| Ho di nuovo sete, ma penso che se mi fermassi ancora, al Testa di Porco o altrove, peggiorerei solo l’improvviso senso del dovere di Alice. Devo resistere, anche se mi si è seccata la gola e il sapore di sangue ci si è stagnato di prepotenza, come ogni volta che un principio di panico mi assale. È snervante, addirittura avvilente… Non mi capitava da un po’. Non così. Mi ci sono voluti mesi per convincermi di non essere così tanto inadeguato insieme a Megan ed è bastata una minima incertezza per rimescolare le carte in tavola. Mi sento ancora a disagio all’idea di stare con lei insieme ai suoi amici o a scambiarci effusioni a scuola, ma credevo di non essere più così insicuro riguardo noi due. Realizzare quanto fragile sia tutto questo è stato come essere travolto da una valanga. Non me l’aspettavo, mi ha colto di sorpresa, ma non impreparato; tristemente, è qualcosa a cui sono abituato da tutta la vita. Quando si tratta di Megan è solo più intenso. E se resti in vita dopo che una valanga ti ha travolto, che fai? Resti a contemplare il casino che ti circonda, chiedendoti come sia potuto accadere, oppure ti alzi e te ne vai, sollevato di essere sopravvissuto? Nell’analogia, ho sempre agito come quello che si alzerebbe e riprenderebbe a vivere come se nulla fosse. Non so se sia un modo giusto o sbagliato. Non so nemmeno se esista, in una circostanza simile, un modo giusto o sbagliato di agire. È semplicemente quello che farei io. E lo faccio, da sempre. Così com’è successo, è finito. A ricordarmi la brutta esperienza resta solo il mal di gola. Mi passo le mani tra i capelli per tirarli indietro e togliermi, almeno in parte, il calore che quel dannato sole mi sta facendo patire. Ho la fronte sudata e, mentre maledico il caldo e l’arsura, continuo a guardarmi intorno, cercando di adocchiare i ragazzini nella vana speranza di riconoscere almeno qualche volto. Mi distraggo al punto che, quando le parole di Alice mi assalgono, mi fermo di botto e mi ritrovo con le braccia ancora a mezz’aria e la bocca spalancata. Quel fiume di parole mi arriva, se possibile, più inatteso dell’attacco di panico. Un altro imprevisto impossibile da prevedere, con la differenza che una cosa così non l’ho mai gestita. Abbasso le braccia. Riesco a chiudere la bocca, ma la faccia resta distorta in un’espressione smarrita: le sopracciglia inarcate, gli occhi sgranati che la fissano come se non l’avessi mai davvero guardata con tanta attenzione. Il punto è che le donne incazzate mi terrorizzano. E Alice è furente. Se non fossi io la vittima di questo sclero, riderei nell’immaginarla col fumo che le esce dalle orecchie e un fischio alla Looney Tunes in sottofondo. Il problema, però, è che la vittima sono io. Anche l’artefice, a giudicare dalla sfilza di accuse che mi riversa addosso. Faccio fatica a elaborare tutto ciò che mi dice, ho una percezione lenta quando si tratta di interagire con le persone, ma mi ci impegno. L’unica cosa che so per certo è che, se una donna si incazza con te, devi chiedere scusa. A prescindere. Nel dubbio, chiedi scusa e almeno qualche punto difesa lo guadagni. Però la via che prende il discorso isterico di Alice va affrontato, in qualche modo. Credo. Non so come, ma credo necessiti di una risposta più articolata di un solo e semplice ‘scusa’. Più lei prosegue nel turpiloquio, più mi accorgo di stare gradualmente a indietreggiare come dinanzi a un leone ferito. Sono pienamente consapevole di non essere tanto migliore della gente di cui si circonda, ma ciò che mi contraddistingue da tutti loro è che non l’ho mai presa in giro. Sfruttata? Sì, anche parecchio. Ma senza nasconderlo. Non l’ho mai gettata in un angolo da sola a leccarsi le ferite. Cazzo, passo con lei il 70% delle mie giornate in questa cazzo di scuola. Passo più tempo con lei che con la mia ragazza!
Non lo so che significa essere amico di qualcuno. Mi dispiace. Ma non mi dai fastidio, anche se sei impicciona e iper-disponibile con chiunque all’inversomile e non fai altro che ridere anche quando ti rode. Non sei irritante quando parli, il più delle volte. E di solito la voce della gente mi snerva. È divertente quando ti incazzi in tedesco o mi idispettisci per ogni minima stronzata che fai o perché non hai voglia di studiare. Se questo fa di te la mia amica, per me è ok. Se non vuoi, va bene uguale. Lo capisco, non ti biasimo. - rispondo, sollevando le spalle. Prendo un respiro profondo che sa quasi di sbuffo. Parlare lo trovo sfiancante, non so farlo mai nel modo giusto e ho l’immediata impressione che possa travisare il senso delle mie parole. Non credo di averne altre, però. Che senso avrebbe spiegarle che sono fatto così? Sono fatto male, forse, dal suo punto di vista. Non lo faccio di proposito a essere così disinteressato. Non sempre mi piace essere in grado di fregarmene di tutto e di tutti. È un’abitudine, un’indole. È complicato. Con Megan non ho mai dovuto pensarci, viene tutto naturale e basta, è sempre stato istintivo l’interesse per lei. Non so perché non ci riesca anche con altri, con degli amici. Con Alice.
Scusa.
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