"Skin to Bone,,, Missione lavorativa ~ Horus Sekhmeth

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view post Posted on 2/8/2023, 18:26
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Horus Ra Sekhmeth
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EXP 89
Mi basta una sola parola –o meglio, una persona– a farmi finalmente comprendere che la donna è una Strega. Quale Babbano userebbe Flamel come intercalare? È già qualcosa, ma non sono più sicuro, ora, di voler Appellare la povera bestiola. Tra l’altro, essendo una trasfigurazione, può darsi che si sia anche dissolta. Una cosa in meno.
Sposto il peso sull’altra gamba, incrociando le braccia al petto ma mantenendo comunque una postura rilassata. Anche se l’ho visto con i miei occhi, non crederei comunque alle parole della madre del bambino: è tutto troppo strano. Il pensiero mi ritorna automaticamente alla ferita sulla tempia: non può essere stata dovuta alla caduta, mi ripeto.
Il mio sguardo si illumina quando sento parlare di un altro inglese: deve essere Fitzroy.
Voglio saperne di più e la donna può fornirmi più informazioni del previsto, ma i miei occhi captano un movimento e saettano per un secondo in direzione del lampo bianco e blu intravisto.
Merda. Quel maledetto marmocchio è scappato da casa sua proprio adesso.
Stiro le labbra per il fastidio, affrettandomi a tramutarlo in un sorriso. Non voglio destare sospetti nella donna, ma l’impazienza comincia a cogliermi e a farmi prudere le mani. E tuttavia mi ritrovo a decidere in una frazione di secondo.
« Sì, Fitzroy è il collega che sto sostituendo. »
Decido di proseguire, dando per scontato il nome del misterioso inglese scomparso. Seguirò il bambino come falco, dovrei riuscire a ritrovarlo più facilmente da una visuale dall’alto, o almeno è quel che mi auspico. Non è, però, facile perché ripenso alla strada dove voleva condurmi prima che la madre ci interrompesse.
« Il pappagallo… » Non infierisco sul “piccione”. « Era del mio… uhm… collega. Me l’ha lasciato in custodia ma… beh. Non sarà molto contento di scoprire che me lo sono fatto scappare e della brutale fine che ha fatto… accidentale s’intende. » Specifico alzando le mani, ma lasciando che una punta di sospetto possa insinuarsi nell’ultima parola. Poi continuo.
« Purtroppo, però, in questa giungla terrificante, non saprei nemmeno dove trovarlo per dirglielo… come non so dirlo a nostra madre. » Arriccio il labbro, mi fingo a disagio e colpisco una pietruzza con la punta del piede, chinando appena la testa per osservarne il rotolare sulla strada polverosa. Bugia numero due.
« Capisco la sua rabbia, signora, questo posto non è il luogo migliore dove crescere un figlio… » Le scocco un’occhiata intensa, rialzando il capo. Mi sento di camminare su un sentiero impervio, traballante come uno dei ponti di legno disfatti dal tempo che, sono sicuro, deve esistere anche qui da qualche parte.
« E mi creda voglio lasciare in pace lei e il suo bambino, ma sì, sarò sincero con lei, non voglio mentirle. » Bugia delle bugie. « Se può darmi qualche informazione in più mi aiuterebbe. Gli americani detestano noi inglesi e la nostra supervisione e mentono continuamente. » Voglio tagliare corto e inseguire il ragazzino, ma non posso andare troppo oltre con la diffidenza della mia piccata interlocutrice.
« Magari hanno buttato in un pozzo anche lui. » Lascio cadere l’insinuazione, ben più pesante di quanto previsto. La Keller probabilmente mi odierà, ma mors tua vita mea. Non mi interessa favorire il loro lavoro (a maggior ragione se mi menti), ma solo e soltanto il mio.

– Tell me would you kill to prove you're right –

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Principiante;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [tramutato in orecchino] [1xQuest]
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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view post Posted on 8/8/2023, 17:23
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Deve aver segnato un paio di punti, signor Sekhmeth, perché qualcosa cambia nella donna… in negativo. Non le serviranno grandi doti da osservatore per notare il corpo di lei irrigidirsi, le labbra stirarsi e lo sguardo farsi puntuto come quello di un rapace. E lei ne sa qualcosa della categoria. Le torneranno forse in mente le parole della Keller a questo punto: “hanno un pesce molto grosso sotto al letto e la puzza si sente da qui”.
«Quello che dirà a suo fratello e a sua madre non ci riguarda». Ogni traccia di empatia, reale o simulata, sembra essere sparita dalla voce di lei. «Le auguro che la ricerca vada a buon fine e che la giungla sia stata munifica, ma non so come altro aiutarla». L’ostilità è a stento trattenuta, trasformata in una forma di distacco che rende la sua interlocutrice, Sekhmeth, un muro impenetrabile. «Ci saremmo aspettati più sostegno dal Ministero della Magia inglese, ma evidentemente non siamo una priorità».
Delusa, ma non solo. Non l’ha mai sfiorata il dubbio che lei non fosse un mago, signor Sekhmeth. Finora, ha avuto a che fare soltanto con uomini della sua stessa specie. Gli americani si sono appalesati come tali, lo stesso è valso per Fitzroy. Non avrebbe avuto motivo di dubitare che lei facesse eccezione dal momento stesso in cui ha menzionato l’accampamento rumoroso sito ai margini del villaggio. Quello nei confronti dei quali prova un risentimento secondo soltanto al rancore che vede per destinatario il Ministero della Magia inglese. Li hanno abbandonati.
La donna si muove con passo marziale sotto il portico. La mano sfiora la balaustra che ne segna il confine. Poi si volta a guardarla, entrambe le mani strette attorno al legno scrostato.
«La sua visita termina qui. Qualsiasi cosa stia cercando, la troverà altrove. Ci lasci in pace e, se proprio ha qualcosa da riferire ai suoi superiori, dica loro che la famiglia Knight dovrebbe essere già tornata a casa da un pezzo.»
Rimane a fissarla nell’attesa che sparisca dalla sua vista, le nocche bianche e le labbra sottili tese. Solo quando avrà il piacere di non scorgervi più prenderà posto sulla sedia a dondolo in vimini che il marito ha posizionato in quel lugubre portico. Starà lì a fare la guardia finché non sarà calata la sera e una donna del posto non si sarà fatta viva per cucinare la cena.

Intanto che lei discorre con la madre, signor Sekhmeth, il piccolo marinaretto sguscia tra le case del villaggio come un topolino. Nonostante sia giunto da poco in Guatemala, sembra conoscere Cruce dos Aguadas come vi avesse sempre vissuto. Smarca un paio di americani, distratti da una lavandaia del posto e diretti al sito.
Sembra sicuro della sua meta a tratti. In altri momenti, il suo incedere appare confuso come se perdesse le concentrazione. È vicino a una finestra quando vede un piatto di tamales. È più forte di lui. Allunga la mano, ne afferra una e scappa nel vicolo adiacente. Si mette a sedere sul pavimento sudicio e comincia a mangiarla. Mentre l’addenta e si sporca il visino con il ripieno, gusta la prelibatezza e si convince di non aver mangiato mai nulla di così buono.
 
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view post Posted on 17/8/2023, 12:53
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Sapevo che, prima o poi, sarei scivolato su questo terreno dissestato.
Mi maledico mentalmente per aver sbagliato strategia: mi auguravo che l’empatia della donna –in quanto madre– potesse tornarmi utile e che le “non tanto sottili” allusioni potessero metterla in guardia sugli americani, tanto da fidarsi di me. Ed invece ho toppato alla grande.
Mi mordo l’interno della guancia mentre incasso con fintissima umiltà le sue parole velenose, ma forse comprensibilmente irose.
Che diamine ha combinato il Ministero per essere peggio di quello Americano? Ed è tutto dire, giudico con un pizzico di pregiudizio nei confronti della Keller e della sua rumorosa e sguaiata squadra.
Sospiro consapevole di avere, comunque, un’altra pista da seguire: il marmocchio.
« Certamente, signora. Guarderò altrove. »
Se non altro questo è vero: il ragazzino che t’è sfuggito proprio sotto il naso, nonostante il tuo inutile tentativo di fare il crup da guardia.
« Immagino che finché suo figlio non guarirà dalla maledizione e non si comprenderà il motivo di determinate… » cerco il suo sguardo, consapevole che ormai non ho nulla da perdere: ormai mi ha congedato. « …sparizioni, il Ministero non riterrà sicuro riportarvi a casa. »
Sono consapevole di aver di nuovo camminato su una strada instabile, ma le volto le spalle con le mani nuovamente nelle tasche dei pantaloni. La sinistra afferra la bacchetta per ogni buon pro. Non si sa mai: se l’ho fatta incazzare, almeno sono preparato.
Mi avvio con lentezza, tendendo comunque le orecchie qualora abbia colto la provocazione pur non aspettandomi nessuna reattività.
Ora la mia priorità è il bambino e mi muovo nella direzione che gli ho visto intraprendere. Accelero leggermente il passo controllando rapidamente un posto sicuro e nascosto dove infilarmi per potermi puntare la bacchetta al centro della fronte.
*Mutas Falco.*
Ho perso il conto delle volte in cui ho pronunciato e compiuto quest’incantesimo. Ormai mi sembra quasi che parta dalla mia stessa mano, ancor prima di utilizzare un catalizzatore.
***Prendo il volo velocemente, ascendendo da una corrente favorevole. Batto le ali tenendomi basso sopra i tetti piatti e sbeccati delle case. I miei occhi osservano le strade, cercano il bambino sfruttando i colori sgargianti dei suoi vestiti. È un po’ come cercare un topolino fra le sterpaglie, ma la mia vista è piuttosto allenata dopo anni passati ad affinare le tecniche di caccia insegnatemi da Ra. Quando lo troverò, planerò su un tetto o su un ramo per studiare i suoi movimenti altrimenti, se è ancora in cammino, lo seguirò cercando di non perderlo a costo di volare da un albero all’altro –come probabilmente sarò costretto a fare fintantoché non sarò sicuro di averlo raggiunto e ridiventare nuovamente umano a distanza di sicurezza. Devo assolutamente capire dove avesse voluto portarmi prima che la madre ci interrompesse.

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All'interno:
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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***: segue parte ipotetica. Non sapendo quanto dovessi spingermi, ho supposto che Horus non abbia ancora visto il bambino mangiare, per cui mi affido al Fato.
 
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view post Posted on 21/8/2023, 13:28
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Un’ombra dissemina di cupezza i lineamenti arcigni della signora Knight, quando il marito rincasa pochi minuti dopo che il falco ha spiccato nuovamente il volo sopra Cruce dos Aguadas. La figura alta e dinoccolata le regala un sorriso dolce, che fa presto a spegnersi nel cogliere l’umore della donna. C’è qualcosa che non va, ancora.
«Dobbiamo sbarazzarcene adesso, Charles». Le sue parole trasportano un peso che l’aria fatica a sostenere. Il marito, già pallido di nascita, sbianca. «Un inglese è stato qui poco fa a chiedere di lui. Si è spacciato per suo fratello. Ha parlato di nostro figlio e di una maledizione. Nessun americano si è mai spinto così in là».
La bocca del signor Knight si spalanca in preda allo sgomento. «Come può sapere? Nessuno sa».
La moglie scuote il capo. «È un inglese. Sarà più sveglio. Il punto è che dobbiamo risolvere la questione ora. E dobbiamo trovare un modo per lasciare questo villaggio orribile».
«Ma, tesoro, non è possibile! Le istituzioni sono state chiare a riguardo. Non possiamo spostarci fino a contrordine.»
La signora Knight lo raggiunge. È più bassa del marito di diversi centimetri. Ciononostante, quando pronuncia le parole che seguono, non lo ha mai visto rimpicciolirsi tanto da che si sono conosciuti: «Se rimaniamo, sarò costretta a ripetermi con quest’altro inglese. Vuoi due problemi o te ne basta uno?»

È un peccato che si sia perso questo scorcio di conversazione, signor Sekhmeth. Le avrebbe dato parecchi elementi su cui riflettere. Di certo vi è che la sua abilità nella favella è stata la miccia capace di movimentare le cose tra i Knight. Mi sento in dovere di confessarle in confidenza che, finora, erano rimasti in uno stato di quiete al limite con la noia —eccezion fatta per la faccenda di cui discorrevano poco più su, s’intende. Lei ha aggiunto alla storia quella buona dose di peperoncino che potrebbe far esplodere gli equilibri di questo scorcio di Guatemala. Mi auguro che sia pronto a imbracciare le armi, letteralmente e metaforicamente parlando.
L’esperienza le viene incontro. In alcuni momenti, specie in questa fase della sua vita, sembrerebbe quasi che il falco prevalga sull’uomo dentro di lei. E che dire delle volte in cui la linea è così sottile da rasentare la sovrapposizione? Di pelle e di piume, di mani e d’artigli, in volo come sulla terra, Horus Ra Sekhmeth preda e non è prono a dispensar perdono.
I vicoli tra le case sono stretti e non le rendono il compito facile, è chiaro, ma le corse ubriache del bambino giungono in compensazione. Il figurino che le riesce di individuare prima che imbocchi la strada delle tamales è proprio il piccolo Knight. Dal tetto sul quale si è posizionato, scorge la scena consumarsi davanti ai suoi occhi inflessibili di rapace. Il tempo corre veloce, però, e il fanciullo ancora di più. Con viso e mani impiastricciati di cibo e polvere, riprende la sua avanzata verso una destinazione ignota.
Deve seguirlo per un po’, notandone gli sbandamenti e gli incespichi, prima di vederlo accucciarsi ai margini di uno steccato costruito alla bell’e meglio. Vi trovate in un punto distante dal villaggio —all’altro capo rispetto alla zona in cui staziona l’accampamento americano— e quella che avete davanti non è che una casupola di assi di legno. Sullo steccato, alcune carcasse d’animale.
Il piccolo Knight non è entrato nella proprietà. Si è seduto sul suolo sterrato a gambe incrociate e tocca con l’indice sporco di ripieno di manzo il ruscello di sangue che, partendo dalla baracca, corre in direzione della giungla.


Bene, Horus. Considera che, da questo momento in poi, ti è consentito compiere due azioni a post (laddove lo ritenessi opportuno) ai fini del nostro percorso, purché non siano consequenziali. Intendo dire che non puoi compiere due azioni, laddove la seconda dia per buono l'esito della prima.
Sarò io a dirti eventualmente se e quando torneremo al solito regime della singola azione.
 
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view post Posted on 24/8/2023, 17:50
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Horus Ra Sekhmeth
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EXP 89
Ho dovuto invertire in fretta la mia traiettoria verso il tetto della capanna fatiscente, scivolando su una corrente anomala chiaramente di natura magica. L’aria, così come la conosco da volatile, non oppone mai questo tipo di resistenza. Così sono tornato indietro, ho posato di nuovo gli artigli sull’albero da cui sono partito, affondandoli nel legno. In ogni caso, mi è andata anche fin troppo bene a giudicare dalla scena cui ho assistito. Gli scatti del bambino confermano il mio dubbio: è maledetto. Da chi o da cosa ancora non lo so, ma ho come l’impressione, vedendo il suo disegno, che potrei scoprirlo. Le mie pupille saettano verso il terreno, registrano i segni rossi che si mescolano alla terra polverosa, impiastricciata. Il bambino non è più di mio interesse, ma solo la sua mano che s’agita, pittura animata da chissà quale spirito artistico; è davvero il suo dito che traccia segni o è qualunque-cosa-sia-dentro-di-lui a muoverne gli arti?
Questa scena, col cumulo di carcasse vicino a lui, è di un grottesco tale che sento la mia parte umana rabbrividire. Tutto questo è raccapricciante, ma al falco non importa.
Eppure capisco o, quantomeno, intuisco la logica che c’è dietro lo scarabocchio che il ragazzino si lascia alle spalle correndo via. È stato un veicolo, niente di più. Gli occhi vuoti nella testa abbozzata, la struttura e il topo alla base: è la piramide. Collego il primo con il teschio di giada di cui mi ha parlato Mooneye –e che la Keller ha tenuto nascosto– e la bestiola come un presunto sacrificio. È questo che serve, per accedere alla camera nascosta? Di certo, se questa è la versione miniaturizzata, non basterà un roditore per entrare.
Guardo le bestie macellate: non sono un avvoltoio, non mi nutro di creature morte e non sento, così, la necessità di avventarmi su quella carne putrescente. Nella mente semplice del falco, però, mi chiedo se questa marcescenza non sia un sacrificio anch’essa. Tuttavia sempre questa mente comincia a giocarmi un brutto scherzo.
Barcollo sul ramo come fossi ubriaco e chiudo gli occhi. Il becco scatta infastidito e l’istinto fa rizzare le piume del collo.
C’è una voce che sembra provenire dalla giungla alle mie spalle che mi confonde, mi inebria, è un sussurro viscerale, un canto primitivo. Se potessi, mi acciglierei. Mi è difficile persino rimanere sveglio e vigile ed è proprio questo che mi allarma. Infastidito da qualcosa che mi striscia sulla zampa, abbasso il capo e noto inquietato una liana avvolgermi suadente, invitante. Potrei lasciarmi condurre lentamente, ammaliato, scoprire di più e… Emetto uno stridio d’allerta per cercare di svegliarmi e col rostro del becco colpisco la liana con ferocia per liberarmi. Poi spalanco le ali e scappo.
Atterro come uomo, rabbrividendo e guardando la macchia buia e silenziosa. Quell’ipnotismo è ora svanito, ma rimane addosso a me la sua ombra. La collego all’inquietudine che ho provato in volo, quando ero ancora a distanza dalle cime degli alberi. È chiaro che agisce sull’anima selvaggia e non su quella razionale.
C’è qualcosa di malato, in questo posto, penso.
Mi accorgo, così, di qualcosa che stilla dal tronco dov’ero appollaiato e mi avvicino il giusto per identificarla: non voglio entrare nella giungla, non ora che sento ancora la pelle d’oca e il cuore martellarmi nel petto.
Una linfa densa simile ad acqua sembra quasi sanguinare dalla corteccia. Guardo prima quella, poi il rivolo di sangue sul terreno. L’odore dolciastro della putrescenza è ancora più forte e arriccio il naso. Poi osservo la capanna. Idealmente sono comunque in un recinto, lo stesso che circonda l’abitazione, ma dove gli indizi si sommano con confusione e io devo barcamenarmi tra essi. Estraggo la bacchetta e la punto prima sul tronco, parallela al mio corpo. Non mi fido di toccare o anche solo avvicinarmi a quella roba: sto già imparando a conoscere il morbo che nutre la giungla e non voglio infettarmi.
*Resètka.* Vergo il tronco, scansiono la sua intera figura. E mentre l’incanto agisce, mi volto rapido verso la casupola e assottiglio lo sguardo.
*Ovis sortia.*
Mi ritrovo di nuovo a sacrificare, potenzialmente, un altro animale trasfigurato, ma il mio obiettivo, chiaramente, non è riempire uno zoo. Direziono la bacchetta all’altezza della cintura di pali e seguo poi una linea che la mia pecora deve seguire. Non necessita un oppugno, ma confido di essere abbastanza lucid, adesso, per condurla da buon pastore verso il luogo oscuro che si nasconde dentro quella capanna.

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▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [tramutato in orecchino] [1xQuest]
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
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▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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Modifica in accordo col Master.

Edited by Horus Sekhmeth - 28/9/2023, 12:06
 
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La macchia di vegetazione, nel cui ventre esercitate tutti quanti le vostre mosse, osserva. Circonda la casupola, si offre alle sue zampe impietose e alla curiosità sui generis del fanciulletto in blu navy. Siete un gran bel contrasto, ma vi accomuna qualcosa il cui richiamo giace tra i glifi e i livelli della tomba che non le è stato consentito di esplorare, signor Sekhmeth.
Un soffio di vento porta una zaffata di ferro e morte. Di delitti, a Cruce dos Aguadas, se ne sono consumati molti. Lo testimoniano gli occhi vuoti delle bestie scuoiate, ora riverse su uno steccato dimenticato da qualsiasi divinità abbia mai vegliato sul villaggio; e le mosche che sfregano le zampe sottili, deliziate alla vista del sangue rappreso. Un banchetto per pochi intenditori, si direbbe.
Intanto, il bambino ha preso posto a un lato del ruscelletto rubizzo. Si è messo comodo, a gambe incrociate, e gioca a disegnare piccole forme sul terreno polveroso davanti a lui. L’indice lo usa come piuma e il liquido viscoso del quale non teme la provenienza è il suo inchiostro. Trasale quando la carcassa di un aguti atterra a poca distanza da lui. La reazione che ne segue è di nervosismo. Lo può dedurre dai movimenti meccanici, accennati della testa e delle mani —gli stessi che ha potuto cogliere quando lo ha scorto per la prima volta sulle scale, poco prima che il suo pappagallino trasfigurato facesse una brutta fine.
Trascorre qualche minuto prima che le braccia del bambino si allunghino verso il roditore ucciso. A dispetto delle sue convinzioni, signor Sekhmeth, c’è una grande delicatezza nel modo in cui lo raccoglie e se lo posa sulle gambine infantili. Se non ci fossero dei precedenti cui le è capitato di assistere, sembrerebbe quasi impossibile crederlo un’anima altro che dolce al limite della commozione. Ed è un bene che sia così vicino, che qualcosa sia andato storto nei suoi piani. Per qualche motivo, quando si è esibito nel tentativo di planare sul tetto della casa di morte e assi di legno, qualcosa l’ha respinta. Una parete, scivolosa come olio, si è frapposta tra le sue zampe e l’aria allorché era a poche spanne dal raggiungerlo. Un rifiuto, un divieto d’accesso che l’avvicina alla sua vera preda.
Con calma, quasi che nulla fosse accaduto, il piccolo Knight torna ai suoi disegni. È concentratissimo e intinge il dito più e più volte per assicurarsi che il risultato sia perfetto. Solo alla fine, recupera la povera creatura gli è stata donata da un cielo carico d’odio e le dà una precisa collocazione all’interno dell’illustrazione.
Si alza, battendo le mani tra loro per pulirle dalla polvere; ne agita una per salutare l’aguti. “Ciao ciao” sembra dirgli con la voce dolce e innocente di un fanciullo della sua età, poi fa dietrofront e torna a correre in direzione dei vicoli di Cruce dos Aguadas.
Per sgangherate che siano le linee e unidimensionali le forme, c’è una coerenza di fondo e un messaggio da decriptare che lascia spaesati, nel disegno del sospettato che ha osservato con tanto zelo finora. Vede, signor Sekhmeth, la raffigurazione riproduce una falce di luna, una testa con due grandi occhi cavi e una struttura a più piani ai piedi della quale è stato depositato il piccolo aguti. Le dice qualcosa, per caso? O, forse, è solo lo schizzo inutile di un bambino disturbato?
Non ha ancora avuto modo di avvicinarsi all’opera d’arte che un altro alito di vento le ricorda il banchetto pronto ad attenderla, per il quale nessuno la giudicherebbe. C’è chi preferisce le tamales e chi la carne a cottura un po’ più al sangue! L’attimo porta con sé, però, anche la litania della giungla, che torna a parlarle. Sembra avvolgerla un nuovo stato di sperdimento (-5 PM), più intenso ora che le foglie possono toccarla e i rami appaiono capaci di risucchiarle l’energia da sotto le zampe. Per un istante, le sembra impossibile tenere gli occhi aperti e non lasciarsi trascinare dal canto irresistibile di un cuore arcano. Il desiderio di aprire le ali fa fatica a trattenersi, mentre il solletico leggero dell’aria ne suggerisce il dispiego. Quella giungla, del resto, è fatta per la parte selvatica che vive in lei, Sekhmeth, e il falco lo sente.
Una liana si attorciglia alla sua zampa. Solo per ricordarle che lì è il benvenuto, ovviamente. Intanto, una crepa nella corteccia dell'albero sul quale sta appollaiato —là dove il tronco è pronto a farsi radice— stilla la sua linfa, prodigo.


La sensazione che stai provando è la stessa che ti ha colto quando eri in volo di ritorno dal sito verso il villaggio, solo che è molto più intensa ora che sei effettivamente a contatto con la giungla. L'effetto del richiamo sembra agire di più sul falco che sull'uomo. A te la scelta su come affrontare questa sfida.
Di fatto, al momento non puoi scorgere nitidamente il disegno tracciato dal bambino.


N.B. Il bambino si trova oltre lo steccato, quindi fuori dalla proprietà. Se fossi atterrato sul tetto della casupola, saresti stato a una distanza maggiore da lui. Perdonerai le mie doti creative, se allego una immagine esplicativa della situazione nella speranza che sia chiarificatrice (x).


Horus Ra Sekhmeth
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Non io che ero davvero convinto di aver postato. Ora capisco il senso di quel "sicuro?" :fix:.


Horus Ra Sekhmeth
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Ho dovuto invertire in fretta la mia traiettoria verso il tetto della capanna fatiscente, scivolando su una corrente anomala chiaramente di natura magica. L’aria, così come la conosco da volatile, non oppone mai questo tipo di resistenza. Così sono tornato indietro, ho posato di nuovo gli artigli sull’albero da cui sono partito, affondandoli nel legno. In ogni caso, mi è andata anche fin troppo bene a giudicare dalla scena cui ho assistito. Gli scatti del bambino confermano il mio dubbio: è maledetto. Da chi o da cosa ancora non lo so, ma ho come l’impressione, vedendo il suo disegno, che potrei scoprirlo. Le mie pupille saettano verso il terreno, registrano i segni rossi che si mescolano alla terra polverosa, impiastricciata. Il bambino non è più di mio interesse, ma solo la sua mano che s’agita, pittura animata da chissà quale spirito artistico; è davvero il suo dito che traccia segni o è qualunque-cosa-sia-dentro-di-lui a muoverne gli arti?
Questa scena, col cumulo di carcasse vicino a lui, è di un grottesco tale che sento la mia parte umana rabbrividire. Tutto questo è raccapricciante, ma al falco non importa.
Eppure capisco o, quantomeno, intuisco la logica che c’è dietro lo scarabocchio che il ragazzino si lascia alle spalle correndo via. È stato un veicolo, niente di più. Gli occhi vuoti nella testa abbozzata, la struttura e il topo alla base: è la piramide. Collego il primo con il teschio di giada di cui mi ha parlato Mooneye –e che la Keller ha tenuto nascosto– e la bestiola come un presunto sacrificio. È questo che serve, per accedere alla camera nascosta? Di certo, se questa è la versione miniaturizzata, non basterà un roditore per entrare.
Guardo le bestie macellate: non sono un avvoltoio, non mi nutro di creature morte e non sento, così, la necessità di avventarmi su quella carne putrescente. Nella mente semplice del falco, però, mi chiedo se questa marcescenza non sia un sacrificio anch’essa. Tuttavia sempre questa mente comincia a giocarmi un brutto scherzo.
Barcollo sul ramo come fossi ubriaco e chiudo gli occhi. Il becco scatta infastidito e l’istinto fa rizzare le piume del collo.
C’è una voce che sembra provenire dalla giungla alle mie spalle che mi confonde, mi inebria, è un sussurro viscerale, un canto primitivo. Se potessi, mi acciglierei. Mi è difficile persino rimanere sveglio e vigile ed è proprio questo che mi allarma. Infastidito da qualcosa che mi striscia sulla zampa, abbasso il capo e noto inquietato una liana avvolgermi suadente, invitante. Potrei lasciarmi condurre lentamente, ammaliato, scoprire di più e… Emetto uno stridio d’allerta per cercare di svegliarmi e col rostro del becco colpisco la liana con ferocia per liberarmi. Poi spalanco le ali e scappo.
Atterro come uomo, rabbrividendo e guardando la macchia buia e silenziosa. Quell’ipnotismo è ora svanito, ma rimane addosso a me il suo spettro. La collego all’inquietudine che ho provato in volo, quando ero ancora a distanza dalle cime degli alberi. È chiaro che agisce sull’anima selvaggia e non su quella razionale.
C’è qualcosa di malato, in questo posto, penso.
Mi accorgo, così, di qualcosa che stilla dal tronco dov’ero appollaiato e mi avvicino il giusto per identificarla: non voglio entrare nella giungla, non ora che sento ancora la pelle d’oca e il cuore martellarmi nel petto.
Una linfa densa simile ad acqua sembra quasi sanguinare dalla corteccia. Guardo prima quella, poi il rivolo di sangue sul terreno. L’odore dolciastro della putrescenza è ancora più forte e arriccio il naso. Poi osservo la capanna. Idealmente sono comunque in un recinto, lo stesso che circonda l’abitazione, ma dove gli indizi si sommano con confusione e io devo barcamenarmi tra essi. Estraggo la bacchetta e la punto prima sul tronco, parallela al mio corpo. Non mi fido di toccare o anche solo avvicinarmi a quella roba: sto già imparando a conoscere il morbo che nutre la giungla e non voglio infettarmi.
*Resètka.* Vergo il tronco, scansiono la sua intera figura. E mentre l’incanto agisce, mi volto rapido verso la casupola e assottiglio lo sguardo.
*Ovis sortia.*
Mi ritrovo di nuovo a sacrificare, potenzialmente, un altro animale trasfigurato, ma il mio obiettivo, chiaramente, non è riempire uno zoo. Direziono la bacchetta all’altezza della cintura di pali e seguo poi una linea che la mia pecora deve seguire. Non necessita un oppugno, ma confido di essere abbastanza lucido per condurla da buon pastore verso il luogo oscuro che si nasconde dentro quella capanna.


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Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [tramutato in orecchino] [1xQuest]
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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Le sembianze umane restituiscono un po’ di equilibrio alla situazione, liberandola dall’aggancio della liana e riducendo il senso di frastornamento. L’ombra dei suoi effetti rimangono sotto forma di una leggera nebbia che rallenta di poco gli ingranaggi del pensiero, ma il sollievo è comunque una benedizione.
Adesso comprende i pericoli che gravitano attorno al sito e al villaggio, come se una mano intrisa di veleno di un non meglio identificato carnefice imponesse a un rito di ripetersi incessantemente. E lei, signor Sekhmeth, sembra sul punto di diventarne parte. O forse è già così?
L’intrico venoso dell’albero si rivela ai suoi occhi, chiaro dello stesso pallore dei raggi lunari. Se non è veleno, dunque, verrebbe da supporre che sia il suo contrario. È tutto così semplice? Ma, soprattutto, a cosa servirebbe un rimedio in un territorio dove i peccati da lavare sono più dei chicchi di grano in un silos? L’arbusto non sa dirglielo giacché non parlate una lingua comune. Si limita a lasciar scorrere la sua linfa dalla fenditura che ha già visto, senza fretta ma prodigo. Verrebbe altresì da chiedersi se fosse lì ad aspettare qualcuno e da quanto tempo. Magari, proprio lei.

Il belato servizievole di una pecora rompe il silenzio sinistro del villaggio, seguendo i suoi ordini. È assurdo, potrebbe constatare, che la giungla — nota per la grande varietà di esemplari di specie diverse — taccia in modo tanto ostinato; e che lo stesso si possa dire degli abitanti delle case malconce oltre le quali il bambino è sparito. Lei l’ha evocata e quella le obbidisce docilmente. Del resto, non è nata che per quello. Di sacrifici che vedono protagoniste le povere bestiole dal manto di nuvola è pieno il mondo.
La creatura supera l’uscio buio — lo spazio vuoto lasciato da un dente caduto — e sparisce alla sua vista. Accade di nuovo ciò che proprio non le riesce di spiegarsi: la sua trasfigurazione sembra fatta di viva materia. Così, lei la sente soffrire miserabilmente, urlare in preda a un dolore atroce che non si esaurisce in pochi istanti, ma continua a straziarla come se gli organi le venissero staccati uno ad uno dal grembo e dal costato.
Il pacco viene presto rispedito al mittente. La sua pecora è stata scuoiata, aperta di netto e la pancia è cava; l’animale dissanguato. La carcassa rotola sul terreno umido, priva degli occhi, fino allo steccato dove si arresta la sua corsa. La magia dev’essersi inceppata a Crude Dos Aguadas, perché la fine dolce che immaginava per entrambi i suoi animali si è trasformata in un’uccisione senza pietà.

Un rivolo di fumo fuoriesce dalla casupola, là dove le porte stanno spalancate senza rivelare nulla del suo interno. Sarà lei la prossima vittima sacrificale, Sekhmeth?


Horus Ra Sekhmeth
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Horus Ra Sekhmeth
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Arriccio il naso con palese disgusto mentre automaticamente muovo un passo indietro.
I versi raggelanti che emette la mia trasfigurazione mi fanno venire la pelle d’oca, ma ero preparato all’agnello sacrificale che stavo mandando direttamente al macello. Non l’avrei evocato se così non fosse stato. Del resto, i miei metodi sono stati sempre piuttosto crudi e diretti –ciao Nieve!– e non sto qui a farmi due domande su quanto e cosa posso sacrificare. Di sicuro, però, non la mia vita. Inoltre, meglio un incantesimo che una bestia reale, no? Ciò che però mi lascia piuttosto perplesso è il fatto che anziché svanire, le evocazioni diventino tangibili.
Il punto è che quando questa viene letteralmente sputata fuori dalla catapecchia, aggrotto la fronte e osservo come al rallentatore il penoso scivolare della mia ormai ex pecora. È ridotta talmente male che del macinato per le polpette sarebbe sicuramente più composto.
Tendo le labbra per la macabra comparazione che la mia mente partorisce in un momento come questo, ma è chiaro che il mio è solo un modo per sdrammatizzare quella che è, a tutti gli effetti, una situazione di merda.
Non posso dire che non me l’aspettassi, visto il grazioso cumulo di carcasse che mi sono trovato davanti. La mia ipotesi che sia una creatura a cui questa gente dedica sacrifici si rinforza. Ma cosa c’entra il ragazzino? E il teschio di giada? Hanno liberato qualcosa, dalla tomba?
Mi muovo piano, tenendo d’occhio l’entrata della capanna e il curioso fumo che da essa fuoriesce: prima non c’era.
Torno momentaneamente vicino l’albero che poco fa ho indagato, stringendo la bacchetta tra le dita. Mi rendo conto che in questo posto del cazzo non è l’ideale fidarsi di nulla, men che meno della giungla. Se fino a poco fa delle liane stavano ghermendo la mia zampa, chi mi dice che la linfa che questo tronco secerne sia positiva? Il resetka potrebbe non essere in grado di identificare questo tipo di maleficio. Senza staccare gli occhi dalla capanna, mi chino per raccogliere un ramoscello che avvicino al punto dove la resina scende lenta come miele. Cerco di prelevarne un po’, quel poco che basta per poterlo analizzare meglio, ma prima di poterlo fare, voglio vedere se riesco a capire qualcosa di più. 
**Prelevo una goccia di linfa facendo attenzione a non toccarla con la pelle e nel frattempo, cauto e lento come se avessi davvero una bestia feroce davanti a me, arrischio ad aggirarmi verso l’entrata, pur mantenendo una distanza di sicurezza. Non è mia intenzione pararmici davanti, non sono un idiota…. Spero. Comunque voglio essere in grado di vedere meglio cosa ci sia lì dentro. Punto nuovamente la bacchetta in direzione di quello che, a quanto pare, è un mattatoio, ignorando i poveri resti della mia pecora. Pace all’anima tua, amica, hai fatto il tuo dovere.
Il mio arsenale di ricordi felici è meno limitato di quel che si pensi. Al di là delle orrende situazioni in cui mi sono sempre ficcato e delle sofferenze che, mio malgrado, ho patito, ci sono delle memorie che persistono al di là di qualsiasi accadimento o mutamento d’animo.

E nella metà di queste ci sei tu, papà.

Non chiudo gli occhi, non ne ho bisogno. Perché è un momento che ho rivissuto in continuazione in passato anche quando non volevo farlo.
È il giorno del tuo ritorno, prima che sparissi di nuovo. Quando ti sono corso incontro, saltando l’ultimo scalino (con spavento di mia madre annesso) e mi sono letteralmente lanciato verso di te, agganciandomi al tuo collo. Eri stato via un mese, un mese interminabile in cui mi sono ficcato di nascosto nel tuo studio così tante volte che mia madre ha dovuto sgridarmi come poche volte ha fatto nella mia vita. “Non si va, lì! È pieno di cose che non devi toccare!” Mi diceva.
Quando sei tornato mi hai stretto forte, mi lo ricordo la morbidezza della tua mano sui capelli. E ricordo come nascondevo il viso nell’incavo della spalla, come il cuore balzasse nel petto e come fossi pieno di gioia per averti lì, con me e mamma.
Ero così felice che scoppiai a piangere. Che bambino frignone, che ero. E poi… poi c’era Ra ad aspettarmi dietro di te. Poco più di un pulcino, era il tuo regalo per me. Così come lo era il tuo essere tornato.

Prima che tutto scivoli nell’abisso in cui sono poi andato per sopperire alla tua definitiva scomparsa, mi concentro sulla forma perlacea di ciò che evocherò. Stavolta non è una trasfigurazione, il Patronus non soffre, ma illumina. Ho come l’impressione che, se la creatura è oscura come penso, potrebbe non gradire; in ogni caso, farò letteralmente luce e vedo bene di tenermi in sicurezza. Non ci tengo a diventare poltiglia.
*Expecto Patronum.* La mia mano si muove fluida nell’accompagnare la bacchetta alla formula disegnando un semicerchio orario. La direzione, imposta dalla mia mente, è scontata: dritto nella bocca di questa capanna maledetta.

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Lei è diffidente, signor Sekhmeth, e nessuno la biasima. La giungla, del resto, non si è mostrata limpida come un ruscello di montagna dove le acque scivolano di pietra in pietra per ridiscenderne il dorso. Ciononostante, quando preleva la linfa, quella si limita a brillare nella sua innocente trasparenza. Non sembra minacciarla. È forse l’aspetto dell’albero da cui stilla a trasmettere sicurezza.
È una ceiba, un arbusto che nell’umidità di questa lingua di terra trova nutrimento per ogni sua venatura. Ha una forma quasi umana, se si presta bene attenzione. Un ventre materno, tondo e irruvidito sulla superficie, ne compone il busto. Le radici affondano sinuose nel terreno, ricordando i tentacoli della piovra che Hogwarts le ha fatto conoscere in tempi non certo remoti. In alto, si apre in un’acconciatura di fronde vistose che pretendono attenzione, ma solo all’occhio di chi sa ben guardare. E lei non ne ha forse due di punti di vista, signor Sekhmeth? Due di prospettive dalle quali osserva il mondo? L’uomo, il falco.
Non c’è minaccia, dunque, nella sostanza che — forse unica nota chiara dell’intero suo viaggio dall’arrivo a Cruce dos Aguadas — le si è mostrata spontaneamente in un momento di foschia e tetre voci dal cupo canto.

Una scintilla di gioia, pura come solo l’anima di un bambino può essere, si fa avanti. Ha il viso di Osiris e ne porta il calore — l’amore. Così, fili d’argento vengono fuori dalla sua bacchetta e si confondono, prendendo vita proprio là dove perfino l’aria sa di morte. Incede leggero, il suo Patronus — sangue d’unicorno che lenisce le ferite — e raggiunge la casupola. S’inoltra dove non può vederlo e il fumo, che prima s’innalzava in un rivolo con la coda all’insù, cessa di scorrere.
Trascorrono pochi minuti, lunghi come ore, prima che il suo stratagemma dia frutti. Una donna ruvida, in là con l’età, viene fuori dalla bocca cavernosa dove ancora echeggia lo strazio della pecora. Veste una gonna lunga fino alle caviglie, scolorita, con una maglia di lino a sbuffo sulle spalle che le lascia le clavicole e gli avambracci scoperti. Calza stivali di pelle nera ammorbiditi dall’usura. Le cinge la vita un grembiule, del quale si libera non prima di aver dato una pulita alle braccia arrossate. Non è una connotazione della pelle: è il sangue a imporporarle.
Nonostante la distanza che vi separa, l’occhio della donna — il sinistro, l’unico sano — sembra trapassarla come una maledizione capace di stanare perfino la preda più fuggiasca. Un sorrisetto si fa spazio su quel viso di difficile interpretazione, mentre avanza verso di lei, Sekhmeth, claudicante.
«Siete venuto per interrogare il futuro, quindi, e io l’ho letto» si limita a dire quando ha raggiunto lo steccato. Con un calcio, accenna alla bestia scuoiata che giace, riversa, sul terreno. «Ora, vi chiedo: volete conoscerlo?»


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Lascio andare il Patronus in silenzio e lui traccia una scia argentea lungo il suo percorso che io seguo con attenzione. Occupo quest’istante per ripensare alla resina che ho strofinato tra i polpastrelli della mano libera, i cui residui guardo con perplessità, prima di accostarli alla luce del falco etereo che sorvola la canna fumaria.
Non ho mai visto una pianta del genere e, del resto, l’effetto che questa giungla ha avuto sulla mia forma animale mi spinge a dubitare persino dei fili d’erba che sto calpestando.
Comunque, scuoto la mano e rimango all’erta, la bacchetta puntata verso la bocca sdentata di questa casupola. Ho dato per scontato che fra quelle fatiscenti pareti di legno si nascondesse una creatura la cui origine e aggressività mi sono ignote. Non me ne sorprenderei perché, in luoghi come questi, non è impossibile imbattersi in bestie sconosciute. Inoltre, pondero, gli Antichi Aztechi erano molto devoti a creature magiche, alcune estinte da secoli, particolarmente aggressive. Ricordo con un brivido l’orrenda gita della Scuola di Atene a Tenochtitlan e arriccio le labbra con disgusto.
Lo stesso disgusto che mi piega la bocca e il naso quando vedo una figura emergere dal buio. Rinsaldo la presa sull’arma e assottiglio lo sguardo: ecco qualcosa che invece mi coglie di sorpresa.
Una donna, vecchia e trasandata come la capanna, s’avvicina lentamente verso di me. Mi viene la pelle d’oca e un brivido mi contrae i muscoli delle braccia nel vederla in volto. D’istinto faccio un passo indietro, ma non parlo, troppo occupato a fissare quell’unico occhio che mi trafigge come una spina ai lati delle tempie. La sua voce gracchiante non diminuisce, di certo, il mio sospetto ed osservo agghiacciato il calcio che riserva ai poveri resti della pecora.
Con la coda dell’occhio guardo rapidamente il cumulo di carcasse poi ripenso al bambino che con il sangue fresco traccia un disegno e deposita il topo alla base di quella che credo essere la piramide. Ho pensato ad un sacrificio, ma se fosse un modo per consultare gli Dei? Potrebbe essere entrambe le cose. Il consulto degli organi animali per vedere al di là del tempo è cosa praticata e accertata da gran parte delle culture, la mia compresa.
Eppure, ciò che ho davanti, più che una veggente mi sembra una macellaia. Non credo sia così che si interroghi un oracolo divino, anche se… beh le civiltà precolombiane non erano proprio famose per la loro bonarietà. Il sangue rappresenta sempre un’attrattiva superiore a qualsiasi altra. D’un tratto mi balena una teoria… se tutti i cadaveri ammassati non siano offerte degli abitanti per consultare questo presunto futuro? Lei stessa ha fatto cenno alla mia bestia.
Cos’è, una specie di sciamana? Forse potrebbe rivelarsi fonte di informazioni utili, forse è una bestia travestita da umano o, ancora, un dio particolarmente affamato.
Mi preparo, tuttavia, ed evocare un Protego, qualora necessario. Il polso è teso, pronto a muoversi in cerchio in concomitanza alla formula.
« Solo se ne vale la pena. »
Rispondo atono, alzando un sopracciglio.

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Ho tentato un tipo di approccio diverso con l'utilizzo dell'incanto, descrivendone l'utilizzo in maniera sempre ipotetica ma sul piano dell'evolversi della situazione, a Master piacendo ovviamente.
 
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La sua risposta genera una reazione, ma non è quel genere di sollecitudine che richiede l’uso della bacchetta. La donna annuisce al suo indirizzo, signor Sekhmeth, dopodiché le dà le spalle e torna ad incamminarsi verso la casupola. Non ha fretta e, forse, la disabilità le impedisce di averne. Non ha detto una parola, eppure il messaggio era chiaro in quell’occhio gelido che non ha smesso di scrutare i suoi lineamenti: deve seguirla se sono delle risposte che vuole.
Laddove decidesse di farlo, Sekhmeth, a mano a mano che il terreno si dipana tra steccato e portone, noterebbe tanti piccoli dettagli invisibili dal punto in cui si trovava prima. Il verde del suolo, che si intervalla al marrone intenso della terra, è imbrattato da scie di sangue — il che non sorprende. Qui e lì, però, si possono notare simboli netti, disposti ad eguale distanza l’uno dall’altro. Paiono tracciare un cerchio attorno alla baracca come se ivi si fosse appena consumato un rituale d’invocazione; oppure come se la sua proprietaria avesse deciso di ricorrere a una forma di protezione che affonda radici in una cultura antica, misteriosa. Non è strano, allora, che conosca la sua lingua? Di certo, l’aspetto e i modi tutti non suggeriscono un’attitudine cosmopolita.
La sconosciuta ritorna nel ventre della sua dimora in ogni caso. Le chiede un bel voto di fiducia a sparire così in un luogo che emana un puzzo insopportabile. C’è odore di morte, carne malandata e sangue rappreso.
«Entrate» sarebbe il suo invito, promanandosi da dove non le sarebbe possibile vederla giacché il buio si addensa nelle interiora di quella rivoltante catapecchia.
Se si sentisse dell’umore e dello spirito per accettare, Sekhmeth, i suoi occhi faticherebbero solo per pochi attimi ad abituarsi al passaggio dalla luce all’oscurità e le riuscirebbe subito di distinguere i contorni della donna; e le fattezze del posto che ella chiama casa. C’è un tavolo che separa l’avventore dalla vecchiarda: è ampio e sulla sua superficie giacciono disposti in un ordine preciso vari organi — un cuore, un fegato, un cervello diviso in due metà e, al centro, un gomitolo d’intestino grande quanto un neonato.
«So cosa volete sapere e qui non troverete menzogne» gracchierebbe la voce della donna, indicando con le mani il tavolo chirurgico.
Un’aruspice, dunque. È in questo che si è imbattuto, signor Sekhmeth, seguendo l’inquietante bambino vestito in blu navy. O così le converrebbe sperare, considerati i coltelli e le mannaie che stanno incastrati alle assi della parete dietro le spalle di lei. Accanto, appesi su tre chiodi diversi, potrebbe notare la pelle grondante di rosso di un maiale e la sua testa privata degli occhi; e l’involucro esterno della pecora che ha sacrificato — ecco dov’erano finiti pelle e manto.
«Siete giunto in un luogo oscuro, viandante, che ha preso già più vite di quelle che potreste immaginare; più di quelle che il vostro Paese avrebbe dovuto comunicarvi prima di inviarvi qui». Le dita della donna affonderebbero nelle viscere rosee. «Non potete sottrarvi alla tomba di Yich'aak B’alam se sono risposte che cercate. Ma non potrete entrare senza la chiave». Ora è il tempo del fegato. «L’avete già trovata, la chiave, ma non ne siete entrato in possesso». L’occhio rimarrebbe chiuso e il respiro appena accelerato. Quando ritornerebbe all’intestino, quell’occhio si fisserebbe ancora su di lei. «E avete lasciato indietro la soluzione, che vi si era offerta per la salvezza dell’intero villaggio». La sua voce acquisirebbe profondità e la sua ombra si farebbe più grande nella parete posteriore, all'accendersi di una torcia alla destra dell’ingresso. «Tornate sui vostri passi prima del calare della notte, dove la magia si è già smentita una volta, e salvate questo popolo prima di finire su questo tavolo come le bestie che vi hanno preceduto».
Un sorriso agghiacciante sulla bocca dai denti marciti. I coltelli vibrerebbero alle sue spalle, distaccandosi dalla parete e puntandosi verso di lei, Sekhmeth. Perché colpirla dopo averla aiutata?
«Ora pagate con un pezzo di voi il prezzo di questa lettura. Quell'occhio, ad esempio, mi farebbe comodo».
La prima mannaia sfreccerebbe al suo indirizzo, mirando all'occhio sinistro. Le servono per forza entrambi, signor Sekhmeth?

Le resta comunque la possibilità di trattenersi all'esterno: desidera ispezionare lo spazio circostante la baracca, tornare indietro a cercare il bambino, entrare nel cuore della giungla o dirigersi verso il sito che tanto presto ha abbandonato? Siamo al suo servizio!


Puoi scegliere la strada che più ritieni opportuna in base alla coerenza con il tuo personaggio. Laddove seguissi l'aruspice, dai più peso di quel che sembra al concetto di "tornare sui tuoi passi". Potrebbe riferirsi a più di un'azione. Sempre che Horus riesca a uscirne vivo... o intero.

Horus Ra Sekhmeth
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view post Posted on 21/12/2023, 18:35
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Horus Ra Sekhmeth
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Lo so che non devo seguire questa vecchia nel suo antro. Non ho dubbi che sia lei l’artefice dell’orribile fine di queste bestie eppure, se fosse davvero una veggente, potrebbe essermi utile. Non sono sicuro e perciò la guardo avanzare dentro la catapecchia; non è tanto il sangue e il puzzo che emana a farmi ribrezzo, è proprio la sua figura. Mi fa venire la pelle d’oca, ma nonostante questo decido di seguirla, cauto. Sull’uscio sono costretto a portarmi un braccio davanti al naso e alla bocca. Il tanfo è devastante. Stringo convulsamente la presa sul manico della bacchetta e mi guardo intorno rapidamente, perché non voglio distogliere troppo lo sguardo da cosa sta facendo la strega.
Più che una casa, questo posto sembra una macelleria, e della peggior specie tra l’altro. La cosa, però, non mi sconvolge: nella mia seppur breve carriera da Spezzaincantesimi, ho visto le peggiori cose e i morti non mi spaventano.
Guardando gli organi sul tavolo, mi chiedo con un brivido se siano davvero tutti appartenenti a degli animali o se, invece, ci sia qualcosa di umano lì in mezzo. Arriccio il naso, disgustato, e di certo non mi preoccupo di offendere la padrona di casa nel coprirmi con la mano le vie respiratorie.
Stranamente gli scarti animali non mi fanno scattare lo stesso grilletto che scatterebbe con resti umani: è vero che i morti non mi sconvolgono, ma è lo sporco che mi fa uscire di testa. E qui, di lerciume, ce n’è a iosa. È una fortuna che io sia troppo impegnato a badare alla mia vita, perché col cazzo che ci sarei entrato qui dentro.
Ascolto con attenzione la voce gracchiante; la sua eco sembra toccare ogni angolo di questo posto, ma anziché guardare le mani che operano minuziosamente fra intestini e cervelli il cui viscidume produce un sottofondo rivoltante, guardo lei.
In quanto Spezzaincantesimi, il mio addestramento ha previsto l’approfondimento di molte materie scolastiche, come Antiche Rune, ma anche di culture diverse, di epoche diverse, di magie diverse. Ho notato i segni intorno alla capanna, so cosa significa lo scuoiare dei corpi, la consultazione delle viscere. Ho imparato a riconoscere le trappole nascoste al di là delle pietre che compongono le strutture litiche di Gobekli Tepe, le maledizioni celate dalle maschere dei crani a Gerico, i sigilli nascosti negli arazzi di un castello della Normandia.
Non sono esperto quanto Mooneye, ma le mie competenze mi permettono di capire che dovrò dare in cambio qualcosa, a questa vecchia, perché tutto ciò che riguarda gli oracoli richiedono un prezzo.
Ingenuamente potrei pensare che io possa aver saldato il debito con la pecora che ho sacrificato, ma non posso abbassare la guardia.
Non posso però esimermi dall’aggrottare la fronte: dove diavolo l’ho lasciata questa chiave?
Vorrei rispondere un grazie al cazzo che le risposte sono nella tomba, è per questo che tutti noi stiamo girando in tondo. La questione dei passi, però, mi lascia interdetto, come la soluzione a questo enigma di cui non riesco ad afferrare il filo conduttore. Vorrei azzardare un paio di domande ma non ho la minima intenzione di aprire bocca e lasciare anche solo che questi miasmi possano toccarmi. La mano, però, ha uno spasmo quando la lettura si interrompe. Indugio sull’occhio malandato della strega, ma colgo, al bagliore della torcia che prima si è accesa, un riflesso. Mi giro di scatto in concomitanza alla doppia minaccia: quella verbale e quella della lama di una mannaia.
Merda.
So già che, a mente fredda, me ne pentirò e come minimo mi scuoierò vivo come quel maiale appeso, ma mi lancio di lato per togliermi dalla traiettoria dell’arma. Il braccio, però, punta il petto della vecchia e si piega automatico da lei, a me, e di nuovo al suo torace. La mia voce segue la distensione dell’arto in maniera fluida. Non mi faccio troppi scrupoli.
« Stupeficium! »
A meno che non ci siano Poltergeist –e ne dubito assai– è l’aruspice a controllare la magia qui dentro. Fuori gioco lei, fuori gioco il resto. È un pensiero rapido: cercherei di rendere inoffensiva prima la minaccia più grande, a costo di ricevere un contraccolpo. Del resto, se schivo la mannaia e lei mi lancia addosso venti coltelli, è piuttosto stupido cercare di non intervenire sull’autrice. Schivo e agisco. Fine.
In ogni caso, non sto a guardare come va. Qualora riuscissi, rotolerei di fianco per potermi rialzare in fretta e uscire da qui. Avrò tempo di ragionare su quanto udito… se ne esco vivo e con entrambi gli occhi.

– Tell me would you kill to prove you're right –

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [tramutato in orecchino] [1xQuest]
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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Chiedo scusa per il ritardo.
 
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Il Fato

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Lei è scaltro, signor Sekhmeth, e la cosa non stupisce. Se non foste stato una risorsa utile, Mooneye non le avrebbe mai chiesto di affrontare questo viaggio. È vero, l’hanno un po’ trattata come vittima sacrificale — non troppo dissimile dalle bestie e i loro resti che adornano la catapecchia —, ma hanno pur sempre calcolato un margine di successo. Non avrebbe avuto senso, altrimenti, spedirla qui.
È scaltro ma anche veloce di pensiero. Le sfide che ha affrontato, l’hanno rafforzata e incaparbita, non è così? Lei ha visto del mondo molte più bruttezze di tanti altri. Quindi, non stupisce che la sua bacchetta sia tanto lesta nel mettere fuori gioco la vecchia. Ella, però, si aspettava una reazione e, poco prima, di subire il suo attacco ha strizzato l’occhio alla magia nera che permea la casupola e le ha chiesto di reagire.
È strano quello che accade, signor Sekhmeth. Io direi “inaspettato”. Intanto che la vecchiarda si affloscia sul pavimento (-47 PS, -15 PC) in conseguenza del suo Stupeficium, è qualcos’altro a coglierla di sorpresa. Un tocco le avvolge le spalle, senza tuttavia tentare di farle del male. È una delle pelli di maiale di cui è disseminato il luogo in cui si trova. Quasi con dolcezza, si adagia sulle sue membra come un mantello che nulla ha di leggerezza né di pulizia. Si stringe attorno a lei, si attacca come uno snaso a una tiara. Non sembra volerla lasciare. Non sembra neppure possibile sganciarsela di dosso.
Per il resto, lei è oramai libero di ritrovare l’aria meno viziata dell’esterno. Non che l’aspetti un bello spettacolo — un’oasi verdeggiante con palme e dolci profumi di incenso —, ma è già un sollievo sentire che un briciolo di apertura contrasti il veleno sanguinolento dell’interno. Certo, la vecchia le ha lasciato un regalo di cui chiunque farebbe a meno, eccezion fatta di un necrofilo.
Ora, quel che l’aspetta è il ritrovamento della soluzione di cui le parlava l’inquietante guercia. Prima che possa avviarsi — ammesso che abbia compreso dove e cosa andare a cercare —, i segni che ha già visto sul terreno si accendono di una luce bluastra. In verità, con occhio attento, potrebbe accorgersi che i simboli non sono propriamente stati tracciati sulla terra arida, bensì su alcuni sassi dalla forma ovale e dalle superficie liscia. Sono le Rune di Odino, le rune della divinazione.
Perché si siano attivate non è dato saperlo. Ciò che accade attorno a lei, però, un po’ di meraviglia desta. Come se uno specchio si aprisse di fronte a lei, vede nell’aria tre immagini in successione: la luna, tonda e splendente; il viso del bambino con gli occhi vitrei in prossimità di casa sua, attorno a lui una notte scura come la veste della Morte; un teschio di giada.

Non le sembra di aver già visto questi particolari disegni?



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Edited by MasterHogwarts - 10/1/2024, 14:08
 
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view post Posted on 23/1/2024, 18:16
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Horus Ra Sekhmeth
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A malapena consapevole, dal tonfo udito, che la vecchia è stata Schiantata, fuggo fuori dalla porta. Sono tentato di dare fuoco a questo posto di merda, vederlo bruciare tra le fiamme finché non ne rimanga altro che un cumulo di ceneri con qualche osso a ricordare che lì, un tempo, viveva qualcuno.
Mi trattengo dal farlo solamente quando, uscendo, il mio sguardo viene attirato da glifi che conosco fin troppo bene. Contraggo il viso in un’espressione perplessa: cosa diavolo ci fanno delle rune nordiche a latitudini come queste? Ho già avuto prova di un tipo di divinazione proprio da parte dell’aruspice e non credo sia un caso che un altro segno di predizione sia comparso proprio su questo campo zuppo di sangue.
Il problema è che io sono bravo con un uso diverso delle rune, non di certo con quell’arte da strapazzo che è la Divinazione. Eppure sono costretto a ricredermi perché vedo formarsi davanti ai miei occhi attoniti una sequenza di immagini che non fatico a ricondurre al disegno del ragazzino.
Sono costretto ad ammettere la mia confusione perché, sebbene il teschio di giada possa effettivamente essere una realtà, non riesco ancora a fare un collegamento. Che io debba aspettare la notte? Che il pozzo dentro il quale è caduto il bimbetto debba vedere lo specchiarsi dei raggi lunari? Di sicuro, non è alla luce del sole che scoprirò qualcosa.
Ciò che so, però, è che devo tornare alla piramide. Non c’è più niente qui per me.
Sto per voltarmi quando mi rendo conto, con orrore, che c’è qualcosa ad impedire la fluidità dei miei movimenti. Mi paralizzo, improvvisamente incapace di muovere un solo muscolo. La mano non armata tocca fra le scapole e rimane sospesa a mezz’aria quando sfiora la pelle ruvida e bagnata di qualcosa che si è attaccata alla mia schiena.
Capisco cos’è.
Lo capisco con un lungo, tremendo brivido ghiacciato che mi penetra all’interno della spina dorsale, attraversando direttamente il midollo.
L’ho vista prima, quando sono entrato: una pelle.
Una pelle di un maiale.
Il mio respiro si agita, comincia ad incespicare, le gambe si fanno molli.
Comincio a tremare senza rendermene conto, l’urlo in gola che s’arrampica su per le corde vocali come un ragno.
Cazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzo.
Barcollo, improvvisamente dimentico di cosa sto facendo, del perché sono qui, cercando di raggiungere la macchia d’alberi. È che non vedo più nulla, né mi rendo conto di dove sono: sto perdendo il controllo e lo sento fluire via mentre sento l’aria sfuggirmi dai polmoni.
Respira, Horus.
Respira.

E lo faccio, giuro che ci sto provando, ma sento questa… questa cosa dietro di me, la sento colare e aderire alla mia pelle. Improvvisamente non esiste più alcuna camicia a separarmi dal maleficio della donna; c’è la nudità del mio corpo a contatto con la macabre veste dell’animale che fu e sento penetrare nel sangue l’impurità. Vedo davanti ai miei occhi la bestia scuoiata, ne odo il verso acuto, stridulo, e mi premo una mano sulla bocca.
Sono terrorizzato. E non è solo il sangue, il putridume con cui sono venuto a contatto a farmi agitare; è a cosa appartiene questo schifo che mi fa andare nel panico.
Guardo la bacchetta, muovendomi il meno possibile, scorrendo mentalmente tutti gli incantesimi che potrei usare. Nella nebbia di un orrore crescente, l’unico che trovo è il ”relascio”, ma quando penso all’esecuzione e comprendo che non mi è possibile eseguirlo su me stesso, allora cedo.
Arranco fra le rune sconvolto dai brividi; gli occhi saettano veloci, alla ricerca di una fonte pulita, d’acqua, di qualsiasi cosa che mi permetta di liberarmi da questo panico.
Fa’ che ci sia qualcosa, ti prego, fa’ che ci sia..
Lo mormoro con la nausea a premermi sulla bocca, gli occhi scuri di una creatura a fissarmi tra i tronchi degli alberi.
È un miracolo che il mio cervello, già in allerta per salvarmi la vita, non ripeschi ricordi che, invece, torneranno prepotentemente a galla solo tra pochi mesi, sul ciglio di un’autostrada.
Nonostante ciò, cado carponi, la bacchetta premuta sotto al palmo. Stringo le palpebre, cercando di non vomitare.
Ma poi, voltandomi, consapevole che non posso andare da nessuna parte stringo tra le dita l’arma e la punto tremante verso la casa.
Con gli occhi sbarrati digrigno i denti.
È lì, sì, lo vedo.
”Ma non puoi dire sul serio, quelle povere bestie? Veramente ti fanno paura?”
Non ho mai spiegato il perché e solo Isabella e mia madre sono a conoscenza di questa fobia. Non la saprà mai nessuno, perché…
Lo sporco. Dio, Amon, lo sporco che mi entra dentro, mandalo via, mandalo via. Mandalo via!
« INCENDIO! » Lo urlo –isterico– con quanto fiato ho in gola.
Le fiamme, sì, sì, mi dico agitato: il fuoco purifica, non è così?
Se lei brucia, la sua magia termina, non è così? Deve essere così.
La bacchetta mi sfugge dalle mani, rotola sull’erba morbida e io indietreggio veloce. Vorrei continuare ad urlare, ma tutto il mio fiato se n’è andato con una semplice parola, uscita a fatica da labbra sconvolte.
Smetto di respirare, ma il mio corpo si muove per istinto di sopravvivenza.
Cerca il tronco dell’albero di cui, poco fa, ho dubitato.
Cerca la linfa bianca, pura verso cui la mia schiena s’abbatte. Colpisco il legno con forza, sbattendo la testa e poi mi piego in avanti, le ginocchia alzate, le dita fra i corti capelli. Mi accartoccio su me stesso, in preda al terrore, aggrappato disperatamente ai rimasugli di lucidità che mi sono rimasti.
Ti prego, ti prego, ti prego, fa’ che funzioni
Perché lo so che il controllo sta scomparendo e, tra poco, i ricordi che tengo celati torneranno a galla. S’aggrapperanno a me, mi corromperanno, mi divoreranno.
Lo so, penso, ficcandomi le unghie negli avambracci.

– Tell me would you kill to prove you're right –

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [tramutato in orecchino] [1xQuest]
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
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– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
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▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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