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andragora – una parola, un mondo intero. Man mano che la lezione s'addentrava in risvolti versatili, di certo singolari, Oliver scoprì d'essere profondamente sorpreso. Aveva già affrontato il programma scolastico sulla pianta magica in questione, ricordava che fosse stato uno degli argomenti d'esame orale; ingenuamente, allora, aveva creduto fino ad allora d'esserne assolutamente informato.
Appassionato all'Erbologia com'era da sempre, l'incontro accademico continuò a risaltare una e più aspettative, tutte insieme oltre ogni possibile immaginazione. La Professoressa Fiachran, per giunta, stava andando alla grande: il modo in cui collegava un tema all'altro, il modo in cui la voce cadenzava le giuste pause, perfino il modo in cui realizzava tensione e colpi di scena, ogni dettaglio appariva studiato a menadito. Oliver aveva già affrontato lezioni extra-scolastiche, un po' topo da biblioteca quale era sempre stato – l'approfondimento sulla Trasfigurazione Animata, l'analisi delle costellazioni, stelle e pianeti all'equinozio d'Inverno, e così via. Memorie, quelle, che non avrebbe potuto dimenticare e che, in qualche modo, aveva creduto irripetibili. Il simposio sulla mandragora, tuttavia, riuscì a fargli cambiare idea fin dalle battute d'esordio. Le stesse Serre d'Erbologie, che gli erano oramai familiari, mutavano aspetto, intrecciandosi ai sortilegi sospesi a mezz'aria – candele, pergamene incantate, mappamondo e tanto, tanto altro ancora. Per lui, poco ma sicuro, era uno spettacolo. Mentre la Docente illustrava le proprietà esoteriche della mandragora, Oliver non poté fare a meno di volgere l'attenzione verso
Aquileia Goodheart. Ovunque fosse seduta, l'avrebbe raggiunta con un sorriso carico di significato – di gentilezza, di affetto, soprattutto di gratitudine. Il pollice verde che sentiva d'aver ottenuto negli anni, infatti, dipendeva in parte proprio dall'altra: la talea di cespuglio farfallino, i funghi dormienti, tutto puntellava ricordi d'esperienze senza confronto.
Dedicò uno sguardo rapido lungo il tavolo, incontrando volti familiari in una e più postazioni. Era contento, ad esempio, di scorgere alcuni concasati alla lezione, già immaginava il momento in cui – davanti il caminetto comune – avrebbero potuto commentare insieme. Scovò la figura della Dottoressa
Read, e rispose al saluto con un cenno del capo e un sorriso vivace – in cuor proprio aveva sperato che potesse presenziare all'iniziativa, l'idea di una collaborazione per la rubrica di medimagia del giornale zampillò subito dopo.
Oliver non era il solo, in ogni caso, a vivere l'esperienza tanto intensamente; l'Asticello si crogiolava, infatti, nella ghiotta possibilità d'arrampicarsi lungo un rametto dopo l'altro. Il tavolo da lavoro ospitava una serra in miniatura che avrebbe fatto gola ad ogni creatura boschiva, come dargli torto?
Per di più, oramai l'aveva assodato, il piccoletto aveva trovato una nuova amica. La voce di
Camille, accanto, risvegliava in Oliver ricordi preziosi.
«Al prossimo Natale organizzeremo una battaglia di neve, segnalo.» Commentò così, in richiamo all'ultima avventura che entrambi avevano vissuto – fuochi d'artificio, stelle dorate, battaglioni di soldati alla rinfusa. Confidava di ripetere qualcosa di così speciale anche quell'anno. Il rametto di lavanda che la Tassina gli passò poco dopo, invece, gli riscaldò improvvisamente il cuore – la bellezza dei piccoli gesti, d'altronde, gli era sempre stata cara. Lo accettò con un sorriso sinceramente colpito, l'espressione d'apprezzamento sul volto. Lo sollevò appena, così da catturarne il profumo finché l'Asticello non cercò di avvinghiarsi lungo lo stelo con le dita pensili. Oliver tolse il rametto in fiore da ogni visuale prima che potesse spezzarsi. Si affrettò a riporlo nel taschino della divisa, proprio dove l'Asticello era stato fino ad allora. In effetti, la creaturina si scosse in un tremito che coinvolse le foglie sulla testa, in segno di protesta.
«È meraviglioso, grazie.» Commentò così, la mano tuttora sul taschino.
«Sembra essere stato un viaggio incantevole, non sapevo tra l'altro che avessi parenti francesi. Sai, anche mia nonna Adeline è nata in Francia, oramai però vive in Irlanda da tempo. Passi spesso le vacanze estive lì?»Era genuinamente incuriosito. Si volse poi verso l'altra Prefetto
Corvonero.
«E tu, Phoebe, hai fatto qualcosa di particolare per l'Estate?»Le pause tra una spiegazione e l'altra dell'Insegnante rappresentavano l'occasione perfetta per qualche scambio di conversazione – gli piaceva essere parte del gruppetto improvvisato, in effetti. Viveva un'atmosfera già serena.
Infuso Guizzante alla Mandragora ■ La lezione, allora, poté proseguire con altri collegamenti di rilievo – leggende, simbologie,
origini della mandragora. Si appassionò ancor più di quanto non avesse fatto fino ad allora, affascinato dalle nozioni che la Prof. Fiachran snocciolava magistralmente. Il mappamondo, sospeso in volo, lo aiutava a focalizzare uno e più punti geografici – fantasie di pergamena, di magia trasfigurativa. Sapeva che la mandragora avesse una specie anche non prettamente magica,
mai avrebbe immaginato però potesse essere tanto gettonata nel corrispettivo babbano. Il mistero che aleggiava intorno alla pianta, in effetti, crebbe notevolmente – in Europa, in Oriente, in più luoghi. La mandragora aveva lasciato il segno, in termini di cultura, di erbologia e di stregoneria. Aveva letto l'articolo della Gazzetta così tante volte, tra l'altro, da aver memorizzato le parti salienti – Camille aveva svolto un lavoro magistrale. A suo parere, si trattava di un vero e proprio saggio accademico, che lui aveva recuperato dal giornale, ripiegato con cura e sistemato tra le pagine di taccuino (un fiore di calendula ne individuava il segno).
«È stato difficile raccogliere tutte le informazioni sulla mandragora? Intendo...» Si rivolse alla stessa Camille con un sorriso, recuperando la brocca d'acqua più vicina per preparare l'infuso. Le indicazioni gli ricordarono i momenti in cui sua madre e zia Adele illustravano con passione come cucinare le famosissime torte rustiche (un segreto, quello, che né lui né altri in famiglia avevano ancora scovato).
«A meno che la Fiachran non si sia reincarnata in te, è stato un lavoraccio. Un giorno mi svelerai i tuoi segreti» scherzò.
Nel frattempo, si dedicò all'infuso in modo scandito: recuperò diverse foglie di mandragora, il colore verde brillante lo rimandò indietro al tempo in cui lui e Fred – suo concasato – si erano beccati strilletti acutissimi delle piante; le sminuzzò rapidamente nel mortaio, con l'ausilio degli strumenti intorno, e vi aggiunse infine più petali – il gusto dolce, in effetti, lo attirava maggiormente. Amalgamato com'era, il composto gli appariva come una di quelle creme che avevano appena ricevuto in dono. Il colorito non prometteva benissimo, avrebbe dovuto ammetterlo, e l'aggiunta dell'acqua altro non fece che rendere tutto più fangoso. Il profumo, invece, era delizioso – l'essenza della terra bagnata, del bosco e della natura libera. Prof. Fiachran aveva sottolineato il legame con l'affetto più prezioso, e lui... lui aveva più persone nel proprio cuore. Il volto di chi aveva lasciato un segno, infatti, fece breccia fugacemente: il tempo di richiudere l'infuso in ampolla e di scuoterlo come indicato.
Che fosse stato subito o più tardi, l'avrebbe provato di certo.
Rituale del Sonno e del Sogno ■Se avesse dovuto descrivere la mandragora, l'avrebbe fatto a malincuore in poche, utili frasi: una pianta incantevole, piuttosto buffa, con proprietà curative e magiche e la propensione ad essere più fastidiosa di Pix il Poltergeist. Non avrebbe saputo elencarne differenze né analogie con... una, due, tre,
così tante specie nel mondo magico. La spiegazione successiva, infatti, lo lasciò completamente di stucco – e forse l'Asticello, tornato alla ribalta, appariva d'idea simile. Scrutavano entrambi – occhi di smeraldo e di foglie – le diverse tipologie di mandragora, i cui vasetti sospesi a mezz'aria trotterellavano lungo i partecipanti. Respinse la tentazione di sfiorarle, soprattutto la
mandragora amazzonica. Conquistò l'attenzione di Oliver per la forma rotondetta, tanto singolare: ricordava il bulbo del proprio pugnacio prima che crescesse a dismisura, quasi con le stesse radici grassottelle e filamentose. Le foglie, ben più carnose, lo spinsero follemente a chiedersi se fossero... commestibili. Una domanda, forse sciocca, che non tenne per sé. Condivise con Camille e Phoebe, in un sussurro.
«Secondo voi c'è qualcuno, in Amazzonia, che sappia cucinare le foglie di mandragora? Potrebbero esserci delle chewing-gum speciali, un po' come quelle di drago di Zonko.» ...che lui non aveva mai provato, ma che Penny aveva ben pensato di sfruttare come giustifica (fasulla, s'intendeva) per ogni lezione scolastica saltata. Si ripromise di non interrompere più la lezione, aveva già attirato un paio di occhiatacce. Con il favore del sortilegio
Ago Impnetio, poté realizzare a sua volta uno dei curiosi "richiama-sogno", così in voga nella cultura greca. Nonostante tutto lo invitasse verso il secondo rituale, di gran lunga più macabro e singolare, gli piaceva l'idea di avere tanti souvenir – un po' come ricordo della lezione, certamente, ma anche perché non avrebbe rifiutato affatto l'ennesimo tentativo di contrastare l'insonnia. La stoffa che poté scegliere, allora, risultò ben più colorata del solito: una toppa di maglione color cioccolato, con linee dorate e una fila di bottoni d'ocra. Riuscì a cucire tutto a colpi di bacchetta soltanto al secondo tentativo, distratto com'era dal ricordo di zia Brigitte. Era lei, infatti, l'appassionata di ago, cucito e moda magica in famiglia, un'altra presenza che non vedeva da tempo. Mai avrebbe creduto che la lezione potesse trasformarsi in un tour di memorie personali.
«Somnum fave, no... fava.» Sollevò lo sguardo verso le altre.
«Ha detto fave?» *Faveo*, colse poco dopo tutto intorno. Con un cenno del capo, a mo' di ringraziamento passeggero, riprese con la formula corretta.
Somnum faveo, somnium appello. C'era un ché d'esoterico, nella pratica.
Vi aggiunse un petalo di giglio della pace proprio al centro, inserendo alcuni bottoni in superficie per unire le stoffe variopinte. Somigliava più ad una tasca strappata, la forma allungata verso il basso e l'estremità destra più larga.
«Rituale dell'Homunculus.» Si rivolse di nuovo verso le amiche.
«Ci spetta un bicchiere di vino alla mandragora, alla fine?»