. È quasi come se le carte volessero dirci che, effettivamente, per poter guadagnare rispettabilità e autorità occorre puntare sull’equilibrio del potere. Mi spiego meglio. Questa carta ha una forte valenza karmica. Questa figura, seduta sul suo trono, ci guarda dritto negli occhi e ci sussurra ‘ciò che semini, raccogli’. È una carta che parla di causa-effetto, ad ogni azione c’è una conseguenza. Se si è nel giusto, si otterrà l’esito sperato. Allo stesso tempo, se non lo si è… Meglio scappare… Perché la Giustizia è un’arma a doppio taglio. Ci avverte che ciò che si fa, ritorna indietro. Seminando gentilezza, si otterrà gentilezza. Seminando terrore, si otterrà terrore. In questo caso, se voglio ottenere rispettabilità e autorità, dovrò rispettare e dare autorità anche alle voci degli studenti. La Giustizia rappresenta la verità, l’onestà e, ovviamente, la giustizia stessa. È la ricerca della verità che, per essere raggiunta, necessita di un’immersione completa nei nostri ideali e valori etici. Con il contesto di riferimento, possiamo dire che l’arcano mi invita ad essere giusto nelle decisioni che andrò a prendere, di non farmi influenzare o deviare da agenti esterni. Di essere diretto.”

Presi nuovamente la carta tra le mani, mettendola vicino l’orecchio come se potesse parlarmi. Lo facevo spesso.

“Uhm.. ecco. Sì… Grazie Giusty...” bofonchiai impercettibilmente.

”La carta dice che per poter gestire al meglio gli studenti dovrò puntare sulla chiarezza, di esprimere concetti e nozioni che possano sempre porsi in equilibrio, nel mezzo, tra ciò che può essere oggettivo e soggettivo. Sostiene che non sarà l’inflessibilità a portarmi l’autorità e che dovrò puntare sul risultato stesso, per ottenerlo… Che burlona, la Giustizia!

Risi di gusto ma senza sembrare troppo squinternato. Ero davvero felice di quel responso perché, tutto sommato, sembrava voler dare ragione ai pensieri che poco prima avevo messo in parole.

”Tornando a noi… spero che questa piccola dimostrazione le abbia potuto dare uno squarcio piacevole sul mondo della cartomanzia, pratica che come avrà capito prediligo rispetto le altre. Purtroppo è una tra le tante mantiche che non gode di grande prestigio fra la gente, questo credo sia dovuto più all’utilizzo che molti babbani e maghi ne fanno per trarre in inganno persone… fragili?! Oppure sarà che la maggior parte delle persone si aspettano che le carte diano messaggi strettamente predittivi eclissando completamente la legittima facoltà del libero arbitrio. Sono argomenti che abbiamo trattato ampiamente nei nostri discorsi. Penso abbia capito il mio punto di vista a riguardo, senza bisogno che mi ripeta e che la annoi troppo… Riassumo giusto dicendole che per me le carte ci danno messaggi che, in qualche modo, hanno senso nel momento in cui vengono ‘uditi’… Insomma, quelle sincronicità di cui parlavo prima. Detto ciò, questa branca affonda le sue radici in territorio europeo. Si dice sia nata principalmente in Italia, ma alcuni pensano sia un’arte proveniente dalla Francia. È inutile girarci molto intorno, la cartomanzia nasce probabilmente con scopo ludico. Delle carte che potevano offrire un dilettevole passatempo in epoche ormai andate. Fu col tempo che questo gioco acquisì con ogni probabilità le sue funzioni ‘predittive’. In particolare nell’800 ci fu un largo sviluppo di pratiche divinatorie e ritorno in auge di quelle dimenticate, ad opera di circoli esoterici che ne facevano utilizzo e da lì vennero diffuse in tutto il mondo, ancora una volta grazie alle stesse popolazioni nomadi nominate già più volte in precedenza. Che dirle di quest’arte se non che mi rappresenta e che fa parte della mia vita… Che è la mia vita stessa? Per me questo mazzo è un’estensione di me stesso, così come il mio braccio è un’estensione del mio corpo. Iniziò tutto quando mio padre, tornando da un lungo viaggio, mi portò delle carte in regalo per farsi perdonare. I miei genitori avevano notato da tempo una mia propensione alle arti divinatorie e l’uso dei tarocchi non fece che aumentare la loro convinzione che avessi probabilmente ereditato un qualche tipo di dono da nonno. Ma non sono qui per millantare un eventuale dono della vista, né per autocelebrarmi, semplicemente condivido con lei questo pezzo della mia storia per farle capire che fa parte di me da parecchio tempo. Ecco. Su un piano più tecnico e teorico posso dirle che ogni mazzo di tarocchi è composto da 78 carte. Di queste 78, 22 sono Arcani Maggiori e 56 sono dette Arcani Minori. Tra questi ultimi abbiamo un’ulteriore suddivisione: quella in semi. Coppe, Spade, Bastoni e Denari. Ogni seme conta 14 carte. Dieci sono numerate, appunto, da uno a dieci. Le altre quattro rimanenti rappresentano le carte di corte e sono, in ordine, fante, cavaliere, regina e re. Gli Arcani Maggiori ci danno indicazioni sul viaggio nella vita, iniziano col Matto e finiscono col Mondo. Gli Arcani minori, invece, ci forniscono dettagli su ciò che è più quotidiano e all’ordine del giorno. C’è davvero molto da dire sui tarocchi, se avesse particolari curiosità potrebbe farmi delle domande specifiche e mirate… mi dica lei… lo dico per la sua incolumità!”

Pensai che chiedermi di parlare così apertamente dei tarocchi fosse una follia. Ne avrei davvero potuto parlare fino allo sfinimento, senza comunque finire di dire tutto il dicibile. Che la segretaria volesse passare più tempo con me in quella stanza? Che volesse approfittare della mia compagnia perché ormai piacevolmente coinvolta? Provavo felicità al pensiero, tuttavia una domanda così aperta poteva portare ovunque: composizioni, mazzi diversi, oracoli, significati, stesure, metodi di mescolamento, simbologia… Per un attimo prese a girarmi la testa e, istintivamente, portai una mano ad essa come se la stessi raddrizzando. Come fosse stato un oggetto fuori posto su di un mobile di casa. Poi mi chiesi se Lucille avrebbe continuato davvero a farmi domande. Mi avrebbe chiesto quale fosse il mio colore preferito o come avrei decorato il mio futuro ufficio? Sperai di sì.

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view post Posted on 23/2/2021, 21:02
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Come vorrebbe decorare il suo ufficio?Purtroppo, la domanda non arrivò alle orecchie di Francis, seppur questo l’ambisse a gran voce.

Tutte le domande che aveva fatto la donna, se così si potevano definire, erano state improntate a conoscerlo e capire come era fatto.
La prima, per quanto fosse stata apertamente criticata, era stata sviluppata appositamente per capire se fosse un tipo sicuro delle sue capacità.
Era semplice dire “so fare questo” o “sono capace di”, ma non quando si veniva colti alla sprovvista su un punto debole, magari non notato dall’interlocutore.
La seconda domanda, fu fatta per capire se ci fosse la passione in quella materia, la completezza delle nozioni, dote che sembrava possedere e su cui non lo aveva mai visto peccare.
Osservandolo da quando si stiracchiò - cosa che non gradì affatto - a quando finì di parlare, si concentrò al fine di capire cosa potesse domandargli.
Il colloquio era arrivato al termine e Francis ci aveva messo il cuore e non poteva negarlo, tuttavia non si sentiva ancora pronta a dirgli “Mr. Drake da domani la cattedra di Divinazione è sua”.
Toccando con l’indice il tavolo, annunciò con tono serio.

-Mister Drake, questa è l’ultima domanda che le faccio.-

Mentre pensava a come si dovesse muovere, la testa sentiva il rumore dei tarocchi prima mischiati rimbombargli nella scheda, così come vedeva l’immagine della giustizia.
Se l’uomo pensava che la giustizia fosse arrivata sul tavolo per dire che nel gestire gli studenti serviva “equilibrio”, lei era convinta che quella carta si fosse parata davanti a lei per dirle che era necessario perseverare, essere il più corretta possibile nel giudizio finale che avrebbe dato.

-Se dovessi immaginarti come un Tarocco, che Tarocco saresti?-

Espirò.
Come in una partita di scacchi aveva fatto la sua mossa sperando che l’uomo se ne uscisse con qualcosa di profondo che gli permettesse di completare lo studio della persona che aveva davanti.
Dopo quella domanda, per quanto potesse risultare banale, avrebbe tratto le sue decisioni. Positive o negative che potevano essere.


 
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view post Posted on 23/2/2021, 23:45
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Francis Dhevan Drake
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Al tipo di ingresso fatto in quell’ufficio avrei affibbiato l’aggettivo “distratto”. A pensarci, fu solo in un secondo momento che le distese infinite di scalinate si presentarono alla mia attenzione, al mio sguardo sobbalzante e sobbalzato dagli spigolosi gradini rappresentati non solo nei quadri ma anche nel mobilio e l’oggettistica presente in quella stanza. Distratto avevo ricercato con la testa una presenza che - ahimè - non avrei trovato. Distratto avevo rivolto le mie prime parole a colei che, contro ogni mia aspettativa, avrebbe tenuto il mio colloquio: Lucille Darmont.

Mi ci era voluto poco per capire i perché di quella donna. Seppur distratto e spesso tra le nuvole, prestavo attenzione ai dettagli. Soprattutto quelli che potevano riguardare la personalità o i gusti dei miei interlocutori. Non era strano per me porre dubbio sul modo in cui una mente potesse funzionare. Che fosse una persona a pelle simpatica o meno, che avvertissi energie positive o negative, che si rivolgesse in modo brusco o gentile non mi era mai importato tanto quanto il perché quel dato individuo fosse caratterizzato da un particolare aggettivo, perché emanasse quelle energie o perché si rivolgesse in un dato modo. La segretaria non era stata esentata da questa mia analisi, le cui conclusioni sarebbero state comunque da rimandare. In fondo sarebbe stato difficile emettere un giudizio riguardo qualcuno con cui ti sei ritrovato ad interagire giusto quel paio d’ore. Per lei, però, era diverso. Laddove io avrei avuto modo di rimandare il mio giudizio, lei non ne avrebbe avuta occasione. Qualora la donna non avesse approvato la mia richiesta, non l’avrei mai più rivista. Il mio giudizio sarebbe rimasto sospeso per sempre in un limbo di “se” e di “ma”. Il suo, di giudizio, doveva essere sicuro, definito, inderogabile. La sua risposta sarebbe sempre stata l’ultima. La risposta che conta. La risposta che avrebbe decretato se il mio percorso nella scuola di Hogwarts potesse avere inizio o dovesse finire lì. Tutto, dall’inizio del mio colloquio fino al momento in cui mi trovavo, aveva seguito pedissequamente il salire e il discendere di quei gradini che mi accerchiavano ormai in una morsa sempre più pressante. Se ogni gradino era una nuova prova, ogni gradino poteva anche rappresentare l’andazzo della mia performance agli occhi di Lucille. Stavo salendo verso il mio ufficio o discendendo verso l’uscita dal castello?

Ecco dove risiedevano i “perché” della maga. Erano tutti lì stretti in un pugno. Al suo dischiudersi avrei avuto un responso che avrebbe, in seguito, messo in moto energie differenti e aperto la strada a diverse possibilità. Lucille non avrebbe avuto modo di sospendere quel giudizio ancora a lungo. Non poteva avere la mia stessa prerogativa. Lei avrebbe dovuto capire e giudicare, in quel paio d’ore - o erano state meno? - chi si trovasse innanzi a lei. Per questo, laddove altri avrebbero probabilmente esalato un esasperato sospiro, io capii come mai mi tenesse così sulle spine. Come mai stesse ancora titubando nella sua scelta. Ritenevo di aver dato il massimo possibile nel mio essere me e nel mostrarle i miei di perché. Eppure a lei non bastava. Ed era tanto umano quanto legittimo. Scegliermi come docente avrebbe comportato responsabilità che non sarebbero gravate solo su di me, ma anche su di lei. Perché qualora qualcosa fosse andato storto a causa di un mio errore, la prima a rimetterci sarebbe stata lei. Perché se è vero che Hogwarts si muoveva per gli ingranaggi che la muovono, la colpa di un mio possibile errore sarebbe ricaduta su di lei. Sarebbe stata tacciata come la donna che aveva fatto la scelta sbagliata del docente sbagliato. Io, questo, lo capivo. Non che mi immaginassi a compiere errori di sorta, ma sapevo che lei - non conoscendomi - dovesse per un attimo mettersi nei panni del divinatore e immaginare e presupporre, attraverso le mie parole, margini e percentuali di errore presenti in ciò che ero. In ciò che erano i miei perché attraverso i suoi perché. Lucille era una donna puntigliosa, minuziosa. A tratti maniacale. Era una perfezionista che nel suo lavoro non esitava ad essere spietata. Lucille, però, era anche quel bignè cremoso che lasciava intravedere il buono che aveva in sé nelle occasioni e al momento opportuno. Poi chissà, la mia compagnia non pareva disturbarla e, per quanto strambo fossi, sembrava ad ogni modo interessata alla mia mente tanto quanto io fossi interessato alla sua.

Tra l’annunciarmi che mi avrebbe posto un’ultima domanda e il domandarla nell’effettivo, accadde qualcosa di estremamente interessante: Lucille aveva osservato attentamente la carta della Giustizia sulla scrivania. Aveva ascoltato quanto avessi avuto da dire ma l’intenzione del suo sguardo mi parve chiaro. Stava rielaborando. Era qualcosa che non succedeva spesso durante i consulti, ma non era nemmeno qualcosa fuori dalla norma. Tuttavia, era interessante quando l’ascoltatore - o consultante che fosse - ricercava da sé i significati delle carte. Facendoli propri sulla base della personale griglia interpretativa di riferimento. In fondo, era su questo che si basava la cartomanzia, su griglie interpretative personali che andavano oltre ai pochi e riduttivi significati che si potevano trovare in giro su libercoli vari. Nel frattempo non riuscii a trattenere un mezzo sorriso sghembo, perché in qualche modo, in quel momento, mi parve di vedere Lucille alle prese con quella che sembrava essere la sua sincronicità, il suo segno, nella carta che avevo estratto. Qualunque cosa stesse pensando, avrebbe avuto significato solo per lei… e avrebbe, di conseguenza, investito me.

”Se dovessi immaginarti come un Tarocco, che Tarocco saresti?”

Si diceva che il Rider-Waite - il mazzo che utilizzavo - era stato ideato in modo che i lineamenti, i tratti e gli elementi del viso di ciascuna figura rappresentata fossero volutamente ambigui e poco dettagliati. Questo perché, a seconda di chi le avesse guardate, a seconda del momento in cui le avesse guardate, avrebbe potuto scorgere una diversa espressione in quel volto. La Giustizia, in quell’istante, mi guardava severa ma rassicurante. Sembrava incoraggiarmi a resistere. Decisi di lasciarla lì. Così, se Lucille avesse voluto, avrebbe potuto continuare a guardare anche lei il volto della figura assisa e trarre le sue dovute conclusioni. Trovare le sue risposte magari.

Ingurgitai degli atomi di saliva rimasti - non so come, non so perché - forse ritrovati in virtù del fatto che quella sarebbe stata l’ultima domanda.

*Che tarocco sarei. Difficile, ma non troppo.*

“Sa… come le accennavo poco fa, i tarocchi rappresentano un viaggio. Il viaggio del Matto che inizia avventuroso ed ingenuo il suo percorso ritrovandosi ad affrontare le lezioni di vita che tutte le carte dopo di lui rappresentano. Incontrando il Mago, il Matto inizia a prendere confidenza con quelli che sono i suoi strumenti… Non erano strumenti a lui totalmente ignoti, perché in fondo erano contenuti già nel sacchetto che si portava dietro. Con il Mago, però, li fa suoi, li riconosce come un’estensione di sé… Sono i quattro elementi che gli permettono di creare non solo un legame con sé stesso sulla terra, ma anche un legame con i reami dell’ultraterreno. Quando il Matto arriva dalla Papessa, i suoi desideri prendono forma nella manifestazione da lui desiderata e voluta e da essi si sposta verso la conoscenza dello spirito, dell’intangibile, dell’illusione oltre il velo che si trova dietro la donna tra le due colonne. Lo squarcia quel velo, desideroso di saperne di più… E si ritrova nel fertile mondo dell’Imperatrice. Qui conosce l’importanza della forza creativa, si confronta con le pulsioni del plesso solare ma anche con il suo lato femminile e materno che verrà poi compensato da quello più autoritario e paterno dell’Imperatore. Il Papa lo inizierà ai segreti della legge divina, a quei misteri cui solo un iniziato può accedervi sfruttando la giusta chiave… Con la sua benedizione si muoverà verso gli Amanti che lo porteranno a comprendere non solo l’importanza della condivisione, ma anche quella delle decisioni, dell’ambivalenza, del dualismo. Capirà che per seguire le sue passioni dovrà compiere delle scelte, spesso difficili, che lo tempreranno avvicinandolo ancor più alla sua chiamata, la sua vocazione in questo viaggio. Arriverà dunque al Carro. Comprenderà che non servirà solo la passione per mandare avanti i suoi progetti. Avrà bisogno di obbiettivi. Forse meglio uno, che tanti. Dovrà gestire le sue priorità, mettere da parte altro per guadagnare passi nella sua scalata verso l’ambita meta. Passo dopo passo, con caparbietà, giungerà allora alla carta della Forza. La Forza lo aiuterà a snocciolare sé stesso fino al midollo, finché non riuscirà a domare i suoi istinti più selvaggi e comprendendo che nel suo viaggio non sarà la forza fisica o l’impeto a farlo avanzare. Dovrà essere più subdolo, ma in maniera positiva. Dovrà usare una forza diversa da quella fisica, ma una forza che si basa sull’intelligenza, l’intuitività. La gentilezza… Ed eccoci. Arriviamo qui, nel viaggio, all’Eremita. Se dovessi scegliere un tarocco in base al momento in cui mi trovo adesso… Sceglierei lui. Al momento dell’incontro con l’Eremita, il Matto si ritira temporaneamente dal mondo con lui al fine di fare luce sul suo percorso che a breve segnerà la prima metà di un ciclo. L’eremita è il nono gradino, quello poco prima del decimo. Contrariamente a quanto si possa pensare, l’Eremita non è una persona che si estrania dal mondo sociale o che si isola da esso. La sua condizione di eremitaggio è temporanea. L’uomo raffigurato tiene tra le mani una lanterna la cui luce non è che quella della conoscenza. La conoscenza interiore. Egli ricerca la via dentro e fuori di sé per capire il suo posto nel mondo, guarda al suo passato non perché vi è rimasto ingarbugliato, ma solo per riconoscere quanta strada ha percorso fino a quel momento. Il suo viaggio alla ricerca di sé è quasi volto al termine, necessità solo di voltarsi per poter compiere il suo passo verso il decimo scalino… quello che lo porterà verso la Ruota della Fortuna… L’eremita ha percorso questo viaggio per la conoscenza di sé e del mondo che lo circonda per poter tornare nuovamente nella società e condividere quanto ha appreso. Porge la sua lanterna a chi vuol essere aiutato a sua volta nel raggiungere le verità più profonde…”

Feci una pausa, riflettendo sul fatto che non avrei raccontato tutto il viaggio del Matto attraverso le carte. In parte perché volevo lasciare della curiosità in Lucille, in parte perché alcune cose ho sempre pensato andassero lasciate inspiegate.

“Ciascuno di noi è il matto ed ogni carta non è che lui stesso nella sua evoluzione. Più volte nella vita compie questo viaggio ciclico e per ogni scelta o percorso questo viaggio si ripete all’infinito. Un buon cartomante sa che inizierà il suo viaggio come il Matto, solo per poi ritrovarsi improvvisamente catapultato nel Mondo, l’ultima carta, ed iniziare nuovamente tutto. Da capo. Ogni cartomante elabora i propri significati sulla base di questo viaggio personale, perché sarebbe riduttivo basarsi su di un codice prestabilito da altri. Ogni cartomante, prima di approcciarsi ad una lettura, avrà elaborato ciascuno degli insegnamenti di ciascuna delle carte e li avrà fatti propri. Questo viaggio, il mio di questo momento della mia vita, fa sì che io mi rispecchi nell’Eremita… mi manca solo un passo per arrivare a metà di un altro ciclo e credo che parte di quanto accadrà dipenderà da Lei, Mrs Darmont…”

La Giustizia mi osservava dalla scrivania di Lucille. Il suo sguardo fiero. Le sue labbra piegate in un sorriso. E la segretaria? Cosa avrebbe visto sul volto della Giustizia?

*Lo riesci a vedere anche tu il sorriso sul volto della Giustizia, Gentile Lucille? Pensi stia approvando?*

Sorrisi. Anch’io. Forse sarebbe stato uno degli ultimi sorrisi di quel colloquio tanto combattuto.

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view post Posted on 7/3/2021, 17:24
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Il silenzio era stato interrotto dopo alcuni secondi.
Quella serie di istanti, erano stati utili a Francis per soppesare i rischi di quell’ultima domanda e a Lucille per capire meglio cosa provasse nei confronti di quell’individuo.
Gli era sembrato più che preparato e questo era stato già detto, ma lo aveva trovato anche interessante sotto un punto di vista personale.
Questo era un bene e non poteva negarlo; la capacità di risultare intrigante era una dote che poteva aiutarlo ad essere sicuramente magnetico, specialmente agli studenti che avrebbe potuto avere vicino a lui.

Sentì il suo lungo excursus per raggiungere la carta dell’Eremita, una figura ai suoi occhi riflessiva, in grado di percepire ciò che lo circonda, snocciolando pensieri, pareri e sogni.
Era per caso in fase introspettiva quell’uomo? Era lì a soppesare quanto era stato dibattuto come lei?
Un sorriso, un leggero cenno prima di proseguire alla fase delle scelte, quella che l’avrebbe condotta in una sola direzione.
Alzando la mano, porgendola al suo interlocutore, disse:

-Penso che quanto mi ha detto mi può bastare. Da oggi Mr. Drake lei è il nuovo docente di Divinazione, i miei più sentiti complimenti. -

Senza aspettare le risposte del ragazzo, perché aveva ancora un'altra cosa da dirgli, proseguì a parlare con decisione.

-Mi raccomando, si ricordi bene quanto mi ha detto; si ricordi delle sfaccettature che ha la sua materia, dei diversi collegamenti che questa offre con le altre che vengono insegnate qui e affascinerà i nostri studenti. Lei è una persona molto creativa, ho piena fiducia delle sue capacità.-

Senza aggiungere altro, attese le risposte dell’interlocutore.
Ora poteva gioire, festeggiare per quanto era successo.
Da oggi la sua vita era cambiata.




Bene Dhevan il tuo colloquio è concluso. Da oggi, sei ufficialmente Docente di Divinazione. Ti chiedo cortesemente di metterti in contatto con il Preside che ti fornirà tutte le direttive del caso.

Per questa role, ti chiedo solamente di effettuare il tuo post di uscita.
Complimenti e buona fortuna tra le mura del castello!
 
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Corvonero - Mago Adulto - Hogwarts

Narrato / "Parlato" / *Pensato*

In un punto non ben definito, nei pressi del lago, c’era il giardino segreto. Probabilmente non era davvero segreto. Ma mi piaceva fosse segreto per me. Il mio luogo segreto. Poi chissà, forse era stato anche il luogo segreto di altri prima che io lo trovassi. Effettivamente, a pensarci, era strano che tra i rovi che adornavano quello che, in realtà, era un semplice spiazzo erboso che si affacciava sul lago, ci fossero anche dei cespugli farfallini. Qualcuno doveva averli piantati. Qualcuno che come me, amava avere una tana in cui rifugiarsi. Lasciando fuori tutti i pensieri. Fuori da quei rovi. In Inverno c’erano meno foglie, ma la neve si depositava a tal punto tra quei rami secchi ed intrecciati da sembrarne la nivea chioma. Per arrivarci bastava chinarsi un po’, spostare qualche rametto e al massimo accettare di inumidirsi con la neve in inverno oppure sporcarsi di terra e foglie in estate. A me non dispiaceva nessuna delle due cose. Non c’era mai arrivato nessuno lì, non finché c’ero io. Non ci avevo mai, nemmeno, portato qualcuno. Era un posto dove il tempo si fermava come in uno scatto di fotografia. Il castello si ergeva a pochi chilometri di distanza stagliandosi sulle distese di cielo che si riflettevano, indipendentemente dalla stagione, sulla superficie del lago nero. Il quieto scrosciare dell’acqua accompagnava le mie letture, che fossero di libri o di tarocchi. Ogni tanto si potevano udire dei suoni tonfi provenire dal fondale. Creature che si muovevano. Forse erano i Maridi. Oppure la piovra gigante. Poco importava, perché anche quei suoni allietavano la mia permanenza nel giardino segreto dove potevo essere chi volevo, come volevo, quando volevo. Quel giorno, per esempio, avevo deciso di essere un professore di divinazione. Quel giorno, per esempio, arrivò lui. Romeo. In un fruscio che abbatté ogni mia difesa, nel momento più vulnerabile: una lettura di tarocchi per se stessi.

“Cosa vuol dire quella carta?”
“Niente, stavo solo giocando a un gioco”
“Ovvero?”
“Uhm… quando vengo qui, in questo posto, fingo di essere chi o cosa voglio. Oggi sono un professore di divinazione… Te invece? Chi vuoi essere oggi?”


***

Il ricordo sbiadito di un tempo ormai andato si affacciò tra le mura labirintiche della mia mente. Un ricordo a lungo lasciato inerme e sopito nell’inconscio. Se c’era un momento giusto perché venisse fuori, doveva essere proprio quello. Che fine aveva fatto Romeo? Per un istante avvertii l’impulso di buttarmi per terra in ginocchio ed urlare a pieni polmoni sul viso di Lucille, urlare talmente forte da farla diventare più bionda di quanto fosse già. Ma lei non avrebbe capito se avessi preso improvvisamente ad urlare un “Bastardo, guarda chi è diventato Professore”. Una cosa del genere l’avrebbe solo fatta retrocedere. E addio alla posizione che avevo appena ottenuto. “Bastardo” non era l’unico epiteto che mi sentivo di riservare a Romeo. C’erano molte cose che avrei voluto urlare, lanciare, dire, sospirare. O forse era solo un suo abbraccio quello che desideravo? Era davvero strano che alle parole della segretaria “Da oggi Mr. Drake lei è il nuovo docente di Divinazione” le prime immagini che mi vennero in mente furono proprio quelle relative ad un uomo che ormai non vedevo più dai tempi di Hogwarts. Era davvero strano che fosse la prima persona a venirmi in mente. Chissà come sarebbe stato se non ci fossimo mai allontanati. Chissà se mi avrebbe aspettato oltre i cancelli di Hogwarts o, perché no, nel nostro giardino segreto. Sì. Se Romeo fosse rimasto al mio fianco, avremmo trovato un escamotage affinché si potesse tornare in quello che era stato il nostro giaciglio. Il nostro luogo. Avrebbe atteso lì, di nascosto. All’insaputa del Preside, di Lucille. Di tutti. E lì avremmo parlato, forse avrebbe dovuto trovare un altro nomignolo. Chiamarmi “Prof.” Sarebbe stato troppo credibile ormai.

Romeo, però, non c’era.

*Che stupido.* mi rimproverai. Uscito da quel castello, c’era solo una persona che avrebbe potuto aspettarmi e sapevo bene chi fosse. In pochi secondi la malinconia che si era fatta largo sullo tsunami di quel ricordo venne spazzata via. Cancellata in un battito di ciglia. Sostituita naturalmente, senza troppi sforzi, da un’ondata ben diversa. L’ondata dell’entusiasmo più puro. Sapevo chi avrebbe potuto condividere con me quell’entusiasmo. Lo sapevo fin troppo bene. Il volto di Romeo si sgretolò in un pugno di sabbia. L’unico volto che avrei voluto vedere appena uscito da quell’ufficio era quello di una persona che mai mi aveva dato modo di dubitare, che mai mi aveva abbandonato, mai mi aveva ferito: Thomas Korax Emerald. Chissà che faccia avrebbe fatto quando gli avrei detto che ero diventato Professore di Hogwarts. Di certo non se lo sarebbe aspettato. Non che non credesse in me. Ma andiamo… Io, Francis Dhevan Drake, professore di Divinazione a Hogwarts.

Sorrisi fin troppo felice di quel pensiero. Al pensiero di perdermi tra le braccia del mio caro Tommy.

Sorrisi, fin troppo felice, stringendo ebetemente la mano di Lucille Darmont che, finalmente, sembrò rilasciare ogni tensione dovuta a quel colloquio, riservandomi un altrettanto felice sorriso. Che donna. Si era perfino lanciata in una raccomandazione, cosicché potessi mantenere sempre vivida la creatività che tanto sembrava contraddistinguermi. Di continuare a creare nessi e connessioni con le altre materie per affascinare gli studenti. Un consiglio spassionato, quasi. Ma comunque sentito.


*Lucille, lei è proprio un bignè e in questo momento la morderei tutta per la felicità* Avrei voluto dire.

“La ringrazio gentilissima Lucille. La ringrazio davvero per avermi ascoltato, la ringrazio per le prove che mi ha posto su questo breve cammino percorso insieme e la ringrazio per la sua fiducia. Apprezzo molto ciò che mi ha detto… non avrà motivo di pentirsi di questa sua scelta.”

Fu quello che dissi, invece. Poi feci per congedarmi e mi diressi verso la porta. Qualcosa, però, mi disse che non potevo finire così quel colloquio. In quel modo così banale. Così, una volta arrivato sulla soglia della porta, mi girai di scatto. Una mano in alto poggiata sulla parete che incorniciava l’entrata, l’altra mano poco più in basso. Diedi un impercettibile colpo di spalla, il giusto per far frullare le piume di struzzo rosse e farlocche.

“La aspetto presto nel mio ufficio Lucille, magari potremmo riflettere insieme sulle sue possibilità in campo amoroso… nulla di predittivo. È chiaro che lei abbia già un largo seguito… Potremmo semplicemente vedere insieme chi sia il più… meritevole!”

Mi lasciai scappare un ghigno divertito e, senza lasciarle il tempo di rispondere, piroettai sull’uscio dell’ufficio scomparendone all’esterno.

E iniziai a correre via, a più non posso. E mentre il corpo ribolliva di entusiasmo, in testa avevo solo le braccia di Thomas strette attorno a me.



{ Solo la follia può prolungare la giovinezza e tenere lontana la vecchiaia. }


© Code by Ethan Stark

 
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19 replies since 24/12/2020, 12:12   992 views
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