Blurred Lines, privata

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view post Posted on 28/12/2023, 17:55
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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Lui si alza e lo fa prima di me. Non ho mostrato alcuna pietà per il bambino rannicchiato con le mani sulla testa, ho sostenuto lo sguardo fino a quando non ha deciso di guardarmi.
Lì - solo lì - sono crollata. Ora vedo la sua insicurezza, posa sulla macchia verde muschio delle iridi in penombra; gli occhi lucidi.
Il cuore si stringe. Provo compassione. Non per lui, per me che rimango immobile, ai bordi del sedile, aspettando che l’ennesima scena della mia vita giunga ad una fine. Un ulteriore addio, ciò che temo di più: perderlo.
Fa qualcosa!
Lo seguo mentre si sposta lungo lo stretto e breve corridoio e mi blocca il passaggio. Non muovo un muscolo, è come se d’un tratto non fossi più capace nemmeno di sollevare un braccio, di stare semplicemente in piedi. Oltre alle mani, anche le gambe hanno preso a tremare e me ne accorgo ora: sento le assi di legno cigolare sotto al mio peso.
Alzati! Va via!
Te lo avevo detto che non avrebbe funzionato!
Scuoto la testa e chiudo gli occhi. I rumori sullo sfondo tornano ad essere lontani e non rimango che in balia dei miei pensieri, di nuovo.
Perché lotto per restare? Mi chiedo. So già quale è la risposta.
«Ne è valsa la pena?» La voce di Draven.
Torno su di lui. Il cuore batte forte, pulsa nel collo tentando di strappare la pelle e di nuovo il terrore mi irrigidisce.
Cosa? Chiedo in silenzio.
«Stare con lui per non stare con me…»
Lui risponde. Mi guarda. Tutto racchiuso in un rapido secondo.
La rabbia copre la paura; di nuovo è un gioco di equilibri che viene spezzato e si ripete…
«Non è una gara, Draven. Non c’è mai stata una gara» dico sprezzante. La luce che rifulge nelle iridi è una scintilla che ribolle nell’oceano freddo, tenebra.
«non ho mai dovuto scegliere, ma a quanto pare tu lo stai facendo per me» gli rivolgo il profilo. Non riesco a sostenere il suo sguardo, mi sento vulnerabile. Lo sono.
Le palpebre tornano ad inumidirsi e roteò gli occhi in tutte le direzioni per non lasciare sfuggire alcuna lacrima. Trattengo un profondo respiro e questa volta mi alzo. Guardo Draven dritto negli occhi con estrema fatica e parte di me spera che lui ne colga solo verità.
«Non è successo niente» torno a sottolineare per la seconda volta e la voce trema. È di questo che ha bisogno? In quale altro modo pensa che io possa tranquillizzarlo?
«Ho solo avuto paura di perderti, per questo non te l’ho detto, ma…» abbasso gli occhi, seguo i suoi vestiti e guardo le mani che vorrei stringere e sentire addosso: una carezza, la leggera stretta alla quale aggrapparsi con forza.
Un passo avanti, accorcio la distanza.
«A quanto pare è troppo tardi, vero? Hai deciso che è finita?» la voce si rompe sul finale e questa volta una lacrima sfugge, accarezza le ciglia sino a posarsi sulla mia guancia. È fredda, la sento scendere al mento e cadere sul petto. Un tacito tonfo, risucchiato dal tessuto della felpa. Non mi muovo, non mi nascondo. Ho arrestato il passo a pochi centimetri da lui.
«Stai scegliendo per me seguendo basi che non hanno fondamenta se non quelle dettate da una stupida ragazzina gelosa» l’accenno di rabbia è evidente sebbene le parole escano quasi in un sussurro: il tono è basso ma scandisco ogni singola parola affinché possa arrivare chiara.
«Incredibile!» scopro un sorriso insolente, «Avete tutti questo assurdo vizio di fare cose per gli altri e vi convincete che sia la cosa giusta, esatta» scuoto la testa. Con il tempo ho scoperto che questo genere di comportamento è solo una patetica faccia dell’egoismo più riprovevole.
«Non ho mai pensato di uscire da qui e non rivederti mai più, ma tu...Tu».
Lo guardo senza staccare gli occhi dai suoi. Così: mento alto, spalle dritte e mani e gambe che tremano.
«Ora, se non ti dispiace…»
Voglio uscire da lì.
Fa troppo male.


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Edited by Megan M. Haven - 28/12/2023, 19:15
 
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view post Posted on 31/12/2023, 01:38
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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Il distacco che leggo nei suoi occhi mi fa immediatamente pentire di aver alzato lo sguardo. Nonostante la frustrazione e il dolore, non voglio affrontarla. Chino la testa, la incasso tra le spalle.
L’idea che il nostro rapporto sia così instabile da crollare come un castello di carte al primo imprevisto, mi devasta. Ma la realtà che mi sono rifiutato di affrontare è che è da settimane che c’è qualcosa che non va tra di noi. Che sia dipeso dal Tassorosso o da qualcos’altro, a questo punto nemmeno mi interessa più… Perché, in ogni caso, non saprei come rimediare.
Il dolore aumenta; in qualche modo, inizia a farsi rincuorante. È una sensazione familiare.
Sposto il peso da un piede all’altro. Le oscillazioni del treno rendono ancora più difficile riuscire a tenermi in piedi; mi sento stanco, come se fossi stato in allerta, in questi lunghi mesi insieme, nell’agognante attesa di farmi male. Perché è iniziato tutto storto tra di noi. L’ho praticamente costretta a stare con me, quando a malapena le piacevo. Forse non ho il diritto di sentirmi deluso… Ho preso, più e più volte, avidamente, tutto ciò che ha potuto darmi e le ho dato in cambio nient’altro che l’illusione di essere in grado di metterla al primo posto e renderla felice.
Questo non è il comportamento di una persona felice. E di certo non l’ho messa al primo posto. Perché ha ragione: sto scegliendo per lei. Decido per lei, come ho sempre fatto. Perché sono le mie necessità a dettare le regole.
Incrocio le braccia al petto, resto appoggiato di schiena alla porta perché sto ancora elaborando la situazione e non posso lasciarla andare così.

Non ha il minimo senso. - mi limito a rispondere, quando cerca di spiegarmi. E lo penso davvero, perché se non fosse successo niente, non ci sarebbe stato alcun problema a parlarne prima. Le persone mentono per coprire verità che vogliono tenere nascoste. Se mi ha tenuto nascosto del Tassorosso, per mesi, non posso nemmeno provare a ipotizzare quanto altro abbia omesso.
Non voglio perderla, ma credo che il problema sia che voglio che mi ami quanto l’amo io ed è l’unica cosa che non posso decidere per lei. Non che non c’abbia provato, ma questo è il fallimentare risultato dei miei tentativi.
Sospiro. Da quanto forte mi batte il cuore, riesco a malapena a sentire i miei pensieri.

Non ho deciso niente, sto cercando di capirci qualcosa. - ribatto sincero, con lo sguardo ostinato sul pavimento. La sua voce incrinata rischia di destabilizzarmi ulteriormente, ma non cedo. Vorrei chiederle di tutto, vorrei che mi dicesse ogni cosa, ma il lato peggiore di me sembra più intenzionato a spingerla a parlare di sua iniziativa, portarla al limite, metterla alla prova. Come ho sempre fatto…
Le sue parole trasudano rabbia, una frustrazione per non detti che riemergono a galla da chissà quali meandri.
Vorrei che mi spiegasse perché si sente così. Cosa sia stato nello specifico ad attivare questo senso di rivalsa nei confronti di se stessa. La sento issare un muro come non ne vedevo da mesi e che, con fatica e resilienza, mi sono ritrovato più e più volte a disintegrare, pezzo dopo pezzo. Un ulteriore fallimento. Un ulteriore dimostrazione che, no: io non faccio niente per gli altri. Tantomeno di giusto, nemmeno per lei. Non sono come tutti. Non sono ciò che crede.
Inarco un sopracciglio, le braccia tornano lungo i fianchi e mi sposto da davanti la porta. Ho preso la mia decisione: non per le idee più chiare, ma per fedeltà alla mia indole.
Avrebbe la possibilità di andarsene già così, ma rincaro la dose: prendo le sue cose e gliele poso di fianco, a terra.

Sì, mi dispiace, ma sei sempre stata libera di fare il cazzo che ti pare.


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view post Posted on 4/1/2024, 14:55
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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Ogni singola parola di lui e espressione effimera del suo volto, riapre in me profonde ferite; altrettante affiorano sulla pelle, nuove.
Il dolore che provo ha un sapore diverso.
Le gambe cedono. Il pavimento trema sotto le assi di legno.
È oblio.
Le pupille si dilatano e il mio corpo si arrende ad un improvviso torpore che si dilaga come lo straripare delle acque di un fiume. Gli argini si spezzano e tutto viene sommerso. Affogo in quel fiume, ho bisogno di ossigeno e il cuore - maledetto cuore - non smette di battere con violenza nel petto.
Sostengo lo sguardo, mantengo la posizione mentre ogni parte di me si perde in un’infinita danza invisibile; in uno spazio privo di suono. Non sento niente, tutt’attorno è ovattato. Silenzio.
Voglio uscire.
Un silenzio che grida forte, un'eco sorda.
Voglio uscire.
Così, all’interrompersi di quell’apparente stasi, finalmente Draven si sposta.
È questioni di secondi, lo seguo con lo sguardo. Mi volta le spalle, prende le mie cose e me le poggia a fianco.
«Sì, mi dispiace»
Il cuore si ferma e per un istante spero che mi abbracci e mi dica che va tutto bene, ma tutto s’infrange alle parole successive ed io mi sento così stupida per aver solo pensato che potesse esserci una remota possibilità di stringerlo ancora.
Mi sposto appena, rivolgendogli il profilo.
«Ok…» dico piano, detesto il modo in cui mi sta parlando; stringo i pugni e le unghie si conficcano nei palmi.
Il cuore riprende a battere forte, risale in gola ed il senso di nausea apre una voragine nello stomaco che minaccia di farmi vomitare la misera colazione fatta qualche ora fa.
Abbasso lo sguardo sui bagagli e la testa gira tanto da dovermi sforzare a chiudere gli occhi e rimanere in equilibrio.
Il treno corre verso Londra ed io, adesso, ho solo voglia di tornare ad Hogwarts.
Pochi attimi. Mi chino a raccogliere le mie cose afferrando i manici delle valigie.
«Tutto questo non ha a che fare con la libertà. Lo siamo sempre stati liberi, entrambi» dico sconfitta.
Inspiro ed espiro. «Siamo tu ed io, Draven.»
È difficile rimanere lucidi; non smetto di guardarlo, temo possa essere l’ultima volta.
Vorrei gridargli addosso quanto mi stia facendo male ma il tono rimane quasi assente, un sussurro che copre appena lo stridio del treno sotto di noi e, forse, è anche peggio.
«Ci siamo detti tanto, abbiamo condiviso tanto… E tu, tu non ti fidi di me» scuoto la testa lentamente - perché? - «tu mi accusi di essere andata al letto con un altro» la voce torna a tremare e la rabbia mi esplode ancora una volta nella gola.
«Come puoi mettere solo in dubbio ciò che provo per te e banalizzare in questo modo?»
Gli occhi trattengono nuove lacrime ma non mi piego al dolore, non ora.
Ora va!
Rimango immobile come se non fosse abbastanza, come se aspettassi scoccare l’ultima freccia e trafiggermi definitivamente.
«Io ti credevo quando mi dicevi che non saresti andato da nessuna parte...»
Indietreggio e gli volto infine le spalle. La mano si spinge verso la maniglia, la porta scorrevole si apre. Ora sento ogni cosa andare in pezzi ma non posso rimanere lì, non posso permettergli di farmi ancora del male.


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view post Posted on 5/1/2024, 19:07
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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Mi ritrovo a passare in rassegna l’ultima ora su questo treno di merda, nel tentativo di capire quale sia stata la miccia che ha dato il via a tutto questo.
Abbiamo passato mesi insieme, quasi un anno in realtà, carichi di momenti stupendi, sì, ma con così tante bugie e omissioni nel mezzo, cazzo… Come si aspettava che reagissi in quest’ennesima occasione? “Grazie per avermi detto dopo sei mesi che hai incontrato di nascosto il tuo ex in un posto isolato nella speranza che nessuno vi vedesse, solo per non fare e dire niente”. Ed eccola qui, la scintilla. Non la causa scatenante di tutti i nostri evidenti problemi di comunicazione, impilati su materiale infiammabile in attesa di esplodere da ancor prima che venisse a galla questa faccenda, bensì il tocco finale.
Continua a balenarmi nella testa il modo in cui ha cercato di deviare il discorso su di me, sulla Petulante, esternando l’esigenza di volersi allontanare pur di non parlarmi più chiaramente. Forse sono più deficiente di quanto pensi, ma non riesco a capire. Perché mentire? Perché non essere onesta fin da subito, se non è successo niente? Perché dovrebbe aver avuto paura di perdermi se non ha fatto niente di male?
Sta mentendo. Mi aggancio a questa mancanza, unica mia condizione quando abbiamo iniziato a frequentarci e conoscerci.
Sono lì, fermo a un paio di passi da lei. Se stendessi un braccio potrei toccarla, con la punta delle dita potrei accarezzarle le guance, raggiungere la nuca e attirarla a me per abbracciarla. Penso che, perlomeno, siamo coerenti: io non ho mantenuto fede alla mia promessa di renderla felice, lei non ha mantenuto la sua di essere sincera.
Prima di questa circostanza non credevo nemmeno di averlo un orgoglio. Dopo tutto quello che ho fatto per lei! Mi sarei fatto camminare addosso e l’avrei anche ringraziata per avermelo concesso. Forse, inconsapevolmente, sono diventato avido; ho convinto me stesso di potermi accontentare di ciò che lei può e vuole darmi, quando non mi è mai davvero bastato.
Non voglio perderla per questo, né per null’altro al mondo, ma credo di non voler più rinunciare nemmeno a tutto il resto che per me ha valore.
L’ascolto. La testa di nuovo china, le spalle pesanti e gli occhi che si rifiutano di mettere a fuoco la realtà. Il cuore mi palpita nel petto a un ritmo preoccupante.
“Siamo tu ed io”, mi dice. Ciò che io stesso le ho detto, così tante volte. “Noi due contro tutti” e non perché non abbiamo nessun altro su cui contare, ma perché fin quando ci siamo stati l’uno per l’altra è sembrato tutto più facile. ‘Sembrato’ è la parola chiave… Mi 'sembra' di essermi appena svegliato dal sogno più vivido che abbia mai avuto.
Vorrei davvero dar retta alle sue parole, crederci. Ma no, non mi fido. Perché non credo che qualsiasi cosa provi per me sia reale. Perché non so scindere tra le menzogne ed è più facile diffidare delle parole, con la loro totale mancanza di concretezza.
Incrocio le dita delle mani dietro la nuca, copro parzialmente il mio viso tra gli avambracci. Avrei bisogno di un istante di silenzio per riordinare le idee e ritrovare il filo logico dei miei pensieri. Non riesco a pensare così.
Il dolore so gestirlo. È tutto il resto che mi sta mandando fuori di testa.
Non credo di aver mai parlato così tanto per così tanto a lungo. Sono stanco. Non voglio più discutere. Voglio solo stare da solo. Eppure, le sue ultime parole mi scatenano dentro qualcosa. È come se la pila di problemi fosse appena esplosa e venissi travolto dall’onda d’urto.

Certo che mi credevi, dove cazzo pensi che possa andare? Credi che se sei stata con un altro o no faccia alcuna differenza? Tu menti, menti sempre, e io decido di crederti a prescindere, perché non ho scelta. Non ce l’ho da quando ti ho conosciuto su quella cazzo di torre. Mentre stavi con lui. Mentre stavi con Casey. Io pensavo a te e non te lo potevo nemmeno dire per i tuoi cazzo di muri. Sono innamorato di te da allora in un modo che ti avrebbe fatta scappare. Perché è quello che fai. Sempre. Scappi. E io ti inseguo. Ogni volta e continuerei a inseguirti in eterno perché sei sempre nei miei cazzo di pensieri. - quasi lo grido, mentre le mani scivolano a spingersi contro le tempie.
Non avevo mai alzato la voce prima d’ora e non è minimamente sfogativo, in condizioni di frustrazione, come la gente lascia intendere. La gola inizia a bruciare non appena riprendo fiato, mi sento in bocca l’usuale sapore di rame e non so se sia perché ho lesionato l’ugola o perché stia per venirmi un attacco di panico.
Non abbiamo mai parlato così. Non avevamo mai nemmeno discusso.
Non so che cazzo succede.
Ho bisogno di un silenzio che mi pentirei di ottenere.
Deglutisco. Le braccia tornano lungo i fianchi, ho il fiato corto per aver parlato troppo velocemente. Raddrizzo la nuca fino a costringermi ad alzare lo sguardo a incontrare il suo.
Mi chiedo perché sia sul punto di piangere, quando quello in procinto di soffrire a morte sono io.

Tu hai pensato a me, almeno una volta, un secondo, mentre lo guardavi negli occhi e risolvevate i vostri conti in sospeso, qualsiasi cazzo di cosa significhi? In quante altre occasioni simili ti sei ritrovata senza che io possa saperlo? E mi vieni a dire che è un problema se una cretina mi ha parlato e non le ho dato credito? Che c’è di diverso? Che sei migliore di me? Grande scoperta del cazzo, già lo sapevo. - continuo, in tono decisamente più moderato, quasi in un soffio che proseguendo nel discorso svanisce.
Avvilito, indietreggio di un paio di passi.

Qualcosa dal carrello, ragazzi?


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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Draven mi urla addosso. Le dita premono sulla maniglia con più forza e invece di aprire la porta la tengo serrata. I polpastrelli bruciano sul legno.
Ogni parola, insinuazione, è un colpo che non riesco più ad evitare.
«Sono innamorato di te» lo sento dire. Il tono della voce continua a crescere, aggressivo.
Lui è innamorato di me ed io percepisco nient’altro che rabbia ed egoismo.
Mi volto di scatto. Cerco il suo sguardo. Preme le dita sulle tempie e riprende fiato.
Rimango immobile. Lui alza gli occhi verso di me, le braccia tornano lungo i fianchi, prende aria. Un'effimera quiete invade lo spazio, poi parla ancora.
Ritiro la mano dalla porta e lascio cadere entrambe le valigie a terra. Un tonfo che rimbomba assente nelle mie orecchie.
Lui indietreggia ed io, questa volta, avanzo. Schiudo le labbra e le richiudo, una smorfia di dolore adombra il mio viso: le sopracciglia si inarcano e il naso si arriccia appena.
«Quando ti avrei mentito esattamente?» prendo forza, la voce trema. «Dimmelo, Draven» lo incalzo. «Quando? Quando ti nascondevo le mie paure? Quando ho cercato di tenerti lontano dai miei problemi?» scuoto la testa, «Pensavo che l'avessi capito, pensavo che fosse tutto risolto.
«Quell’incontro non ha significato niente di più di quel che è stato: un chiarimento. Eppure, tu credi più a delle assurde insinuazioni ricevute da chi hai ascoltato a lungo, piuttosto che credere a me» sottolineo sul finale.
Sono immobile, lo sguardo fermo e le pupille che tremano. «Ma la cosa che mi fa più male è che pensi che per me non conti niente stare insieme a te. Non sto con te per gioco, Draven, sto con te perché quello che provo non lo posso evitare in alcun modo» confesso con rabbia e un peso scivola via dal cuore. «Mi ucciderebbe solamente pensare di svegliarmi e rendermi conto che non ci sei» soffoco l’angoscia che quell’immagine genera nella mia mente e rimango in silenzio per un breve istante.
Un respiro profondo. Chiudo gli occhi e li riapro, tanto basta per tornare a sentire il treno, le voci e lo sbattere delle valigie sulle pareti ad ogni oscillazione del vagone. Vorrei riavvolgere il tempo, tornare seduta sul sedile e poggiare la testa sulla sua spalla mentre mi accarezza i capelli e accenna un sorrisino.
Ancora, inspiro ed espiro.
«Ho provato a stare lontana da te, a tenerti il più distante possibile dai miei casini. Io ci ho provato ma non è servito a niente e... Ho costantemente paura che tutto finisca per crollarmi addosso. È questa l’unica verità. Quella che spiega tutte le volte in cui ho preferito tacere» scosto lo sguardo e lo rivolgo al paesaggio, i filari d’alberi sono esplosioni di colori sbiaditi che scorrono fuori dal finestrino.
«Perché mi ami Draven?» mi sposto di nuovo su di lui, muovo un ulteriore passo in avanti. «Perché se pensi tutte queste cose di me allora continui ad amarmi?» poi, ancora uno.
Posso sentire il suo respiro, il suo profumo. Lunghi brividi attraversano la pelle e il blu oceano dei miei occhi per un solo istante bagna le sue labbra.
«Mi dispiace non averti amato fin dal primo momento, come tu hai amato me. Mi dispiace che ciò che provo e faccio non sia abbastanza» porto il mento verso il basso e le parole si spezzano tra le labbra.
«Ma l’unica cosa che mi chiedo è: come puoi essere così egoista da pensare che il tuo modo di amare sia l’unico possibile…»
Tremo. La corda sopra cui siamo sospesi, in equilibrio, si sorregge su un ultimo filamento e il vuoto aspetta solo di inghiottirci.


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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Oltre le spalle di Megan vedo apparire la signora del carrello. I riflessi sui colori accesi delle confezioni di dolci mi fanno lacrimare gli occhi. È come se avessi vissuto quest’ultima ora in bianco e nero e fosse apparso all’improvviso un arcobaleno. Il cambio di luce mi fa male; strizzo le palpebre in una smorfia che, temo, appaia più minacciosa di quanto intenda che sia e non serve che dica niente: la povera donna fa dietro front. Richiude la porta della cabina e sparisce, intuendo l’antifona.
Sarà per l’intromissione di luce imprevista, per l’aria viziata che si genera in loculi come questo o, più probabile, per l’aura di disagio emanata da me e Megan, ma inizio a stare fisicamente male. Sono stanco.
Quando riporto lo sguardo su Megan mi accorgo che si è fatta più vicina. Non ha notato il modo in cui ha lasciato cadere le valigie, né lo sguardo di assoluto imbarazzo negli occhi della signora del carrello. Se ne sta di fronte a me, con occhi assorti in chissà quali pensieri, mentre io indietreggio ancora, finché è il sedile alle mie spalle a fermarmi.
L’ascolto senza vero intento di risposta, perché per quanto mi riguarda ho detto e chiesto tutto ciò che mi ha affollato la mente negli ultimi mesi. So di non essere bravo con le parole e con i toni, so che a mente più lucida mi pentirò di tutto questo, ma ora come ora mi sento leggero per essermi espresso così tanto. Anzi, più che ‘leggero’, che avrebbe accezione totalmente positiva, mi sento ‘svuotato’. Non ho più niente da dire, è come se le parole avessero iniziato a perdere di significato e mi ritrovo a pensare solo che, come al solito, evita le mie domande dirette. Lo ha sempre fatto; mi sono convinto nel tempo che sia la sua indole a farla comportare così, al punto che per me è diventata una sfida trovare metodi alternativi per avere risposte da lei. A parte ora, in cui mi pare evidente che le emozioni hanno avuto la meglio sulla razionalità. Ho abbassato la guardia e mi ritrovo da capo a non ricevere risposte che lei pretende da me.
Sospiro. Mi sfrego il viso tra le mani. Dietro le palpebre chiuse cerco di riordinare i pensieri per mettere in fila un’altra serie di parole che si aspetta che io dica.
Ogni volta che tra di noi si è creato uno stallo era perché lei mentiva o ometteva cose che non potevo nemmeno immaginare. Ho passato mesi a rincorrerla dopo che abbiamo fatto l’amore la prima volta, perché sapevo che l’avrei persa se l’avessi lasciata in balia delle sue preoccupazioni, non condivise per settimane che ho passato a rimuginare, a discapito della mia vita, dei miei voti, del lavoro… Quando mi ha lasciato entrare in uno spiraglio, mi ci sono spinto il più possibile, contrastando i suoi timori, non condivisi finché non ho perso la pazienza. È come se ci spingesse sempre al limite della sopportazione prima di essere onesta. E inizio a essere confuso, soprattutto perché non saprei come dirle tutto questo senza generare un’ulteriore infinita discussione. Per cui, ignoro la sua richiesta di dirle quante volte e quando ha mentito, mi ci manca solo di dover fare un elenco. La lascio parlare a ruota libera. Sospiro di nuovo e riporto, a fatica, lo sguardo su di lei quando ammette di non poter stare senza di me. Ma in tutto questo lasso di tempo passato insieme, a conoscerci e a viverci, ancora non capisco perché. E non lo dice. Ciò che prova, continuo a non saperlo. Se mentre stava risolvendo col Tassorosso ha pensato a me, a noi, non lo saprò mai.
Sospiro ancora. Vorrei andare a dormire e svegliarmi al suo fianco, che è tutto risolto. Cazzo, non ce la faccio più.
Mi lascio cadere sul sedile alle mie spalle e mi siedo, sfinito.
So bene quanto si sia impegnata a tenermi distante, non serve che me lo ripeta come giustificazione. So perché lo ha fatto, non la biasimo; credo di volere solo un po’ di riconoscenza per aver sempre creduto in noi a sufficienza per entrambi, anche e soprattutto quando lei non ci riusciva.
Inconsciamente, mi ritrovo a rimuginare con lo sguardo perso sul pavimento. La sto ascoltando, anche se potrebbe sembrare che mi stia dissociando; è solo che le parole hanno valore fino a un certo punto.

Non so farti una lista di motivi. Credevo e speravo di essere in grado di dimostrarteli. – rispondo, appoggiando la nuca allo schienale per poter rialzare lo sguardo su di lei. L’intero scheletro mi pesa in maniera indicibile.
Ho gli occhi puntati nei suoi, per quanto mi costi fatica. Le braccia appoggiate a peso morto in grembo.
Lei continua a parlare e la mia testa continua a ragionare per conto suo… Sì, sono egoista in tutto ciò che faccio e penso, al punto da credere che non sia nemmeno colpa mia: non conosco altri modi di vivere che questo. Ho sempre dovuto pensare a me, da solo.

Perché è l’unico di cui riconosco l’intensità. – replico d’istinto, sostenendo il suo sguardo, incapace di fare meglio di così.
Cerco di raddrizzarmi un po’ più compostamente e ci riesco con l’ennesimo sospiro. Batto la mano destra al mio fianco, sul sedile, per invitarla a tornare a sedersi.

Stiamo calmi per un po’. Per favore.


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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Gli occhi indugiano tra le assi del pavimento, la punta dei piedi, il tessuto dei sedili e si fermano su Draven. Lui è seduto e mi guarda.
La calma giunge come una sorpresa. La tensione che lambiva ogni piccola parte del mio corpo pare aver allentato la morsa; la sento sotto la pelle come un formicolio leggero, piacevole. Persino il cuore batte lento nel petto, il respiro è regolare. Resto immobile e mi lascio cullare dallo spazio che attorno a me non ha mai smesso di muoversi. I raggi accarezzano il vagone, il sole punta ad ovest e le ombre lentamente si distendono come lunghe dita affusolate.
Sembra passata un’eternità da quando sono entrata qui dentro, mi chiedo quanto manchi all’arrivo e cosa sarà cambiato allora.
Le parole di Draven mi risvegliano dal torpore, invadono la quiete. Mi accorgo di essermi isolata al punto tale da stringere gli occhi confusa. Credo di non aver capito la frase ma questa torna l’istante seguente, come il ritornello di una canzone dimenticata da tempo. Il cuore cede un po’ a quel colpo: manca un battito, due, tre e dopo una breve accelerazione torna normale.
Rimango immobile e mi chiedo se sarà mai in grado di capire cosa sento e in che modo lo sento. Se sarò in grado io stessa di essere migliore per lui, per noi.
«Stiamo calmi per un po’. Per favore.»
Mi fa spazio al suo fianco ed io mi siedo. Nel farlo, lo sguardo punta dapprima verso la parte opposta dello scompartimento, poi mi volto a guardarlo.
La mia espressione muta nel riflesso del suo viso: è triste, arrabbiato… vuoto. Non lo so. Le labbra si increspano, sento l’esigenza di mandare giù il nodo che risale lungo la gola. Lo stomaco si contorce in uno spasmo che ignoro a fatica.
Torno dritta, crollo sul sedile e scivolo più in basso, distendendo le gambe lungo il pavimento. Le spalle trovano spazio nel morbido tessuto. Mi concedo qualche respiro. Temo che si sia incrinato qualcosa tra di noi e solo adesso mi rendo conto di quanto sia difficile per me, nell’eventualità, correre ai ripari. Di quanto i muri che ho dentro, siano invalicabili persino per me stessa.
Inspiro ed espiro.
Non so se sia servito a qualcosa tutto questo, non ho idea di cosa succederà adesso. Immagino che mi distruggerà e che sarà doloroso da non respirare. Solo ora comprendo cosa abbia significato per me stare insieme a Draven; di come la vita sia trascorsa riducendo all’osso i momenti più tenebrosi, grazie solamente alla sua presenza. Non gli ho mai chiesto niente e lui mi ha dato tutto.
Le labbra si schiudono ma rimango in silenzio. Lentamente poggio la testa sulla sua spalla. Chiudo gli occhi, un’ultima lacrima si aggrappa alle ciglia e poi atterra sulla mia guancia.
Scivola giù mentre ascolto il suo respiro e provo inutilmente a sentire il battito del suo cuore. Lo immagino seguire lo stesso tintinnio delle valigie sulle pareti di legno e tanto mi basta. Il senso di nausea si attenua, lo stomaco si distende.
Così, lascio che il resto del viaggio faccia il suo corso e ne comprendo il senso, ne accetto la direzione.


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Edited by Megan M. Haven - 7/1/2024, 21:46
 
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