A butcher, Privata

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view post Posted on 2/3/2023, 11:58
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We are all immortal until proven otherwise

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DFdbNe1Casey, 17 anni •

An african proverb says:

«The child who is not embraced by the village will burn it down to feel its warmth.»



Fatico a credere di essere qui, davanti alla porta di un giornalista della Gazzetta del Profeta. Le mie gambe tremano, il mio stomaco si contorce.
Ho impiegato una vita a rispondere alla lettera della Vinstav, ed è stato imbarazzante se non impanicante ritrovarmela per mesi agli allenamenti degli Archenemies facendo finta di nulla. Come se non avessi mai ricevuto alcun invito da parte sua, come se fosse vero che non avessi nulla da dire.
Come al solito, quando non voglio affrontare qualcosa, mento a me stesso. Tu non tieni a questo, Aion, non fare niente, e immantinente l'acido mi scioglie lo stomaco ed ogni emozione sedimenta in un unico grumo di rabbia.
Devo essere sincero, non sono stato io a convincermi. E' stato Les, che non ne poteva più delle mie stronzate e lamentele. Sono stati i commentacci delle persone che mi circondavano, che mi giudicano un folle. E' stato l'incontro con Edward, e la sua insana curiosità nei confronti del duello. E' stato il silenzio di Oliver.
E' dura per me districare ciò che è vero da ciò che è falso quando si tratta della mia persona. E' difficile per me capire che io non sono ciò che spesso gli altri definiscono. Ma, soprattutto, per me è stremante evitare di figurarmi come i miei stessi giudizi assumono, e vedermi come una qualsiasi altra persona che condivide gli stessi diritti con tutti gli altri.
Merito di poter dire la mia versione dei fatti. Forse. Continuo ad essere titubante, perché continuo ad addossarmi una colpa enorme. Il solo pensiero di trasformare il sovraffollamento di emozioni e pensieri in parole mi uccide. Avrò abusato spesso di questo paragone, ma mi sento come un cerbiatto congelato in mezzo alla strada di fronte ad un camion che non frena.
Una volta consegnate queste parole non potrò più tornare indietro. Si plasmeranno in tutta la loro concretezza e il mostro che genereranno si paleserà di fronte ai miei occhi, di fronte a quelli di tutti.
Busso con la destra, nella sinistra tengo un pacco. Apro la porta con incertezza non appena sento dire dall'altra parte "avanti". Spalanco e mi sforzo di non sorridere in maniera troppo sofferente.
«Buongiorno, Ariel. Sono in ritardo?»
Al solito mi sento in difetto per qualcosa. Sono in perfetto orario, anche se ho aperto la porta dopo un solo minuto dall'orario prefissato.
«Be', sì, diciamo che lo sono» aggiungo con imbarazzo. «Ti chiedo scusa, ma mi ci sono voluti gli allenamenti di Quidditch per capire che non avresti fatto male ad una mosca» dico, sperando di aver tirato una battuta divertente. Dopo poco mi accorgo che forse sono stato troppo piccato e sento una goccia di sudore scendermi lungo la nuca.
Alzo la mano sinistra, da cui pende un pacchetto.
«Torta delle scuse. Ti piace la sacher?»

 
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view post Posted on 3/3/2023, 13:42
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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DFdbNe1Ariel, 25 anni •

An Icelandic proverb says:

«It is better to suffer in the name of truth than being rewarded for lying.»



Spire di fumo porpora si infrangono contro la finestra, lasciando sul velo di condensa in una ragnatela di increspature.
Sospiro.
«Hai mai il timore di non essere abbastanza, Lord?»
Sussurro, adocchiando la teca magica incassata nel davanzale sotto di me.
Lord Bleppington, il più incurante e freddo dei famigli, mi osserva in silenzio da sopra il suo scranno di tralicci di betulla e pietre lisce, aprendo e chiudendo lentamente gli occhi blu in una gestualità che il mio subconscio vuole farmi interpretare come una risposta positiva.
Annuisco lentamente, sospirando ancora, improvvisamente più risollevata.
«Ho come l’impressione che qualunque cosa farò o dirò, non le piacerò, sai?»
Le labbra trovano il bocchino della pipa. Stringo nervosamente la placca d’ottone, inspiro ed espiro.
La betulla incantata di Zonko mi riempie i polmoni con un piacevole tepore, lasciando che la misera quantità di nicotina presente nel composto tostato mi induca a rilassarmi.
Un sibilo mi porta a ritornare col capo rivolto verso il rettile.
Lord Bleppington si è chiuso un circolo, nascondendo il capo sotto la coda per sfuggire al fumo colorato.
«Inevitabile, lo so.» Qualunque cosa abbia lamentato l’animale, sembra essere abbastanza per me da interpretarne una risposta – qualunque cosa volesse dirmi, tanto, l’avrei comunque vissuta come sprono per continuare il monologo.
«La Stampa è stata la voce di rivolta contro le istituzioni, tanto quanto il suo mezzo di diffusione di opinioni omologate e retrograde. Non abbiamo una bella tradizione sulle spalle, Lord. Non so se mi fiderei al posto suo di me, figurarsi avere il coraggio di venire punzecchiati sulla propria vita dopo quanto fatto alla sua amica.»
Parlo al plurale, forse perché in cuor mio penso che il mio compagno animale ed io condividiamo tutto - opinioni, stili di vita e pensiero - e che quindi forse nel suo mondo a sangue freddo, anche il pitone sarebbe da considerare alla pari di un giornalista.

Cosa non fa fare la solitudine, mh?

Mi sporgo un'ultima volta per guardare oltre i tetti a capanna dei palazzi vittoriani, mettendo a fuoco la posizione del sole fra le nuvole grige inglesi.
Non penso manchi molto
Se tutto va storto, posso ancora tentare una carriera da astronomo da quattro soldi e interpretare dai segni del cielo le previsioni del tempo per gli inserti meteo della Gazzetta.
In quel momento tre rintocchi alla porta spezzano il silenzio all'interno dell'ufficio.
Vedi? Dovresti sottovalutarti meno, Ariel.
Mi do una sonora pacca sulle spalle, prima di slanciarmi oltre la poltrona, lasciando di me le impronte delle ginocchia sulla pelle marrone.
Stiro l'abito rosa salmone con le dita, assicurandomi di essere in perfetto ordine.
Diversamente da come sono solita mostrarmi in ambienti più disinibiti, in redazione tendo sempre a tenere d'occhio come mi vesto; sono fin troppo consapevole dell'opinione che gli altri possono avere di me per volergli dare altri argomenti di cui discutere.
Ok. Tè? Caffè?
«Qualche secondo per piacere»
Non riesco a evitare di imitare il Direttore nell'esprimermi con così tanta falsa autorità.
Mi sfugge una risata a fior di labbra, mentre scuoto il capo, totalmente incapace di prendermi veramente sul serio, nonostante tutto.
Prendo un profondo respiro e voltandomi un'ultima volta verso Lord, gli mostro il pollice della mano destra.
Uno. Due.
«Avanti.»

La prima cosa che raggiungerà Aion sarà il leggero profumo di erbe aromatiche, non troppo distanti dall'aroma pungente di alcuni incensi.
L'ufficio è straordinariamente in ordine. Le pile di appunti e pergamene scomposte sono state raccolte, rassettate e stipate in raccoglitori appositi che riempiono ora le scaffalature di legno alle spalle della sua scrivania.
La costante cromatica del luogo è il marrone scuro dei mobili e della pelle della poltrona, appesantito dal rosso di alcune coperte di pile che sono state ripiegate su un vecchio divano vintage di pelle nera.
Rune e souvenirs di tassidermia (un teschio di cervide si accompagna ad un set di piccole ossa animali lucidate al centro di uno scaffale della libreria) si alternano a fiori di stagione in vaso, libri, taccuini e articoli di giornale perfettamente stipati.
Lungo le pareti sono numerosi gli scatti di paesaggistica islandese e francese, i ritagli di giornale dove i più importanti articoli di cronaca della sua carriera sono stati conservati e qua e là anche ritratti di persone: fra i volti, solo uno potrebbe risultare conosciuto al Grifondoro; incorniciata da una chioma di capelli rossi, Jolene White sfugge all'obiettivo della sua fotografa, osservando fuori dalla finestra di un palazzo inglese sotto le prime luci dell'alba, avvolta da una coperta a scacchi.
Nonostante la cupezza del mobilio, insomma, l'ufficio è una pletora di colori desaturati che nonostante l'apparente confusione di temi e stili, è stato organizzato con un'armonia estetica esemplare.
La stanza è ampia e perfettamente illuminata dal lucernario scoperto al centro della stanza e dalla finestra alla parete sinistra dall'ingresso.
Al centro di questa sosto io, uno dei Vice-Redattori della Gazzetta del Profeta, con un sorriso che si allarga al vedere il giovane Caposcuola fare capolino oltre l'uscio e che si fa immenso al nominare la torta.
«Con tutti i colpi che ho preso al Torneo, penso sia quasi necessario sia io a offrire qualcosa per scusarmi, non trovi?»
Mi volto verso la scrivania contro cui sono seduta e adocchiando il set di tè in peltro.
«Assolutamente. Con cosa preferisci accoppiarla? Caffè? English Breakfast? Earl Grey? Forse ho anche un infuso ai fiori da qualche parte.»
Parlo e straparlo tentando col mio chiacchiericcio di assicurare al mio ospite delle necessità: non porto rancore per il ritardo nella prima risposta, il dono è ben più che accetto e soprattutto, che si possono lasciare fuori dalla porta un po' di formalità.
Mi volto verso la scrivania contro cui sono seduta e adocchiando il set di tè in peltro. «Scegli pure dove sederti, ma ti avverto: Lord sta dormendo dietro il divano.»
Indico così la finestra e la teca incantata sotto il davanzale di questa, di fronte cui il divano offre una copertura parziale al serpente che così può dormire indisturbato senza soffrire la luce naturale anche a tende ritirate.
A Casey Aion la scelta su come muoversi: una delle due sedie di fronte alla massiccia scrivania di mogano, la poltrona o il divano al lato dell'ufficio dove sosta il suo tavolino da caffè - miracolosamente coperto solo da una scacchiera magica d'alabastro.

 
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view post Posted on 5/3/2023, 17:27
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DFdbNe1Casey, 17 anni •

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«The child who is not embraced by the village will burn it down to feel its warmth.»



Il nervosismo imprigionato nel mio corpo tremola lasciandomi dentro una sensazione strana. So che questa intervista sarà una sfida per me, e la diffidenza mi mangia vivo. Ma Ariel, come già ha dimostrato, ha la peculiare capacità di farti sentire accolto in qualsiasi situazione.
Persino il suo ufficio ne parla per lei: tende al classico e forse un po' al datato, come di consueto per i maghi, ma conserva un tocco di Ariel. Personale ma non arrogante, bizzarro eppure placido. Sarà il marrone che investe le mie pupille, colore del senso materno oltre che della concretezza, che d'istinto associo al lavoro, o l'odore di legno di betulla bruciata, che conosco molto bene. Oppure ho semplicemente messo da parte qualche pregiudizio sul suo conto.
Deve dare una bella sensazione avere un posto del genere tutto per sé. Guardo le foto e gli articoli incorniciati, gli attrezzi per la scrittura e la fotografia, e percepisco un'ammirazione invidiosa nei suoi confronti. Casa mia, a Nocturn Alley, è piena zeppa delle mie cianfrusaglie, ma non è esattamente la stessa cosa.
I miei occhi colgono di sfuggita la foto nella cornice, prima di essere richiamati dalla giornalista. «Non preoccuparti, sicuramente sei andata meglio di me al Torneo. Oh, uhm…»
Non so come essere cordiale, affabile, non so come fare una buona impressione. Devo farla? È necessario davvero? Di sicuro è questo imbarazzo ad indurmi a rispondere ad ogni frase con prontezza, a dire "grazie", "scusa", "per favore". A nascondere la mia usuale rudezza.
«Un caffè, grazie.» Poggio la torta sulla scrivania.
Non so però quanto ciò sarà utile per dopo, quando parleremo. C'è ancora una parte di me che non è sicura di voler stare sotto i riflettori. Sarebbe meglio fare un'intervista da quattro soldi. Sarebbe meglio non darle importanza e costringere i tagli che bruciano a rimarginarsi guardando avanti e non indietro. Quel fulmine, però, sembra aver bruciato entrambi i lembi di ogni apertura impedendo la riconciliazione delle parti.
Faccio ad Ariel un cenno di assenso e accetto di sedermi sul divano. Avrei preferito accomodarmi dall'altra parte della scrivania, in modo tale da generare distanza tra di noi, ma il mobile si trova contro il muro. Spero con tutto me stesso che lei si sieda sulla poltrona oltre il tavolino.
In ogni caso non colgo subito l'importanza di capire cosa sia un Lord Bleppington. A mio avviso potrebbe trattarsi della marca di una costosissima tipologia di macchina fotografica. I miei occhi, infatti, sono tornati sulla foto incorniciata.
«Ma questa è… l'infermiera White?»
Non riesco a cogliere subitaneamente il motivo per cui la Vinstav possa avere un suo ritratto lì. Sono amiche? Forse, ma la posa in cui la White è stata catturata mi da un forte senso nostalgico e di intimità che, almeno per quanto mi riguarda, non riuscirei mai ad associare ad un'amica.
Percepisco un sibilo alle mie spalle, ma ancora il mio cervello non ha acceso la sua lampadina.

 
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view post Posted on 7/3/2023, 12:05
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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DFdbNe1Ariel, 25 anni •

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«It is better to suffer in the name of truth than being rewarded for lying.»



Sbuffo.
Ridere di me è purtroppo una reazione che tendo ad avere spesso. Mi chiedo perché la nostra generazione senta la necessità di doversi sminuire d'istinto, a priori.
E' così impossible io possa aver fatto qualcosa di buono nel Torneo? Del resto era già da considerarsi encomiabile avessi partecipato e segnato qualche goal, considerando la mia inesperienza.
«Caposcuola Bell, devo per caso fare una ramanzina da adulto consapevole e responsabile sul non sminuire i propri sforzi?»
Mi nascondo dietro un umorismo scontato e di circostanza. Quella sì che è una convenzione sociale che so usare.
Una voce dal fondo della mia mente mi ricorda, però, come io non sia lì per parlare delle mie esperienze e del mio vissuto, ma del mio ospite.
"Sempre se riesco ad essere credibile come adulto."
Mi lancio un'altra frecciatina, un monito per la mia mancanza di filtri e quella leggerezza che da anni mi viene sempre criticata, specialmente in un contesto lavorativo.
Sospiro. E' un suono leggero che sfugge alle mie labbra, incontrollato come la nota melanconica che affiora nel mio sguardo.
E' così difficile stare al mondo, quando ci si sente sempre così fuori luogo.
Eppure, eccomi qui, a dover ascoltare la vita di qualcuno, pronta a dover fare domande e scavare - con discrezione, dove possibile - nel privato di chi evidentemente tiene alla propria intimità.

«Caffè per due sia, allora.»
Scivolo oltre la scrivania, tornando con un leggero tonfo dei tacchi bassi con i piedi per terra.
Passo le mani fra i capelli biondi, pettinando oltre le spalle le ciocche più lunghe, prima di muovermi verso uno dei mobili agli angoli della stanza.
Anche camminare è qualcosa a cui devo fare attenzione.
Quando non ci penso a volte mi soffermo troppo sulle punte, o ondeggio seguendo suoni e melodie che si ripetono nella mia testa; nei momenti più ispirati, posso anche finire col perdermi nel mio flusso di coscienza e cominciare a ballare a occhi chiusi, a tempo del ritmo delle mie parole.
Ora, invece, mi ripeto passo dopo passo le istruzioni per apparire più normale, più adatta alle aspettative e pretese di chi parla.
Non ci riesco troppo bene: camminare con passo militare con le mani raccolte dietro la schiena è un esempio di serietà e compostezza che si addice a personaggi ben distanti da me, ma si apprezza il tentativo.
Mi piego sulle ginocchia, chinandomi verso gli sportelli più bassi.
Il tintinnio vetroso accompagna l'estrazione di una french press in metallo, legno e vetro e di un vasetto opaco dentro cui è possibile intravedere del caffè macinato.

Proprio mentre mi accingo a versare un paio di cucchiai al fondo della caffettiera, nuovamente appostata dietro la mia scrivania, le parole di Aion mi raggiungono improvvise.
Mi irrigidisco. E' inevitabile. Vorrei così tanto saper dissimulare bene tutto quello che sento e penso, ma ci sono certi argomenti che finiscono puntualmente col porre fine ad ogni resistenza.
Jolene White è uno di questi.
Rimango con il misurino sospeso a mezz'aria per qualche secondo, mentre lo sguardo vaga dalle mie mani al divano su cui il mio ospite ha preso posto.
Lo sguardo di Aion lo cerco timidamente, ma anche con sospetto. Improvvisamente sono sulla difensiva, sono circospetta.
Perché chiedere di Jolene? E' solo sorpresa di vederla lì, incorniciata nel suo ufficio? O la domanda nasconde altro?
Per un attimo mi chiedo che foto sia nello specifico quella a cui fa riferimento: ne ho scattate così tante della strega che sul momento, nel sottile panico che comincia a farsi spazio nella mia mente, faccio fatica a mettere a fuoco il tutto.
Così, dopo qualche secondo di ritardo, il mio sguardo trova finalmente la cornice giusta.
Forse sono fortunata e la mia potrebbe sembrare solo confusione, forse Jolene White non è speciale abbastanza per Ariel Vinstav da ricordare con precisione fosse lì, fra i fogli di giornale.
Per la barba di Merlino quanto sarebbe stato sbagliato pensarlo.

«Ah sì!»
Eppure, fingo. Fingo stupore, fingo di aver capito solo ora a cosa Aion faccia riferimento.
Sorrido. E' un'espressione che manca di genuinità al principio, ma che si riscalda di affetto e contentezza quando gli occhi si soffermano sul volto di Jolene.
Per un attimo riesco a ripercorrere il ricordo di quella giornata di Novembre, a risentire il calore delle sue labbra contro le mie, il retrogusto salato delle lacrime che ne rigavano le lacrime, la stretta delle mie dita contro i suoi fianchi e ...
Scuoto leggermente la testa, tornando con lo sguardo sulla caffettiera, cercando di nascondere le gote improvvisamente rosse.
«Se alzi lo sguardo e guardi lo scaffale dei registri, in alto a sinistra»
Quindi ovviamente dissimulo cambiando argomento.
Non lo guardo nemmeno in volto il caposcuola, no, è meglio lasciare che sia lui a venire costretto a portare l'attenzione altrove, mentre io mi concentro su attività mondane come quelle di riscaldare l'acqua in una caraffa di ceramica.
Impugno la mia bacchetta, riposta in un poggio apposito sulla scrivania, subito di fianco al calamaio.
Disegno a mezz'aria una S rovesciata, puntando poi con il catalizzatore il piedistallo di pietra e metallo e i cristalli di zeolite al suo interno.
"Lacarnum Inflamare"
«C'è una foto di due bambini sporchi di terra e con una faccia da beoti: siamo io e il tuo professore di Cura delle Creature Magiche a sette anni.»
Sorrido, divertita e incuriosita dal vedere la reazione a quella piccola rivelazione.
Una parte di me mi riprende e mi dice che è da codardi usare amicizie d'infanzia per evitare di parlare del suo rapporto con Jolene.
Se esiste un premio per deflettere sulla propria vita sentimentale, io merito una candidatura.

«Vedi, per quanto cerchi di evitare di mettere il naso fra gli affari di Hogwarts. Hogwarts finisce sempre col tornare alla mia porta in qualche modo.»
Prendo due tazze pulite. Sono in gres semplice grigio, puntellate qua e là da residui più scuri di argilla. Non sono per nulla perfette nelle dimensioni, ma anzi, è facile notare come alcune zone siano leggermente incurvate per una pressione eccessiva delle dita sul tornio.
«Le politiche britanniche sono particolarmente diverse da quelle che ho conosciuto in Francia e Islanda, anche e soprattutto riguardo l'approccio all'educazione: venite messi in competizione dentro dei sistemi a punti e divisioni di dormitorio, venite inseriti in attività extracurriculari che rischiano a volte di scadere in scontri oltre le pedane dei duelli che voi abbiate dodici o diciassette anni, equamente.»
La mia vena polemica ha colto la pluffa al balzo ed è tornata a farsi sentire.
Le frecciatine al sistema sono dovute e volute: mi permettono di aprire le danze all'intervista anche in un ambito informale come quello attuale, ma danno anche la spinta al mio ospite per reagire e darmi modo di capire chi è Aion, adesso, dopo aver avuto un'adolescenza di travagliati successi accademici in un contesto magico così aggressivo.
«Latte? Zucchero?»
Aggrotto la fronte quando lo sguardo sembra notare un dettaglio oltre lo schienale e la testa del suo ospite.
«Lord non sibilare dietro le orecchie degli ospiti, è scortese.»
La mia voce si acciglia, si fa più seria e detta fra noi, diventa la scimmiottatura di quella di mia madre ogni qual volta faccio qualcosa che la indispone.
«E' timido, ma curioso. Ti assicuro, però, che non fa male ad una mosca.»
Lo indico pure il mio famiglio, qualora non fosse evidente sia lì, con la testa e il corpo protesi verso l'alto, poco oltre il bordo del vetro incantato del suo terrario.
La lingua esce e rientra ripetutamente dal muso triangolare, saggiando l'aria e cercando di comprendere dove nello spazio sia collegato il nuovo arrivato.
E' un'immagine dolce, per me, ma sono consapevole come in pochi siano entusiasti di scoprire di avere un pitone alle proprie spalle.
«No, cioè. Alle mosche fa male, ma sei troppo grande per fargli venire fame. Lord, farðu, per carità.» Scuoto la mano che impugna la bacchetta, soffiando un imperativo in islandese che per abitudine porta l'animale a ritirarsi lentamente, nascondendo la testa.
La bacchetta fa sempre il suo sporco lavoro.

 
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view post Posted on 17/3/2023, 08:32
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DFdbNe1Casey, 17 anni •

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«The child who is not embraced by the village will burn it down to feel its warmth.»



C'è tensione. Non è solo la mia, che affronto qualcosa del genere (e di indesiderato) per la prima volta in tutta la mia vita. C'è anche quella di Ariel.
Lo percepisco perché noto qualcosa di diverso in lei. La cacciatrice degli Archenemies possedeva un che di sognante e… bizzarro. Starle vicino era come immergersi nella piscina di un acquapark con un delfino giocherellone. Adesso, invece, le note provenienti dalla sua voce suonano in tutt'altra maniera.
Sembra più adulta. Non capisco, ed è la prima volta che mi accorgo che Ariel in realtà è più adulta di quanto l'abbia sempre considerata.
Forse mi da questa impressione perché siamo nel suo ufficio, e qui deve atteggiarsi come una professionista che in realtà è. Ho l'impressione, però, che lei si stia sforzando di tenere i piedi ben piantati a terra mentre prepara il caffè e monta dei preliminari di discussione con me.
Non so perché sia così, e all'improvviso diviene difficile abbandonarsi all'idea che questo sia un semplice appuntamento con la ragazza che conosco, seppur poco. Fa presto l'atteggiamento da intervista a tornare su di noi.

Mi mostra altre foto. In alto, spiccando fra le altre, ne fa capolino una del periodo dell'infanzia. Sgrano gli occhi e la rivelazione mi fa scoppiare in una breve, ma sguaiata, risata. Del tutto fuori luogo per la situazione.
«È davvero Cravenmoore?»
Mi trattengo dal dire altro. Battute di ogni sorta attraversano la mia mente, ma ne riconosco la natura malevola in tempo, prima di vomitarle in faccia ad Ariel.
*Ah, quindi quel fango è lì incrostato dalla data di quella foto?*
*Gli piacevano le ragazzine all'epoca e gli piacciono tutt'ora.*
La smetto, prima che bocca e cervello decidano di tradirmi, e mi soffermo sui tratti teneri della piccola reporter.
Lo studio di Ariel è pieno di foto. Foto vecchie, foto nuove, foto di articoli, foto del mondo. Inizio a considerare che usi i suoi amici come soggetti per esercitarsi.
«Quindi facevate tutti parte di Hogwarts nello stesso periodo?» giungo a conclusione ascoltandola. Anche se mi risulta strano: l'accento straniero di Ariel è troppo marcato, non deve essere qui dalla sua infanzia.
Chiarisce ogni dubbio subito dopo. Colpito in pancia dal repentino cambio di tenore dell'argomento, mi blocco sul posto. Assolutamente precisa e senza fronzoli, lei punta il dito verso l'istituzione scolastica britannica. Il che mi lascia perplesso.
L'intervista è già cominciata?
Sta tentando di farmi dire qualcosa facendomi credere di star chiacchierando amichevolmente con lei? È così che Scott ha fatto con Megan?
Serro la mascella. Io, però, concordo. Non dico niente, l'urto necessita di essere attutito. Mi sono ripromesso di dire tutto ciò che penso, ma alla maniera che dico io. Senza sotterfugi.
«Entrambi, grazie» rispondo prima di aiutarla a a posare il tutto e ad aprire il pacchetto della torta. Ma mi volto e la scoperta di cosa sia un Lord Bleppington per poco non mi fa volare la tazza dalle mani.
Accidenti!» esclamo incredulo. Non ho mai visto un serpente così tanto da vicino. Per fortuna. «Ah sì? Rimane nella teca, vero?» Il viscido della sua pelle mi fa rabbrividire. Non facevo la Vinstav una strega da serpenti come famigli.
Saltello col sedere un po' più in là, portandomi dal centro del divano all'estremità opposta. Così riesco a vedere la teca con la coda dell'occhio e posso smettere di avere la pelle d'oca.
Tento di rasserenarmi mentre continuo a spacchettare la torta. Faccio respiri profondi e mi costringo a realizzare dove sono e cosa devo fare. Dopo un paio di minuti di silenzio, davanti all'immagine della sacher scoperta, mi schiarisco la gola.
«Ariel» sono serio, ma la mia voce suona più grave di quanto vorrei che sia. «Ho bisogno di un via ben preciso.» Lo ammetto, forse con un filo di vergogna, ma con l'intento di farle intendere che sono io a voler decidere di cosa parlare. «Cominciamo da… adesso?»

 
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view post Posted on 24/3/2023, 20:49
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DFdbNe1Ariel, 25 anni •

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«It is better to suffer in the name of truth than being rewarded for lying.»



La risata di Casey rimbomba nella stanza come all’interno delle pareti del mio petto che si stringe, ora avvolto dal torpore e una tiepida contentezza.
E’ un balsamo per il mio animo inquieto.
Almeno, nonostante la mia bugia, questo scambio ha trovato un lieto fine.
«In tutta la sua immensa bellezza, sì.»
Trasudo di ironia nel parlare del mio amico di infanzia, la stessa che riesce a far capolino sul primo sorriso sincero che rivolgo al mio ospite.
Concentrarsi su quei pochi stralci genuini della mia vita mi rasserena.
“Mary ti ha detto già abbastanza volte quanto sia inutile continuare a vivere di non-detti. Ti stai scavando da sola la fossa, cretina.”
Così, se non è la realtà dei fatti a venirmi a cercare, lo faccio io.
Sono la mia traballante bussola morale, il giudice di una condanna di cui solo io posso essere testimone, quanto vittima e carnefice.
Sono, fondamentalmente, succube dei sensi di colpa.
Sono una codarda con tantissime buone intenzioni e fin troppa poca volontà e coraggio per poter fare il passo nel vuoto.
«Oh no, no.» Perdo un battito, incespico nel tempismo, persa nei miei pensieri e finalmente distolgo lo sguardo dalla teiera.
«Sono nata in Francia, ho studiato a Beauxbatons.»
A quel punto distolgo lo sguardo, cercando con questo qualche dettaglio sparso nell’ufficio che possa in qualche modo essere prova di quanto detto.
Solo in questo modo mi rendo conto per la prima volta come ben poco del mio ufficio mi leghi al mio passato, alle mie origini.
Tutto ciò che parla dell’Islanda e della Valle della Loira è custodito su rune d’ossa, piccoli soprammobili di tassidermia e foto di paesaggi che nell’insieme non possono certo che costituire come una prova valida agli occhi di un estraneo.
«Lucien è francese.» La pronuncia del nome del professor Cravenmoore è difatti diversa, l’accento cade nella ‘e’ finale, accentuando così anche la propria cadenza.
«La sua famiglia si è fermata nel mio villaggio durante una vacanza estiva, avevamo la stessa età e … beh, volevamo giocare. Poi una cosa tira l’altra e i Cravenmoore sono tornati in Inghilterra. Non so molto della sua vita adulta, ma conservo piacevoli ricordi di giovinezza con lui.»
E’ un discorso nostalgico che cattura fin troppo la mia attenzione.
E’ il fischio della teiera a farmi rinsavire e correre a cercare il lato della mia gonna per usarla volgarmente come presina d’occorrenza per sollevare la ceramica e versare una colata d’acqua bollente sulla french press aperta.
Quando riprendo a parlare, sto già cominciando a preparare e filtrare due tazze di caffè.
«Quanto zucchero?»
Domando nel frattempo, mentre Lord Bleppington dall’altra parte della stanza segue vigile col muso lo spostamento di Casey.
Soffia, saggiando l’aria con la lingua, mentre le piccole narici si dilatano e gli occhi grandi blu cobalto trovano con qualche scarto di ritardo la silhouette del Caposcuola.
I pitoni sono animali particolarmente ipovedenti, quindi a dispetto del loro aspetto sinistro, la lentezza con cui ti seguono non è voluta per incutere timore, quanto per un difetto dei cristallini che non riescono a captare con lo stesso tempismo di altri cacciatori lo spostamento di ciò che li circonda.
«A volte fa il ribelle, penso sia l’adolescenza, ma dovrebbe rimanere dov’è, sì.»
Sono convintissima, non c’è una sola fibra del mio corpo che trovi fallace il collegamento adolescenza » comportamento ribelle » serpente.
Deve essere per quello se a volte il mio famiglio non mi dà retta, poco ma sicuro.
Quando Casey riprende a parlare, meno sereno di poc’anzi, mi irrigidisco di rimando.
Lo sguardo cerca con cautela il latte e lo zucchero, dosando entrambe le tazze dove richiesto, ma senza sollevare il volto verso il Grifondoro.
Prendo tempo, cerco di mantenere controllo sul respiro, sull’espressione facciale affinché non tradisca la mia mutuale inquietudine e nervosismo.
Poi, sospiro e scuoto leggermente il capo.
“Ok, proviamo il metodo Grenger.”
«Facciamo così.»
Improvvisamente la complessa struttura di regole da me stessa imposta si incrina. Distendo le spalle, porto il capo all’indietro e con due movimenti di scatto del capo, mi scrocchio il collo.
«Ti darò del tu. Tu mi darai del tu, se la cosa non ti mette a disagio. Sei abituato a Giornalisti che del prossimo vedono solo uno scoop e sia chiaro, non mentirò dicendo che non voglio stampare quante più cose possibili, ma-.»
Mi interrompo, protendendo una mano e mostrando il palmo a Casey, invitandolo a fermarsi, a non partire mentalmente e fisicamente col rifiutare quell’incontro fin dal principio. Ho ancora altro da dire.
«...sarai tu a dirmi cosa potrò pubblicare davvero o no. Possiamo anche stilare un documento dove affermo, ponendo la mia firma e il sigillo della Gazzetta, come non pubblicherò niente che non sia stato approvato da te in prima sede. Ho già dei pre-stampati da qualche parte. Decidi tu quanto esporti in questo ufficio e quanto di te vuoi che il prossimo sappia. Sono qui perché i cittadini si chiedono cosa succede ad Hogwarts, ma anche perché il tuo nome è comparso più volte nei fatti di cronaca. Questo non significa che io debba conoscere vita, morte e miracoli di Casey Bell.» Faccio spallucce, umettandomi le labbra ora secche per il troppo parlare.
Trattengo una risata.
«E puoi mentire, per quanto mi riguarda. L’ho fatto abbastanza volta da sapere sarei un’ipocrita a prendermela se lo facessi anche tu.»
Sono in realtà, anche un po’ ipocrita, quindi in cuor mio so che ci rimarrei male se scovassi una menzogna fra le confessioni del mio invitato, ma … chi sono io per giudicare?
«Qualora ti facesse sentire più a tuo agio, possiamo concordare un botta e risposta più informale: ad ogni mia domanda puoi farmene una anche tu. C'è chi lo trova più onesto e pari, così. Possiamo iniziare quando vuoi.»

 
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view post Posted on 4/5/2023, 14:15
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DFdbNe1Casey, 17 anni •

An african proverb says:

«The child who is not embraced by the village will burn it down to feel its warmth.»



È da quando Ariel lo ha detto che la mia testa è per l'80% impegnata a ragionare su come sia l'adolescenza di un pitone. Lord Bleppington, nella sua lucentezza squamosa, per me è tutt'altro che un adolescente. Per Dio, è un pitone. Cos'altro dovremmo dire?
Di tanto in tanto ho continuato a lanciargli occhiate nervose, ma Ariel è stata in grado di rinnovare il mio interesse (e la mia ansia) verso l'intervista.
Ogni minuto che passo in sua compagnia mi stranisce. È bizzarra, non c'è che dire, ma non è tanto la sua eccentricità a farmi vivere l'incontro con curiosità.
Il suo atteggiamento nei miei confronti mi è stato imprevedibile. Oltre la porta del suo ufficio, stando in corridoio, il pensiero di essere trattato con tanto riguardo non mi ha nemmeno sfiorato. Ed è bello esser cinti da tanta benevolenza, e lasciare che il rispetto permei ogni gesto e cura. Sono cose a cui non sono mai stato abituato.
«Va bene» sussurro. Il mio tono è titubante, e la osservo, la studio. I suoi racconti, il suo modo di rendermi partecipe e di descrivermi di sé solleticano con calore il mio sorriso. Ma mi è inevitabile dimenticare le peculiarità della situazione in atto, il suo passato e il suo presente. Le rassicurazioni mi smuovono il cuore, ma non esiste parola o persona in grado di eliminare totalmente ogni dubbio dai miei pensieri. La diffidenza è precauzione, la logica spinge verso constatazioni caute. Voglio il controllo su tutto.
«Mi va bene firmare il documento. È giusto che questo lavoro venga svolto così.» Forse Ariel lo prenderà come un insulto alla sua sincerità. Eppure penso che tutto ciò possa solo giovare alla reputazione della Gazzetta all'interno della scuola.
«In realtà, Ariel, la mia intenzione è quella di dire tutto
Cerco il suo sguardo e mi mordo le guance. Mi batte forte il cuore, sempre più forte. Sto per gettarmi in un fiume che non riuscirò mai più a risalire. Vorrei solo poter strappare via questo momento, in cui la mia scelta si è già compiuta, come se fosse una foto venuta male. Ma non posso, non più.
«Sono rimasto in silenzio per tanto tempo. con tutti. Con te, che mi hai chiesto subito l'intervista. Con i miei amici.»
Il volto è una fiamma, le mie palpebre sono spalancate su Ariel. Sto combattendo l'imbarazzo. Posso solo immaginare come lei mi veda e come possa trarre solo esagerazione e la mancanza di un senso da quel che dico. Eppure so che questo è ciò di cui io ho bisogno. So che è la cosa giusta, so che devo farlo e che non devo tirarmi indietro.
«Non sono mai stato trasparente su molte cose.» Deglutisco. «Spesso non ho detto la mia opinione. Spesso ho pensato che tutto ciò che è successo lo meritavo in qualche modo e che non ci fosse via di uscita.»
Inspiro, espiro. Nella forza di questo momento, il presente si manifesta con una violenza inaudita. Uno schiaffo del reale.
«La verità è che io non ho mai raccontato la mia versione» affermo, come chi confessa una colpa. «Dunque vorrei cominciare a parlare io, e ti chiedo di scrivere nell'articolo tutto ciò che dico. Poi potrai farmi le tue domande se lo ritieni opportuno.»
È una richiesta, forse, un po' esigente. In fin dei conti non so cosa un giornalista possa voler scrivere in un articolo. Hanno richiesto la mia voce però. Allora io parlerò, a prescindere da quanto ciò verrà apprezzato.

 
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view post Posted on 5/5/2023, 11:44
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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DFdbNe1Ariel, 25 anni •

An Icelandic proverb says:

«It is better to suffer in the name of truth than being rewarded for lying.»



Due colate di caffè bollente riempiono parzialmente la coppia di tazze sbilenche di gres grigio.
Lo sguardo è cementato su di queste, fra le spirali liquide che vorticano al loro interno, mentre sento il mio cuore stringersi, intrappolato nella morsa delle mie emozioni.

Nel mondo magico si è adulti ben più in fretta che in quello babbano: a diciassette anni ti viene data in mano una bacchetta e la piena responsabilità delle proprie azioni, indipendentemente che tu possa essere fautore degli incanti più mondani e innocui o dei sortilegi più pericolosi e letali.
Si dava per scontato, così, che una persona come me alla mia età e nella mia posizione lavorativa avesse un controllo su emozioni e azioni formidabile, alla pari di Dinamite Llewellyn con la sua mazza da battitore.
Invece in quel momento non posso evitare di chiedermi quanto diversa io sia da Casey Bell.

Forse a distinguerci è solo il coraggio del Grifondoro nell’esporsi e la mia capacità di recitare la parte di chi non ha paura di farlo a sua volta.
Ne incontro lo sguardo carico di nervosismo, ricambiando con uno dolce e pacato. Tento, forse fallendo, di trasmettere l’unica certezza che posso fornire: essere lì con la migliore delle intenzioni, senza aggressività e malizia.
Non sono qui per pressare il mio ospite, quanto più per farlo sentire abbastanza a suo agio da poter scegliere liberamente cosa dirmi e come.
Sospiro, quasi facendo eco con il suono al respiro pesante del mio ospite.

La mia unica distrazione in attesa di una sua risposta è il finire di preparare il caffè.
Verso in entrambe le tazze del latte e poi le porto su un vassoio di legno su cui è già pronta una coppia di sottobicchieri di sughero, di cucchiaini in legno e una zuccheriera di ceramica.
Non è un caso se decido di riporre la bacchetta dietro l’orecchio destro e portare con le mie mani il tutto.
Concentrarmi su un’attività fisica è una di quelle azioni che ho scoperto nel tempo mi aiutano a tenere i piedi per terra e la mente più reattiva, senza che ogni emozione da me provata faccia capolino sul mio volto.

«Aggiungi pure lo zucchero a tuo gusto, io prendo le carte!»
Non riesco a nascondere la nota di sollievo nella mia voce quando arrivo al tavolino. Mostro un sorriso tremante: fatico a tenere tutti i denti nascosti dietro le labbra e difatti dopo qualche secondo la bocca si apre in un ghigno di gioia genuina, un po’ sghembo e bambinesco.
Lasciato il vassoio, mi affretto a tornare alla mia scrivania ed aprire uno dei cassetti laterali di questa.
Fra le pile di pergamene, estraggo un blocchetto racchiuso all’interno di un taccuino rosso e da questo prendo un singolo foglio le cui parole sono state scritte su macchina da scrivere.
L’unica nota di inchiostro a mano libera è data dalla mia firma in china blu scuro a fondo del foglio, subito sopra il sigillo dorato in ceralacca della Gazzetta del Profeta come segno dell’autenticità del documento.
«Firmalo solo alla fine, non si sa mai cambiassi idea.»
Mi espongo con la mia sincerità, rivelando immediatamente una piccola falla nel sistema: se alla fine dell’incontro, Casey si pentisse di aver detto qualcosa, sarebbe bastato non firmare il documento per rendermi difficile - se non direttamente impossibile - pubblicare un articolo senza rischiare delle conseguenze.

«A volte scegliere di non parlare è sintomo di mancanza di sicurezza: sicurezza di potersi esporre, sicurezza di sapere cosa dire. Non è necessariamente sbagliato, Casey.»
Mi azzardo a chiamare il mio ospite per nome, mentre mi lascio finalmente andare contro lo schienale del divano.
Lord Bleppington, sempre curioso quanto intimidito dalla presenza di altri umani, scivola lungo la pelle screziata del mobile, risalendo un bracciolo fino a raggiungermi con il suo muso triangolare, punzecchiando la punta dell’orecchio con la lingua biforcuta.
Sibila, cercando di comprendere attraverso i sensori sulla carne la mia posizione.
Io, ovviamente, interpreto tutto a modo mio.
«O perché si sta facendo la muta, giusto.» E inserisco impropriamente nella conversazione il mio famiglio, permettendomi persino di allungare il volto verso di lui e dargli un piccolo buffetto sulla testa piatta.
Lord, visto l’animale che è, reagisce chiudendo gli occhi e arricciando la coda per coprirsi il muso con questa: sembra imbarazzato, adorabile persino, ma in realtà ha una paura matta di quell’improvvisa vicinanza con qualcosa di cento volte più grosso di lui.
«Vedi? Un timidone.» Povero pitone.

Non mi sfugge il rossore delle gote, non sfugge l’imbarazzo e il peso che quella confessione iniziale significa per Casey. Semplicemente decido di continuare sulla via della calma e la leggerezza, per cercare di stemperare la tensione che comincia a riempire l’ufficio.
«Non mi devi nulla, se può aiutarti. Ma se pensi che il mio giornale possa darti lo spazio per poterti sentire nuovamente in pari con chi ti è vicino, sono felice di poterti aiutare. Ovviamente, dovendo mantenere degli standard e seguire la deontologia del mio mestiere, se qualcosa rischiasse di essere troppo … crudo, per così dire, o inadatto al target, potrei decidere di non riportare ogni cosa sull’articolo.»
Stringo le labbra in una smorfia. E’ un peccato dover rifiutare la possibilità di dire e scrivere davvero tutto, ma ahimè il mio è un mestiere a volte ignobile.
«Non tutto ciò che potresti raccontarmi potrebbe essere di interesse per il popolo, tanto quanto non tutto ciò che potresti raccontarmi potrebbe essere inserito in un singolo articolo. Ma, come promesso, avrai modo di poter visionare ogni versione del tutto prima della pubblicazione.»
Per quanto io ami il lato più morale del giornalismo, quello fatto di promesse di trasparenza e informazione libera, so anche come la Gazzetta del Profeta si sia retta fino ad oggi sui falci e galeoni di chi ha deciso di comprare la notizia.
Se qualcosa non è necessariamente vendibile e spendibile, non posso promettere di avere la piena libertà di poterlo pubblicare.
Sono Vice-Redattore di una sezione del Quotidiano, ma c’è sempre qualcuno più in alto di me pronto a fermarmi se non rientrassi negli interessi del giornale.

«Prego.»

 
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view post Posted on 6/5/2023, 20:10
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DFdbNe1Casey, 17 anni •

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«The child who is not embraced by the village will burn it down to feel its warmth.»



Mi sento stupido, adesso. È la sensazione che ricorre quando apro bocca con l'intento di parlare di me stesso.
Sono uno stupido. Egocentrico e stupido. Non può fregare niente a nessuno di chi sia io, di quali siano i miei problemi e da dove venga.
«Sì, giusto…»
Indugio. Sono in un impasse. Non posso tornare indietro, mentre una parte di me mi pone delle ganasce ai piedi imponendomi di vergognarmi.
Improvvisamente la proposta di Ariel di non firmare subito il documento suona allettante. Se dico stronzate inenarrabili rimane in bianco e me ne vado scusandomi per il disturbo.
«Okay…» sussurro. Poi piombo nel silenzio.
Sono piegato sulla mia tazza di caffè che tengo tra le mani e le ginocchia. Sembro rannicchiato, come un serpente accucciato nelle sue spire. Dicono che gli animali siano in grado di captare le emozioni meglio degli umani. Chissà che cosa sta leggendo in me Lord Bleppington. Chissà se si sta deprimendo per la mia pateticità.

«Okay.»
Alzo il capo. Inchiodo lo sguardo in quello di Ariel. Quanto si nota che sono spaventato? Quanto si vede che mi vorrei rimangiare tutto?
Mi sento così debole. Avevo promesso a me stesso di non esserlo e di fronteggiare l'intervista con tutta la forza che avevo in corpo. Ma non mi è possibile annullare del tutto la paura.
«Va bene, allora vedi cosa di tutto questo può tornarti utile.»
Io e Les ci eravamo preparati. Non suonava così stupido il mio discorso. Ma perché mi sono dimenticato tutto? Dio.
"Comincia dal principio, Cas. Un passo per volta" mi ha detto lui quando dopo un'ora di chiacchiere vane non ero riuscito ancora a costruire un discorso serio.
Dunque, comincio dal principio. Sorrido, ironico nei miei confronti, e respiro.

«Mi chiamo Casey Bell. Ho 17 anni, e sono il Caposcuola della casata Grifondoro ad Hogwarts.»
Che cacata. Lo sa. Ok, ma dovevo cominciare dal principio, e questa era una premessa importante.
Tiro su gli zigomi tremanti mentre la lingua tentenna sul pronunziare quanto sta per susseguirsi.
«Uso i pronomi maschili.» Fisso Ariel inorridito. «Sono trans» sottolineo come se mi avesse appena detto di non aver capito.
La pelle del volto mi arde. Che dico, brucia tutto il mio corpo. Sono esposto. Ad Ariel. A tutti. Taccio e gli occhi vagano senza alcun mio controllo sul suo ufficio.
Non posso più tornare indietro. La consapevolezza di ciò mi fa compiere un ulteriore passo, più lungo.
«Il nome che mi sono scelto è Aion. Quindi… quindi io… io sono Aion. Anche se tutti mi chiamano Cas.»
Spiegare cosa significhi mi suona inutile. Probabilmente è una di quelle informazioni non interessanti per il pubblico. Da tagliare dalla bozza, in caso. Ed è troppo intimo. Nessuno capirebbe.
Faccio una smorfia di imbarazzo. Mi viene da ridere, anche se il mio tono è cupo.
«Sono orfano. Vivo a Nocturn Alley. Perché sono povero.»
Scoppio a ridere.
«Non ho niente.»
Prendo un sorso dalla tazza di caffè. Mi strozzo. Continuo a ridere, sfregandomi il polpastrello di un indice sulla fronte. Mi sono proiettato nel discorso, e ora mi viene più naturale parlare. Non guardo Ariel. Racconto e basta.
«Non sapevo niente del mondo magico prima della lettera di Hogwarts. È stato tutto una grande novità per me. È sorprendente come la magia si palesi in ogni angolo del mondo babbano. Strano però che la verità salti fuori solo allo scoccare dell'undicesimo compleanno. In tal caso, se nessuno si cura di te fuori dal mondo magico, nessuno si cura di te all'interno di esso, prima di quella data.» Tiro su col naso. Il sorriso è sparito dal mio volto. «Non voglio suonare rancoroso, lo so che ci sono tanti problemi sulla Terra, che si tratti di maghi o babbani. E comunque Hogwarts mi ha aiutato, questo glielo devo. Certo, adesso non è tanto semplice campare con le sole borse di studio. Ho una rendita migliore grazie al ruolo che ricopro, ma devo pur sempre mantenermi da solo quando non sono a scuola.»
Bevo un altro po' di caffè. È quasi finito. Lo poggio sul tavolino di fronte e torno a fissare Ariel. Adesso suono più serio.
«Ti dico ciò perché, dopo tutto questo tempo, credo che una piccola parte di me all'epoca mi avesse spinto ad iscrivermi al torneo sperando di poter riscuotere un premio in denaro. Non è accaduto. Sto ancora a Nocturn Alley, e va bene così.» Sbatto le palpebre. Non voglio lasciarmi tangere dalla paura dell'opinione del Vice Redattore della Gazzetta del Profeta.
«"Onore e gloria"…»
Mi sporgo un po' in avanti, dopo aver soppesato sulla lingua le due parole. Tagliente, non riesco a nascondere la mia rabbia.
«Non credo che i problemi del nostro sistema derivino dalla suddivisione in casate. Almeno non ne sono sicuro. Ma fa un certo effetto sapere che due persone, uno studente e il suo insegnante, per poco non si sono ammazzate a vicenda sulla pedana della Congrega. Il tutto durante le celebrazioni in onore di The Magician che è stato assassinato proprio lì dentro da Raven Shinretsu.»

La mia rabbia si esprime tutta d'un fiato. Tanto che ho bisogno di fermarmi per respirare. Lascio voce ad Ariel, mentre calmo la mia.




I'm you fucking drama queen, aunty.
 
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view post Posted on 26/5/2023, 16:46
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«It is better to suffer in the name of truth than being rewarded for lying.»



Lord Bleppington deve sentirsi a casa in quel momento: appallottolato e rannicchiato in balia delle proprie emozioni proprio come il mio ospite.
Il rettile sibila, prima di scivolare lungo la mia spalla, inerpicandosi con la bruta forza dei muscoli oltre lo schienale del divano.
La pelle squamata mi accarezza presto la pelle puntando all’incavo del collo. La sensazione umida della lingua del serpente contro di me mi fa rabbrividire, mentre mi giro e mostro un grosso sorriso a Lord. Questo, mosso solo dalla ricerca di calore, va rapidamente strisciando verso l’altra spalla, finendo in pochi secondi con l’annodare la coda attorno al mio collo.
Ora ho uno scialle a sangue freddo a decorarmi, bianco e lattiginoso come i miei capelli.

«Mh-mh.»
Incontro nuovamente lo sguardo di Casey con il mio stupido sorriso ancora stampato sul volto.
E’ facile avvertire le sensazioni contrastanti che assalgono il Grifondoro e io dall’alto del mio senso di impotenza, non posso fare altro che ammutolirmi a mia volta ed estrarre da dietro l’orecchio la mia bacchetta, cercando in questa una valida distrazione.
Ciò che vado puntando subito dopo cè una delle piume sulla mia scrivania, poggiata di fianco al resto del calamaio ed una pila di pergamene intonse.
Una formula viene enunciata nella mia mente con naturalezza.
La uso fin troppo spesso nel mio lavoro.
“Autoscribo” rimbomba nelle mie orecchie con tono gentile, ma fermo, come se fra le righe dei miei pensieri fosse sottinteso un “per favore” per la piuma.
Il braccio ben teso torna morbido lungo il fianco solo quando questa comincia a fluttuare, comandata dall’impronta di volontà lasciata nella mia magia. L’ordine è il solito: trascrivere parola per parola ciò che verrà detto fra di noi.
Quando la voce del Caposcuola riempie le pareti dell’ufficio, le sue parole vengono accompagnate dal sottile grattare del metallo contro la pergamena.

«Sono trans.»
Lo sguardo inorridito di Casey trova risposta nel mio, ben diverso nella natura: sono confusa e curiosa al tempo stesso.
Questi sono i momenti in cui mi chiedo se a non farmi cogliere pienamente il senso di un concetto sia il mio essere vissuta lontano dalla cultura babbana, o la tendenza a chiudermi nella mia testa.
Eppure, sembra qualcosa di importante. E’ qualcosa di importante.
Qualcosa che dovrei capire, perché il volto di Casey ribolle di imbarazzo … o è vergogna?
Istintivamente mi sporgo in avanti col busto, come se dovessi studiare da vicino e a occhio nudo Casey per capirlo.
“Aion”, mi correggo mentalmente.
Inclino il capo di lato e sfarfallo le ciglia più volte, prima di tornare a fissare il mio intervistato. Manca un microscopio sotto il mio sguardo per rendere al meglio l’idea di intensità e curiosità che trasmette.
«E’ perché sei appassionato di astronomia?» La domanda potrebbe apparire fuori luogo. Anzi, forse lo è. Non per me, questo è certo, ma è molto probabile che lo sia per Aion che si è appena messo a nudo davanti ad una mezza sconosciuta.
Parlo lentamente, non solo perché una parte del mio cervello non può smettere di continuare a pensare, ma anche perché ora sono consapevole di dover ricalibrare la sintassi delle mie parole.
“Pronomi maschili, Ari. Maschili.”
«O l’alchimia? Sai, per il nome, intendo.»
Sì, sono stata distratta dal nome. Ero pronta a chiedere cosa significasse ‘trans’, per sopperire immediatamente alla mia ignoranza, ma nel momento in cui “Aion” ha fatto la sua comparsa nel discorso, un nuovo flusso di pensieri mi ha colta in scacco.
«E’ per il suo significato arcaico? Per il potere simbolico e arcano della sua costellazione come il tempo circolare del flusso vitale? O per definire il flusso del tempo in alchimia e rune del secolo? O semplicemente per la sua natura mutevole?»
Lo riempio di domande. Il mio tono di voce si è alzato, diventando meno sottile e pacato, ma acuto per l’eccitazione.
«Oh e sì! Cosa significa trans?»
Cerco di riprendermi, tirando la mia mente nuovamente sul percorso di pensieri giusto. Qualunque cosa significhi quella parola è evidentemente importante.

«Vuoi che uso Aion nell’articolo? Magari così le persone usano finalmente il soprannome giusto.»
Cambiare nome e sceglierne uno per sé è una cosa strana, non per me però.
Il nome stesso della mia famiglia è stato scelto secoli or sono dalla Reggente all’ora in carica ed è di invenzione, quindi che qualcuno possa scegliere per sé come venire chiamati mi sembra una conseguenza più che lecita.
Non batto ciglia quando l’altro scoppia a ridere, ma anzi, sorrido a mia volta di nuovo.
Non vivo il suo imbarazzo, ma non riesco a trattenermi dall’emulare le espressioni altrui.
Mi fa sentire di essere meno sola, o al più di far sentire meno soli gli altri.
«La scuola assiste in qualche modo gli studenti nelle tue condizioni economiche?»
Perché è lì il mio cruccio: non che qualcuno con cui parlo sia povero, o che abiti in un quartiere noto per la sua criminalità, ma che si stia bene.
Il sistema è di supporto o ha appena trovato l’ennesima falla?
Quando l’altro tossisce, ho l’istinto di sollevare la mano destra verso di lui, ma la ritraggo quasi subito.
Forse questo è uno di quei momenti in cui è meglio non rompere lo spazio personale.
Non dico nulla, quindi, limitandomi a recuperare la mia tazza di caffè e cominciare a servirmi dello zucchero.
Un cucchiaino, due, tre, quattro, cinque … continuo così, mentre ascolto rapita le parole altrui, senza rendermi conto di stare per creare un drink di zucchero al caffè.

«Quindi ci sono borse di studio.»
La risposta arriva nel mezzo del racconto. Annuisco lentamente, voltandomi solo quando senso i grani di zucchero accerchiare il mio cucchiaino, umido per il continuo contatto col caffè.
“Ops”
Provo a far finta di niente, schiarendomi rumorosamente la gola e abbandonando lo zucchero per mescolare quello che avevo già versato nella mia tazza.
«Cosa pensi di fare lasciato il castello? Vista la situazione in cui ti trovi e la consapevolezza che certi supporti verranno meno finiti gli studi.»
Non riesco a celare la mia preoccupazione: è tutta qui sul mio volto, dal cipiglio della fronte al naso e le labbra arricciate.
«Lavorare da Magie Sinister immagino sia stata una conseguenza naturale.»
Non ho dimenticato quel dettaglio: è proprio tra gli scaffali cupi e polverosi della bottega oscura che ho incontrato il Caposcuola per la prima volta, creando un piccolo incidente nell’averne frainteso le indicazioni per poter lasciare il quartiere e tornare su Diagon Alley.

Quando si parla della Congrega sospiro e scuoto leggermente il capo.
Io stessa al principio ero mossa da buone speranze ed entusiasmo all’idea di un torneo che celebrasse l’inclusività e le pari opportunità dei giovani.
«La teoria e la pratica non sempre combaciano. L’idea a monte, se ciò che ho compreso è corretto, è che The Magician non avesse amore più grande di questa disciplina sportiva e che ricordarlo con un torneo fosse il modo migliore di rendervi onore. Penso che il pensiero di per sé sia apprezzabile, ma non è un caso se molte competizioni vengono distribuite in fasce d’età ed esperienza e penso che anche The Magician ai posteri avrebbe preferito una diversificazione migliore. L’idea di “porre tutti sullo stesso piano” è un po’ un’utopia. E credimi …» Mi interrompo un attimo per prendere un sorso di caffè.
Stringo le labbra e storco il naso: è troppo dolce anche per i miei gusti.
Dannazione alla mia soglia dell’attenzione da pesce rosso.
«… Aion, io sono la prima che spera sempre nel poter vivere in un mondo più equo. Però certe cose sono dati di fatto: tutti siamo diversi e non tutti ci muoviamo alla stessa velocità nel mondo. Dare per scontato che Sirius White, allora docente, potesse essere considerato alla pari di un Mike Minotaus di Serpeverde è ridicolo. Oggettivamente se ho perso è per merito del fatto che sono esperta nell’uso di incantesimi casalinghi.»
Trattengo una risata a fior di pelle.
«E anche perché sei bravo, ma quello è un potenziale tuo, non di tutta la tua età.» Sghignazzo, mentre scocco un'occhiolino complice.

Aion: Coming out, serious stuff, drama, uncovering deep truth.
Ariel: we' fratè ma che nome bellill' che hai.

Voglio darle uno schiaffo.

 
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view post Posted on 10/10/2023, 08:50
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Credevo che l'avventura più bizzarra della mia vita fosse stata quella in mi catapultarono all'improvviso a Diagon Alley dopo la rivelazione di essere un mago. Star qui di fronte ad Ariel Vinstav mi fa ricredere di tutto.
La grande bomba che ho piazzato, che mi fa tremare le ginocchia e mi induce in uno stato di mancata lucidità, la lascia del tutto impassibile. Credevo di scorgere in lei i soliti cenni di dubbio, sconcerto, rimostranza, disprezzo, che vedo nei volti di tutti quando capiscono con chi hanno a che fare. Oh mio Dio, un t r a n s e s s u a l e. Devi essere confusa tesoro, è solo una fase, ti passerà. Prova a sorridere di più, vedrai che andrà meglio. Sono sicura che se ti lasci crescere un po' i capelli ti piacerai così tanto. NO.
Invece mi chiede di Aion.
Sono talmente galvanizzato dalla normalità con cui ha accolto la notizia che non mi sono più rimaste parole in bocca.
È per astronomia? È per alchimia? Per la sua mutevolezza?
Provo a darle una risposta frugando nella testa, ma l'unico ricordo che ho di questo nome è che un giorno, mentre ero in dormiveglia, semplicemente mi è soggiunto senza alcuna spiegazione. L'idea che avesse un significato reale e così intriso di magia non mi aveva nemmeno sfiorato il cervello.
Mi piaceva come suonava. Mi piaceva la sensazione che mi dava. Mi piaceva perché era qualcosa di nuovo, neutro, che chiunque l'avesse sentito non avrebbe ricollegato subito a me e al mio passato.
Ancora, mi colpisce tale desiderio. È da stupidi pensare di poter rinascere e di cambiare totalmente solo cambiandosi il nome.
La verità è che niente della mia vita mi va bene.
Vorrei solo essere un'altra persona e fingere che Casey Bell non sia mai esistita.
Tutto qui.
«Non lo so, credo-»
La valanga di domande che mi travolge lascia poco spazio al pensiero. Sono rimasto ancora al chiedermi perché Aion abbia toccato il mio cervello —l'avrò letto sul serio sul libro di alchimia, se vi è una connessione col tempo forse l'Occhio stesso può esserne stato rapito— quando mi chiede con voglia dire trans, poi se intendo usare Aion per l'intervista. «-che mi piaccia. Oh» ingoio aria in grossi bocconi di fronte alla prospettiva che venga smascherata la mia Vista anziché il desiderio di avere un pene.

Come, non volevo dire tutto? Questa non doveva essere la dichiarazione della mia verità?
Non questo. Non. Questo.
Sono paranoico?

«Preferisco che rimanga una cosa fra me e te.» Rispondo con una velocità che non mi ha caratterizzato sino ad ora. Una certezza data dal timore. Anzi, dalla paranoia.
«Per ora» aggiungo.
«Oh e sì! Cosa significa trans?»
E' però questa la parte che mi lascia più confuso. La domanda mi stranisce, ancor più di tutte le altre. Le braccia mi cadono a terra. Se questa non sia una mera espressione, potrei giurare di aver sentito un mago nascosto da qualche parte, magari dietro le tende, agitare la bacchetta per farmi evanescere gli arti.
Ecco perché era rimasta impassibile. Altro che comprensione.
La guardo negli occhi; l'idea di una seconda possibilità, in cui scanso il mio solito timore del giudizio, balugina nei miei muscoli facciali. Ricerco un tono fermo, respiri profondi, la solidità del terreno sotto i miei piedi.
«Vuol dire che benché io sia biologicamente una ragazza» spiego «percepisco la mia identità di genere come maschile.»
La butto sul piatto come la definizione di un teorema pozionistico. La schiena perfettamente aderente alla poltrona, le mani incrociate sulle ginocchia. Avrei preferito schioccarle le dita sulle pupille per farle aprire gli occhi sul mio essere: non ci vuole poi molto per capire che non indosso il reggiseno e, per l'amor di Merlino, per tutto il resto.
E' terribilmente strano per me parlarne. Con lei specialmente. Questa presa di coscienza nella mia vita è stata talmente lenta e sottintesa che le persone della mia vita ne hanno semplicemente preso atto alzando le spalle. Io invece no, ci ho lottato nel tempo. Col trucco e coi bustini. Sentendomi un pagliaccio.

Deve significare questo lavorare come giornalista: fare un mucchio di domande, galvanizzare l'intervistato e impolpettare tutto per bene in un articolo per galvanizzare anche il lettore. Sotto la pioggia a raffica in cui mi ritrovo mi viene difficile persino assorbire l'ossigeno.
Ariel deve essere una tipa iperattiva. Una di quelle che fa quattro cose contemporaneamente. Con una mano si versa il tè, con l'altra accarezza il serpente, la bacchetta invece fa il bucato e la testa pensa al prossimo articolo con cui tampinare il Ministro della Magia.
Scuola, siamo tornati a parlare di scuola. Forse è meglio, dovrei trascinarla a forza negli argomenti in cui mi sono preparato con Les, ovvero quelli inerenti al duello.
Cerco di rispondere con serietà, neutralizzando il panico di pochi minuti prima.
«La scuola dà uno stipendio in base al ruolo che si ricopre e borse di studio. Fa il possibile ovviamente, dandoci anche la possibilità di uscire dal castello per lavorare nel pomeriggio in un negozio, un pub eccetera. Chiaramente però ne passano di galeoni sotto i ponti quando ci si deve mantenere da soli in tutto e per tutto.» Preferirei non dire che tipo di mansioni svolgo attualmente per vivere. «Al di là della scuola, la realtà che si respira a Nocturn è quella di un quartiere misero, soggiogato dalla criminalità, che non riesce nemmeno a considerare da lontano l'idea di sbarcare il lunario. E' vero, ogni piccolo angolo di mondo, persino babbano, ha la sua Nocturn Alley. Però il mondo dei maghi è diverso, è strano, è... cruento. Ed è proprio questo che mi ha spinto a venire qui a parlarne. Altrimenti non credo che l'avrei fatto.»
La ascolto, mentre osservo con una nota malcelata di disgusto la quinta zolletta di zucchero cadere nella sua tazza. Sospiro, abbasso la testa, poggio i gomiti sulle ginocchia e per poco le punte delle dita non mi si conficcano nel cranio, perché quella che lei spiega è la realtà dei fatti. Ed io mi sento solo sopraffatto.
«Ti do ragione. Ma non è solo questo. Credo... credo che i difetti siano su più livelli. In primis la mancanza di equità di certo. Ma, in secondo luogo, nessuno ha fermato il professor White dal castarmi addosso un fulmine dopo avermi sparato un'onda d'acqua addosso.» Le mie dita tremano, ma si nascondono sotto le ciocche di capelli stinti. Respiro, non è solo questo. «E nessuno mi ha fermato prima di sciogliergli la faccia.»
Vorrei sprofondare nel silenzio ma l'istinto mi dice di continuare a parlare. Un po' per paura di ricevere ulteriori domande e di non riuscire più ad organizzare il cervello, un po' perché la rabbia sta trovando finalmente un foro per poter uscire dopo mesi e mesi di reclusione.
«Sono stati tutti a guardare mentre lui faceva il possibile per uccidermi e io lo stesso, sapendo di non avere altre carte a disposizione se non quella di farlo inghiottire dalle fiamme.» Tolgo le mani dal volto. E' rosso; gli occhi sono lucidi, spietati; la bocca ha una piega amara. «Io volevo ammazzarlo perché lui stava per ammazzare me. Il fuoco è rapido, giusto? Attecchisce prontamente sulla carne e rende impossibile continuare a giocare. A un certo punto non volevo più vincere. Volevo sopravvivere. E quando mi sono reso conto che il pubblico godeva, che l'arbitro temporeggiava con un sorriso la fine, o meglio la sospensione, del duello, ho pensato che quel posto di merda si meritava davvero la fine che ha fatto con Raven Shinretsu.»
Devo contenermi. Sto delirando. Voglio davvero che le persone leggano queste mie parole? Sì, lo voglio. Voglio che capiscano, però rischio di essere frainteso. C'è ancora di più. Forse non riuscirò mai a spiegarmi —quale elaborato pensiero potrebbe mai produrre la mente di un diciassettenne?— e verrò semplicemente condannato come pavone, ingrato, che vuole ancora un momento di gloria.
«Questo è uno sfogo. Però, Ariel, è vero che la magia in un certo senso ci fa sentire onnipotenti. Sembra che non ci stupisca più niente e che si sfrutti questo sport per assaggiare un po' di violenza. Invece ci sono luoghi, come Nocturn Alley, in cui la violenza è all'ordine del giorno, e la maggior parte delle volte nasce per via di mancanze profonde negli ambiti primari della vita o per questioni di... differenze.» Sospiro. «In tutto ciò. Quanto il Ministero si occupa di ristabilire gli equilibri a Nocturn? E cosa ha visto in questo duello? Siamo arrivati al punto in cui la violenza nel mondo magico è già stata legittimata al punto da non renderci più tanto dissimili da maghi oscuri e terroristi o c'è ancora un margine di speranza?»
Parlo con foga. Ma se un tempo la mia ira veniva incanalata dai pugni e dalla bacchetta all'esterno, ora trova spazio nella mia voce. Non riesco a silenziare più quella parte di me che vuole arrivare agli altri, squarciando questo velo di ingiustizie sedimentate che più nemmeno l'occhio vede.






Oddio, forse ce la farò a terminare l'intervista. :ihih:

Edited by Aion - 23/10/2023, 11:25
 
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view post Posted on 11/10/2023, 18:23
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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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DFdbNe1Ariel, 25 anni •

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«It is better to suffer in the name of truth than being rewarded for lying.»



Stringo ancora le labbra in una smorfia prima di abbandonare il mio caffè, riempito con troppo zucchero per essere tollerabile. Dannazione a me e alla mia attenzione da pesce rosso.
Non riesco nemmeno a dissimulare troppo il disgusto: tiro fuori la lingua e faccio un verso abbastanza simile ad uno «Yuck».
Fortuna vuole che sebbene io sia spesso disinibita e con la testa altrove, abbia l’accortezza di intuire come in questo contesto di intervista-confessionale, fare versi non sia una gran scelta di tatto.
«Troppo zucchero.» Quindi mi affretto a voler specificare che a fare schifo è il caffè, non Aion. Sollevo anche le mani in segno di difesa, come a volermi sollevare da alcuna colpa e lasciare alla gogna la maledetta tazza.
«Acqua in bocca, nessun problema. Mi rendo conto possa essere poco credibile detto da me - che sono dietro fin troppi circhi mediatici -, ma so cosa significhi avere timore di essere se stessi e dover imparare a sopravvivere al giudizio altrui.»
Umetto le labbra prima di sporgermi leggermente in avanti, riunendo le dita sul ginocchio.
«E con ciò non voglio permettermi di dire di capire totalmente cosa provi.»
Abbasso lo sguardo, soffermandolo per un attimo verso la mia piuma ancora incantata dall’Autoscribo.
Una parte di me si chiede se non sia il caso di interromperla e riportare a mano quanto viene detto.
E’ un dubbio che dura pochi istanti, giacché la mia attenzione va già altrove sul cosa deve essere sentirsi separati dal proprio corpo e da ciò che gli altri traggono di questo.
Mi chiedo quanto sia paragonabile la sofferenza provata da una persona transessuale con quella di un Essere: entrambe evidentemente gruppi uniti dalla discriminazione, sebbene per motivi diversi.
«I costrutti sociali sono spesso nati dalla tradizione e la tradizione spesso trasporta con sé stigma lontani dal nostro tempo. Ci si aspetta che tu sia una donna anche se non lo sei, come ci si aspetta…» Esito. Le dita vengono sollevate, pizzicando la pelle dell’altra mano contro cui cercano di ancorarsi.
Come ci si aspetta da me, vorrei dire, ma titubo; mi chiedo se sia il momento giusto parlarne.
«Come ci si aspetta che le famiglie siano composte da due persone e un figlio, o da un uomo e una donna.»
Quello, però, non è il mio momento.
Mi dico che essere di supporto e di ascolto è l’unica cosa che è giusto io faccia, lasciando ad Aion piena possibilità di scegliere fin dove mantenere la conversazione su un tema tanto delicato.
E sotto sotto, anche perché non so quanto io mi senta a mio agio a parlarne, perché fra il mio sangue di banshee e la mia relazione con Jolene, non so nemmeno da dove cominciare a pensare di sentirmi ostracizzata dalla società.
«Torta?»
E quindi passiamo al dolce, perché forse uno sfogo calorico è l’opzione migliore per dare un momento di pace ad entrambi.
Nemmeno aspetto un approvazione da parte del mio ospite, che già mi adopero per recuperare dal vassoio i piattini utili per contenere due fette di sacher e cercare con lo sguardo i cucchiaini da tè rimasti intonsi di fianco al caffè.
E’ in questo frangente che posso permettermi di focalizzare quasi totalmente la mia mente sui ragionamenti di Aion.
Tengo le mani occupate solo per mettere meglio a fuoco le parole, perché a volte non riesco a rimanere ferma e avere altro su cui scaricare le mie energie è l’unico metodo utile a farmi portare a termine un’azione.

Nel tempo, battuta dopo battuta, Aion potrà vedermi aggrottare la fronte, esitare con un coltello sopra il pan di spagna e poi tagliare con estrema lentezza, rallentando ogni qual volta un affermazione d’effetto viene mandata avanti.
«Non hai risposto ad una mia domanda.» Mantengo calma nella voce con una pacatezza che è distante dalla gravità dei temi che stiamo trattando. «Dopo Hogwarts hai dei sogni? Ambizioni? Idee professionali?» Nuovamente non do tregua né a me, né ad Aion, procedendo nel discorso con costanza, come ci si aspetta da chi come me è stato formato a cercare le verità non solo dietro una tazza di caffè, ma anche un dibattito e spesso e volentieri una buona e calcolata strategia di pressing.
«Hai parlato di argomenti delicati e importanti nei quali qualunque persona può essersi rivista: studenti, politici, borghesi, liberi professionisti, bambini; dalla dicotomia del ricco e il povero, alle dinamiche di un sistema antico che inneggia in qualche modo a conflitti e gerarchie di potere che sia fra i vicoli di Nocturn Alley o sulla pedana di un club di duelli. E la cosa ti turba. Sei turbato, Aion, non tanto dalla crudeltà del mondo - perché a quello temo tu ti sia già abituato -, quanto dal senso di voler fare qualcosa in merito e lo sconcerto che provi quando ti accorgi che non tutti la pensano come te.»
Inclino il capo di lato e arriccio le labbra in una smorfia pensosa, mentre Lord Bleppington sulla mia spalla strofina il muso gelido contro l’attaccatura dei miei capelli, fra l’undercut alla nuca e le prime ciocche argentee libere.
«Magari al Wizengamot? O al Secondo Livello come Avvomago? Oppure…» Non esito, no, la pausa è voluta, misurata e coperta dal tintinnare della ceramica di uno dei piatti che porgo di fronte ad Aion, servendo lui una fetta di sacher.
«Perché non qui? Inchieste e Investigazione sono i miei settori: puntiamo a tenere aggiornati i lettori, sì, ma anche a farli riflettere e spesso - perché no - a smuovere le acque. Non dico che il posto sia tuo - abbiamo standard e colloqui mandatori -, ma … chiamiamolo un sesto senso e anche perché un po’ mi ci rivedo nello sdegno.»
No, non mi faccio problemi ad ammettere una critica al sistema così poco velata.
Non mi piace, non mi ci trovo facilmente e il più delle volte penso che il senso di sicurezza che provo sia spesso limitato allo status sociale della mia posizione in Redazione e non perché in generale riesca a sentirmi al sicuro.
“Fare gli emarginati faceva figo solo negli anni ‘70. Che schifo.”
«Tornando a noi, dunque, concordiamo che una mancanza di divisone a fascia per la libera celebrazione dello sport duellantistico sia una scelta non solo discutibile a livello burocratico, ma anche a livello umano, no? Una lotta per la sopravvivenza vera e propria, esposta su una pedana come uno spettacolo teatrale per il pubblico.»
Avvicino a me la mia porzione di sacher, ma indugio sul mangiarla.
Sospiro, accompagnando col fiato caldo un nodo alla gola che fatico a sciogliere.
«Partecipando siamo diventati una piccola parte del problema, ma se potesse dire qualcosa a chi ha organizzato la Giornata del Duellante cosa direbbe? Cosa condanneresti e cosa consiglieresti a chi ha organizzato il tutto e cosa diresti al pubblico che ha fatto il tifo alla violenza?»
Lo dico io che nel fare il tifo ad Aion ho persino fatto delle magliette, spinto da uno spirito goliardico cieco dell’atrocità che il Grifondoro stava provando.
Alla realizzazione di ciò mi sento nauseata.
«E cosa rende secondo te diversi i duellanti dai criminali che il Ministero porta ad Azkaban? Dove e come va stesa per te la linea divisoria che segna un limite fra ciò che è uno sport estremo e una celebrazione del proprio potere?»

Happy coming out day to us
edit. dovuto a irritanti errori di battitura



Edited by petrichor. - 21/10/2023, 09:41
 
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view post Posted on 23/10/2023, 13:12
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«The child who is not embraced by the village will burn it down to feel its warmth.»



L'intermezzo del caffè da diabete e l'espressione tramortita di Ariel sono quell'attimo di distensione di cui ho bisogno. Ridacchio e le sorrido trattenendo la mia tazza fra le mani. Il suo strano atteggiamento, quasi irriverente nei confronti dello stesso ruolo che ricopre, e la condivisione che si permette, riesce ineccepibilmente a farmi sentire quasi a tavola con un'amica.
Quando mi ha scritto in quella lettera la parola intervista ho visualizzato uno stralcio di tempo in cui sarei stato semplicemente sottoposto a domande ed insinuazioni pronte a trarre deduzioni succose sul mio essere. Di sicuro il ricordo di Lucas Scott e del tipo di articolo che ha scritto su Megan ha influito su questa sensazione.
Ariel è totalmente diversa. Se io parlo di me, lei condivide qualcosa di sé; se denuncio qualcosa, lei comprende ed integra il discorso con la sua visione delle cose, più approfondita e consapevole grazie alla sua età e al ruolo di Vice. Sembra che lo faccia perché è interessata a ciò che dico, come pane per i suoi denti. E per farmi sentire a casa.
Vorrei chiedere di puntualizzare sul suo caso personale. Ma forse è troppo.

E si salta, ancora, verso un argomento difficile.
«Non hai risposto ad una mia domanda. Dopo Hogwarts hai dei sogni? Ambizioni? Idee professionali?»
Inghiotto un sorso di caffè macchiato trattenendo le lacrime per il mancato strozzamento. Ariel attira nuovamente la mia attenzione con una richiesta inaspettata. Mi chiedo se ai lettori possa fregare davvero qualcosa delle mie intenzioni per il futuro e se lei mi ponga il quesito per semplice completezza. Magari spera che me ne esca con qualcosa di grottesco, di geniale o di eccentrico, che possa fare colpo. Che so, l'ambizione di creare una linea di vestiti picchia-duro per signore per proteggerle dai molestatori. Onestamente, ora che ci penso, non è una cattiva idea.
Ma no, Ariel non è così. Non è questa la tipologia di scoop che cerca. Anzi, mi mette di fronte una lista di ruoli che il mio cervello non ha mai minimamente toccato, eccezion fatta per la Gazzetta del Profeta. Nell'apice dell'incazzatura per i giornalisti ho pensato di mostrare il mio documento da veggente per farmi assumere come astrologo, sparando stronzate e augurando la morte a tutti i segni zodiacali in ogni quotidiano. Chiaramente era un'idea decisamente impossibile.
«Io non-»
Ho paura di arrossire ascoltandola. Davvero crede che sarei portato per tutte queste cose? Io non mi sono mai dato grandi possibilità. Non mi sono mai permesso grandi sogni, come quelli che facevo da piccolo in merito a cavalieri e racconti epici. Non riesco più a permettermi di considerare il domani domani, se non il domani del "Che mangerò domani a pranzo?", "Che compiti devo fare per domani?" e "Con quali soldi pagherò domani le bollette e i croccantini per Julius Marvin?".
«Non lo so. Non mi sono mai posto questa domanda.»
Mento. Me lo sono sempre domandato. Ho sempre chiesto a tutti i lavoratori che incontravo come fosse il loro lavoro e perché lo avessero scelto. Lo chiesi persino a White. Lui mi disse che qualsiasi occupazione avrei scelto sarei stato in grado di svolgerla brillantemente. Non riesco a riporre la stessa fiducia che aveva lui in me stesso. Soprattutto dopo ciò che è successo.
«Tempo fa feci domanda per un tirocinio per studenti al Ministero. Non mi hanno mai risposto. Credo di avere barrato dalla mente la possibilità di averci a che fare in futuro in maniera quasi del tutto inconscia.»
L'idea che secondo Ariel potrei essere adatto alla Gazzetta, proprio per ciò che ho detto, mi riempie di calore. Davvero mi è permesso sperare in qualcosa di più?
«Giuro che potrei pensarci!» esordisco, con un'inconsueta brillantezza negli occhi e un semi-sorriso che spinge gli angoli della bocca verso l'altro e che la vergogna di esprimere felicità mi impone di trattenere fermi.
Rimango con questa idea per un po', riverso nel caffè macchiato che inavvertitamente è diventato una copertina che copre solo il fondo della tazza. L'immagine di me, che scrivo —e che denuncio aizzando le folle— mi fa battere il cuore forte forte.

«Tornando a noi...» Annuisco, ormai emozionato ma ora forte del desiderio di apparire responsabile e pronto al lavoro da compiere —mi porto avanti, non si sa mai, anche se si tratta della mia intervista. Mentre Ariel parla prendo il cucchiaino per affondarlo nella sacher, ma sono tanto preso dal guardarla e annuire da mancare la torta e sbattere la posata sul piattino.
«Esattamente» rispondo. «Il duello con Minotaus è stato completamente diverso, molto più alla pari sotto questo punto di vista. Il punto è che non solo io mi sono dovuto scontrare con degli adulti, se non proprio con dei professori. Anche altri studenti in gara lo hanno fatto, ma ovviamente non voglio arrogarmi il diritto di fare le loro veci. Non ho sentito la loro opinione in merito. I loro duelli sono stati sicuramente meno cruenti del nostro, che invece, come hai detto tu, sembrava una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Specie per me, di fronte ad incantesimi di classi superiori così potenti che non sapevo e non saprei tuttora come contrastare. Il fatto di avere trovato una strategia nel fuoco non mi salva: gli ho inflitto un male atroce per poter evitare il peggio, e questo mi fa stare profondamente male. Nonostante questo l'elettroshock non mi è stato risparmiato.»
La seconda e la terza domanda mi mettono in subbuglio lo stomaco. Non voglio rischiare di risultare un insopportabile so-tutto-io che cerca di insegnare agli adulti il loro mestiere.
«Penso semplicemente che sarebbe necessario eguagliare le parti. Non so se sia stato sempre così o no nella storia della Congrega, in ogni caso, oltre a questo, si dovrebbe moderare l'accanimento. Una sorta di cartellino giallo o persino di sospensione. Per il pubblico...» deglutisco «penso che nessuno vorrebbe sentirsi addosso gli effetti di simili incantesimi. Okay lottare, okay buttarsi in uno scontro che mette come bersaglio il proprio corpo. E' come nella box babbana, però anche lì ci sono delle regole. Secondo me più siamo nel seguire un atteggiamento corretto più questo ha la possibilità di diffondersi e di attecchire. L'unione fa la forza, e la forza risiede nelle masse. Insieme si possono combattere molte più battaglie. E se combattiamo una battaglia contro l'oscurità, in senso generico, dovremmo esserne i pionieri anche nelle più piccole cose. Anche nello sport. Se la magia ci dà potere, tutto sta nella responsabilità e nell'uso che ne facciamo. Le istituzioni dovrebbero venire incontro a questo principio. Ad Hogwarts hanno sempre insegnato che la magia è neutra, né chiara né oscura. E' l'utilizzo che se ne fa che la definisce e che ci definisce.»
Odio ammetterlo, ma questo è stato un ottimo insegnamento che ho sentito pronunciare dalla bocca del professor Midnight molti anni fa.

 
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