Francis Dhevan Drake
Corvonero - Mago Adulto - Hogwarts
Narrato / "Parlato" / *Pensato*
Mentre Lucille Darmont si districava tra le pause puntellandosi le tempie, rimasi in silenzio continuando ad osservare le mie mani. Stranamente, riuscii ad ascoltare con attenzione ogni sua parola. Ogni commento. Senza perdermi tra visioni o immagini particolari. Il ché fu davvero peculiare, considerato il tempo che sembrava ormai essere intercorso dall’inizio di quel colloquio. Da quanto ero seduto su quella sedia? Le chiappe iniziavano a dolermi e una colonia di formiche parve d’improvviso risalire lungo le mie gambe, a lungo rimaste nella stessa posizione. Provai a tirare su la punta dei piedi, notando che un torpore aveva invaso le mie membra dalla vita in giù. Era difficile per me mantenere una posa statuaria e stabile per troppo tempo. Per questo, in genere, preferivo una posizione eretta che potesse permettere a gambe e braccia di muoversi liberamente. Quella, però, era un’occasione formale e se avessi avuto troppa libertà di movimento, sarei passato sicuramente per un pazzo. Quantomeno, più del possibile. Forse. Così, non appena la segretaria terminò il suo appunto - riguardo il “dosare le conoscenze con gli alunni” - ne approfittai dando dei colpi di piede, non troppo rumorosi, sul pavimento.
“Voglia scusarmi…”
Dissi gentilmente elargendo l’ennesimo sorriso per poi - una volta sinceratomi del corretto utilizzo degli arti inferiori - tirarmi su dalla sedia. Mi sgranchii un po’, eseguendo giusto un paio di mosse di stretching. Prima braccio destro su, ripiegandomi sulla sinistra e, successivamente, braccio sinistro su ripiegandomi sulla destra. Emisi un sospiro soddisfatto, sedendomi nuovamente come se fosse la cosa più normale e naturale al mondo. A quel punto ruotai i muscoli intorno alle labbra in un gesto simile a quello dei roditori dopo essersi puliti il muso o quando sniffano qualcosa nell’aria. Anche quello era uno stretching. Per rilassare il viso e prepararmi a rispondere alle nuove domande che non tardarono ad arrivare.
”Sa, io continuo a domandarmi costantemente se questo suo essere così gentile sia in grado di farsi rispettare dagli studenti. I giovani sono spesso smaniosi di attenzioni, di apparire, di sembrare al di sopra di tutti, anche del docente stesso; avrebbe un modo per gestirli e imporre la sua autorità?”
Ma la donna non aveva finito lì, ebbe altro da aggiungere in poco tempo. Un susseguirsi di domande che rammentava tanto quella serie di scalinate esposte in quell’ufficio. Ad ogni gradino scavalcato, ce n’era un’altro da superare. Ad ogni risposta, una nuova domanda. Una nuova prova.
”Immagino che abbia un’arte divinatoria che predilige alle altre. Me ne può parlare?”
Osservai Lucille Darmont il tempo che poteva bastare per stabilire un contatto visivo che le permettesse di comprendere che chi aveva di fronte poteva essere fuori dagli schemi, certo, ma non uno sprovveduto. Da quando essere gentili implicava la perdita di rispettabilità o autorità? Trovai quella domanda particolare. Non mi aveva mai sfiorato l’idea che il mio essere gentile potesse in qualche modo essere etichettato come una sorta di deficit. Poteva davvero essere così?
Non smisi di guardarla negli occhi. Non con astio o insistenza, ma riservandole uno sguardo tanto attento e vigile quanto dolce. Nel parlare mi sono sempre concentrato su labbra e occhi. Le labbra ci danno indicazioni sul modo in cui una persona si esprime al mondo. Gli occhi, invece, sono una finestra nell’anima di chi parla e di chi ascolta, creano una condivisione profonda che permette a chi interagisce di andare più nel profondo. Di scavare sulla superficie e scorgere le vere inclinazioni o intenzioni. Se qualcuno vacilla, mente o teme, gli occhi sono quel punto diretto che permette di constatarlo. Volevo che Lucille sapesse che chi aveva di fronte era anche una persona sicura e forte nella sua gentilezza. Più il tempo passava, più mi sentivo presente e in forze nell’affrontare quel colloquio. Funzionavo proprio al contrario. O, forse, era stato merito dello stretching?
”La sua domanda mi fa riflettere, Mrs Darmont. La ringrazio. Tuttavia temo ci sia un errore semantico in quanto ha appena enunciato. Rispettabilità e autorità sono concetti che si muovono sullo stesso asse. Sono entrambi valori intrinsechi che non sono innati ma vanno acquisiti. Forse quello cui lei fa riferimento è il potere. In questi termini il potere coinvolge l’uso, potenziale o effettivo, della forza al fine di ottenere un dato risultato. La rispettabilità e l’autorità sono connesse al potere ma differiscono da esso poiché si tratta di facoltà che un individuo non possiede di per sé, ma vengono guadagnate o assegnate da qualcuno di esterno. La gentilezza non può che essere un valore aggiunto nel raggiungere autorità e rispettabilità. La stessa storia ci dimostra come un leader, un capo, un direttore possa essere spodestato da un colpo di stato qualora eserciti il suo potere in modi che non incontrano, appunto, il rispetto o l’appoggio del popolo. Per questo, ritengo che sia l’uso errato del potere a non portare alla giusta autorità e rispettabilità. Certo è che i giovani sono imprevedibili, ma imprevedibili quanto possono esserlo gli adulti… Dunque, per rispondere alla sua domanda e stando a quanto detto, non potrei imporre la mia autorità perché, prima di farlo, dovrei guadagnarmela. In questo senso è mia premura dirle che per gestire gli studenti non farei altro se non rispettarli nella stessa misura in cui loro rispetteranno me. Farò uso della mia gentilezza e delle mie qualità, anche quelle più strambe, con l’unico fine di trasmettere loro la passione che nutro per le arti divinatorie. E le dico… li ascolterò e li sosterrò anche quando avranno smania di attenzioni, di apparire o di esprimere un’opinione diversa dalla mia poiché è dando loro ascolto - e il dovuto rispetto - che potrò guadagnare quell’autorità cui penso lei faccia riferimento.”
Utilizzai un tono pacato e tranquillo. Credevo fortemente in quanto detto e fui certo che Lucille potesse notarlo da quello sguardo che, dall’inizio della mia risposta, non aveva mollato per un attimo la presa sul suo. Ricoprire un ruolo come quello della docenza era chiaro implicasse del potere in una certa misura. Ma il potere andava dosato ed usato nel modo giusto, così come in una pozione ogni erba va dosata e usata nel modo giusto. Altrimenti potrebbe esplodere. L’uso coercitivo del potere non rientrava tra le mie opzioni. Sarei stato me stesso ed ero sicuro che gli studenti avrebbero avuto modo di apprezzarmi o disprezzarmi per quello che ero. E, sebbene nella vita non si possa presupporre di piacere a tutti, la rispettabilità e l’autorità erano traguardi cui potevo ambire - e poi ottenere - senza insicurezza alcuna. Sete. Se Lucille avesse continuato a farmi parlare, prima o poi avrei finito per chiederle un bicchiere d’acqua. Ma decisi di attendere ancora un attimo, prima di farlo. C’era un’altra domanda che attendeva risposta e non poteva aspettare, era subito pronta sulla punta della mia - ormai secca - lingua.
“In ogni caso… prima di parlarle della cartomanzia, arte divinatoria che prediligo, le darò dimostrazione dell’uso che ne faccio. Prenderò il mio mazzo ed estrarrò una carta accodandomi a quanto lei stessa ha chiesto poc’anzi, solo riformulando leggermente… Chiederemo… ‘Su cosa dovrei puntare per gestire al meglio gli studenti e guadagnare rispettabilità e autorità?’”
Le mani, veloci, avevano già estratto le carte dal loro involucro di stoffa. Si muovevano frenetiche creando una danza ipnotica volta al mescolamento del mazzo. La mente concentrata. Gli occhi chiusi. Anima e corpo ben radicati nel momento presente. Ogni carta, nel suo muoversi, andava a posizionarsi nel punto esatto in cui doveva trovarsi finché una di queste non saltò fuori come se spinta da una forza invisibile, andando a finire sul pavimento. Posai il mazzo tra le gambe, scomparendo dalla visuale di Lucille. Presi la carta da terra e saltai su come una molla esclamando un “Eccola!”. La segretaria aveva sussultato? O aveva semplicemente sbattuto le palpebre? Non c’era tempo per perdersi in pensieri. Posai il tarocco sulla scrivania, mostrandolo alla segretaria. Ero felice come una Pasqua.
“Non mi sorprende affatto che sia venuta fuori la Giustizia.” dissi mostrando mille denti, scuotendo leggermente la testa come gongolando, come se l’intuito avesse già saputo che non poteva che venire fuori proprio quella carta. “La giustizia è un buon collegamento con quanto detto finora. È quasi come se le carte volessero dirci che, effettivamente, per poter guadagnare rispettabilità e autorità occorre puntare sull’equilibrio del potere. Mi spiego meglio. Questa carta ha una forte valenza karmica. Questa figura, seduta sul suo trono, ci guarda dritto negli occhi e ci sussurra ‘ciò che semini, raccogli’. È una carta che parla di causa-effetto, ad ogni azione c’è una conseguenza. Se si è nel giusto, si otterrà l’esito sperato. Allo stesso tempo, se non lo si è… Meglio scappare… Perché la Giustizia è un’arma a doppio taglio. Ci avverte che ciò che si fa, ritorna indietro. Seminando gentilezza, si otterrà gentilezza. Seminando terrore, si otterrà terrore. In questo caso, se voglio ottenere rispettabilità e autorità, dovrò rispettare e dare autorità anche alle voci degli studenti. La Giustizia rappresenta la verità, l’onestà e, ovviamente, la giustizia stessa. È la ricerca della verità che, per essere raggiunta, necessita di un’immersione completa nei nostri ideali e valori etici. Con il contesto di riferimento, possiamo dire che l’arcano mi invita ad essere giusto nelle decisioni che andrò a prendere, di non farmi influenzare o deviare da agenti esterni. Di essere diretto.”
Presi nuovamente la carta tra le mani, mettendola vicino l’orecchio come se potesse parlarmi. Lo facevo spesso.
“Uhm.. ecco. Sì… Grazie Giusty...” bofonchiai impercettibilmente.
”La carta dice che per poter gestire al meglio gli studenti dovrò puntare sulla chiarezza, di esprimere concetti e nozioni che possano sempre porsi in equilibrio, nel mezzo, tra ciò che può essere oggettivo e soggettivo. Sostiene che non sarà l’inflessibilità a portarmi l’autorità e che dovrò puntare sul risultato stesso, per ottenerlo… Che burlona, la Giustizia!
Risi di gusto ma senza sembrare troppo squinternato. Ero davvero felice di quel responso perché, tutto sommato, sembrava voler dare ragione ai pensieri che poco prima avevo messo in parole.
”Tornando a noi… spero che questa piccola dimostrazione le abbia potuto dare uno squarcio piacevole sul mondo della cartomanzia, pratica che come avrà capito prediligo rispetto le altre. Purtroppo è una tra le tante mantiche che non gode di grande prestigio fra la gente, questo credo sia dovuto più all’utilizzo che molti babbani e maghi ne fanno per trarre in inganno persone… fragili?! Oppure sarà che la maggior parte delle persone si aspettano che le carte diano messaggi strettamente predittivi eclissando completamente la legittima facoltà del libero arbitrio. Sono argomenti che abbiamo trattato ampiamente nei nostri discorsi. Penso abbia capito il mio punto di vista a riguardo, senza bisogno che mi ripeta e che la annoi troppo… Riassumo giusto dicendole che per me le carte ci danno messaggi che, in qualche modo, hanno senso nel momento in cui vengono ‘uditi’… Insomma, quelle sincronicità di cui parlavo prima. Detto ciò, questa branca affonda le sue radici in territorio europeo. Si dice sia nata principalmente in Italia, ma alcuni pensano sia un’arte proveniente dalla Francia. È inutile girarci molto intorno, la cartomanzia nasce probabilmente con scopo ludico. Delle carte che potevano offrire un dilettevole passatempo in epoche ormai andate. Fu col tempo che questo gioco acquisì con ogni probabilità le sue funzioni ‘predittive’. In particolare nell’800 ci fu un largo sviluppo di pratiche divinatorie e ritorno in auge di quelle dimenticate, ad opera di circoli esoterici che ne facevano utilizzo e da lì vennero diffuse in tutto il mondo, ancora una volta grazie alle stesse popolazioni nomadi nominate già più volte in precedenza. Che dirle di quest’arte se non che mi rappresenta e che fa parte della mia vita… Che è la mia vita stessa? Per me questo mazzo è un’estensione di me stesso, così come il mio braccio è un’estensione del mio corpo. Iniziò tutto quando mio padre, tornando da un lungo viaggio, mi portò delle carte in regalo per farsi perdonare. I miei genitori avevano notato da tempo una mia propensione alle arti divinatorie e l’uso dei tarocchi non fece che aumentare la loro convinzione che avessi probabilmente ereditato un qualche tipo di dono da nonno. Ma non sono qui per millantare un eventuale dono della vista, né per autocelebrarmi, semplicemente condivido con lei questo pezzo della mia storia per farle capire che fa parte di me da parecchio tempo. Ecco. Su un piano più tecnico e teorico posso dirle che ogni mazzo di tarocchi è composto da 78 carte. Di queste 78, 22 sono Arcani Maggiori e 56 sono dette Arcani Minori. Tra questi ultimi abbiamo un’ulteriore suddivisione: quella in semi. Coppe, Spade, Bastoni e Denari. Ogni seme conta 14 carte. Dieci sono numerate, appunto, da uno a dieci. Le altre quattro rimanenti rappresentano le carte di corte e sono, in ordine, fante, cavaliere, regina e re. Gli Arcani Maggiori ci danno indicazioni sul viaggio nella vita, iniziano col Matto e finiscono col Mondo. Gli Arcani minori, invece, ci forniscono dettagli su ciò che è più quotidiano e all’ordine del giorno. C’è davvero molto da dire sui tarocchi, se avesse particolari curiosità potrebbe farmi delle domande specifiche e mirate… mi dica lei… lo dico per la sua incolumità!”
Pensai che chiedermi di parlare così apertamente dei tarocchi fosse una follia. Ne avrei davvero potuto parlare fino allo sfinimento, senza comunque finire di dire tutto il dicibile. Che la segretaria volesse passare più tempo con me in quella stanza? Che volesse approfittare della mia compagnia perché ormai piacevolmente coinvolta? Provavo felicità al pensiero, tuttavia una domanda così aperta poteva portare ovunque: composizioni, mazzi diversi, oracoli, significati, stesure, metodi di mescolamento, simbologia… Per un attimo prese a girarmi la testa e, istintivamente, portai una mano ad essa come se la stessi raddrizzando. Come fosse stato un oggetto fuori posto su di un mobile di casa. Poi mi chiesi se Lucille avrebbe continuato davvero a farmi domande. Mi avrebbe chiesto quale fosse il mio colore preferito o come avrei decorato il mio futuro ufficio? Sperai di sì.
{ Solo la follia può prolungare la giovinezza e tenere lontana la vecchiaia. }
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