N
on è semplice darsi un tono e ri-assumere un atteggiamento composto ed elegante, degno di un abito sfarzoso e di un contesto sociale come il Ballo Invernale, dopo aver preso una stramaledettissima passaporta.
Helena questo lo sa bene, nonostante la sua giovane età e nonostante il numero di volte in cui è stata risucchiata da quello strumento (dannato ma dannatamente utile) può essere contato sulle dita di una mano, o al massimo due. Si rassetta il vestito al meglio delle sue possibilità, ascolta le istruzioni di Camille, la ringrazia per aver accompagnato lei e gli altri primini al ballo e finalmente può dedicarsi all’ammirazione del paesaggio che la circonda.
Lì sull'isola di Hiort, a ovest del nord della Scozia, è tutto così incantevole da lasciarla senza fiato, col naso all’insù. Draghi diversi e imponenti sorvolano il cielo con elegante naturalezza, qualcuno atterra, osserva curioso qualche minuscolo umano e poi dispiega le ali e torna su, a manifestare la propria maestosità. Le coste frastagliate e i monti fanno da sfondo al bacino di ghiaccio, talmente belli da sembrare dipinti ad acquerello dal più bravo tra gli artisti.
È lì, Helena, ferma ed incantata ad osservare ogni dettaglio con attenzione, ad inspirare a pieni polmoni l’aria frizzante e salmastra che sa tanto di casa.
È lì, e ci resta per un po’. Probabilmente troppo. Uno sconosciuto che le pesta i piedi la fa rinvenire e la guarda stupito quando al proprio “scusa” si sente rispondere
«Grazie!».
Sarebbe rimasta lì per ore e se non fosse stato per la sua gamba invadente e con ogni probabilità avrebbe iniziato e terminato il suo Ballo sempre lì, nella stessa posizione.
C’era poi da cercare Lyvie, che la sera prima le aveva inviato una lettera d’invito decisamente asettica ma decisamente diretta, a cui non aveva avuto la possibilità (né la volontà, invero) di dire di no.
─ · ─
«Lyvie! Ciao!» Si può arrivare in ritardo perché ci si è dimenticati del tempo e di tutto, rapiti dalla meraviglia del paesaggio? A quanto pare sì. Helena sorride alla Synfenir, ma non si sente di chiedere scusa per il ritardo, perchè nel suo modo di interpretare l’invito la questione era più un “vediamoci lì” inteso come “vediamoci lì, quando capita”, piuttosto che un “vediamoci al ballo alle ore x e y, questo è un appuntamento”. Insomma, un po’ come quando incontri una persona che conosci vagamente per strada e poi la saluti con “ciao, ci vediamo” e poi né il destino, né la volontà, ti portano ad incontrarla e finisci per non vederla per mesi.
Helena osserva Lyvie per un attimo, con un sorriso che va a sfumare, con ben poche cose da dire data la scarsa confidenza con lei, ma con una genuina allegria per aver ricevuto il suo gufo e per essere riuscita a trovarla in mezzo a tutta quella gente. Per questi motivi, e perché la gentilezza è sempre una buona idea, ritorna sui suoi passi e inizia a considerare anche che se la serpina si era presa la briga di inviarle un gufo, forse incontrarsi al ballo non era poi così tanto una questione lasciata al caso.
«Mi spiace essere arrivata tardi, draghi e paesaggio mi hanno proprio rapita!» Il sorriso di prima riacquista nuova luce
«Comunque stai proprio bene così, sai? Molto meglio che con la divisa serpeverde!» L’allusione alla divisa che veste o ha vestito quasi tutto il suo parentame paterno, con cui non corre particolare simpatia, sicuramente non verrà colta, ma non se ne cura e passa oltre, venendo attirata dalla presenza di una figura conosciuta.
«Oh, ma guarda chi c’è!» Camillo Breendbergh, ex concasato, splendidamente vestito di nero, rosso e oro, ha lasciato Hogwarts da un tempo che non è tanto, ma che appare ad Helena quasi come un’eternità. La sua assenza, in Casa Tassorosso e in sala comune, si percepisce ogni giorno con la stessa intensità, che non accenna a sfumare. Non sono mai stati amici intimi, probabilmente a causa della grande differenza di età, ma con le sue battute e riflessioni fuori luogo ma al contempo brillanti e tremendamente schiette, lui ha da subito conquistato un posto speciale nel cuore della tassina. Per non parlare del fatto che Camillo è il
padre del suo caro Tucaburgo, una trasfigurazione meravigliosamente riuscita di un tucano capace di svolgere più che egregiamente il suo lavoro di postino. È bello, per lei, avere con sé Tucaburgo; le dà ogni giorno la certezza che, ovunque sia, Camillo stia bene. O quantomeno sia sempre vivo.
«Millo, ma sei un Petardo Cinese! Anch’io!» Helena, gioiosa, fa una piroetta sul posto mostrando con orgoglio l’opera di zia Juls: spallacci dorati, un corpetto lavorato con scaglie di drago che sfumano dal nero più intenso allo scarlatto, fondendosi gradualmente con il raso della gonna nella parte inferiore.
Presa dall’entusiasmo dell’incontro, è solo poco dopo che Helena nota tre cagnoloni che siedono rilassati poco distanti da Camillo. Si china e li accarezza tutti, due alla volta, rivolgendosi a loro con complimenti e moine e quelle solite vocine sceme che per qualche strano motivo si è soliti fare a cani, gatti, bambini, e in generale a tutto ciò che c’è di animato e che appare carino e coccoloso. Si ferma per un attimo quando vede due grandi piedi lì accanto, che non possono essere di Millo perché quel bianco dei calzari stonerebbe troppo col suo outfit e un errore di stile di questo calibro non sarebbe di certo da lui. La tassina alza piano lo sguardo e nota un altissimo ragazzo sconosciuto, pallido, biondo, proprio carino e ben vestito, sullo stile ricercato di Camillo. Si schiarisce la voce per darsi un tono, si rimette in piedi e nuovamente si meraviglia dalla differenza di altezza che c’è tra loro, nonostante il cambio di prospettiva.
«Ciao! Sono tuoi questi bei canini?» Non si esime infine dall’ennesima carezza, a quello che tra i tre le è più vicino.