Daedalus, Evento straordinario | Horus

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view post Posted on 3/8/2023, 10:34
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– Daedalus –
24 yrs – cursebreaker – Il Cairo

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Sul viso mi si dipinge un’espressione piena di nervosa perplessità.
« No. » Alzo la mano avanzando di un passo e raggiungendo l’elegante figura che si è interposta fra me ed il mercante incazzato. « Il Tempio non ripagherà un danno fatto da me. » Anche se involontariamente. Memorizzo la fisionomia dell’uomo, osservo il baluginio del suo amuleto che –immagino– essere solo paccottiglia. Chissà quanti carichi di limoni e arance deve essergli costato. « Manderò uno degli inservienti a pagarti. Immagino che un Deben d’oro possa bastare. » È pure troppo, ma voglio togliermi questa bega. « Dal mio conto personale. » Chiarisco.
Questo è quanto. Non ammetto repliche e guardo severamente Sitra.
Inizialmente avevo automaticamente sorriso nel riconoscere la sua schiena avvolta da stoffe pregiate, il suo portamento elegante come quello di una gatta di Bastet o, meglio, di una leonessa. Un portamento che a dirla tutta con me ha totalmente dimenticato di avere in determinate occasioni.
« Ho perso… di nuovo? » Scoppio in una risata bassa. Ciao anche a te.
« Stai attenta, Sitra, ricordati con chi stai parlando. »
Sottolineo. Alzo il sopracciglio sinistro; Udjat spicca livida alla luce del tramonto. Non l’ho mai apprezzata davvero, non da piccolo almeno. Attirava troppo l’attenzione quando io volevo solo nascondermi dietro un libro. Col tempo, però, ho cominciato davvero a credere che sia la benedizione del Dio di cui porto il nome e del grande Amon-Ra.
In effetti qui, prima del l nome della mia famiglia che spesso e volentieri non voglio usare, la mia voglia mi è tornata utile in più occasioni per entrare in luoghi solitamente interdetti. So bene che non serve nasconderlo, che i miei capelli rossi e gli occhi d’argento dei Sekhmeth bastano per far capire alla gente dedita al culto di quale famiglia faccio parte.
Eppure non sono quel tipo di persona che sfrutta la propria posizione altolocata per fare leva sugli altri, ma quando sono qui, quando tutto sembra ruotare intorno all’influenza di mia nonna, mi anima un fastidio viscerale. Sì, Sitra, anche per te che ora mi guardi con quell’espressione estranea a quella che conosco io. Seguo la curva del tuo collo e arriccio un labbro con espressione indecifrabile poi ti restituisco uno sguardo freddo, penetrante, che so che non meriti ma che non posso impedirmi di riservarti laddove sento l’artiglio di mia nonna sulla tua spalla. La tua devozione alla Dea mi ha sempre commosso, ma quest’influenza che Meresankh ha su di te… credi che non sappia che tutte le volte in cui, da ragazzina, venivi a nasconderti in camera mia e mi parlavi della sua severità non sapessi che ti avesse mandato lei?
Credi che non sappia cosa le hai detto sul nostro recente patto?

Mi volto e le mostro il mio profilo, gli occhi che accarezzano l’intero suq e si fanno abbacinare dai colori vividi che suoi abitanti portano tra abiti, tende, gioielli. Qualcuno ha cominciato a riordinare la propria merce, arrotola stoffe, chiude spezie in ampolle, sistema amuleti e canopi dentro ceste riempite di paglia e foglie di papiro pronti per la prossima giornata di mercato.
« Sì, lo so. » Rispondo caustico sulla questione Passaporta che, al di là di tutto, ancora mi infastidisce e soprattutto mi dà da pensare.
« Ho avuto un contrattempo a Roma. » Ribatto duramente, forse troppo perché non mi sfugge la nota dolce nella voce di lei.
Mi incammino al suo fianco, in silenzio. Sono qui da soli cinque minuti e già mi girano le palle. Ottimo.
Sono infastidito dal pensiero che mia nonna sia riuscita ad individuarmi con così tanta velocità ancora prima che mettessi piede al Cairo e il mio sguardo corrucciato vede, senza guardare realmente, la strada ingombra davanti a me.
Che diamine ho addosso, la Traccia?
Scocco un’occhiata al profilo di Sitra alla luce morente del Sole: la sua pelle bronzea sembra essere fatta dello stesso oro dei suoi orecchini. Il vento d’Egitto mi porta il suo profumo che, mio malgrado, ho imparato a conoscere e riconoscere: è la fragranza delle sere d’estate, quando la sabbia fresca del cortile di casa solletica i piedi; è il profumo del karkadé nei pomeriggi assolati, del cedro e dell’ebano dopo una delle rarissime piogge con cui Nut ci benedice; è l’odore dell’incenso delle preghiere nell’atrio del tempio sotto lo sguardo severo della Terribile, della nostra guida e Madre. Questo profumo è in grado di cristallizzare il tempo e socchiudo gli occhi.

Continua a non piacermi il tono autoritario che ha preso ad usare con me. Non mi aspetto salamelecchi come le altre allieve di mia nonna, ma questo… questo non è da lei. Taccio lasciando che tra noi si intrometta solo il tintinnare delle anfore, il vociare sempre più spento nella chiusura del mercato. Non posso chiederle il motivo di questo suo astio. Lo so già, ma mi rabbuio ugualmente. I termini del patto li conosceva benissimo, non può essere questo: è intelligente, dovrebbe averlo capito già alla prima occasione. O forse… forse c’è qualcosa che non so. Non si aspettava davvero che arrivassi di gran carriera solo perché mi è stato inviato un Gufo?
Percepisco, sotto questa durezza, la solita nota dolce nei suoi occhi scuri come la diorite delle nostre ushabti. Nei tempi e nelle case di tutti gli abitanti, qui nella parte –vera– di questa porzione d’Egitto che è rimasta tale e libera da contaminazioni da più di duemila anni, tutte le statuette e i monumenti sono in diorite. E gli occhi di Sitra, da subito, mi hanno ricordato non quelli glaciali di Sekhmeth, ma quelli dolci come il miele di Iside.
Non glielo dirò mai, ovviamente.

« Come sapeva mia nonna che sarei arrivato se non ho preso la Passaporta concordata? L’orario era diverso ed incerto. »
Se davvero John Cavendish ha architettato tutto mandando quei cazzo di ragazzini a rallentarmi, allora Meresankh come diamine poteva monitorare il mio viaggio?
Mi ha rintracciato qualche minuto prima che arrivassi.
Parlo guardando davanti a me, accarezzando con lo sguardo il mercato rumoroso e abbacinante nei suoi mille colori e profumi. Nonostante il baccano e il vociare, sento il tintinnare dei gioielli di Sitra.

– Tell me would you kill to prove you're right –

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [1xQuest] (usato come orecchino)
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Generi di viaggio.
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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"long cairo suq - city "
Onorevole la tua presa di posizione, il voler districare le linee che intrecciano il Tempio e le Sacerdotesse, da te. Tanto che il mercante - confuso - si volta appena nel sentirti parlare. Gli occhi brillano all'idea di cosa potrà fare e quante casse di limoni potrà riempire con il pagamento che gli hai offerto.
Tua nonna, per quanto rispettabile e rispettosa, avrebbe offerto ti meno, ricordando il motivo per cui tutti in questa comunità devono qualcosa di fondamentale alla Dea. A volte perfino la vita stessa.
Per contro, Sitra non ribatte. Potendo ha sempre cercato di non interferire con le faccende tra te e Meresankh, al punto che per fino ora sembra alzare immaginariamente le braccia al suono sibilato di un "vedetevela voi". Non ci vuole entrare così a fondo nelle diatribe che vi legano e - puoi notarlo soprattutto oggi - non è neanche felice di vederti.

Tuttavia la sua dolcezza è un tratto caratteriale risaputo, e quando tu la fronteggi, ricordandole il rango che le spetta, lei ammorbidisce i tratti.
Non sai dire se sia perché sai incutere un certo timore o perché - come sempre - è presa in mezzo in discussioni che non le competono. Sitra, e lo sai, agisce spesso per nome di tua nonna e lei invero è la Madre del culto. Assottiglia lo sguardo, ferita da quanto in fretta tu sia stato capace di pungere.
Anche se saprebbe farsi dissanguare senza battere ciglio, con il solo orgoglio che le ricorda che lei è "importante" per quanto succube. Importante per una generazione che non vuoi, e per eredi che non darai. Non tu, almeno.

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«Non potrei mai dimenticarlo»
Sottolinea, cauta, come una gazzella che piega il capo al leone anche se - beh - stavolta meno del solito. E' meno remissiva, più audace. Ma la sua non è mai stata mancanza di coraggio, quanto più senso del dovere. Oggi, invece, sembra nervosa, per niente accogliente e perfino stanca. Sotto il trucco che le valorizza gli occhi, restano i segni di occhiaie profonde. E' da tante notti che non dorme.
I bracciali dorati tintinnano nei vostri momenti di silenzio e - potendo - lei non ti guarda. Preferisce concentrarsi su ciò che vi circonda. Almeno finché non la interpelli di nuovo.
Allora si che volta ad osservare cosa ti abbia reso tanto sull'attenti. Non è felice di non avere per te una risposta soddisfacente. Una che sappia placarti.
«Non lo so, la Sacerdotessa Madre non si è espressa circa i motivi delle sue conoscenze»
Formale, troppo formale. Abbassa poi il tono. «Mi ha solo detto di venire a prenderti qui, pochi minuti prima del tuo arrivo»
Per quanto ne sai, questa Sitra è proprio quella che hai lasciato dopo la notte con Amber. E' quella che hai voluto per poche ore prima di andartene di nuovo. «Meresankh ha la sensazione che tu non sia felice di farci visita. E ce l'ho anche io, ma non credo sia saggio confermarglielo proprio stasera. E' nervosa»
Questa, sul finire, non è che una confessione. Non un'accusa, non un desiderio, solo la triste realtà dei fatti e di quanto tu non sia stato poi così delicato da nascondere. Sitra sa ancora come leggerti, anche se non è detto che voglia farlo per sempre. «Bentornato» spezza il fiato.




 
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– Daedalus –
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Serro la mascella, infastidito.
Non mi piace affatto la risposta che Sitra mi ha dato e, a giudicare dal suo comportamento anomalo, mi chiedo se sia davvero consapevole di ciò che dice oppure se, anche qui, c’è dietro mia nonna.
Alzo la testa verso l’alto: il cielo è tinto di una splendida sfumatura rosa-arancio che si riflette sulle poche nuvole bianche che ne screziano l’integrità. Questo cielo esiste solo qui e forse è una delle cose che amo di più della mia vera Terra. Cerco con lo sguardo Ra, invano. Mi manca immensamente come mi manca volare con lui ed ogni volta che è via, l’ansia di non poterlo più rivedere mi attanaglia. Eppure so che è qui, in Egitto, dove ho Visto. Mi scappa un sospiro e non so se è per lui o se è per ciò che Sitra ha appena affermato.
Riporto lo sguardo su di lei, solo per captare i suoi occhi allontanarsi da me.
Bentornato.
Vengo preso da un moto di rimorso per averla trattata così duramente e quando il soffio della sua voce mi giunge alle orecchie e riconosco quella ragazza nascosta nel tempio, timida e dolce, mi ammorbidisco.
Mi stropiccio gli occhi tra pollice ed indice e d’improvviso mi fermo, lasciandola andare avanti di qualche passo.
L’osservo nella sua interezza, attendo che si volti e la scruto in viso. Non posso notare le occhiaie sotto i suoi occhi finemente truccati col kajal ma ne studio i lineamenti che ho imparato a conoscere così bene, come il suo profumo e la morbidezza della seta dei suoi capelli ora raccolti. Li ha più lunghi dell’ultima volta e non me ne dovrei stupire: è, in effetti, passato diverso tempo dall’ultima volta in cui ci siamo visti. Mando giù questa maledetta amarezza strettamente annodata al senso di colpa che lei è riuscita ad istigarmi con una semplice frase.
Eppure non mi sento di doverle delle scuse. Questo fa di me uno stronzo?

”Non ti sposerò, Sitra, e non posso amarti. Lo so io e lo sai tu. E lo sa mia nonna. Ma se questo è ciò che vuoi… se è questo che anche tu vuoi, allora possiamo. Niente di più.”
“E questo è ciò che voglio, Horus. Niente di più.”


No, non sono uno stronzo. Lo sapeva.
Non posso però esimermi di chiedermi se non mi abbia mentito, come mi sta mentendo ora.

« Meresankh… » Mi accorgo di come sia passata da formale a informale ed era un po’ che non la sentivo uscire dall’etichetta e chiamare mia nonna per nome. L’ultima volta lo aveva fatto anni fa.
« …non è l’unica ad essere nervosa. »
La fisso, cercando le sue iridi luminose come una notte di stelle. Ho notato come mi sfugge, come prova del palese risentimento per non aver risposto alla chiamata prima.
« Sitra… » Lascio che la mia voce si ammorbidisca, seguendo la scia del suo tono soffice.
« Perché sei così turbata? » E perché non mi guardi, aggiungerei.
Glisso volontariamente sulla questione di essere o meno felice di essere qui. Vorrei dire che non è vero, che sono contento di essere tornato, ma non voglio mentirle: non si merita una bugia, almeno, non lei.
Sono qui per la Piramide di Djoser, non per adempiere a nessun altro presunto compito che gli Dei vogliono per me. Sono certo, anzi, che è questo che la Dea Maat vuole da me: giustizia.

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"long cairo suq - city "
Oh si, avevate un accordo voi due. Un po' come i vecchi gentiluomini londinesi. O come la modernità che ti ha visto insinuarti come una vipera che lei ha accolto. E Sitra lo ricorda benissimo quello che vi siete detti, ricorda ogni fiato emesso troppo in fretta.
Ha provato solo ad andare avanti senza ossessionarcisi per giorni o mesi. Non hai ricevuto nessuna lettera da lei, neanche quelle amichevoli che ogni tanto scriveva a prescindere. Sai, quando vi stavate conoscendo perché qualcuno aveva scelto il destino di entrambi.
Forse ogni tanto ti è parsa debole al volere di Meresankh, a volte prona di fronte ad un'immissione troppo personale. Nonostante - beh - sua madre non sia da meno. Neferet è terrificante quando indurisce gli zigomi e s'infossa, scheletrica dietro i vostri dogmi. Il volere della Dea è malleabile, si, ma solo fino ad un certo punto. E Sitra, lo sai tu e lo sa lei, non tradirebbe mai qualcosa in cui crede tanto radicalmente.
Credere la rende parte di un mondo che ama, e che non può abbandonare, come ancella e come donna. Non è più una ragazzina, Horus. E non lo sei tu, nel fermarti ad attenderla.

Sitra si accorge sempre di tutto, ha visto i tuoi passi fermarsi prima che tu pensassi di aspettare. E, cauta, è andata avanti alcuni istanti prima di voltarsi. Ti vede, Horus, nei suoi occhi c'è l'oro del Nilo che si scaglia a fondo fino ad incastrarsi trai ghiacci. E' sempre stata buona, ma non una sprovveduta. Adesso quello che vedi è che sembra essersi presa più compiti di quanti le sue spalle possano reggere.

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«Ho bisogno che parli con lei»
Lascia andare un respiro più profondo, serra le labbra e ti viene vicino. Tanto in questo mondo nessuno si accorge di voi, dopo averti guardato per la tua voglia, per il tuo marchio, ognuno è tornato ai propri affari. Allora Sitra si libera dolcemente del peso della formalità con te, forse perché l'ha sentito il tono variato, più gentile.
Con lei non si va contro armati, o si rischia di frantumarsi contro una roccia, ma basta davvero poco per darle di nuovo la fiducia di aprirsi.
Oppure complice è qualcos'altro. «- perché la mia parola perde di valore ogni volta che torni» E questo sa ferirla, la rende inerme di fronte ad una Meresankh tanto ostinata.
A modo suo, è così che Sitra chiede aiuto e scusa. Aiuto nel porre un punto a questa tortura e scusa, per non esserci riuscita da sola.
«Ho fatto tutto quello che ho potuto» sconfitta, in fondo, questo è, e per questo dopo averti guardato negli occhi per ogni singola parola, china il capo. «Metti fine a tutto questo, Horus. Nessuno è felice» espira, lenta.




 
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Che cosa ti hanno fatto, Sitra?
Anzi, che cosa ti ha fatto?
Non riesco a non chiedermelo mentre la guardo e la dolcezza nei suoi occhi sfiorire. C’è della stanchezza in quelle profondità, la vedo e, ora che è vicina, noto sotto il trucco i chiari segni di notti insonni.
Mi sembra quasi di vederle davanti a me quelle spalle incurvate dalle responsabilità. Si ostina a mantenere la schiena dritta, da leonessa quale è, da “prescelta dalla Dea”, ma lei, come me, è solo un essere umano che vuole semplicemente camminare senza il peso di un destino a cui si sente incatenato.
Il suo viso, scruto, è spossato e dietro la sua esotica bellezza, mi sembra di notare un colore diverso della sua pelle, un rossore spento sulle guance, un bagliore di sofferenza nelle iridi scure.
Raccolgo il suo sospiro con apprensione, corrugo le sopracciglia perché, forse per la prima volta, la vedo… sfinita. Sfinita del proprio ruolo di sacerdotessa.
« Lo sai che nemmeno la mia parola può fare qualcosa contro mia nonna… » Rispondo sfiduciato, distogliendo lo sguardo da lei e carezzandomi la nuca, a disagio. Guardo distrattamente i mercanti che finiscono di sbaraccare e mi sembra quasi di riconoscere il ragazzino che prima ha rubato un limone al commerciante. D’un tratto mi sento schiacciato dagli stessi macigni di Sitra e non riesco a sostenerlo. So cosa vogliono gli Dei da me, ma non posso fare a meno di sentirmi colpevole almeno in parte di questo immenso casino senza apparenti vie d’uscita.
È vero, sappiamo entrambi quanto mia nonna sia ossessionata da tutto questo; penso, in realtà, che sia il terrore che la nostra casata decada, che la Dea s’infuri con tutti noi. Sono millenni che le nostre sacerdotesse servono Sekhmet per evitare che si scateni di nuovo contro gli uomini. Terribile e benevola, Signora della guerra e delle epidemie, protettrice della guarigione. È sempre stata quest’antitesi a renderla completa, grande fra tutti.
Una vibrazione e la voce di Sitra si fa sofferente, costringendomi a guardarla nuovamente. Questa volta non è più un bagliore, la sofferenza, ma un velo cupo che le appanna la vista. Mi sento una stretta allo stomaco. So che è colpa mia, so che quel che ha potuto è stato cercare di starmi accanto, ma capisco ora che forse nemmeno lei vuole tutto questo. Me lo confermano le sue parole ed io taccio. Lascio vagare l’argento dei miei occhi sulla sua fronte corrucciata, sulle ciglia lunghe che devono aver trattenuto chissà quante lacrime. La sua richiesta mi spezza il cuore, mi tormenta l’anima.
Allungo il braccio e le prendo una mano; i suoi bracciali scivolano oltre il polso con un riverbero argentino. Ha la mano calda, come la sabbia del deserto. Gliela stringo.
Per un momento dimentico totalmente perché sono qui: solo per un istante però.
Mi dispiace Sitra, mi dispiace davvero.
Glielo vorrei dire, ma mi si bloccano le parole in gola. Mi sale un sentimento d’odio per mia nonna che mi infiamma il petto e che arriva secondo solo a quello che provo per mio padre. Incredibile come ben due membri della mia famiglia siano in grado di generare tutto questo risentimento in me.
No, mi dico, nessuno è felice: perché tutto questo? Perché condannarci?
« Sitra… » Le osservo il dorso della mano, le unghie curate piene di anelli. Alzo gli occhi e cerco i suoi, piegando il capo di lato perché mi veda.
« Te lo prometto. Metterò fine a tutto, ti renderò… libera. » Sussurro. Le mie dita stringono più forte. Ci renderò liberi.
« Sarai libera di decidere per te e vivere come vuoi, di sposare chi vuoi, di amare chi vuoi. » Ci provo, ci provo davvero ad abbozzare un sorriso, ma non riesco. È come entrare in risonanza con il suo martirio e mi immobilizza qui, in mezzo a questo rumoroso suq, in questo sole morente. E ancora non so cosa mia nonna la stia spingendo a fare.
Le riservo un’occhiata penetrante, sicura: non so davvero come potrei fare, ma mi sento di doverglielo. Siamo io e il mio rifiuto a procurarle questo patimento?
Mi dico che nessuno, per quanto devoto, può desiderare qualcosa del genere.
Intrappolo un sospiro sulle labbra per nasconderle la mia inquietudine.

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Edited by Horus Sekhmeth - 5/8/2023, 00:30
 
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Lo strazio è quanto di più reale tu possa percepire. Negli occhi di una leonessa anche il cielo può offuscarsi di tanto in tanto.
Sitra è una roccia, da ché la conosci non ha mai smesso di tenere alta la testa. Di fronte ai compiti più disparati, di fronte ad una Meresankh che avrebbe tanto voluto trasformarla in vipera, lei è rimasta in piedi. Tuttavia, lo vedi da te, oggi è particolarmente stanca.
Tu dall'altro lato del mondo hai percepito in una sola lettere l'oppressione di tua nonna, il suo volere propagarsi come petrolio nell'oceano, come un tentacolo pronto a stringersi attorno a te. Si, con la perseveranza di una donna senza tempo, di una Matriarca in carico a Sekhmeth.
Immagina - dunque - quanto a lungo quest'opera di logoramento deve essere andata avanti per Sitra, costretta a non avere vie di fuga.

Lei che ora ti guarda i gesti. Osserva le due mani sfiorarsi, muove appena le dita senza stringere. Si accerta forse che questo sia reale, e smette nuovamente di nasconderti gli occhi.
Torna a posarli sul tuo viso, sulle labbra le cui parole entrano profondamente. Corruga piano la fronte, ma per confermare che crede in quanto le stai dicendo e nelle tue possibilità, ma c'è una cosa da puntualizzare.

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«Sono già libera di amare» sottintende, sicura. Trattiene la mano nella tua ancora qualche istante. «Il mio cuore sa bene dov'è il suo posto, però-» sfila la mano riportandosela al fianco, sul volto compare un sorriso che è mitigato da un triste sarcasmo.
«Amare non deve essere una costrizione, e non si può essere sempre tanto fortunati da far coincidere le due cose. Ognuno ha la propria via»
Parole che da qualche parte hai già letto, in incisioni che a Sitra piace recitare solo quando sente appartenerle. Forse il suo problema non è la necessità di amare altri, Horus.
Riprende a camminare, abbassa piano il tono. Ti vuole preparare a quello a cui andrai incontro quando, tra qualche minuto, giungerete al Tempio.
«E tranquillo, ok? Nessuna di loro sa di quelle notti» afferma, rialzando il capo. «Né deve sapere» come questo era il vostro accordo: lei illibata, tu non un mostro.
Prende fiato, non sa ammantarsi di alcuna freddezza, la sua voce resta calda, sicura ma stanca.
«Ma non accetterò ancora che mi si dica che non ho fatto abbastanza per convincerti, né che il mio valore possa mutare in base a quanto tu hai o non hai scelto» Il valore di Sitra qual è, Horus? Non è arrabbiata con te, non è verso di te che prova quel risentimento. Il rifiuto, d'altronde, l'ha interiorizzato, ma guai a non rispettarla di fronte alla Dea, o a crederla meno devota perché non si prostra a supplicarti di sposarla.
«E' giusto che conoscano il valore di due vite in collisione. Due lune.»




 
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Per un lungo momento quel sospiro trattenuto mi si intrappola in gola, come una falena in una ragnatela.
Ti guardo, Sitra, e il dubbio mi sfiora, mi accarezza con una mano gelida mentre i tuoi occhi scivolano sul mio viso fino a nascondersi di nuovo. Ma no, mi dico, sono sempre stato bravo a capire le persone e, credo, di non sbagliare con te.
Sicuro?
Scuoto impercettibilmente la testa, col vento caldo che mi arruffa delicatamente i capelli; mi chiedo se la persona che ami ti stia aspettando, se è per lei che ricordi la superficialità che c’è stata fra noi con quello che mi sembra evidente dolore. Le vostre vie hanno deviato, distanti, come la mia?
Anche tu hai scelto di tradire i tuoi sentimenti per poterti dimenticare delle nostre costrizioni anche solo per qualche ora?
Ecco questo, per quanto sia bravo, non riesco a leggertelo nei tuoi begli occhi neri mentre le ciocche corvine sfuggono dalla tua capigliatura e ti si agitano sul viso come serpenti, lo coprono quasi a volerti difendere da me e dal mio studio penetrante della tua espressione sofferta e del tuo volto stanco.
Lascio andare la tua mano calda quando la sento muoversi e il sospiro torna giù, in fondo allo stomaco.
Tuttavia ancora una volta la tua risposta non mi soddisfa e, piuttosto, mi induce a provare una strana sensazione nel petto: tradimento.
La mano ricade lungo il fianco e le mie iridi ti squadrano con un’intensità diversa, quella di una tremenda supposizione. Faccio un passo indietro mentre le tue parole mi colpiscono come una freccia precisa e letale.
Tu sei incolpata di non aver fatto abbastanza per convincermi? Come cazzo si fa a convincere qualcuno di sposarsi con un estraneo? Di generare un figlio senza amore per il puro delirio religioso di dare un erede al Tempio? Per un errore, tra l’altro, che né iotu abbiamo mai commesso.
Tu hai rinunciato al dono di Sekhmet, sei andata contro Iside e mi hai sedotto perché ti hanno detto di convincermi? E sei arrivata a tal punto?
Ti scruto irrigidito dal sospetto: d’improvviso l’empatia che sentivo di provare per te si ghiaccia nel mio diaframma e la domanda mi muore sulle labbra schiuse. Sento, nonostante tutto, il tuo orgoglio e non voglio, né posso infierire sul tuo valore.
« Spero che la persona che ami sappia ritrovare la via per il tuo cuore dopo tutto questo. » Dico invece.
Stavolta sono io a distogliere lo sguardo e riprendo a camminare nella direzione a cui, al momento, vorrei voltare le spalle.
« Io non sono una luna. » Rispondo. Tuttavia non c’è più la presunzione di prima sebbene quanto io stia per dire e per quanto io creda possa dire il contrario. Non c’è più nemmeno traccia della severità che ti ho riservato.
Mi fermo un paio di passi da te, mi volto appena, ti do il mio profilo.
« Io sono il sole. »
E incendio e distruggo tutto quello che ho intorno.
Riprendo a camminare.

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Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [1xQuest] (usato come orecchino)
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Generi di viaggio.
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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"tempio di sekhmeth"
Pur mantenendosi leggera, Sitra calibra perfino i suoi passi. Soprattutto quando questi vi stanno portando irrimediabilmente verso la conclusione del vostro dialogo. Prende respiri moderati e profondi, come a rilassare il muscoli, scuotere piano i bracciali dai polsi e lascia scivolare via la tensione. Lo sa che non conviene mostrarsi irrequieta di fronte a sua madre. Altrimenti scorrerebbero domande come fiumi, e lei non è benintenzionata a rispondere.
E, tuttavia, come ogni sera il momento di tornare al tempio arriverà anche per lei.

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Lei che quando hai parlato d'amore ha alzato mezzo sopracciglio, tentando un sorriso compiacente ma leggero. Uno che non sa trasformarsi in risata, che non sa andar oltre queste barriere di carne per diventare "ironico". Forse per questo è ancora presto e la ferita -che si è inferta - è ancora fresca. Il sangue pulsa sotto il torace, batte di aritmie notturne. Sul sole, tuttavia, non ha nulla da ridire. Ha chiamato in causa la luna per una precisa ragione, ed il tuo ruggire sicuro la stabilizza. Lei ti testa, lo fa per capire quanto la crescita abbia cambiato anche te.
Siete questo, felini figli di un culto radico. Come in quel cartone, dopo aver tanto rotolato tra i cimiteri d'elefanti, saprete ritrovarvi nell'oasi?
«Già, tu sei il sole» ripete, solenne affiancandoti. Si mantiene in un sospiro così, regalando ai suoi stessi occhi un solo ultimo sguardo del tuo profilo. Sei cresciuto davvero, e forse adesso sei pronto a a strappare a chi di dovere il tuo destino.
Basta omissioni, Horus e basta rimandare un compito che t'ha atteso per anni, rannicchiato come una pergamena ammassata tra i documenti di Meresankh.

Perché siete arrivati, ora, e Sitra si ferma a pochi passi dall'ingresso del Tempio. La sua prima dimora, ma non più la sola. «Io non entro con te» ti guarda, senza un accenno di timore.
Volta il capo verso un punto più ad Est, te lo indica perché tu possa vederlo. «Abito da poco fuori città. Mi sono presa un posto per pensare e, respirare. Ci vediamo più tardi» La sua non è una domanda, è come se volesse assicurarti che - qualunque cosa succeda con tua nonna - lei starà lì. Sul tetto piano di casa sua, con qualche cuscino e del vino del Nilo. Lo dice solo guardandoti, solo chiedendoti in totale silenzio se sei pronto, ma senza preoccupazione.
Oh, no, Sitra è convinta che tu lo sia. Sitra - nonostante tutto - è fiera di te. E ti sorride piano, perché tu capisca che va bene così. Per ora.




 
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Non aggiungo altro al tuo sussurro.
Già tu sei il sole.
Mi si arriccia un angolo della bocca in un sorriso sardonico mentre camminiamo in silenzio. Ti percepisco al mio fianco, Sitra, e percepisco il tuo profumo. Scaccio con ostinazione dubbi e supposizioni, ma quel senso di tradimento continua ad articolarsi dentro di me, si agita come una serpe. Ripenso al tuo sopracciglio alzato, ripenso alla tua mano che scivola via, al tuo sguardo fiero, al tuo sorriso ironico. Corrugo la fronte quel tanto che basta per non permetterti di notare il turbamento che sto tenendo a bada sebbene io continui a chiedermi se sei sempre stata così.
Così… diversa? O forse lo sei sempre stata ed io non ti ho mai vista davvero?

Socchiudo gli occhi alla luce del sole mentre svoltiamo al di fuori della via del suq ed entriamo nella strada principale che ci condurrà al tempio di cui vedo in lontananza le punte degli obelischi, gli stendardi rossi e percepisco il familiare colpo al cuore che mi toglie il respiro. Mi sento sempre così, quando arrivo al tempio; stavolta, però, non è per devozione che perdo un battito, ma per un tremito di paura nell’affrontare mia nonna la cui ira ed orgoglio la rendono, in effetti, la più grande Erede di Sekhmet. L’ho sempre fronteggiata a testa alta, ma so di aver sottovalutato quest’assurdità del matrimonio combinato. La stanchezza di Sitra, poi, ha avvallato il pensiero che nella mia assenza questa cosa sia diventata un’ossessione, un delirio fanatico sfuggito al suo stesso controllo.

Il Tempio, maestoso, ci si spalanca davanti come la bocca famelica della leonessa cui è dedicato. Sul fronte di un bianco splendente, la facciata è interamente decorata da scene in cui Amenophis III, il Faraone che ha fatto edificare questo Tempio e che più di tutti ha amato la Dea, uccide Apopi per permettere ad Amon Ra il suo viaggio attraverso la barca solare, Mesektet. In un’altra scena, il Faraone, personificando il Dio, offre birra tinta di ocra rossa, spacciata per sangue, per placare lo sterminio degli uomini che Sekhmet ha compiuto per ordine di suo Padre.
Due obelischi fiancheggiano l’ingresso come guardie armate; risalgono verso il cielo, dove i falchi si posano per garantire che l’umanità non torni a tramare verso Amon-Ra.
Mi volto verso Sitra ma non mi stupisco della sua scelta. Non mi aspettavo che entrasse, un po’ perché me lo hanno già detto i suoi occhi stanchi, un po’ perché è chiaro che sia ferita dall’atteggiamento delle Alte Sacerdotesse e della Sacerdotessa Madre circa il suo compito.
Il compito di convincermi.
Annuisco e basta, in fondo lo capisco e, del resto, sono abituato ad affrontare da solo tutto ciò che mi riguarda. Mi sfioro distrattamente l’orecchino al lobo sinistro mentre mi porto una mano al collo. Dal colletto della maglia prendo il ciondolo con l’Ankh e lo stringo, in un gesto scaramantico.
« Va bene. » La saluto così, con troppa freddezza nella mia voce perché il mio cuore è ancora macchiato dal sospetto che mi ha generato la sua confessione.
Guardo le sue spalle mentre si allontana, l’acciaio dei miei occhi si perde, per l’ultima volta, su i suoi capelli illuminati dal sole e ne vengono ammorbiditi solo per un secondo.
Ho percepito, nel suo avvertimento velato, la premessa di qualcosa che, una volta incontrata Meresankh, cambierà tutto e il me che sta entrando ora non sarà più lo stesso.
Lo stomaco si stringe in una dolorosa fitta mentre prendo l’ultimo respiro, prima di immergermi al cospetto di Colei che è Terribile e Grande.



Attraverso il dromos, il viale di sfingi che precede le varie stanze prima di giungere al sancta sanctorum. Sento dietro la mia schiena i visi degli Dei voltati verso di me, il Ba dei miei antenati seguirmi a colpi d’ali, mentre proseguo verso il peristilio decorato con colonne che recano il volto della Dea Hator. Le sue decine di volti mi guardano in silenzio quando raggiungo la Sala Ipostila. Qui mi fermo, mi trattengo un istante pregando Nut, immobile in una stanza scura che rappresenta la palude primordiale dove l’Uomo è nato. Il profumo della mirra e di incenso mi pizzicano il naso. Lascio che la luce morente, che scivola in raggi attraverso le feritoie in alto, mi illumini il viso. Assorbo, come un fiore, gli ultimi raggi morenti, invocando Amon con tutto il mio Ib che trema.
Respiro.
Il Vestibolo mi fa sempre mancare il fiato, per quanto io conosca questo Tempio come le mie tasche.
Nel lungo corridoio illuminato da una serie di candele, le statue di Sekhmet mi accolgono, scrutano il mio cammino, ascoltano i miei passi rispettosi e silenti.


Cammino a testa alta, gli occhi fissi sul dipinto davanti a me, al di sopra dell’entrata per il Naos, interdetta alla maggior parte delle persone.
I colori sgargianti dell’affresco sono un capolavoro di arte e Magia.
Le pupille vermiglie di Sekhmet Divoratrice mi stringono la gola mentre, in apnea, giungo alla grande statua in diorite più grande di tutte, dove, sul suo trono, Ella siede col disco solare sul suo capo.
Respiro.
Da lì, lo sguardo della Terribile mi giudica; la sua imponente figura è illuminata dai riverberi rossi delle fiamme che, ai suoi lati, ardono perenni da duemila anni in grandi conche di metallo e si riflettono su tutta la stanza.
I suoi occhi non sono vacui, ma sono pieni di cauto furore, carezzati dalle ombre scarlatte come il sangue che ha versato e che verserà se non sarà placata e sfamata.
Respiro.
Davanti a Lei, poggio il ginocchio sinistro a terra accompagnando il movimento con la curvatura rigida della schiena; le mani parallele giungono anch'esse sul freddo pavimento, i palmi premono. Abbasso il capo e le mie dita tastano la pietra, quasi volessero assorbire la forza che chiedo a Sekhmet di donarmi affinché io possa affrontare mia nonna e tutto ciò che mi attende.
Mi inchino, ma non mi prostro: è così che la Dea vuole, non schiavi, ma comandanti; non deboli, ma guerrieri. I suoi soldati.

E la mia voce risuona, bassa e roca, all’interno del Tempio, in armonia nel silenzio, tra i mille divini occhi di roccia, neri come la notte senza stelle.


Io saluto te,
O Possente,
Nel nome mio di Horus
Che risponderà per te
Nel Duat.

Signora della Distruzione
Nella terra dei Due Leoni
Che sono la tua casa,
Nel nido del falco,
I tuoi nemici sono abbattuti
dalla Tua fiamma.

O Divoratrice
Il tuo ka vivente
È il ba di Ra, tuo dio augusto.
Signora delle Due Terre,
Che il Regno sia unito per te.
I viventi e tutti gli dei
Sotto la tua soggezione,
Gioiscono al tuo splendore
Quando non vi è più il tuo furore.
Nel nome del tuo Occhio
Che è nel tuo disco
Quando tu appari in gloria.

Nel tuo ka,
Nel nome del sangue
Posandosi in asheru,
Grande Hathor
L’Uomo declina per mano
della tua forma Sekhmeth.

O Terribile,
Ra ha garantito il tuo potere
fra tutti gli déi.
Grande è la tua collera
Soggezione è dei rekhyt.

Mi inchino a te,
Che Amon Ra plachi
La tua Ira
E tu possa vivere nel mio ka
Che Osiride attende
nel Duat.

[testo composto con una crasi degli inni presenti
ne Il Libro dei Morti e nei Testi delle Piramidi,
Papiri di Leida (XIX dinastia), cap. 6 e vari.]




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▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
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Se non ho veramente summonato Sekhmet componendo sto inno è da ride :ihih:
 
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"tempio di sekhmeth"
E' Lei, Horus a cui ti rivolgi da quando hai imparato a pregare. La leonessa che forgia i guerrieri, il ruggito che ricambia anche solo guardandola. In pochi devono osare un contrasto alla stessa altezza del suo sguardo: perché Sekmeth vede. E non è la sola. Percepisce i tuoi passi nel suo regno, che è il tuo. Neonato principe che si è fatto erede e, poi falco, consacrato agli Dei, strappato dalle mani di Osiride.
Sei tu l'erede, e tuttavia la preghi come è degno, come è giusto. La tua voce risuona nei ruggiti silenziosi che ti circondano. Tu sai cosa fare, li conosci i primi passi e - tuttavia - ti inginocchi senza prostrarti, ti offri alla tua Dea affinché sia lei a giudicarti degno oggi come domani. Degno dei suoi soldati, del suo esercito, dei suoi leoni le cui fauci senti chiaramente incidere la carne.
E come tu la chiami, Sekmeth risponde. Lo fa ruggendo un fiato caldo che ti accolga al suo cospetto. Le fiaccole che illuminano parte di questo immenso sacrario, smuovono le loro fiamme.

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«Che Osiride attende» la voce di Meresankh è solenne, fa eco al tuo prego per dar corpo al suo finire. Non spezza il tuo fiato, ma si palesa cauta: ti ha osservato da quando hai messo piede qui dentro, eppure ha studiato i tuoi movimenti. Forse vittima dell'incertezza, del dubbio che avessi perso anche il legame al tuo retaggio, per come le hai risposto e per come te ne sei andato.
Sotto il trucco che l'adorna, gli occhi si rischiarano, sereni ma severi. Lei, Sacerdotessa Madre, che non ha mai potuto essere solo una nonna. Lei che è una madre senza un figlio, una nonna senza un'erede, una moglie. Solenne, non ha più gambe così buone per inginocchiarsi alla Dea, tuttavia è consapevole che Sekmeth questo saprà abbonarglielo, per gli anni che ha passato a renderle onore e gloria.

«Horus Ra» ti chiama in saluto, un ruggito tiepido, nello studio minuzioso dei suoi occhi. Allunga una mano per raggiungerti la spalla sinistra, sale piano con il pollice a ripassare il tuo marchio. Si accerta così che sia tu, che sia tornato al suo cospetto, con la sicurezza - che sente - di non vederti di nuovo andar via in fretta.
«Ho fatto portare vino e datteri, abbiamo molto di cui parlare» perentoria, nasconde amore dietro ordini, come è solita fare. Li esercita con severa dolcezza, indicandoti una nicchia più riparata: il suo angolo privato. Puoi già scorgere la tua lettera di risposta troneggiare sullo scrittorio in pietra. Accanto, il Patronus di Meresankh, una grande e vecchia leonessa. E' seduta composta e solenne, ti guarda. «Vieni»




 
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Mi estranio, seguendo solo la mia voce. Ogni bassa parola mi giunge ovattata, accarezza le pareti, sfiora i piedi delle statue della Dea in segno di assoluta fedeltà.
Ho gli occhi chiusi per permetterLe di guardarmi, di giudicare la mia Fede, di scrutare nel mio cuore e scorgere la purezza della mia devozione.
Il mio intero Ka è rivolto agli Dei, nella speranza di una Vita Eterna da Loro benedetta; è per questo che voglio vivere ad ogni costo –ed non sopravvivere.
Per un istante non odo la voce che si insinua nella chiusura del mio inno a Sekhmet, talmente sono assorto nella mia preghiera. Poi mi giunge lontana, roca come la mia voce, come la voce di mio padre, un tratto che ci accomuna tutti e tre. Rimango inginocchiato ancora per qualche secondo, in silenzio, in un ultimo appello alla mia Dea.
Dammi la forza.
Mi rialzo piano e chino il capo in un ultimo saluto agli occhi terribili della Signora della Guerra sul dipinto sopra di noi. Poi, finalmente, posso voltarmi verso mia nonna.
Benché si sia incurvata un po’ con il passare degli anni, la sua statura è sempre stato motivo di grande soggezione pur incarnando perfettamente l’aspetto di quella che, nell’immaginario comune, deve essere una Sacerdotessa. Una bellezza austera, severa, ancora si intravede sulla pelle scura, dietro le rughe che le solcano il viso e attorno al naso leggermente aquilino. Il suo profumo di acacia e miele, di mirra e incenso, lo stesso speziato che ritrovo qui, mi abbraccia.
« Nonna. » Sussurro; ormai mi sono abituato al fatto che utilizzi il mio nome per intero. E, come ogni volta, percepisco l’orgoglio nel pronunciarlo.
La sua mano risale la mia spalla e, tra le dita ingioiellate, sento la morbidezza della sua stretta; non è mai stata una nonna affettuosa, di quelle che ti preparano le torte al compleanno o ti tengono sulle ginocchia. Mia nonna è un sacerdote e un guerriero, è nel suo –nel nostro– sangue; solo dopo viene la donna. È allora che percepisco un affetto rude, ma reale. Solo che, adesso, non riesco a stringerle le mani, non riesco ad abbassare il capo per toccare appena la sua fronte come l’ho sempre salutata fin da bambino.
Le sue dita, calde, mi sfiorano la voglia quasi con referenza e io abbasso la testa per permetterle –solo a lei e a pochissimi altri– di toccare la pelle rossa come il sangue sui denti della Dea che mi verga l’occhio sinistro.
Ma le mie pupille la scrutano nel tentativo di captare qualcosa nel suo sguardo indurito dall’età e da chissà quante storie di cui ignoro la trama e il finale.
Come quella per cui sei stata punita da Sekhmet, ad esempio.
Mi chiedo se mai avrò il coraggio di chiederglielo. Forse, penso mentre la sento allontanarsi, forse no. Non le rispondo, un po’ perché il tono accorto sotto l’ordine mi colpisce, un po’ perché l’ansia continua ad agitarmi. Ciononostante sento la mano di Hator, forma benevola della nostra Signora, laddove c’è ancora il calore di quella di mia nonna. La seguo verso il suo studio, piccolo, nascosto, invisibile. Guardo con tenerezza la leonessa perlacea che mi osserva con impassibile eternità negli occhi lucenti. Nonna ha sempre avuto quest’abitudine di evocare il suo Patronus come se fosse una proiezione di Sekhmet ed io, da piccolo ma anche più recentemente, mi ci sono affezionato come se fosse davvero reale come un grosso gatto troppo cresciuto.
Noto in cima a tutta la pila di pergamene e papiri, minuziosamente sistemati ai lati della scrivania, la mia risposta aperta, nient’altro più che un cartiglio, e faccio una smorfia.
Mi ci vorrà ben più di un’anfora di vino per parlare.
« Li accetto volentieri, se sono la premessa di un lungo discorso. » Non riesco a scrollarmi di dosso il gelo che provo, benché Meresankh sembri ben disposta.
Mando giù il groppo di angoscia e ammorbidisco la freddezza dei miei occhi.
« Ebbene, sono finalmente qui: parlami nonna. »
Forse anche questa, in fondo, è una preghiera.


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▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
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"tempio di sekhmeth"
E' vero, Horus. Meresankh non è mai stata la tipica nonna. Non ti ha mai fatto trovare i biscotti in casa al tuo rientro, con una buona tazza di latte caldo. Non ti ha mai portato al parco a trovarti con altri bambini, né ti ha letto storie della buonanotte. Lei è - invero - un guerriero ed il suo corpo è consacrato per servire una Dea violenta e docile, pertanto niente ha potuto o voluto contro tutto questo.
Il suo sguardo sa incutere timore reverenziale, così come una sua carezza può salvare, rasserenare. Intorno a lei le Sacerdotesse fremono, le nuova ancelle sussurrano, e nessuno osa contraddirla. Una sua parola sa mettere a tacere una lite, ed a volte basta solo la sua presenza per ridurre tutte in preghiera.
Questo potere ha le sue lame celate, ha le sue spine, e non per nulla tuo nonno è l'esatto opposto. Dolce e paziente Semna, il porto sicuro in cui Meresankh si rifugia, nonché il solo ad aver visto le sue crepe ed i suoi cedimenti. E' creta che si modella contro le sue ferite, senza mai retrocedere di fronte ad una lite.

5mtQebG
«Lo sono, invero» mitigata dal tuo buon proposito di parlare a lungo, ti sorride incurvando appena le labbra. Nulla che mostri i denti, o che sia di troppo slancio. Solo quella calma - irreale - prima della tempesta. Ma così è lei, uno stiletto nascosto dietro la schiena, che sa pugnalarti convincendoti che sia solo per il tuo bene. E' questo che temi adesso?
Lei, per contro, si muove solenne oltre le alte colonne, per accedere all'area riservata a voi due. In sé ha la forza di cento leonesse strette in petto, e - tuttavia - il suo piegarsi è lento. Non può sedere a terra trai cuscini come quand'era più giovane, usa uno sgabello in rialzo, che abbia un piccolo schienale. Ti allunga una mano per chiedere - senza mai aprir bocca - di aiutarla ad accomodarsi. Il tutto senza mai dismettere quel senso di intoccabilità che la circonda. E' lei che ti concede di aiutarla, non viceversa.

Come lei si siede, la leonessa eterea assume la posa di una sfinge. Gli occhi di Meresankh puntano dritti ai tuoi, taglienti come pietre. Hanno il potere di impedirti i movimenti, raggelandoti prima ancora che ti parli.
«La cerimonia avrà luogo tra due mesi esatti, da oggi. Pertanto avremo bisogno di prepararti a dovere, spero tu abbia modo di comunicare con il Ministero londinese. »
Non batte ciglio, non accenna un arretrare neanche del pensiero, neanche per scherzo. Ti scruta come chi immagina che tu sia qui per accettare le sue condizioni, a prescindere.




 
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view post Posted on 15/8/2023, 22:05
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È una guerra, questa, e ne siamo entrambi consapevoli; una battaglia come quelle che la nostra Dea benedice. Io e te, nonna, ci osserviamo come due avversari, cortesi, ma dallo sguardo affilato come lance. Ti porgo il braccio che mi chiedi in silenzio, sento le tue dita fragili artigliarmi come le unghie della leonessa che ci segue con lo sguardo. La sento la tua gracilità, sotto questa coltre di sacralità intoccabile che ti ammanta come vesti troppo pesanti per il tuo corpo. Eppure ti sostengo, seguo il tuo movimento con sguardo accorto, controllo mio malgrado che le gambe ti reggano. Non lo ammetteresti mai, nemmeno a me, nemmeno a nonno Semna –credo– che l’età sta avanzando anche per te. Scelta da Sekhmet o meno.
Forse, molto in fondo al mio cuore la posso comprendere la tua urgenza, penso mentre finalmente ti accomodi ed io faccio un passo indietro, ancora restio a sedermi tra i cuscini a terra.
Seguo i filamenti candidi che ormai sono i tuoi capelli, un tempo rossi come i miei; sono la ragnatela che conduce a quella che hai sul volto, un intrico labirinto di rughe che guida fino all’insondabilità delle tue iridi di granito. Quante adepte hai fulminato con questo tuo sguardo glaciale? Mamma ha sempre detto che sono io, e non mio padre, ad aver preso da te la durezza negli occhi, la freddezza che spesso rivolgo agli altri. Anche a Sitra, mi dico con una punta di rimorso.
Infine mi siedo anche io, nella morbidezza del lino che in realtà sento come un letto di spine. Incrocio le gambe poggiando le braccia sulle ginocchia ed alzando il viso in tua direzione. Sono sempre stato abituato ad essere al tuo cospetto in questo modo e nonostante io mi senta incazzato con te per tutta questa maledetta storia in cui vuoi incastrarmi, anche ora non manco al mio dovere e ti porto il dovuto rispetto. Qui, nel tempio, sei tu che comandi come diretta mano di Sekhmet e non posso negarlo.
E tuttavia, quando apri bocca, il mio viso si immobilizza ed è allora che i tuoi occhi vengono riflessi nei miei e i nostri sguardi si incrociano, gelando persino il fuoco che arde attorno alla statua della nostra Signora; sono lame di due spade che fanno stridere l’acciaio che riverbera nelle nostre iridi.
Non sono stupito dalla sicurezza con cui sei ancora convinta che seguirò i tuoi piani.
L’ho visto dagli occhi stanchi di Sitra, dall’ombra delle occhiaie sul suo volto, ben nascosto dal kajal nero che la tua follia sta toccando vette troppo alte persino per te.
L’ho letto nella lettera che mi hai mandato e l’ho percepito persino durante tutto questo tempo lontano da qui: è un filo che inevitabilmente si stava stringendo sul mio polso attendendo solo il momento che io venissi qui per reciderlo.
« Prepararmi? » La mia voce è poco più di un sussurro. Ripenso a quanto ho promesso a Sitra, alle sue parole e proseguo celando il fastidio che mi fa prudere le mani.
« A convincermi, vorrai dire. » Come le colonne che mi hanno condotto fin qui, il mio tono è duro come diorite e come essa altrettanto cupo.
« Né io, né Sitra vogliamo questo. » Non ho intenzione di vacillare e raddrizzo la schiena, orgoglioso tanto quanto te. Del resto, quante volte mi sono sentito dire che sono il tuo degno nipote?
« Gli Dei non vogliono un matrimonio nato da una costrizione. Sekhmet non desidera un’erede nata dall’infelicità. » Le mie parole sono di una dolcezza estrema che tuttavia cozza con la loro risolutezza; le palpebre sottilmente socchiuse scoprono a malapena gli occhi velati dalle ciglia mogano. Ti osservo dal basso verso l’alto, ma nonostante questo non ho paura di te.
Né dell’ira degli Dei perché lo so, lo so che sono nel giusto, nonna.


– Tell me would you kill to prove you're right –

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [1xQuest] (usato come orecchino)
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Generi di viaggio.
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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view post Posted on 15/8/2023, 22:46
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Il Fato

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"tempio di sekhmeth"
Meresankh è un'abile stratega. Per quanto il suo corpo possa esserti - agli occhi - fragile, sai bene più di altri che l'età non ha intaccato la sua mente. E' solo il corpo che di tanto in tanto arranca. Come è giusto che sia, e lei certo non si affanna a negarlo. Nel suo involucro di puro orgoglio, sa quando tendere una mano per farsi aiutare e quando, invece, alzarsi da sola.
Ti permette di accomodarla, forse sapendo che lei di per sé non sarà per nulla accomodante con te. Lo sai come agisce, come ti parla, non è una donna con cui è facile scendere a patti.
Meresankh non è solita offrire una contrattazione, di solito ciò che dice è ciò che accadrà. Se non ora, domani, o al più fra qualche giorno.

Lei che nell'ascoltarti, porta elegantemente un calice alle labbra, sorseggia piano quel vino che scende dolce e aspro in gola. Ad intimorire più delle sue parole, sono i suoi silenzi. Semna ha imparato a decifrarli, e per quanto possibile, anche tu. Perciò sai che quando non ribatte aspramente e diretta alle tue parole, ma le ascolta con il calice che le copre gli occhi: puoi iniziare a temerla. O ad affrontarla, come meglio senti di volere.
Leoni e leonesse conoscono il loro posto nella scala gerarchica, e tuttavia il rispetto per il più saggio arriva sempre sul filo del rasoio. In bilico tra l'allontanare la bestia troppo vecchia per la sua utilità o prosciugarla per apprendere il più possibile e mantenerla così in vita, nutrendola con costanza e rispetto.

Tua nonna abbassa il calice sull'onda delle tue ultime parole. E' seria. Intercedere per la Dea non è qualcosa che puoi fare tu, neanche appellandoti al suo buon cuore da divoratrice. Neanche sperando di osare un contatto simile a quello che Meresankh può vantare. Ed è questo che con lo sguardo ti sta dicendo: lei è l'emissario, non tu.

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«Credi sia questo che ti ha detto Sitra?» glissa sul tuo rifiuto come se tu non l'avessi espresso, come se tu avessi aperto bocca senza emettere fiato. Le tue rimostranze sono capricci agli occhi di un piano maggiore, e lei sa che colpa e causa di tutto questo sono riconducibili ad un'altra donna: tua madre. Certo non la chiama mai in causa, e probabilmente mai lo farà, non vuole portarti al punto di rottura. Meresankh deve tenerti sul filo del legame, senza spezzarlo ma senza lasciarti libero.
«Ti fai portavoce di un errore, nipote mio» e non solo uno, vorrebbe aggiungere, seppur la sua voce giunge come una carezza zuccherina, affettuosa e sicura. «E' il tuo rifiuto che la esaspera, non il vostro tributo alla Dea». Silenzio.
E' il tuo rifiuto, Horus. Non il matrimonio, non l'essere sottoposta alla purificazione dolorosa dell'anima, è che quale senso avrebbe passare attraverso tutto questo, già sapendo di non essere amata?
Ed è anche un modo per Meresankh di discolparsi, pure mantenendo il tono di chi è pronto a spiegarti sulle donne qualcosa in più.
«Ciò che Sekmeth desidera, risulta difficile solo per te» frusta, sul finire.




 
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view post Posted on 15/8/2023, 23:55
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PS 331 PC 253 PM 300 EXP 89
Stavolta sono io ad accettare di buon grado il calice di vino che galleggia in attesa di essere afferrato. Non guardo nemmeno le mie dita cingere lo stelo, ma mi porto la coppa alle labbra e sorrido, nascosto dal metallo, alla bevanda speziata che mi imporpora le labbra e si arrotonda sulla mia lingua. Mi concedo il mio tempo, guardo l’avanzata della tua mossa su questa immaginaria scacchiera, ma ancora una volta non mi sento tangere dalle tue parole.
So cosa stai tentando di fare, ho imparato a conoscerti con il tempo. Socchiudo gli occhi per prendere un altro, generoso sorso —forse per farmi coraggio— e quando abbasso finalmente il bicchiere, non c’è più traccia di riso sul mio volto.
Il nostro tributo.
Riderei, se non fosse blasfemo. Se potessi, guarderei gli occhi rossi del dipinto per trovare in Lei la risposta che cerco. O, piuttosto, di trattenere la mia lingua prima di andare oltre il limite consentito. Perché i dubbi su ciò che può essere accaduto cinquant’anni fa sono ancora lì, sulla superficie della mia mente, e richiedono asilo nella verità che, mi dico, non saprò mai. Eppure a che prezzo? Che prezzo sei disposta a pagare? Incatenarci uno all’altra in un legame che nessuno dei due vuole.
« Sí, lei è molto devota. » Sottintendo.
« Ma è stata Sitra stessa a chiedermi di intercedere con te e porre fine a tutto questo. »
Probabilmente ne sei già a conoscenza e hai cercato di circuirmi addossandomi la colpa del mio rifiuto, come se tutto questo dipendesse solo e soltanto da me. Ma tu sai fin troppe cose e ancora mi chiedo, tra l’altro, come potevi conoscere il mio orario di arrivo, tenendo conto del fastidioso imprevisto.
Dura solo un frammento di secondo la titubanza che provo, scaturita dall’eco nelle orecchie della voce di Cavendish. Deglutisco a fatica e porgo il calice vuoto alla brocca che silenziosa versa altro vino gorgogliante.
Prendo tempo sorbendo un altro sorso, spingendo l’orribile sensazione scaturita dal ricordo di quanto accaduto in fondo al cervello; verrà anche questo momento.
« Evidentemente non sono solo io a trovare difficoltoso il… » alzo lo sguardo con un cipiglio irriverente. «…tuo volere. »
È una stoccata di cui mi pentirò, forse, ma non intendo spostare la lama. Incalzo su quella che è la mia assoluta convinzione e sebbene sappia che non sarà abbastanza per scalfirti, preparo il colpo per la prossima parata.
O per la mossa successiva.


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– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [1xQuest] (usato come orecchino)
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo.
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Tasca posteriore]
▸ SACCHETTA MEDIEVALE: All'interno è stato praticato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile [x5 oggetti medi][+3 PC +1PM][Agganciata alla cintura]
All'interno:
– Generi di viaggio.
– Mantello della resistenza: Protegge dalle fiamme. [+8PC]
– Guanti Sostegno del Paladino: Guanti ignifughi, impermeabili, resistenti all'acido, alle basi, al freddo... Proteggono le mani da tutti gli elementi naturali e da colpi fisici.
– Artiglio di Fenice: Usato come ciondolo protegge parzialmente dalle ferite. [1xQuest]
– Polvere Buiopesto Peruviana: Permette, se lanciata in aria, di far calare l'oscurità a proprio piacimento. Ottimo se usata come diversivo prima di una fuga. [x2]

▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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