The Roaring 20's , Ballo d'Inverno 2022

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view post Posted on 13/2/2023, 19:39
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It comforts me much more, to lay in the foundations of decay.


La luce soffusa s’infrange sulle tue guance. Non riesco a distogliere lo sguardo, seppur ogni secondo passato sul tuo volto è un colpo che non riesco a tollerare. Ne accuso sconsideratamente ogni istante.
Questo dolore…
Questo dolore è ciò di quanto più vicino ci sia al riprendere ad esistere.
Sono passati anni da quando sei andato via, eppure la mia ultima supplica - l’ultima di tante - ancora risuona come eco eterno nella mia testa. Le preghiere che ti ho dedicato, mentre cercavo di tenere insieme i pezzi, ancora arrossano il viso, premono con forza sul torace.
Annientano il respiro.
È un calore simile quello che ora avvampa, stringendosi intorno al cuore che vacilla, come foglia d’inverno al calar del sole; perché, per quanto forti, le fiamme non attecchiscono al gelo in cui l’hai nuovamente costretto.
Per quanto forti, non riescono a tenermi al caldo, figuriamoci al riparo.
Al riparo da Te.
Ed ecco che mi guardi con rabbia. I tuoi occhi accompagnano perfettamente parole crudeli. Non c’è nulla di vero nella distanza che ho creato perché non era ciò che volevo, non lo è mai stato. Cosa ti aspettavi da me? Che ti facessi domande futili; come stai o cosa fai, ora, nella vita? Quella stessa esistenza di cui mi hai privato, scegliendo per entrambi.
Hai distrutto tutto, lo sai?
La ferocia che mi dedichi, dopo tutto questo tempo, è una conferma. E in un fragile battito di ciglia, arriva la certezza che la mia presenza è solo sembianza di un disagio passeggero perché il semplice fatto che io respiri nella tua stessa stanza, ti urta. Non dovrei essere qui, come ho osato, non è vero?
Non che non avessi mai pensato di ritrovarti un giorno, ma non credevo che sarebbe stato come morire ancora una volta. La tua rabbia, la sento mordere, squarciare la pelle; s’insinua tra i frammenti distorti del mio corpo. Tremo davanti alle aspettative che non credevo d’avere. Tremo al pensiero del tuo sguardo su di me.
Tremo.
Tremo.
Tremo.
In questi anni ti sei forse convinto che fosse colpa mia?
Dopotutto, sono io che ho ceduto all’oscurità quando ancora non conoscevo la tua Luce. Ma ero piccola, dovevo proteggermi, io… No.
Non farò il tuo gioco.
Non sono più la bambina che ti ha incontrato sulla riva del Lago. Ricordi il coltello che premevo contro la tua pelle? Gli occhi divertiti che rilucevano al bagliore di quella lama così invitante?
Non ho più paura. E non ho paura di te. So già di cosa sei capace.
È peggio, dici?
Mi domando se ti chiedi cosa ne abbia fatto di tutto questo dolore.
Non hai idea di cosa sia peggio. Non hai idea di cosa voglia dire invocare il tuo nome, implorarti di non lasciarmi. Non hai idea di cosa voglia dire la tua ira riversata su di me, quando sei stato tu a devastare tutto, pulendoti senza rimorso le mani dalla cenere in cui hai ridotto tutto ciò che eravamo - e saremmo potuti essere.
Ho fatto bene ad allontanarmi, mi dico, ma i miei occhi tradiscono ogni fermezza. Non sono forte, in questo momento, e non me ne frega un cazzo che tu lo veda.
Goditi la mia fragilità, sii soddisfatto d’avermi annientata. Dove tutti falliscono, tu sei riuscito. Brinda alla tua vittoria.
Il sorriso della sconfitta arriccia appena le mie labbra quando chiudo gli occhi, quel che basta per rispondere alla tua ferocia con la mia tristezza.
Ma tu puoi vederlo? Mentre lei ti prende il volto tra le mani, portandoti via da me. Mentre nascondi il tuo veleno oltre il candore dei suoi capelli, riesci a pensare a quanto è necessario che io ti sia lontana, in questo momento?
Perché io sì, quando il tuo capo si piega nella tortura che hai deciso di infliggermi, penso a quanto io sia stata, in verità, coraggiosa ad andare via da te. T’avrei amato ancora una volta, baciato gli occhi sorpresi, distruggendo me, facendomi a pezzi, ferendomi. Sono le labbra di Nieve che stai solcando, calmando la tempesta in cui, la mia sola presenza, ti ha gettato?
É questo quello di cui hai bisogno? Un rifugio da me che credi possibile se solo io, finalmente, ti odiassi.
Ridicolo. Pensi che basti questa ridicola scenata a farmi desistere?
Quello che sto vedendo, non è il mio Horus. Quello per cui avrei accolto il Signore Oscuro a braccia aperte, aprendo lo sguardo su quel viso esangue pur sapendo che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe spirato i miei occhi. Quello per cui avrei dato la mia stessa vita.
Horus che mi amava.
Che abbracciava i miei peccati.
Rischiarava le mie tenebre.
La sua mano che stringeva la mia. Abbracci contro lividi. Parole che guariscono ferite.
Comprensione. Dolcezza. Amore.
Questo gesto, tanto futile quanto grottesco, non ti fa giustizia - non ne rende a ciò che siamo stati; e quando i tuoi occhi ritrovano i miei - quando la spietatezza si scontra con la disperazione che anela alla caligine delle mie iridi esauste - non posso fare altro che chinare il capo davanti alla mia disfatta.
Chino il capo e i denti sono così stretti attorno al rosso delle mie labbra che il sapore della ciliegia diviene ferro e percuote il corpo con imperfetti, impercettibili fremiti.
Il mio respiro cede al peso della tua perversione.
Perché la verità, Horus, è che sei tu ad odiare me e io non so che farmene del tuo sguardo accusatore perché non lo comprendo. Non lo trovo giusto.
Lo so che vuoi odiarmi. Perché è impensabile che tutto questo voglia dire il contrario, no?
Non potrei crederci perché chi ama, Horus, non ti lacera l’anima osservando soddisfatto la sua opera. Perché nell’ipotesi che tu voglia il mio bene, non avresti disintegrato nuovamente ogni speranza.
Eppure, mentre la voce di Albus imperversa contro le mura di quel che - almeno sulla carta - doveva essere il posto più segreto tra tutti, io rimango qui. Mentre in molti mi passano accanto per raggiungere il palco, io resto.
Perché, se è questa l’ultima volta che i miei occhi ti guardano, non voglio che finisca. Perché per un attimo la mia tristezza ha suonato la tua stessa melodia, riflessa oltre il cristallo che saggia le tue labbra. Perché mi domando se sia realmente così. Se io stia sbagliando a capire ogni cosa.
No, non posso crederci.
Non posso cedere, non dopo quello che mi hai appena mostrato.
Non posso gettarmi nel vuoto, non dopo che mi ci hai spinta.

Quindi, fa pure. Detestami.
Avvolgimi con la tua collera.
Mostrami con fierezza le tue labbra, ora che hanno sfiorato quelle di qualcun altro.
Fammi a pezzi.
Avanti, con ogni fibra del tuo essere, sii crudele. Avanti.
Ti sfido.
Perché non sei tu. Questo non sei tu.
Non puoi essere tu.


Menzioni: Horus
Interazioni: //
Posizione: All'interno dello Speakeasy

 
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view post Posted on 14/2/2023, 14:35
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entropia.

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w5Lpd6X
Call me what you want
Ancora una volta, Horus non è qui. Mi osserva senza capire —senza guardare. I suoi pensieri sono calamitati verso l’unica persona di cui gli importi nel caos che impera in questo squallido bar improvvisato, dove ci siamo riversati per dimenticare quanto siamo maledettamente infelici.
Sotto i polpastrelli la sua barba è morbida, ma la verità è che non importa più neppure a me. Ho provato a fargli un favore —se fossi onesta con me stessa, direi che ho voluto farmi un favore—, ma lui ha scelto di non cogliere l’opportunità. A questo punto, delle sue sorti non sono più responsabile e manca poco per pareggiare i conti.
Ecco perché sbuffo quando mi parla. E scuoto la testa pensando a quanto sia coglione con la sua aria da finto saputello, quando possiamo vederlo tutti, qui, prostrato e carponi per la ragazza a pochi metri di distanza dal punto in cui ci troviamo. E sempre per lo stesso motivo ne accompagno il movimento, scrollandomi di dosso la sua mano dal polso con un unico gesto secco che vuole dire tante cose e forse nessuna che abbia davvero un valore. Era così ottuso anche prima, a scuola, o ero io a vederlo migliore? O come tutti si era costruito un ruolo che nel mondo degli adulti non ha retto?
L’intervento di Eloise mi distrae, fornendomi la scusa ultima per prendere la decisione più saggia e risparmiare al mio presunto eroe la mortificazione di una risposta piccata —“torna a strisciare nella direzione che conosci bene, Horus”—, incapace come sono di gestire i nuovi termini del nostro rapporto, il rancore che emerge a ondate ogni volta che lo vedo e chiunque pretenda di indirizzarmi in qualche modo senza piegarsi al mio volere. Lascio passare lo sguardo dal bicchiere al ghiaccio al volto pieno di lentiggini della Lynch. Un attimo dopo, sto sorridendo e mugugnando.
«Au! Fa male» dico, incapace di tenere le labbra ferme e di non ridere, contagiata da Eloise. Non ci siamo mai concesse un tête-à-tête e forse era giusto così, perché non saprei immaginare momento più appropriato di quello presente. «Fai pure! Ma, ti prego, smettila di ridere!»
Una goccia di sangue sgorga dalla ferita che apre l’epidermide del labbro inferiore, mentre trangugio il bicchiere di whiskey incendiario e le porgo il viso per lasciare che me lo rimetta in sesto. È piacevole sentire la magia agire, placare la pulsazione generale che due pugni ben assestati sono stati in grado di causare sul mio zigomo sinistro e sul sopracciglio poco più in alto. È forse per il senso di sollievo che, presa dall’entusiasmo, le butto le braccia al collo a operazione ultimata, appagando finalmente il bisogno di contatto umano che mi ha divorata da dentro negli ultimi minuti. Le sussurro delle scuse poco convinte e provo a spiegarle che non ho idea del motivo per il quale mi sto comportando in modo così bizzarro. Intanto, continuo a tenerla stretta e a respirare il suo profumo dolce.
«Scusami» ripeto. «Dev’essere stata la botta in testa» abbozzo, prima di staccarmi da lei e avvicinare i cubetti di ghiaccio alle parti che non ha curato —la ferita alle labbra, ad esempio, sotto mia espressa richiesta.
Mi piace l’idea di portare addosso qualche segno delle battaglie che ho combattuto, le ho detto. Mi danno un’aria da dura.
Sento il sangue pulsare sotto la pelle, chiedere pietà. Trattengo il fiato ed emetto un suono trattenuto a stento, quando il ghiaccio si posa sulla carne, trasmettendomi una sensazione di dolore acuta e ricordandomi di quali crimini io mi sia macchiata stasera. Apro gli occhi in tempo per scorgere il gesto di Horus in direzione di Emily Rose e non so se sia l’effetto del Whisky o dei colpi che ho preso in testa, eppure… noto qualcosa che non avevo visto finora oltre ciascuno dei veli frapposti da una cocciuta razionalità nel valutare le azioni del mio desiderato amico, poi sussurrato amante, adesso nemico-eroe.
Non conosco la dinamica del suo rapporto con la persona che gli indurisce i lineamenti e che tormenta il suo mare di ghiaccio tra le ciglia. Di contro, conosco il pregiudizio e il giudizio —lo stesso che ho involontariamente formulato quando l’ho costretto a guardare altrove, il medesimo che altri hanno emesso su me e Astaroth.
Chiudo gli occhi e l’immagine della mia mentore si materializza con nitidezza al mio cospetto, bellissima nella sua sensualità divorante. Sento anche la voce di Grimilde e scorgo il biasimo negli occhi di Thalia ad ogni mio salto di gioia, a ciascuna mia più piccola menzione, a ognuno dei fiati spesi ad amarLa.
Una goccia d’acqua cola dalla bocca fino al mento, incrociando la scia del sangue venuto giù dal labbro poco prima. E io non riesco ad aprire gli occhi. La musica ed il chiacchiericcio attorno a me perdono consistenza, annullandosi al ricordo della Sua risata. Di riflesso, sorrido anch’io e stavolta ignoro il dolore, la fitta che viene con il tendersi della carne molle, il piccolo fiotto di sangue che imbratta la punta sottile del mio mento chiaro.
Ti capisco, Horus, e mi dispiace averti giudicato. Sono stata anch’io stupida, testarda e cieca, sorda agli ammonimenti della mia stessa coscienza. Distrutta dalle assenze, dalle decisioni sbagliate, a volte da quelle mai prese. Dalle parole degli altri, da quelle della persona che amavo. Straziata dall’incapacità di dire addio, di lasciare alle spalle Lei, noi e la parte di me stessa indissolubilmente legata a quello che siamo state.
Vorrei dirti che, finché hai la possibilità di combattere per voi, dovresti farlo. Io ho iniziato ché le lancette dell’orologio avevano passato la mezzanotte e la carrozza si era trasformata in zucca. E ora vivo con il rimpianto di averLa perduta per sempre. Tuttavia, il tempo è trascorso anche per noi e il solo soldo spendibile per stasera è già caduto dall’albero delle monete d’oro. I miei consigli sarebbero fuori luogo, ogni mio aiuto un anelito al Cielo pronto a disperdersi nell’immensità di una notte di velluto.
Apro gli occhi, le dita intorpidite per il freddo —ora del colore dell’ametista— e gli occhi di neve ancora prigionieri del ricordo di ciò che avrei potuto avere. Di ciò che non avrò mai. Allento involontariamente la presa su quel che rimane del ghiaccio sciolto e rimango in attesa finché non riesco a sentirne l’impatto con il pavimento. Allora, mi volto verso la Lynch, ascoltando le parole lontane di Peverell annunciare la vittoria dei Corvonero.
«Non pensi che dovremmo brindare a un altro anno glorioso per Grifondoro e Tassorosso?» le dico con un sorrisetto a metà tra l’amaro, il rassegnato e il divertito. A fatica, mi metto a sedere su uno sgabello. Ho la testa che scoppia, i pensieri confusi e il cuore che continua a chiedermi dove sia Astaroth —perché non sia venuta alla festa. Alzo una mano in direzione del barista con un gesto grazioso e ordino due drink, chiedendogli di scegliere per noi. «Ci rimane una speranza con il Quidditch almeno» continuo, ché il cameriere ci ha appena servito due London 21. Alzo il bicchiere nella direzione della mia inattesa soccorritrice, la seconda di questa serata, proponendole un cin. «Che vinca il migliore!»
All the flowers grew back as thorns

Interazioni: Eloise, Horus
Menzioni: Emily


Edited by ~ Nieve Rigos - 19/2/2023, 16:27
 
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view post Posted on 14/2/2023, 19:25
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No rain, No flowers

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Helena S. Whisperwind ─ Tassorosso ─ I anno ─ Outfit
P
erché non capiva? O faceva finta, di non capire?
Avrebbe preferito di gran lunga se fosse stato sincero: “Guarda Hel, hai ragione, ci sono andato nonostante ci fossimo promessi di andarci insieme. Avevo troppa voglia di acquistare dei libri nuovi e quindi mi sono fatto prendere dall'entusiasmo”, o qualcosa del genere.
Oh, come l’avrebbe apprezzato!
E invece no, eccolo a rigirare la frittata e lanciare le sue accuse, per di più con grande ostilità verso le sue amiche.
Helena ascoltò in silenzio, continuando a fissarlo, restando immobile, come una statua di pietra.
Per quanto l'atteggiamento tremendamente evasivo di Edmund le dava sui nervi e le faceva ribollire il sangue nelle vene, quello che le premeva di più era capire perché lui aveva ignorato quello che si erano detti ma soprattutto chiarire la questione una volta per tutte.
Dischiuse le labbra per replicare, ma non emise alcun suono e le serrò di nuovo. Era come se si fosse divisa in due; due schieramenti opposti che giocavano, anzi, lottavano a tiro alla fune, in una gara di forza (di volontà) che per il momento vedeva le due squadre in parità, contendersi la predominanza di emozioni, gesti, parole e vittoria con grande determinazione.
Davanti a lei, una delle persone più care che aveva ad Hogwarts. Dentro di lei, un profondo desiderio di chiarezza, di lasciarsi tutto alle spalle, contro l'impulso di sfogare quelle spropositate turbe e rabbie adolescenziali.
«Ma che dici, Ed? Perché “non si poteva”?»
Avrebbe voluto bombardarlo di domande, tirare in ballo il fatto che si fosse comportato un po’ da egoista, che aveva pensato soltanto al suo desiderio di shopping e non a quanto le aveva promesso, che non era stato nemmeno carino con quella certa Amelia (chi era Amelia?!) perché a quanto pareva era andato ad Hogsmeade con lei solo perché sapeva dove vendevano i libri, che era profondamente delusa, che si aspettava che fosse sincero e tante altre cose…
Ma gli voleva ancora bene. E si limitò a far vibrare le corde vocali per quelle due domande, delle quali, ovviamente, solo la seconda era in attesa di risposta. Si morse l’interno delle guance e deglutì tutto il resto, scegliendo di non rincarare la dose.
«Sì è vero, sono sparita, perché ci sono rimasta male e non mi andava di venire a studiare con te! Le mie amiche mi hanno fatto compagnia e mi hanno aiutata a non pensarci. Loro sono state presenti e tanto care, mentre tu invece...»
Si bloccò e inspirò.
«Tu sei stato molto poco Edmund Una delle due squadre sembrava pronta per un gran strattone a quella corda tesissima. Ma nessuna delle due ebbe la meglio e la situazione rimase equilibrata. Sbuffò, rilasciando per un attimo le spalle e poggiandole sulla sedia, come arresa. Non sapeva nemmeno lei che cosa volesse dire esattamente quello che aveva appena detto, ma le uscì dal cuore e probabilmente era giusto lasciarlo venir fuori così.
Sfiorò le piume del suo abito, avanti e indietro. Il loro modo di ondeggiare era quasi ipnotico e per qualche secondo ne fu rapita, pensierosa. Avrebbero dovuto trascorrere le vacanze di Natale ancora arrabbiati e offesi l'un l'altra? Che brutte vacanze. Sarebbe tornato tutto come prima? Lo sperava.
«E smettila di parlare male delle persone a cui voglio bene! Se loro l'avessero fatto con te non gliel'avrei mai permesso.» sentenziò asciutta, facendo parlare più lo sguardo che la voce.
Sentiva il desiderio di alzarsi, andare via, lasciarsi quella triste discussione alle spalle, andare a dormire, svegliarsi il giorno dopo per andare a pranzo o in biblioteca con lui, come sempre, a leggere, ridere, chiacchierare, confrontarsi, come se nulla fosse accaduto e come se tutto fosse stato soltanto un brutto sogno.
Già, andare in biblioteca insieme. Forse, per Edmund, l'unico scopo era sempre e solo stato studiare.

Helena
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Interazioni: Edmund
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view post Posted on 18/2/2023, 14:07
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Edmund Artemis Knight
Corvonero | I° Anno | 11 anni | Outfit
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Gli occhi di Edmund, che erano soliti muoversi rapidi a destra e sinistra per scrutare quanto gli accadesse attorno, erano rimasti fissi sul volto di Helena per tutti quei lunghi secondi, ostinati a intravedere nei riflessi azzurri della Tassorosso, uno spiraglio, un indizio, un segno, qualsiasi cosa lo aiutasse a dare un senso a quanto stava avvenendo.
Ma lungi da tutto ciò, si erano ritrovati solamente intrappolati dalla raggelante statuarietà della primina, che immobile aveva continuato a fissarlo. Fin troppo espressiva nella sua inespressività.
Ammutolito da quelle parole inespresse e raggelato da quella freddezza che non aveva mai toccato così con mano prima d'ora.
Solo quando Helena parlò, Edmund si ridestò appena da quel torpore del corpo e della mente, quel tanto da realizzare che quel comportamento era minaccioso come il cielo estivo, straripante di addensamenti nuvolosi nerastri e continuamente attraversato da bagliori fulminei: tutti sanno che da un momento all'altro sarebbe scoppiato il temporale. Gli pareva non fosse dissimile quella placidità della ragazzina, ma se il temporale era poesia metereologica, quello che sarebbe derivato dalla deflagrazione delle parole della Whisperwind avrebbe potuto essere esclusivamente il colpo di grazia a quel lungo periodo di tormenti.
Avevano giurato di dirsi tutto, e fino ad allora aveva sempre funzionato, tanto che avrebbe giurato la loro amicizia fosse inscalfibile, perché quindi si ritrovava ora costretto a temere l'effetto delle parole che avrebbe potuto dire? Perché ogni cosa che diceva sembrava avvicinare l'innesco alla polvere esplosiva concentrata a pochi centimetri da lui? Perché si ritrovava a trattenere i pensieri come era costretto a fare con tutti gli altri? Cos'era cambiato tra di loro che gli faceva così paura?


«Ehm... che cosa?
Beh non si poteva perché per un certo motivo non si poteva... »


Le parole vennero lasciate cadere in quel vuoto rimbombante che si era fatto spazio tra loro due, banali nella loro forma, e tautologiche nella loro sostanza. Avrebbe potuto persino dirglielo, e completare così quel capolavoro: non si era mai dimenticato della promessa e se ne aveva rimandato la realizzazione era stato anche per lei, ma comunque tutto ciò gli si sarebbe rivoltato contro, e l'unico effetto delle sue azioni, tolto quello che si sarebbe aspettato di lì a qualche giorno, sarebbe stato la lite e l'attuale gelo tra di loro. Oltre che la dimostrazione che non si era fidata minimamente di lui, una divaricazione notevole, forse definitiva.

«però potrei dirtelo meglio la prossima settimana, non è che potresti aspettare?»

Ascoltò la replica della coetanea, sempre più stretto tra un'opprimente malinconia e una soffocante asfissia. Non capiva, non la riconosceva. Sarebbe bastato molto poco: parlarsi subito, chiarirsi. E invece erano passati giorni e poi settimane, tempo lungo, interminabile. Giorni senza parlarsi, senza vedersi, giorni nei quali la mente costruisce film sempre più inverosimili per appagare la sete di risposte, offrendo soluzioni sempre più ardite per dare un senso a quella solitudine, finendo solo per alimentare la distanza e allargare quella crepa che rischia di fare vacillare ogni edificio che prima appariva solido nelle fondamenta.

«Tu sei stato molto poco Edmund.»

Già, constatò amaro. Forse era così, o forse si conoscevano talmente poco che Helena aveva gradito solo la piccola parte di Edmund che aveva conosciuto. Ma lui era anche quello, e se era bastato quello a farla arrabbiare a tal punto, forse prima o poi sarebbe comunque andata a finire così, gli avrebbe comunque detto che non poteva più essere sua amica. La bocca era secca, non c'era saliva ma solo un sapore amaro.
Che poi quel commento sulle sue amiche fosse stato alquanto eccessivo, lo sapeva lui stesso. Ma d'altronde, era stato più forte di lui, vistosi improvvisamente scavalcare nell'amicizia con lei da gente mai sentita nominare, o addirittura da ragazzine rancorose che nemmeno conoscevano il suo nome. Probabilmente il giudizio su di loro non sarebbe stato altrettanto duro se non avesse dovuto contendersi con esse proprio l'amicizia di Helena, tuttavia ciò che aveva detto ormai era detto e ora non gli restava che prendere atto di quell'ulteriore passo falso. Abbassò lo sguardo, riprese tra le mani il bicchiere e iniziò a miscelarne il contenuto, imprimendo al vetro un moto rotatorio regolare, moto che inevitabilmente si trasmise al fluido contenuto al suo interno. Tale gesto non aveva nessun significato in particolare se non quello di suggerire ai suoi occhi qualcosa da osservare per ingannare l'attesa; ormai si sentiva preda solo di quell'enorme malinconia, un sentimento strano che paralizza drammaticamente pensieri ed azioni. Tutto ciò che faceva sembrava muoversi al rallentatore, frenato da una forza oscura molto più intensa della sua esile forza di volontà; avrebbe voluto gridare, ma gli sembrava di non avere fiato, piangere, ma di non avere lacrime.
Deglutì e accennò un sì con il capo, non potendo far altro che ammettere la propria esagerazione.


«Non dovevo, scusa, ero solo molto invidioso.»

Il bicchiere di vetro era rimasto intrappolato tra le dita dell'undicenne, ostaggio dei moti che arbitrariamente decideva di imprimergli, compresso da quella morsa che sembrava sempre più stringersi su di esso. Ogni fremito dell'umore di Edmund si trasmetteva senza soluzione di continuità al bicchiere che vacillava sempre più vicino al punto di rottura, sferzato da quella lunga serie di vibrazioni difficili da controllare. Le pupille roteavano debolmente inseguendo il rigirare turbinio del whisky cercando di tenersi lontane dallo sguardo di Helena ormai apparentemente in grado di contribuire solo ad aumentare la confusione di Edmund.
Passò qualche attimo e inaspettatamente le ultime parole attecchirono, lasciando intravedere al Corvonero quello che in quel cielo tempestoso sembrava un raggio di sereno.
I riflessi di Edmund quella sera sembravano congelati e persino le facoltà del ragionamento funzionavano meno bene del solito eppure, sebbene con un po' di ritardo, la mente mise a fuoco quanto aveva sentito e ne disvelò il significato. Le parole possono talvolta dire molto più di quanta sia l'entità del loro significato denotativo. Che fosse corretta o meno, vera o meno, quelle parole per Edmund portavano a un'unica deduzione. Un brivido gli corse lungo la schiena quando si rese conto di quel non detto contenuto in quel messaggio.
Una luce improvvisa gli attraversò gli occhi mentre rialzava lo sguardo verso di Helena.
Rimase in silenzio a guardarla, soppesando quanto il suo pensiero fosse corretto. Difficile a dirsi. Altrimenti glielo avrebbe chiesto ma era insicuro.
Eppure si sentiva meno triste di prima; magari sarebbe servito un po' di tempo, ma avrebbero potuto tornare amici. Il solo pensiero bastava a fargli ritornare un po' di buon umore e ad allentare la morsa malinconica.


«Tra un po' parla Peverell, vieni con me?»

Le disse, ritrovandosi ancora con quel bicchiere in mano. Ora che il peggio pareva appena passato, parlarle gli sembrava più facile, sperava che fosse così anche per lei.

«Secondo te questo si può bere? Me l'ha dato Megan, volevo provare ad assaggiarlo.»


PS: 110 | PC: 56 | PM: 51 | PE: 3.5
Giuls || © harrypotter.it






Interazioni: Helena
Menzioni: Emma :*:
 
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Eloise Lynch
17 y.o. – the gambler – the roaring 20s

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Location: speakeasy
Interaction: Horus, Nieve
Mention: Emily, Pev
C’è qualcosa che le impedisce di smettere di ridere. Da un punto di vista oggettivo l’ilarità della situazione è quasi nulla, ma qualche meccanismo scattato nella mente di Eloise non lo accetta: non è un solito sogghigno, non è un sagace atto di ironia - è un risolino sciocco e inarrestabile. Di quelle risate in compagnia che si alimentano da sole e che, una volta iniziate, sono difficili da fermare; che ti lasciano con un pacioso senso di appagamento e un vago dolore agli addominali.
Tra le cose che la fanno più ridere: lo scintillio della magia che scaturisce dalla punta della sua bacchetta; la reazione di Nieve Rigos all’intervento e quel suo modo di farsi contagiare dalla risata insensata; l’assurdità di un incontro casuale con Emily Rose interrotto da una rissa da pub.
Ok, riconosce la sua parte più sconcertata, forse un po’ fa ridere.
La bacchetta si solleva in cerchi, il polso resta morbido. Quando si avvicina alla zona contusa per il tocco finale Eloise sa che le probabilità di sfiorare la pelle sono altissime. Si sforza come un ubriaco che vuole dimostrare la sua sobrietà, arricciando la faccia nel tentativo di non ridere: è un miracolo riuscire a portare a termine ogni Medeor Vulneratio senza causare danni.
È proprio per la mediocrità di quella performance che resta sorpresa dall’abbraccio della Grifondoro. « Dovresti vedere quanto sono brava con il Bombarda, lì sì che mi merito gli abbracci! » Bofonchia fra i suoi capelli chiarissimi, stringendo gli arti intorno ai suoi fianchi e dandole un buffetto sulla schiena. Scuote la testa davanti alle sue scuse: l’improvvisa vicinanza la sorprende, sì, ma non la turba. Anzi, un abbraccio imprevisto è sempre ben accetto.
È pronta al prossimo intervento, ma la richiesta di Rigos - lasciare al labbro l’onere di ricordare un infelice apice della serata - è chiara e condivisibile. Eloise annuisce con solennità, accogliendo la richiesta e comprendendo a fondo quel desiderio. Lei appartiene alla categoria dei bambini selvaggi in corsa nei boschi, per cui le cicatrici sono sempre state fonte di orgoglio e di vanto. E anche se con gli anni sembra sempre più fuori luogo portarle (le gambe non sono lisce; la pelle non è senza imperfezioni), lei continua a guardarle con affetto. « Sono segni tangibili delle nostre storie- » Non riesce a frenare il risolino che scaturisce dalla pomposità di quell’affermazione. E poi, sporgendosi verso di lei, continua « Io ne ho una dalla sera della festaccia a Hogsmeade, ho veramente perso la cognizione di me, ho pure limonato qualcuno e ancora non so chi si-» Si stoppa all’improvviso, certa di essere andata troppo oltre, senza sapere esattamente perché l’ha fatto. È anche abbastanza sicura che Nieve neanche ci fosse a quella festa, e quindi, che gliene può importare a lei? Rigida, sull’attenti, braccata: Eloise è una preda messa all’angolo. « Scusa un secondo. »
Si allontana dalla sua ex paziente per tornare al bancone a passo di marcia. Ha giusto il tempo di arrivare, di individuare il menu dei drink della serata e di mettere a fuoco gli ingredienti: ecco svelato l’arcano, nella forma di una piccola scritta segnata sotto il Lemon Rock: L'acqua allegra stimolerà risate incontrollate [...] Con questo drink sarà facile rivelare segreti inconfessabili... Ah, ecco.
Qualche momento dopo, sta già facendo dietrofront. Horus e Nieve sono in piedi, immersi nei loro pensieri, due isole in un vasto mare. Picchietta sulla spalla di Sekhmeth. « Il drink che mi hai scelto potrebbe avermi sciolto la lingua un po’ troppo. » Lo guarda con affetto, con la testa inclinata lateralmente. Nel processo, è riuscita ad afferrare un <i>innocuo<i> Whisky Incendiario di passaggio, che sorseggia sorniona. Ancora sente qualche vago effetto, qualche risatina che sorge incontrollata all’altezza dello sterno. « Ma se ho letto bene gli effetti del tuo, credo che tu possa aver bisogno di un abbraccio. » Non aspetta di ottenere il permesso: Horus è un suo amico, Horus sta vivendo un momento difficile, Horus merita un gesto di sostegno tangibile. È un abbraccio un po’ sbilenco, un braccio oltre la spalla e uno sul fianco, ma è pregno delle cose che Eloise vorrebbe dire e per cui non trova le parole.
Quella sera ha capito molto più di quanto si aspettava: ha visto con i suoi occhi la solitudine delle persone che la circondano, l’impossibilità di essere capiti fino ai recessi più profondi dell’anima. È una difficoltà che non riguarda solo l’incapacità di esprimere e far emergere le parole giuste per spiegarsi, ma anche il mistero della propria identità. Chi ti potrà mai spiegare e capire l’anima, se tu stesso non la conosci fino in fondo? C’è bisogno di esperienze vissute per estrarre dal cappello da prestigiatore le proprie verità e le proprie idee per portarle alla luce. Ma anche vivendo tutte le esperienze possibili e trovando tutte le verità, non ci saranno parole sufficienti a spiegare la complessità della propria anima, che è ben più della somma delle parti.
Eloise stringe Horus a sé, la testa chinata sul suo petto, gli occhi socchiusi. Per un momento, sincronizza il respiro a quello dell’amico, cercando di infondergli per osmosi un po’ della sua serenità. « Ti voglio bene, lo sai, sì? » Si può soltanto farsi vicini e solidali. Accettare di non capire tutto e lasciare spazio a quel mistero.
Quando scioglie l’abbraccio la serietà di quel momento si è già dissolta in una nuvola di fumo.
La voce di Peverell e la classifica di fine anno hanno iniziato a richiamare la gente fuori dallo Speakeasy. Il rumore caotico si è attutito, e si riesce anche a sentire la musica leggera che fa da tappeto sonoro a quell’ambiente.
A Eloise piacciono i locali semivuoti dopo le feste. La notte che avanza, il vociare che si trasforma in parole sommesse, le verità che si confessano senza vergogna. Si è più veri, a fine serata. Pochi amici, qualche estraneo, un paio di barman: i percorsi si incrociano con quello di persone che altrimenti non conosceresti mai, come a Hogwarts durante le vacanze di Natale.
Si arrampica sullo sgabello su cui ha abbandonato la pelliccia poco prima, affiancando Nieve nella fase finale della festa. Il barista - lo stesso che ha sconcertato poco prima prendendo posto dietro al bancone - sembra capire le esigenze di chi, quella sera, se l’è vista brutta. « Brindiamo al declino nella carriera e all’ascesa nel Quidditch, allora! » Solleva il bicchiere, lo fa tintinnare con quello di Nieve. « Non sperare di cavartela, a gennaio. Lotteremo con gli artigli e con i denti. » La guarda, divertita e sorniona.

La notte è ancora loro.

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view post Posted on 19/2/2023, 14:25
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A_STARA_STARA_STARA_STAR

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C’era stato un momento nel quale Mike aveva davvero pensato che ai loro gesti non sarebbe seguito alcun brindisi. Il suo sguardo aveva mostrato una sfumatura di dubbio e di curiosità, facendo da contraltare a quello lievemente imbarazzato di Thalia. In quell’istante si era chiesto cosa ci fosse dietro quell’eventuale marcia indietro perché, in fin dei conti, non era stata lei a voler avventurarsi alla ricerca dello Speakeasy per darsi ad un sano e vecchi brindisi?
Ma se ci sono cose alle quali non si può dire di no, tra queste poteva facilmente rientrare l’incontro che li stava vedendo come protagonisti. Erano di nuovo insieme, e nell’incontro tra i loro bicchieri l’inglese avrebbe accolto una rinnovata ventata di normalità. Tutto stava iniziando a sistemarsi e a girare finalmente per il verso giusto, e fu per quel motivo che aveva iniziato a non prendere troppo sul serio la serata, lasciandosi andare alla spensieratezza e all’incanto dato dall’eleganza della Tassorosso. Sarebbe stato facile cadere ammaliati da quell’accurato fascino vintage, ma per non lasciarsi andare alla deriva nello sguardo dell’irlandese Mike aveva cercato di trovare un appiglio, arrivando persino a giocandosi la carta del Torneo alla vista delle prime svolazzanti praline di cioccolato.
Così, se da una parte l’immagine di Von Kraus ebbe il merito di smorzare l’eventuale eccesso di entusiasmo, l’inglese si ritrovò a far emergere un velo di sofferenza sul suo volto.
«Von Kraus. Non voglio più vederlo, ormai ho gli incubi. Passo più tempo con lui e la Rose che con te, e questo non va assolutamente bene.» Avrebbe potuto raccontarle anche diversi aneddoti divertenti che avevano visto come sventurati protagonisti i suoi compagni di squadra, ma non era quello il modo e il tempo per lasciarsi andare a confidenze di quel tipo. Forse lo avrebbe fatto, ma in altre occasioni. Per un attimo pensò, invece, a come potesse essere nel ritrovarsi l’uragano Lynch come capitano.
Curioso, sorrise tra sé prima di notare che il gioco nel quale si erano appena cimentati avrebbe potuto contribuire a rinsaldare il loro già profondo legame. Era stato piuttosto semplice notare che dietro il sorriso di Thalia ci fosse in realtà una forte determinazione e un desiderio di rivalsa personale verso la Ashton, che sarebbe andato al di là di quella semplice ironia.
Capì così che molto probabilmente non avrebbe potuto assistere alla finale con lei, perché se quelle parole si fossero tramutate in fatti molto probabilmente i T’Assalto avrebbero prevalso nella partita con gli Archenemies, aggiudicandosi un posto nella finale.
Accantonata l’idea di assistere assieme alla finale, anche Mike riuscì ad acchiappare una di quelle gustose praline di cioccolato che di tanto in tanto svolazzavano sopra al loro tavolo.
Il gesto era stata rapido e deciso, ma prima di riportare la mano a contatto con la pelle delicata dell’irlandese, si lasciò andare ad un ultimo commento.
«A volte bisogna saper rischiare per raggiungere i propri obiettivi. E se ne vale la pena, non ci si può fermare nemmeno dinanzi ad un bolide. Questa potrebbe sembrare una citazione del nostro capitano che ci sprona ad arrivare agli anelli, opportunamente riadattata per non sfociare nel volgare.»
La sua voleva essere una semplice e allegra metafora volta a strappare un sorriso anche a Thalia per mantenere l’energia di quell’incontro, ma le emozioni dentro il suo corpo iniziavano ad essere sempre più forti, tanto che in concomitanza con l’inizio di quello che doveva essere l’annuncio del loro beneamato Preside, Mike si sarebbe ritrovato quasi in piedi, intento a colmare le ultime distanze con Thalia per poter farsi eventualmente avvolgere dalle sue braccia.
Non gli sarebbe più bastato restare seduto e sporgersi in avanti con il busto per avvolgere un suo braccio attorno a quello dell’irlandese; ora sentiva la necessità di rendere l’abbraccio più intimo e personale, facendo crollare allo stesso modo l’invettiva che le aveva appena lanciato.
«In realtà credevo di esserci già riuscito. Ora volevo solo rubarti un forte abbraccio prima di concludere la serata con una breve passeggiata. Sappilo.»
Sornione e più diretto di quanto fosse auspicabile in circostanze analoghe, compì il primo passo come guidato da una forza misteriosa e in quel momento capì davvero di aver bisogno del suo calore. Forse lo aveva sempre saputo, ma mai come in quell’occasione.
Anche se lo Speakeasy si fosse svuotato per dar il giusto spazio alle premiazioni e ad un primo ballo, Mike sentiva la necessità di ritrovarsi con Thalia e di assecondare quel breve momento di felicità, che in cuor suo si augurava di protrarre sino all’indomani.
«Ti va di accompagnarmi? Dovremmo avere ancora un po’ di tempo… soprattutto se Peverell dovesse dimostrarsi particolarmente verboso come nel corso delle sue interminabili lezioni.»
Un breve momento, prima di muovere una mano verso di lei.

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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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Thalia J. Moran | Outfit

La faceva sorridere che Mike, tra tutti, cominciasse a nutrire sentimenti avversi per il suo Capitano e la Vice, se non altro perché - tra i due - bisognava ammettere che Von Kraus non desse esattamente l’idea di essere una persona alla quale si potesse negare la propria presenza e il supporto generale. La sua figura, già minacciosa di per sé, si velava di quella assurda crudeltà adattata appositamente per il gioco che, più che essere un passatempo, diventava con lui una questione di vita o morte. Nelle ultime settimane, infatti, non c’era stato un momento libero - ad eccezione dei pasti - in cui vedere Mike e stare un po’ con lui. Del resto, però, capiva che quello fosse il naturale ordine delle cose, della vita da studenti che - forse ancora per poco - avrebbe scandito il loro tempo.
«Immagino che tu debba trovare il modo di liberarti di loro…» commentò sarcastica, ben sapendo quanto sarebbe stata complicata una simile eventualità; lasciò quindi che fossero le dita intrecciate alle sue a fargli capire che, in fondo, qualche ora in meno trascorsa insieme non sarebbe stata un male troppo grave da sopportare. Era quello che restava a dover essere speso bene, dopotutto, e già avevano sprecato troppo tempo cercando stupidamente di restare separati. Le tornava alla mente il discorso della Rigos, sul non volerla coinvolgere nei suoi guai e di come avesse effettivamente pensato la stessa cosa per giustificare la sua separazione dal Serpeverde. Avrebbe fatto bene ad allontanare da sé quei pensieri, giacché la burrasca al bancone aveva finito per quietarsi - merito di altri, certamente non suo - e i minuti preziosi scorrevano veloci sul quadrante dell’orologio. Non voleva sprecare neanche un minuto pensando ad altri e non voleva che lui pensasse che la sua testa fosse altrove.
«Quando cominci ad usare il mio tono inizio a preoccuparmi.» mormorò sorniona, guardandolo mentre si alzava e le porgeva la mano. Avrebbe voluto sospirare, fingere che tutto questo e molto altro non le fosse mancato affatto, ma avrebbe mentito a se stessa. L’energia tra loro era soltanto cambiata, evolvendo in qualcosa di ancor più complesso di quanto non fosse stata prima; credere che fosse svanita del tutto era stata una sciocca assurdità, figlia di un’ingenuità indegna di entrambi.
Quando lo guardava negli occhi, come in quegli istanti, riusciva a vedere un ragazzo più maturo e consapevole, qualcosa che le era mancato di notare accecata com’era dai suoi problemi. Non era un’epifania, naturalmente, era più… sottile. Una realizzazione circa qualcosa di ovvio, che era sempre stato lì, e che avrebbe dovuto vedere fin da subito; invece, aveva preferito ignorare ogni segnale di mutamento, anche il più flebile, in favore di idee fin troppo radicate nella sua testa.
Gli prese la mano e confessò intimamente a se stessa che sarebbe andata ovunque lui l’avrebbe guidata: non c’era esitazione né dubbio in questo, come se per una volta nella vita avesse deciso di lasciarsi andare completamente alle decisioni altrui grazie ad una forma di fiducia che, forse, tra loro non era mai stata così marcata.
«Una passeggiata, dici.» proseguì, aggiustandosi la pelliccetta sulle spalle e raccogliendo la borsa «Non mi sembra una richiesta così strampalata… e in fondo, lo sappiamo che la Coppa è di qualcun altro, no?»
Sorrise, concedendosi di bagnare le labbra con l’ultima goccia di whiskey prima di fargli cenno di avviarsi verso l’uscita. Quel posto era decisamente affollato e opprimente, il calore alla bocca dello stomaco difficile da sopportare.
Le serviva aria fresca sulla pelle. Serviva ad entrambi.

Interazione Mike
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view post Posted on 19/2/2023, 19:23
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Ocean eyes.

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MEGAN M. HAVEN
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Where? On stage
INTERACTIONS: Damian; Draven; Albus; Corvonero
MENTIONS: Lyvie; Edmund; Jean; Daddy

I don't want to live in the past anymore,
so let me restart.


AAccolse Lyvie con un sorriso lasciandole spazio al suo fianco, per poi vedere Edmund allontanarsi da lì. Il Corvonero aveva fatto la sua scelta, portando con sé il bicchiere di Whisky e Megan si ritrovò a rimpiangere di aver ceduto quell’ultimo goccio. Si concentrò sulla musica, quel tanto che bastava per ritrovarsi con gli occhi rivolti all’entrata del locale senza concentrarsi veramente su chi ne varcasse la soglia.
«A quanto pare ha fatto la sua scelta»disse rivolgendosi a Damian, muovendo la spalla sinistra in un rapido movimento verso l’alto. Pochi secondi, sentì un dolore attraversarle la mano e la stretta di Draven si fece più dura sotto le sue dita. D’istinto Megan ritrasse il braccio e nel farlo una fitta contrasse il muscolo lasciandole sfuggire un piglio di sofferenza. Non ebbe il tempo di comprendere cosa stesse accadendo che si ritrovò il Serpeverde ad accarezzarle il viso costringendola ad appoggiare la fronte sulla sua.
«Devo uscire da qui»
Un brivido lasciò vibrare il suo cuore che accelerò per una frazione indistinta di secondi, un fremito di angoscia che poté provare di riflesso, specchiandosi nelle iridi smeraldine di lui.
«Va bene» finì per rispondere, per poi vedere Draven alzarsi mantenendo salda la mano che ancora cingeva la sua. Lo seguì in quel movimento tornando ad afferrare il cappello con la mano libera e la borsa, rimettendo tutto al suo posto. Rivolse a Jean un rapido cenno prima di darle le spalle: si sarebbero viste sulla pista da ballo più tardi prima di tornare in Sala Comune. Nel caos che abbracciava quel posto, Megan riuscì a varcare l’uscita compiendo i primi gradini di quella scalinata che l’avrebbe presto condotta fuori da lì. Era rimasta in silenzio, ancora provata dalle sensazioni che l’avevano avvolta poco prima. Quando la musica lasciò spazio alle parole di Peverell, la Corvonero si girò in direzione di Draven potendo vedere alle sue spalle Lyvie, fino a udirne la voce e vederne l’espressione preoccupata.
Lasciò la mano del Serpeverde, allargando le dita e districandole dall’intreccio che le aveva vincolate a quella presa. Si pentì di non avergli rivolto parola in quel breve tratto di strada, di aver nascosto l’interesse nel voler capire cosa lo avesse turbato.
«Io devo andare, ci vediamo su» disse senza guardare Draven e rimanendo per pochi istanti con gli occhi ancorati ad un punto indefinito, davanti a sé, per poi abbassarli andando avanti.
Così, affrettò il passo mentre le parole definivano il percorso che l'avrebbe portata a pochi metri dal centro della festa poco prima dell’annunciazione della classifica finale.
Il cuore pompava agitato il sangue che scorreva nelle vene, provato dalla spinta veloce delle gambe per raggiungere il palco in tempo. Quando le grida dei Corvonero si elevarono nello spazio, nell’esultanza di una Coppa appena vinta, Megan aveva già fatto il suo ingresso partecipando con un grosso sorriso e occhi pieni d’orgoglio a quell’esultanza.
Si portò a compiere gli ultimi metri per ritirare l’invito a prendere quella Coppa in qualità di leader della casata, salendo quei pochi scalini e piazzandosi dinanzi agli studenti nei pressi della scena.
«Buonasera Preside, buonasera a tutti» guardò la figura anziana rivolgendosi a lui con riverenza, spostando lo sguardo poi sulle figure davanti. «Bene, non so cosa dire» abbozzò un lieve riso, lasciando la voce sollevarsi al di sopra di tutte le altre. «È sempre difficile riuscire a fare discorsi nuovi che non siano una brutta copia di ciò che si è sempre sentito e risentito in questi anni. Dunque, non dirò grazie: dirò semplicemente che abbiamo fatto il nostro. Dobbiamo essere orgogliosi di cosa abbiamo costruito in questi lunghi mesi, di ciò che abbiamo imparato durante ore di studio ed esercitazioni» prese fiato portando la mano ad indicare il trofeo che splendeva al suo fianco. «La Coppa delle Case è il risultato di tutto questo ed è nostra, sono molto orgogliosa. Sappiamo bene come portare in alto Corvonero mostrando a tutti chi sono i migliori» posò lo sguardo sui presenti, incrociando poi quello di Daddy e rivolgendo lui un sorrisino compiaciuto. Corvonero trionfava ancora sotto la sua guida, ora sotto gli occhi dell’ex Caposcuola che con tanta determinazione aveva per lungo tempo guidato la casata bronzo-blu. Quel passaggio di spilla, quella promessa che continuava ad essere tenuta ben salda nel petto ora in fiamme.
«Credo che sia arrivato il momento di festeggiare!» disse con enfasi in conclusione di quel breve discorso. Alzò la coppa lasciando al boato delle voci travolgerla come un forte soffio di vento, poi, scese da lì lasciando spazio alla musica e alle future danze in conclusione di quella serata.


© Esse



Doveroso OT:
Grazie davvero a tutti i Corvonero per l'impegno costante avuto in questi mesi.
Sono davvero orgogliosa di avere una squadra così unita, complimenti ad ognuno di voi.
Dispieghiamo le ali e voliamo in alto! ♡



Edited by Megan M. Haven - 20/2/2023, 01:35
 
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view post Posted on 20/2/2023, 00:08
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Horus Ra Sekhmeth
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Location: Speakeasy
Interaction: Emily, Nieve, Eloise
Mention: //
Lo vedo, è lì, nei tuoi occhi, si agita come un animale ferito. Sono stato io a infliggergli il colpo decisivo.
È il dolore della sconfitta, lo stesso che, sono sicuro, ha riempito il mio sguardo quando ti sei alzata da quello sgabello.
Ti adombra le ciglia rosse come la nube tempestosa dietro cui ti sei sempre rifugiata… tranne quando eri con me.
Il sapore affumicato del whisky mi riempie la bocca, scivola come lava nella gola, trattenendo quel grido di rabbia che vorrei lanciare, proprio come questo bicchiere che stringo convulsamente.
Distolgo lo sguardo, perché la verità è che non riesco a sopportarlo più.
Perché sei fuggita svicolando come una serpe, ed ora te ne stai lì, impalata, a fissarmi?
Vieni da me.
La confusione mi cerchia la testa e non è l’effetto dell’alcol a procurarmi queste vertigini. Poso il bicchiere svuotato, mentre cerco disperatamente di concentrarmi sulla risata argentina di Eloise. Vorrei aggrapparmi al suo riso, dimenticare tutto, vivere ancora la spensieratezza che mi ha accompagnato finché non mi sono ritrovato gomito a gomito con te. Maledico gli Dei per avermi condotto da te, per il loro sadismo, per la loro crudeltà.
Così guardo Nieve, momentaneamente abbandonata dalla sua prode infermiera, e cerco nel suo viso pallido, nella linea fiera del naso e delle labbra ferite, l’ombra dell’amica che è stata per me.
E solo cercando in quei tratti capisco come per effetto di un’epifania il significato del suo gesto.
Il modo in cui mi ha stretto il mento non aveva nulla a che vedere con l’arroganza con cui l’ha fatto al Ministero. Quando Eloise mi picchietta la spalla, mi rendo conto che tutto ciò che è passato davanti ai loro occhi è stata la mia sofferenza e la mia ira. Ed entrambe, a modo loro, hanno voluto proteggermi.
Schiudo le labbra e le arriccio in un sorriso colpevole, ma distorto, effimero. Scompare subito, i muscoli del viso si rifiutano di muoversi più dello stretto necessario.
« Ho pensato… » Mi schiarisco la gola, rendendomi conto che la mia voce è roca, restia ad uscire. « Che sarebbe stato divertente… » Non riesco a dire altro; mi sento in colpa per come è finita la serata.
Smettila di guardarmi.
Lo so che sei lì.
Ma è l’abbraccio di Eloise, caldo, inaspettato, sereno a stringermi l’anima. Non ho bevuto un goccio di ciò che avevo ordinato per me, ma ha dannatamente ragione: ho bisogno di un abbraccio, del suo.
La sento sbilanciarsi verso di me, la sua fronte premermi sul petto e la stringo a me, avvolgendola con le braccia. L’ondata di affetto che mi travolge, per un attimo, mi sopraffà. Appoggio il mento sopra la sua testa rossa e stringo le labbra, commosso.
Gli abbracci di Eloise sono rari, anzi, rarissimi, come l’apparizione di una cometa, ma proprio per questo sono preziosi. Mi inondano la mente i ricordi di tutto ciò che abbiamo passato insieme, negli anni di scuola, e tutto quello che stiamo costruendo ora: io, lei, Ned, Isabella.
Annuisco piano alle sue parole, infinitamente grato.
« Sì… » Mormoro, grato. Per una volta non mi pento di essermi mostrato fragile, se serve a rendermi conto del Bene che mi circonda.
« Te ne voglio anch’io, El. Tanto. »
La stringo ancora un altro secondo a me ma infine mi sciolgo con lei dall’abbraccio. Tutto torna alla normalità e sebbene non abbia spazzato via il dolore, il rancore, il rimorso, in qualche modo l’ha mitigato, disinfettandolo, cancellando l’ira. Un po’ come le ferite curate a Nieve.
« Fai la brava. » Le dico, mentre la vedo sgattaiolare birichina verso il bancone.
Mentre Peverell annuncia la vittoria di Corvonero, con la voce magicamente amplificata volta a raggiungere ogni più nascosto anfratto del Castello, mi rendo conto che devo andarmene. Non avrei dovuto rischiare, proprio come quel giorno alla partita. Non faccio più parte di questo posto, l’ho deciso tempo fa.
So che sei lì.
Deglutisco.
Prima di andarmene, mi chino di nuovo su Nieve, il mio respiro sfiora il suo orecchio, dietro cui sistemo una ciocca di capelli.
Non ha idea che capire il suo gesto ha avuto lo stesso effetto dell’abbraccio di Eloise o, quantomeno, mi ha fatto comprendere che, in fondo, c’è ancora una scintilla in lei della ragazzina con cui ho condiviso tante risate e un’incredibile quantità di malintesi.
« Mi devi due favori… » Sussurro. « …E io te ne devo uno. Grazie… per prima. » In un altro contesto, quando l’ho punzecchiata per la sua mise incredibilmente elegante e per quello stoccafisso del suo cavaliere, mai mi sarei sognato di ringraziarla. Anche solo per la cicatrice che ancora tende la pelle della mia gamba. Tuttavia ora scivola sulle labbra forse perché, più di tutto, sono grato di quella premura che ho riconosciuto dietro le iridi gelide.

Mi allontano da loro a malincuore e da quello che ho capito essere un porto sicuro, e navigo incerto e naufrago, fra gli studenti che sciamano fuori dal locale per festeggiare o lamentarsi della vittoria di Corvonero.
Ma ti vedo, sei ancora lì. Questi pochi minuti non ti hanno scalfito e mentre sorridi mesta, mi ricordi che non ti sei mossa, che sono io che me ne sto andando, di nuovo.
”Ma tieni presente, Ra, che te ne stai andando mentre io sono qui. Ferma.”
E perché non fermare me?
Mentre avanzo, il viso ostinatamente lontano da te, a guardare il punto sfocato e traballante della porta del locale, queste parole mi tormentano.
Questa volta, però, non ti volterò le spalle, non ti darò la soddisfazione di essere nel giusto.
Anche se sono stato io a rinunciare.
Quando ti raggiungo e ti passo di fianco, il tempo si ferma, si dilata e implode in se stesso come una stella morente.
Vacillo quando il profumo dei frangipani mi ottunde e mi stordisce come uno schiaffo in pieno volto. Tentenno, mi trattengo per un istante e cedo: gli occhi cadono su di te. Non era questo il tuo odore, quello che ritrovavo nell’Amortentia, mescolato a quello della carta pergamena e delle peonie, della mirra e della sabbia.
L’hai cambiato, come sei cambiata tu e, certo, come sono cambiato anch’io. Eppure… eppure questa consapevolezza mi devasta, molto più che l'averlo constatato fisicamente con i miei occhi. Comprendo l’enormità degli anni passati, dell’infinito che ci ha separato, dell’ineluttabilità di quel momento in cui io ho deciso che era ora di andare avanti e sacrificare tutto per ritrovare mio padre e sfidare il Signore Oscuro, il tuo padrone. Non sei mai stata sua… ma so per certo che ti considera di sua proprietà, come fai ad essere così cieca?
Trattengo il respiro, serro la mascella.
Dio come vorrei prenderti il viso tra le mani, se solo tu sapessi quanto mi costa non farlo.
Quanto mi è costato, tutto questo.

« Mai. »
Sibilo, un ringhio, sfuggito al mio controllo: lo senti il mio cuore tremare? Il mio corpo fremere e maledirti con ogni frammento della mia anima?
No, fraintenderai, non capirai, mi va bene.
Ti detesto, ora. Ti detesto per ciò che mi fai, per ciò che non fai. Ti detesto per la causa a cui ti sei votata.
Mi detesto per aver ceduto alla paura, mi detesto per questo orgoglio che mi impedisce di voler condividere la tua protezione. Non la voglio. Tu devi esserlo, e mi è costato tutto.

Mai ho smesso di odiarmi.
Mai ho smesso di amarti.

Mi appello alla rabbia che ho provato fino a poco fa e che Eloise ha sedato con il suo abbraccio, a quella frase che mi tortura e mi fa a pezzi. L’afferro con violenza per riuscire a tenermi in piedi, pur sapendo che mi rifugerò ancora nella consolazione dell’affetto che mi ha circondato.

Mi odierai, se non oggi, domani; se non domani, fra un anno. Finirai per farlo.
Devi! Devi! Ti prego, fallo, amore mio, fallo!

"Non rinunciare a noi."
Mai avrei voluto: lo dimostra anche solo la mia incapacità di togliermi di dosso l’anello che mi hai regalato, come se così potessi avere una parte di te e ricordarmi il peso delle mie scelte.
Mai ti dirò queste parole e mai saprai tutto ciò che si cela dentro di me.
Mai sono andato davvero avanti; lo sto facendo adesso, mentre ti passo di fianco e il tempo e il mio respiro riprendono ad esistere.
Il grido che mi cresce dentro troverà sfogo fra le montagne che sorvolerò, fino a sfinire le ali del falco che diverrò per non pensare e forse questo, in ultimo, mi dà la forza.
Ti supero e i miei occhi, ostinati e colmi della tua stessa tempesta, si allontanano da te, oltre quella porta.

– Tell me would you kill to prove you're right –
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Draven Enrik Shaw
III° anno - Prefetto Serpeverde - Outfit










Il rumore di vetri infranti era stata solo l’ultima goccia. Il dolore, il disagio, la frustrazione. L’aria viziata, le parole a vuoto e quella cazzo di musica così irritante. Un pot-pourri d’ansia. Gli si era accumulata nel cervello e al primo input troppo fuori posto si era propagata come una scossa elettrica lungo tutto il suo corpo.
Dal momento in cui riuscì ad alzarsi dal divano, ogni fibra del suo essere prese a formicolare fastidiosamente.
Il cuore batteva così forte da pulsargli in gola. Un terribile acufene s’impossessò del suo udito. La bile minacciò di dare uno spettacolo peggiore di quella rissa da rodeo. La mano di Megan divenne un’estensione della sua, a malapena riusciva a identificarne il tocco, come se avesse perso sensibilità nelle dita. La testa girava vertiginosamente. E pensare che c’era gente in grado di bere fino a indursi a quello stato… Col senno di poi, era un bene che non avesse assunto alcolici. Nemmeno provandoci avrebbe potuto immaginare quanto peggio sarebbe stato con un po’ di whisky incendiario su tutta quella brace.
La realtà dei fatti era che non aveva calcolato i rischi. Era stato superficiale e arrogante.
Non aveva pensato di ritrovarsi stipato contro un divanetto e circondato da persone, tantomeno all’eventualità di una rissa in un locale così ristretto. Non aveva pensato nemmeno che il locale potesse essere così ristretto, a dirla tutta. Era a norma di legge una cosa del genere?! Si era solo concentrato per potercela fare a sopravvivere lì dentro, per lei, e si era sopravvalutato; per orgoglio personale si disse che avrebbe potuto resistere anche di più se non fosse stato per la lite, ma nemmeno lui ci credeva più di tanto.
Certo era che andavano segnalati tutti e tre i coglioni coinvolti nell’attimo di caos. Il troglodita con le priorità sballate, la sua ragazza manichino e capelli d’argento che aveva dato inizio allo show. Perché era stata lei a iniziare, no? Ne era abbastanza sicuro. Lo aveva notato con la coda degli occhi. Nel momento in cui il suono dei suoi più bei ricordi d’infanzia gli aveva irrorato le orecchie, però, aveva fatto di tutto per disinteressarsi all’accaduto e ne aveva perso il filo. Non avrebbe potuto affidarsi sui dettagli e, forse, ciò non lo rendeva proprio la persona più adeguata a fare la segnalazione, visto anche che non aveva la minima idea di come si chiamassero quei tre. Ma dato che fare una rissa in luogo circoscritto davanti a Prefetti e Caposcuola era stato abbastanza stupido da essere stato notato potenzialmente da chiunque, magari ci avrebbe pensato qualcun altro. Avrebbe scritto a Camille il mattino dopo: lei era tipo amica di tutti, sicuramente conosceva i nomi dei coinvolti. O le avrebbe scritto direttamente quella sera di ritorno in dormitorio, visto che con quella cefalea e tachicardia avrebbe, con molta probabilità, passato la notte in bianco.
A tal proposito, si era dimenticato di passare a controllare gli orari del coprifuoco. Alice gli aveva scombussolato i piani. Cazzo… Era colpa sua se si trovava in quel casino. Per via del suo intervento nei sotterranei che aveva spinto Mike a dargli un calcio in culo figurato verso quei dannati giardini, aveva passato con Megan anche più tempo del previsto, ma non esattamente nel modo in cui aveva progettato. Sperò di avere tempo per calmarsi un po’ insieme a lei, prima di andare in camera sua a fissare il soffitto col suono dei respiri del Caposcuola e dei miagolii di Donut a fargli da sottofondo. Nelle ultime notti insonni che aveva passato, le creature del Lago Nero erano state fin troppo silenziose.
Quando, finalmente, l’aria fresca e pulita all’esterno dello speakeasy gli sferzò il viso, riuscì a riprendere coscienza di sé. La voce del Preside s’irradiò nel vuoto, segno che quel girone infernale stava per chiudere i battenti, ma gli arrivò ovattata. Si accorse di tremare. Riuscì ad allentare la presa sulla mano di Megan ed ebbe come l’impressione di aver bloccato la circolazione a entrambi con quella morsa. Ne accarezzò il dorso con la punta del pollice e con quel gesto riacquisì un po’ di sensibilità al tatto. Al mondo. L’ossigeno riprese a circolargli nei polmoni, l’acufene gradualmente si attutì e quando fu sul punto di alzare lo sguardo per incontrare gli occhi della sua ragazza, bisognoso di buttarcisi dentro a capofitto e dimenticare i minuti precedenti, la voce di Lyvie lo fece voltare d’istinto.
Aveva avuto cose più importanti a cui pensare quella sera, l’aveva del tutto ignorata. Era convinto che la ragazzina non stesse vivendo il miglior periodo della sua vita per via del rapporto col suo ingestibile fratello e non meritava altre delusioni. Non che fosse un suo problema, ma aveva un debito da saldare con lei, con la sua famiglia. Non era nemmeno quello il posto o il momento più appropriato, ma la carta dell’indifferenza se l’era già giocata all’arrivo quando l’aveva vista in compagnia di Miss Grifondoro.

Che c’è? – le chiese, la voce incrinata da una freddezza che faticò a riconoscere come propria. La gentilezza non gli apparteneva, ma quel tono era troppo distaccato anche per i suoi soliti standard. E non era voluto. Le sopracciglia si corrucciarono in una smorfia di disappunto. Arricciò le labbra e sospirò.
Aveva i nervi a fior di pelle, ma non aveva alcun interesse a scaricare il proprio nervosismo su Lyvie. C'era stato un breve periodo della sua vita, da bambino, in cui la sua amicizia era stata come una bombola d'ossigeno. Quel po' di memoria che aveva era sufficiente a ricordargli che Lyvie non meritava nemmeno una risposta acida.
Schiuse le labbra per dire altro, forse scusarsi con la serpina, quando sentì le parole di Megan. Si voltò per seguirla con lo sguardo. Un’ondata di puro ghiaccio gli avvolse la mano non appena lei gliela lasciò andare.
Cazzo. Peverell. Lo aveva sentito, ma non sentito sentito… Dalla reazione di Megan, doveva essere arrivata la conferma che i Corvonero avevano vinto la coppa delle case. Aveva bisogno di lei, una parte di sé provò a farlo muovere per seguirla, ma al contempo sentì l'esigenza di stare lontano dalle persone e tanto bastò a non andarle dietro. Poteva immaginarlo il palco gremito di persone...
Inclinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, sfregandosi le palpebre con la punta delle dita.
Che cazzo di serata.
Presto, lì fuori, si sarebbero riversati in massa i Corvonero dai quali era appena fuggito. Non era proprio scappato via da loro, ma comunque… Non era dell’umore per ritrovarsi di nuovo in mezzo a loro e fingere che gli stesse bene.

Vieni. Camminiamo. – disse, rivolto a Lyvie, con un tono di voce totalmente differente, decisamente più calmo. Per qualsiasi motivo lo avesse raggiunto lì fuori, avrebbero potuto discuterne mentre se ne stava ben in disparte dalla folla di Corvonero potenzialmente urlante che di lì a poco avrebbe inneggiato Megan con occhi adoranti.
Strinse i denti in una smorfia e prese la busta di tabacco dalla tasca dei pantaloni.
Un attimo ed era passato dal panico al nervosismo.
La mano sinistra con cui aveva tenuto quella di Megan ancora tremava. Quanto cazzo l’aveva stretta?
Rinunciò a girarsi una sigaretta e se ne accese una di quelle che teneva per riserva nella matassa di tabacco.
Se Lyvie lo avesse seguito, si sarebbe diretto verso l’ingresso della scuola con lei. Avrebbe aspettato Megan lì. Di sopportare anche eventuali festeggiamenti collettivi non se la proprio sentiva…

Volevi dirmi qualcosa, prima che ti ringhiassi contro? – avrebbe detto a Lyvie, incamminandosi verso il castello.

© Esse | harrypotter.forumcommunity.net



Interazioni: Megan, Lyvie
Menzioni: Nieve, Alice, Mike, Camille, Vivienne, Corvacci
Posizione: Lontano dal raggio d’azione della festa (?)

È stato un piacere affrontare questo ballo con voi *inserire violini qui*



 
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view post Posted on 20/2/2023, 16:48
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𝑤𝑒'𝑟𝑒 𝑎𝑙𝑙 𝑚𝑎𝑑 𝘩𝑒𝑟𝑒

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C'era Megan con lui. Lyvie solo per un istante si bloccò, appena fuori lo Speakeasy. Pensò di essere di troppo, ma per un momento non poté che godere dell'aria fresca di quella fredda sera, che le carezzò il viso. Si rese conto che il suo posto non era mai stato al centro della festa, ora si sentiva decisamente meglio. Meno a disagio, meno strana. Troppe interazioni sociali in una sera. Dunque, quando il suo sguardo incrociò quello di Draven, capì di aver fatto la scelta giusta. In più, voleva davvero capire cosa gli stesse succedendo.
Quel suo tono di voce le fece capire che non era un bel momento, per il Prefetto verde-argento. Ma la cosa non la intimorì: lo conosceva abbastanza da poter quantomeno intuire che avesse bisogno di qualcuno al suo fianco. Non era mai stato, per lei, uno di quegli amici affettuosi e sorridenti ma, a modo suo, le aveva dimostrato di tenere al loro rapporto. E la cosa era ovviamente ricambiata. Draven era fatto così, Lyvie lo accettava e rispettava profondamente.
Gli adepti di Priscilla avevano vinto la Coppa delle Case, così Megan dovette ritornare internamente, lasciandoli soli. Le accennò un piccolo sorriso, affondando le mani nelle tasche profonde dei pantaloni indossati. La giacca la tenne sospesa tra l'avambraccio e il fianco: nonostante la temperatura bassa di quella sera, non aveva freddo. Le iridi verdi cercarono nuovamente Draven, che la invitò a camminare, ora che si era chiaramente calmato.

« Ti ho visto turbato. Serataccia? » quella era una domanda retorica, ora che avanzava qualche passo verso di lui per affiancarlo. Non aveva bisogno di molte conferme da parte sua, sapeva già che era proprio così.
Si sentiva tranquilla ora, Draven era sempre stato come un porto sicuro, sapeva di potergli parlare di tutto; così come sapeva che - spesso - doveva sorbirsi solo dei grugniti in risposta. Quelle di prima, pensò, erano state tutte interazioni sociali superflue e convenevoli. Nemmeno voleva venirci a quello stupido ballo. La mezza discussione con Alice le aveva, oltretutto, smorzato ogni voglia che aveva avuto di avanzare qualche conoscenza, di parlare normalmente coi suoi coetanei, come una semplice studentessa ad un semplice ballo di fine anno scolastico.
Tutto questo non succedeva mai, per Lyvie.
A quella domanda scrollò un po' le spalle, guardando i propri passi. Si rese conto che erano diretti all'ingresso del castello.

« Serataccia anche per me. » replicò mentre gli scoccava ora un'occhiata, sollevando poi per un attimo lo sguardo al cielo stellato. « Tanto questo ballo già mi aveva rotto le scatole. » aggiunse infine mentre sbuffava un piccolo sorriso, camminando lentamente e con tutta tranquillità.
Già pregustava mentalmente il momento in cui si sarebbe messa il pigiama per tuffarsi nel letto.

« Sono felice che tu stia con lei. Ma come fa a sopportarti? » la buttò sullo scherzo, gli occhi vispi e un sorrisetto lo cercarono ancora.
Era davvero felice per lui, lo considerava - ormai - come un secondo fratello. Anzi, forse il suo unico. Stava cercando, oltre a distrarlo da ciò che tutto quel casino all'interno delle Speakeasy gli aveva causato internamente, di tirargli un po' su il morale. Non era molto brava in queste cose, ma ci stava provando davvero, per strappargli anche solo un accenno di sorriso.


f8GeGxW



Interazioni: Megan, Draven
Menzioni: Alice
Zona: fuori lo Speakeasy

buonanotte a tutti :flower:

 
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view post Posted on 20/2/2023, 20:38
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Di sole e di gatti

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Gin si era riunita al gruppo dei suoi concasati a cui si era aggiunta Lyvie. Il trambusto che era seguito al bar non le aveva permesso di scambiare che poche parole con i suoi compagni. Edmund se ne era andato, Gin lo vide impegnato in altre conversazioni. Poco dopo se ne andarono anche Megan, Draven e Lyvie.

«A questo punto penso che andrò a ballare» disse infine, guardando velocemente Jean e Derek e scoccando una occhiata eloquente, o almeno così sperava, a Damian.

Le pareva, ma poteva sbagliare, che Jean e Derek potessero voler restare soli e non sarebbe certo stata lei a ostacolare questo desiderio. Forse Gin se lo era immaginato, ma non importava.

Si girò e con calma ma decisa andò diretta alla zona del palco, dove già sentiva il preside parlare della Coppa delle Case.

Non fece in tempo a raggiungere bene il palco che udì le battute finali del discorso e capì che avevano vinto la coppa delle case!

Vide Megan andare a ricevere la coppa e pronunciare un breve ma intenso discorso!

Gin si dedicò ad alcune piroette solitarie al centro della pista da ballo, già affollata degli studenti che ascoltavano il preside. Ad un certo punto si fermò e disse, sempre ad alta voce.

«Chissà se in Sala Comune ci sarà una festa.. E chissà se qualche maggiorenne ci porterà una burrobirra…»

Non si rivolgeva a nessuno in particolare, ma il suo fazzbook si dipinse con quel nuovo pensiero “chissà se qualche maggiorenne ci porterà una burrobirra…”. Quindi si avviò verso il castello.




Menzioni: Lyvie, Megan, Draven, Edmund, Damian
Interazioni: -
Posizione: Palco



Scusate la fretta e l'enorme ritardo. Buonanotte a tutti
 
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view post Posted on 2/3/2023, 05:17
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You can own the Earth and still, all you'll own is Earth until You can paint with all the colors of the wind

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Alice Wagner- Gryffindor

outfit










Dopo tutto il trambusto che era avvenuto nello speakeasy, era arrivato il momento per lei di mettersi a lavoro, per cui salutò Mary e d'accordo con la sua compagna di gelatine, Eloise, insieme si avviarono al banchetto dei Tiri Vispi per tirar su le somme di quella serata. Non avevano potuto scampare la cosa peggiore di tutte, il calcolo dei conti e lo sbottinar bottega che prevedeva altrettante noiosissime operazioni. Ma era inutile star lì con le mani in mano. Alice si legò alla bell'e meglio i capelli corti in un codino che le permettesse di focalizzare la sua attenzione sui registri sui quali venivano trascritti tutti gli acquisti, in maniera da poterli confrontare con il malloppo che era in cassa. Nel frattempo, altri nuovi garzoni, si occupavano di smantellare gli oggetti rimasti e rimettere tutto a posto negli scatoloni. Altro che festeggiare fino all'alba, qui non si sarebbe chiuso occhio per un bel po' a suon di conti. Alice sperava almeno che ci fosse un compenso anche per lei quella sera.

code by Vivienne ©


Io e Nih ci siamo sparite le persone da aggiornare, per tanto io ho aggiornato:

Nih > Tot spesa: 31G > 6 gelatine
Cami > Tot spesa: 34G > 6 gelatine
Emily > Tot spesa: 55G > 11 gelatine
Jane > Tot spesa: 81G > 16 gelatine
Aiden > Tot spesa: 61 > 12 gelatine
Oliver > Tot spesa: 4 G
Mary > Tot spesa: 4 G

Grazie per gli acquisti!

 
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view post Posted on 21/4/2023, 21:00
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all that is gold does not glitter, not all those who wander are lost

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Decumano Sud, La Contea 🍁

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Eloise Lynch
17 y.o. – the gambler – the roaring 20s

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Location: tavolo rinfresco
Interaction: Alice, Mary, Horus
Mention: -
Fare i conti da brilli non è mai una buona idea. Soprattutto se la serata appena trascorsa ti ha vista gestire crisi sentimentali, allestire un primo soccorso improvvisato, prendere il posto del barista e piazzare scommesse improbabili. Soprattutto quando ai piedi porti tacchi scomodi e la tua mente è ancora annebbiata per il consumo di droghe leggere.
Sorridente e sorniona, Eloise soffia l’ennesima nube di fumo denso sulla cassa, impedendo all’impotente commesso di terminare il suo controllo incrociato, e facendogli perdere il conto. Sospira, esasperato.
« Te la buco, quella Sigaretta Anti-Spio! »
« Mi priveresti così del migliore acquisto della serata? Mi lasceresti senza protezione, potenzialmente visibile ai nemici? » Schivò una minaccia invisibile, nascondendosi dietro la colonna del gazebo e spiando dietro le spalle come un’agente segreto.
« L’unica che ti dovrebbe vedere, stasera, è l’infermiera White… » Scuote la testa, ma è divertito. Un po’ vuole farsi trascinare da quel clima festaiolo, un po’ vorrebbe solo finirla in fretta, e godersi il tempo a sua disposizione,
« E dai, lo sai che i conti torneranno, alla fine. Sono come gli gnomi: tornano sempre. Devi goderti il processo che ti porterà a quel momento. Vero, Alice? » La collega, dall’altra parte dello stand, si sta letteralmente grattando la testa per chiudere la sua metà di conti.
Eloise ghigna, passando al collega la canna che si è appena accesa e che lui accetta di buon grado. Appoggia la Sigaretta Anti-Spio sul bancone e si china sul registro di cassa per il controllo delle vendite. « Io ti dico le voci del registro, tu conti i Galeoni, okay?» L’ha già stressato a sufficienza per una sola serata. « Poi, bicchiere della staffa sugli spalti. Tutti invitati. »
– When you and I were forever wild | The crazy days, city lights –
Code © HorusDON'T copy



Ehm, in scandaloso ritardo, conti aggiornati, Gelatine aggiornate, tutto aggiornato!
Grazie per la partecipazione!
 
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