| -Almeno fino a stamattina, sì. Sono, rispettivamente, mia nonna e mia madre.- Fu come se una silenziosa bomba atomica – fosse esplosa all’improvviso. Adeline sgranò gli occhioni chiari – senza neanche sapere più di avere un paio di occhi – ed entrò in apnea, trattenendo il fiato in due polmoni a suo dire altrettanto inesistenti. Ma esisteva ancora, lei? Esisteva ancora qualcosa - qualunque, cosa - Esisteva ancora il mondo – poteva ancora esistere, se, Adeline Walker avrebbe giurato, sotto i suoi piedi il terreno cedeva – ma quale terreno poi – quale corpo – e tutt’attorno le pareti crollavano, il vuoto incombeva, divorava, risputava e ingurgitava masticando ancora – Esisteva ancora – Esisteva ancora.
I polmoni in fiamme, lo sguardo di bosco e di mare si era piantato sui lineamenti del mago – se dapprima in metodico e incuriosito studio – ora come le vitree iridi di una statua di marmo, un corpo fossilizzato nel tempo e nello spazio una lapide, allora la cui anima sradicata si faceva e disfaceva e rifaceva continuamente confusa, ingarbugliata, senza perni o punti d’appoggio di sorta. Gli gravitava attorno, quell’anima, a quel ragazzo – e lo faceva come se dalla sua sola presenza in quella stanza ne dipendesse la sua vita e la sua sopravvivenza stessa. -Cecilia, Adeline e Ameliè sono sorelle, figlie di Lilien Shaw.- Quanto tempo era passato? Un’eternità, probabilmente, le labbra ancora premute in assordante silenzio, i polmoni svuotati – solo al sopraggiungere di ciò che, ordunque, pareva quindi ovvietà - ovvietà - per i più, Londra con un piccolo respiro mozzato e dolorante aveva ripreso a respirare muta – un oceano inquietantemente taciturno e immobile nascosto entro il suo costato, un gorgo oscuro senza confini né orizzonti congelato nello spazio tempo, in una dimensione in cui il più piccolo granello di polvere adesso, cadendo, avrebbe lacerato i timpani. Un’eternità - prima di rendersi conto che quell’oceano tanto normalmente fragoroso e caotico quanto ora silenzioso e fisso, immobile - chissà poi per quanto? - qualcosa di sé stava a onor del vero cedendo e rivelando al mondo esterno, in silenziosa testimonianza di un cuore che ancora, incredibilmente e persino per Adeline, batteva: gocce, calde – in realtà – e salate – comunque – a percorrerle le guance di perla e di marmo senza che null’altro nella Medimag si muovesse, battesse ciglio, desse la sola impressione che fosse viva. Ma i polmoni immettevano ed emettevano aria come piccoli mantici ancora a lavoro, il muscolo cardiaco, nascosto, batteva, le lacrime scendevano in quel modo che è un modo di pochi - come quando ad un bicchiere già pieno aggiungi ulteriore acqua – acqua che inizia così a strabordare, scivolando silenziosa, quasi penitente, rammaricata e mortificata di questo suo gesto – … e i timpani, i timpani vibravano. Vibravano al suono di una storia – vibravano rabbrividendo a quei suoni di quella storia. Londra non riusciva a distogliere lo sguardo dal mago – ma al contempo in realtà ascoltava, tremava e inorridiva – allo sciogliersi e dislegarsi di quei nodi e intrecci, al riempirsi di quei vuoti. Ascoltava quella storia – una storia pregna di amore e cura quanto di odio e violenza – una storia con talmente tanti personaggi, che ad Adeline quasi girava la testa. Aveva la nausea. Era troppo. Era tutto troppo.
Quando la terza missiva le arrivò tra le mani, Londra faticò a leggerla e ad elaborarne il contenuto. Quelle righe, quelle ulteriori informazioni, furono memorizzate in un angolo buio del suo metodico cervellino – ma lì sul momento, in questi istanti di ghiaccio, Adeline a malapena percepì il lieve singulto di un battito mancato alla parola “nipote”. Ne aveva abbastanza. Era stanca, era esausta. Aveva la nausea – un’emicrania impellente, le dolevano i muscoli per la rigidità inconsciamente imposta, il suo unico e solo desiderio all’improvviso era quello di smaterializzarsi via, lontana da quella stanza – lontana da quelle persone – lontana da quella storia di violenza ed abbandono a quanto pare marchiati a fuoco nei suoi geni ben più di quanto mai si fosse aspettata. Dopo vent’anni abbondanti di vita aveva scoperto il suo vaso di Pandora – anzi, glielo avevano più o meno letteralmente gettato in faccia, e tanti cari saluti – e adesso? Da brava discendente di Pandora, ciò che le aveva rivelato quel gesto l’aveva fondamentalmente ferita - aveva liberato nel suo mondo demoni e mostri degni solo dei suoi incubi più bui – e in ultimo l’aveva lasciata lì, inerme, svuotata, a contemplare ciò che accartocciato rimaneva sempre, in fondo ad ogni vaso.
Trovò a malapena le energie per passare la fragile testimonianza su carta a quel ragazzo - quel ragazzo - che, ne era certa, avrebbe popolato le sue notti insonni, insieme a quei due nuovi e sconosciuti nomi – per la prima volta nella vita di Londra – legati al suo ma diversi. Lo osservò ancora per qualche interminabile attimo – per poi voltarsi, tornando a far disperdere lo sguardo chiaro oltre la finestra incredibilmente ancora intonsa, in una stanza di fatto ancora intera, in una città inesplosa, in un mondo che ancora viveva, a quanto pare, ancora viveva a dispetto di tutto. "Basta". Avrebbe recuperato l’energia necessaria per smaterializzarsi e null’altro – e anzi, sino ad all’ora.. avrebbe fatto esattamente come Pandora:
[lasciata lì, inerme, svuotata, a contemplare ciò che accartocciato rimaneva sempre, in fondo ad ogni vaso.]
Edited by Adeline Walker - 8/4/2024, 09:30
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