«Oh, non farti prendere dall'ansia» invitò agitando una mano, come a voler così fugare i pur legittimi dubbi di Lucien. «Io ho avuto un'infanzia orribile, sono stata fondamentalmente sola fino ai quindici anni e pressoché ogni mio comportamento era autolesivo a dire poco» enunciò tranquilla, con la stessa enfasi che avrebbe riservato alla lista della spesa. «Per forza è andata come è andata, non serviva essere Divinatori per capire che mi sarei cacciata in guai seri. Non vorrei sembrare presuntuosa, ma dubito che riuscirà a eguagliarmi» aggiunse, con la speranza che quella sua valutazione, per quanto poco suffragata da una effettiva conoscenza dei fatti, riuscisse a rassicurare almeno un poco il mago. L'affermazione successiva di lui le parve una conferma che Océane - oh, giusto, l'aveva proprio sulla punta della lingua - doveva essere, se non più prudente, quantomeno più sveglia di quanto Elizabeth era stata alla sua età. Trovò tale pensiero abbastanza ragionevole da condividerlo: «Vedi, già saper valutare chi o cosa può tornarle comodo denota più capacità di giudizio di quanto ne avessi io e probabilmente anche di quanto potrò mai averne e sono sicura che con il tempo saprà affinare questo suo vantaggio. Non sembrerà molto, ma è una differenza importante.» concluse. Non c'era altro che potesse dire e del resto non era certo nella posizione di elargire consigli di buon comportamento fraterno, lei che a sua sorella non aveva nemmeno rivelato la propria esistenza.
I suoi amici, la sua famiglia di elezione, erano al contrario un argomento su cui poteva dirsi ferrata. «La verità è che in fondo sono - siamo - tutti rimasti un po' quegli adolescenti, a dispetto delle nuove responsabilità e, beh, di tutto il resto» rivelò, dichiaratamente glissando sugli avvenimenti che avrebbero dovuto causare una maturazione rapida e brutale ma che li avevano invece visti aggraparsi con ancora più tenacia alla purezza di un legame nato in anni più spensierati e consolidatosi ad ogni nuova sfida.
Anche tra loro due, in quella improbabile serata, in fondo era stato così. Tutto quel rievocare, appena ritrovatisi, le ferite più profonde di entrambi non si era spento in silenzi imbarazzati o in una fuga celata dietro improbabili scuse, ma al contrario sfociava nel rinnovarsi di una promessa che fino a poco prima sembrava persa in un passato lontano. Elizabeth comprendeva l'eccezionalità del momento, eppure il gesto repentino del mago la spiazzò. D'istinto si irrigidì e per tre, forse quattro secondi rimase immobile, ma subito dopo rilassò le spalle, lasciò che il proprio capo si appoggiasse alla clavicola dell'altro e sollevò le braccia a circondargli il busto, senza nemmeno stupirsi di quanto quella stretta la confortasse. Quando si staccarono, non ebbe la forza di guardarlo negli occhi: si sentiva già terribilmente esposta così. Preferì invece soffermare l'attenzione su un'innocua ciocca di capelli, caduta a coprire parzialmente il viso di Lucien. In un gesto automatico allungò le dita a rimetterla a posto, per quanto un qualcosa potesse avere un posto su quella testa perennemente scompigliata, e solo allora e con lo sguardo fermo in zona sicura, ben al di sopra delle sopracciglia del mago, Elizabeth riuscì a rispondere: «Anche tu».
Si erano detti tutto quel che serviva, non restava che salutarsi. Scesero le scale della Stamberga in una curiosa processione, che vedeva Lucien in testa a scegliere con disinvoltura le porzioni di legno ancora sano, il diricawl zampettargli dietro e la strega in coda a fornire l'appropriata litania, con una sequela di imprecazioni soffocate ad ogni gradino fallace.
Un ultima battuta per Lucien - «'Notte Cì. Non lasciare che i tuoi marmocchi ti stanchino troppo» - e un occhiolino a Leviòsa, cui andava riconosciuto il merito di averla condotta nel posto giusto al momento giusto, e con una giravolta Elizabeth si smaterializzò.