Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.
Oltre le spalle di Megan vedo apparire la signora del carrello. I riflessi sui colori accesi delle confezioni di dolci mi fanno lacrimare gli occhi. È come se avessi vissuto quest’ultima ora in bianco e nero e fosse apparso all’improvviso un arcobaleno. Il cambio di luce mi fa male; strizzo le palpebre in una smorfia che, temo, appaia più minacciosa di quanto intenda che sia e non serve che dica niente: la povera donna fa dietro front. Richiude la porta della cabina e sparisce, intuendo l’antifona.
Sarà per l’intromissione di luce imprevista, per l’aria viziata che si genera in loculi come questo o, più probabile, per l’aura di disagio emanata da me e Megan, ma inizio a stare fisicamente male. Sono stanco.
Quando riporto lo sguardo su Megan mi accorgo che si è fatta più vicina. Non ha notato il modo in cui ha lasciato cadere le valigie, né lo sguardo di assoluto imbarazzo negli occhi della signora del carrello. Se ne sta di fronte a me, con occhi assorti in chissà quali pensieri, mentre io indietreggio ancora, finché è il sedile alle mie spalle a fermarmi.
L’ascolto senza vero intento di risposta, perché per quanto mi riguarda ho detto e chiesto tutto ciò che mi ha affollato la mente negli ultimi mesi. So di non essere bravo con le parole e con i toni, so che a mente più lucida mi pentirò di tutto questo, ma ora come ora mi sento leggero per essermi espresso così tanto. Anzi, più che ‘leggero’, che avrebbe accezione totalmente positiva, mi sento ‘svuotato’. Non ho più niente da dire, è come se le parole avessero iniziato a perdere di significato e mi ritrovo a pensare solo che, come al solito, evita le mie domande dirette. Lo ha sempre fatto; mi sono convinto nel tempo che sia la sua indole a farla comportare così, al punto che per me è diventata una sfida trovare metodi alternativi per avere risposte da lei. A parte ora, in cui mi pare evidente che le emozioni hanno avuto la meglio sulla razionalità. Ho abbassato la guardia e mi ritrovo da capo a non ricevere risposte che lei pretende da me.
Sospiro. Mi sfrego il viso tra le mani. Dietro le palpebre chiuse cerco di riordinare i pensieri per mettere in fila un’altra serie di parole che si aspetta che io dica.
Ogni volta che tra di noi si è creato uno stallo era perché lei mentiva o ometteva cose che non potevo nemmeno immaginare. Ho passato mesi a rincorrerla dopo che abbiamo fatto l’amore la prima volta, perché sapevo che l’avrei persa se l’avessi lasciata in balia delle sue preoccupazioni, non condivise per settimane che ho passato a rimuginare, a discapito della mia vita, dei miei voti, del lavoro… Quando mi ha lasciato entrare in uno spiraglio, mi ci sono spinto il più possibile, contrastando i suoi timori, non condivisi finché non ho perso la pazienza. È come se ci spingesse sempre al limite della sopportazione prima di essere onesta. E inizio a essere confuso, soprattutto perché non saprei come dirle tutto questo senza generare un’ulteriore infinita discussione. Per cui, ignoro la sua richiesta di dirle quante volte e quando ha mentito, mi ci manca solo di dover fare un elenco. La lascio parlare a ruota libera. Sospiro di nuovo e riporto, a fatica, lo sguardo su di lei quando ammette di non poter stare senza di me. Ma in tutto questo lasso di tempo passato insieme, a conoscerci e a viverci, ancora non capisco perché. E non lo dice. Ciò che prova, continuo a non saperlo. Se mentre stava risolvendo col Tassorosso ha pensato a me, a noi, non lo saprò mai.
Sospiro ancora. Vorrei andare a dormire e svegliarmi al suo fianco, che è tutto risolto. Cazzo, non ce la faccio più.
Mi lascio cadere sul sedile alle mie spalle e mi siedo, sfinito.
So bene quanto si sia impegnata a tenermi distante, non serve che me lo ripeta come giustificazione. So perché lo ha fatto, non la biasimo; credo di volere solo un po’ di riconoscenza per aver sempre creduto in noi a sufficienza per entrambi, anche e soprattutto quando lei non ci riusciva.
Inconsciamente, mi ritrovo a rimuginare con lo sguardo perso sul pavimento. La sto ascoltando, anche se potrebbe sembrare che mi stia dissociando; è solo che le parole hanno valore fino a un certo punto.
Non so farti una lista di motivi. Credevo e speravo di essere in grado di dimostrarteli. – rispondo, appoggiando la nuca allo schienale per poter rialzare lo sguardo su di lei. L’intero scheletro mi pesa in maniera indicibile.
Ho gli occhi puntati nei suoi, per quanto mi costi fatica. Le braccia appoggiate a peso morto in grembo.
Lei continua a parlare e la mia testa continua a ragionare per conto suo… Sì, sono egoista in tutto ciò che faccio e penso, al punto da credere che non sia nemmeno colpa mia: non conosco altri modi di vivere che questo. Ho sempre dovuto pensare a me, da solo.
Perché è l’unico di cui riconosco l’intensità. – replico d’istinto, sostenendo il suo sguardo, incapace di fare meglio di così.
Cerco di raddrizzarmi un po’ più compostamente e ci riesco con l’ennesimo sospiro. Batto la mano destra al mio fianco, sul sedile, per invitarla a tornare a sedersi.
Stiamo calmi per un po’. Per favore.
© Esse | harrypotter.formucommunity.net