Sconosciuti, privata - Horus.

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view post Posted on 30/1/2024, 12:45
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Non ho mai voluto compassione.
Non la volevo prima, quando tornai ad Hogwarts ed alcuni dei miei compagni mi guardavano con curiosa misericordia, e non la voglio voce.
Si era sparsa la voce che io e la Aton, l’ex professoressa di Erbologia, ci fossimo sacrificati per salvare gli studenti che stavamo conducendo alle Passaporte.
Lei… lei è morta, l’ho vista cadere con i miei stessi occhi. Ricordo le nostre grida mentre cercavamo di allontanare i ragazzi spaventati dal cerchio dei golem che stavano giungendo contro di noi; ricordo il modo in cui avevamo cercato entrambi di proteggerci a vicenda finché lei non è stata colpita. Ricordo il terrore di cedere anch’io sotto i colpi del golem bambino, il suo dito premuto sulla mia fronte dopo averlo ridotto in frammenti. Lo ricordo venire verso di me, impiantare la Runa, squarciarmi in due. Stringo gli occhi e arriccio il naso in un gesto involontario, mentre un senso di nausea mi chiude lo stomaco.
Non importa quanti anni siano passati: è tutto così vivido che, quando mi guardo allo specchio, spesso evito accuratamente di soffermarmi sulla cicatrice.
Ed ogni volta che una donna con cui sono andato a letto si soffermava su di essa e mi guardava interrogativa o con la tristezza negli occhi, immaginando chissà quali dolorosi interventi avessi subito, il nervosismo prendeva possesso di me ed io mettevo fine a quegli sguardi nell’unico modo possibile in quel contesto.
Di recente, solo Nieve non vi si è mai più soffermata. Ha capito, dal modo in cui mi sono spostato la prima volta che sondava il mio corpo, che non voglio che vi si indugi.

Quand’ero più piccolo, me ne vergognavo; non mi sono mai cambiato davanti i miei compagni di Quidditch, ad esempio. Al tempo c’era solo Emily a poterla vedere e lei non ha mai provato stupida compassione; per questo è stata l’unica a poterla seguire con le dita, a sfiorarla con le labbra e…–e per un periodo girava persino voce che mi avessero davvero tagliato in due e che io fossi una specie di morto vivente tirato su con la negromanzia. La cosa però mi ha sempre fatto ridere: di solito la voce partiva da qualcuno che avevo punito severamente.
“Quello non ha emozioni”.
Magari, amico. Magari.

Non so se è questo che stai provando in questo momento mentre mi guardi con occhi liquidi come mercurio. Se anche fosse, non voglio pietà, ma credo, invece, che quello che ti sta adombrando lo sguardo, un tempo tagliente, sia solo una profonda tristezza. Una tristezza frutto di un’empatia a cui io ho dato possibilità di nascere col mio racconto. Mi affretto a sorridere, sforzandomi di essere meno meccanico.
« Non preoccuparti, sto bene, era solo per… » Ma la mia voce s’interrompe di nuovo, il respiro viene trattenuto quando il tocco delle dita fredde si posa sulla mia guancia facendomi sussultare. Questa volta li spalanco davvero gli occhi, stupito nuovamente per un gesto che non mi aspetto.
Così vicino posso notare ogni pagliuzza che screzia le tue iridi, ogni linea d’espressione, ogni contrazione delle sopracciglia, ogni cenno di profumo che giunge dal tuo collo; ogni increspatura delle labbra.
Serro le mie e rimango in silenzio: è sospeso, come l’ossigeno nei miei polmoni.
La tua mano si adatta perfettamente a circondare i miei zigomi, il palmo solletica la mia barba.
Che cosa stai facendo, Rue?
È la seconda volta che mi spingi a porre questa domanda eppure non riesco mai a pronunciarla fino alla fine.
Ti prego, dimmi che non stai provando pietà.
Allora abbasso gli occhi, seguo la curva della tua bocca.
Un bacio.
È così che metto fine agli sguardi che non riesco a reggere, quando una donna mi guarda la cicatrice in quel modo.
Ho sempre pensato che l’attrazione fisica che provavo per te fosse un pericoloso dettaglio della nostra amicizia. È sempre stato magnetico, un po’ com’è quella che provo per Nieve (sebbene con lei la cosa sia sfociata a livelli decisamente preoccupanti). Probabilmente, se non fossi stato innamorato di Emily così profondamente da non pensare nemmeno in fondo al cervello di poterla tradire, ti avrei baciata molto tempo fa.
Ecco perché quando la Morgenstern si è appropriata di te, mi sono sentito tanto infastidito. Poi, certo, tutto è stato spiegato correttamente con la delusione di un orgoglio ferito, nella consapevolezza di essere stato trattato come il più stupido e viscido dei corteggiatori. Non lo sono mai stato, un tuo corteggiatore: e questo fu un altro motivo per cui non ho mai sopportato Astaroth. Mi sono chiesto: che le avrà mai detto quella stronza? Di cosa l’avrà convinta? Come le è venuto in mente che io volessi anche solo provarci nonostante fossi fidanzato?
Potrei baciarti e cancellare qualsiasi pensiero relativo a questo racconto, ma non lo farò.
Sarebbe come se uno sconosciuto ti baciasse contro il tuo consenso. Non ho intenzione di approfittarmene né di mancarti di rispetto, non sono così meschino. Perciò mi costringo a sostenere questo tuo sguardo. Tuttavia… questa è davvero preoccupazione? Perché non un semplice “mi dispiace tanto”? Di circostanza, ma in fondo comprensibile. Dispiace anche a me per te, no?
Afferro la mano sulla mia guancia, ma non l’allontano subito. Non voglio farti pensare che hai sbagliato a lasciarti andare ad un gesto in fondo gentile, accorato.
« Tu… » Sono indeciso, mi mordo una guancia. D’un tratto ripenso alla domanda che ti ho fatto, sondo i tuoi occhi facendo scorrere i miei da una parte all’altra del tuo viso. Ma certo: tu mi avevi allontanato, per un certo periodo, dopo la Morgenstern.
« Tu non pensi che, forse, la tua mente non abbia deciso appositamente di non ricordare anche me? »
Ora che il dubbio mi si è posto davanti, mi rendo conto di quanto possa essere plausibile.
Il tuo corpo reagisce in automatico agli stimoli di una reminiscenza cognitiva, ma sei ancora priva, nella tua mente, del mio ricordo tangibile. Stringo maggiormente le dita sulla tua mano e aggrotto la fronte.
« Forse per te sono un trauma? »

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view post Posted on 6/2/2024, 17:43
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Le
dita di Horus sulla mia mano furono un contatto a cui nessuno mi aveva preparato. Avrei gradito che la me che un tempo aveva condiviso qualcosa con lui rispuntasse tra i pensieri a dirmi come diamine fosse possibile che quell'uomo mi sconvolgesse tanto. Eravamo stati davvero solo amici? Forse eravamo andati a letto insieme qualche volta - ma Horus non aveva avuto la faccia tosta di dirmelo? D'altronde un ''ah sì, comunque andavamo a letto insieme'' poteva non essere il massimo dato il contesto. Perché non era davvero concepibile che tra noi non ci fosse stato nemmeno un bacio, in passato. Non era possibile. Se eravamo stati davvero solo amici, be'... tutta quella tensione sessuale tra noi davvero non me la spiegavo.
Ma cercai di non pensarci in quel momento. In quel frangente sentivo che era altro quello che volevo comunicargli. Perciò, dopo un attimo di sorpresa, sorrisi quando lo vidi sollevare la mano e poggiarla sulla mia. Un sorriso leggero e sperai dolce. Non provavo pena per lui. Volevo solo tranquillizzarlo e farlo sentire riconosciuto. D'altronde è molto bello quando qualcuno riesce a vederti per quello che sei: per il tuo passato, per il tuo presente e per il tuo potenziale futuro senza giudizio. Ed anzi, quando quel qualcuno riesce anche a capire realmente alcuni sentimenti difficili da esprimere. Ecco, sperai di potergli comunicare tutto quello con una semplice carezza e senza inutili e ridondanti parole.
Trovandoci così vicini riuscivo perfino a contargli le ciglia color mogano degli occhi chiari. Un connubio magnetico. Ed era facile far scivolare lo sguardo sulle labbra e pensare di toccarle. Con i polpastrelli o con altre labbra. Le mie. Ma quando lo sentii parlare, la mia mano ebbe un sussulto.

Trauma.

Istintivamente pensai di ritrarre le dita. Erano troppe le emozioni che provavo in quel momento, emozioni senza un nome, senza una categoria. Non che non mi stesse bene - ma forse semplicemente non era il momento per tutto ciò. Se poi era perfino parte di qualcosa di negativo. No, non ne avevo assolutamente bisogno in quel periodo della mia vita. Anche se non ricordavo ancora Horus come parte del mio passato, dopo quella singola parola un click dentro di me era scattato; sentivo ancora di più che la sua non era per me una presenza equiparabile ad altre vecchie conoscenze. E se fosse stato davvero un trauma per me Horus, ecco perché - tra le altre cose - la mia mente aveva deciso di lasciarselo alle spalle?
In quel momento la stretta di Horus si fece più salda sulla mia mano, proprio mentre io avrei voluto lasciarlo andare. Buffo. Era come se in qualche modo ci capissimo senza parlare.
Ma se c'era davvero stato un trauma legato alla mia esperienza con Horus dovevo capirlo. Dovevo sapere. Da quando mi ero risvegliata avevo detto a me stessa che non avrei mai nascosto la testa nella sabbia: avrei affrontato tutto. Senza paura, senza rimorso, senza esitazione. La vita mi era quasi sfuggita dalle mani e avevo perso tutto ciò che avevo di più caro. Nascondersi da cosa, allora? Dopo quelle prime settimane in ospedale, grazie anche ad un incontro dolce e spiazzante come quello con Lex, avevo guardato me stessa allo specchio e mi ero ripromessa di non fingere mai che andasse tutto bene. Di non tenermi nulla dentro. Di non voltarmi dall'altra parte. Di afferrare tutta la vita che mi veniva concessa e divorarla per non avere alcun tipo di pentimento. Ecco perché non pensai nemmeno una seconda volta di ritrarre quella mano. Assottigliai gli occhi, sempre fissi nei suoi.

«Perché dici questo?» dissi infine. Non poteva aver parlato a vanvera. Un amico qualsiasi non avrebbe certo pensato alla motivazione trauma così, su due piedi. C'era sicuramente qualcosa in più. C'era ovviamente qualcosa in più che io non riuscivo a ricordare, ad afferrare. Le nostre mani erano ancora salde l'una all'altra e questo mi dava forza e turbamento allo stesso tempo.

«Se abbiamo avuto dei trascorsi spiacevoli... vorrei saperlo» aggiunsi poi con un filo di voce.

Ma non serviva alzare la voce più di così. Tanto che eravamo vicini, avremmo potuto addirittura leggerci direttamente nei pensieri.

 
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view post Posted on 8/2/2024, 18:27
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Ho sentito le tue dita fremere mentre le tenevo raccolte nelle mie. Ho visto qualcosa far tremare le tue ciglia, un’ombra oscurare i tuoi occhi d’ardesia. Così ti ho lasciata andare: ho fatto scivolare via la mia mano, sfiorando un’ultima volta le tue nocche con i miei polpastrelli. Ho allontanato la tua carezza dalla mia guancia e mi sono subito reso conto che le mie parole avevano in qualche modo fatto breccia dentro di te, turbandoti nel profondo.
Mi mordo l’interno della guancia, di nuovo a disagio. Il timore che tu potessi provare compassione per me è ormai svanito, come l’allarme che mi risuonava nella testa e mi spingeva a pensare di baciarti per cancellarne il rumore ed il sospetto, cogliendo un improvviso tentennamento dei tuoi occhi sulla mia bocca.
È stato solo un attimo, un pensiero automatico che mi è scattato in risposta ad un’impressione, mi dico per tranquillizzarmi.
Distolgo lo sguardo da te, osservo i bordi della scatola che stringo al mio fianco con un’enfasi forse troppo eccessiva. So che le sopracciglia corrugate hanno disegnato una linea verticale fra di esse, un segno di preoccupazione che non riesco a nascondere.
« No è che… »
Non so bene cosa risponderti perché non ho idea se la mia teoria sia giusta; se veramente io abbia rappresentato un trauma per te.
« Non posso dire che siano stati spiacevoli, credo. » Pur di non guardarti, alzo la testa per vedere il corridoio, questa volta fingendo di controllare se ci sia qualcuno, magari proprio quell’Hughes che vado cercando. In realtà non mi importa nulla di chi ci possa essere qui anche solo ad origliare dietro una di queste porte. Non che ci sia niente da spiare, mi dico in un lampo, ma due persone così vicine tra loro i cui sussurri si odono a malapena…
« Non siamo mai stati insieme, non ci siamo lasciati se è questo che intendi con “trascorsi”. »
Mi sforzo di ritornare sul tuo viso, di lasciare che il mio sguardo si riduca nuovamente al granito di cui è fatto. Eppure so che non è del tutto così: so che c’è qualcosa in ciò che volevi dirmi quel giorno che, forse, avrebbe potuto cambiare davvero le cose fra noi. Probabilmente per sempre.
Che drammatico.
« Però… » Alla fine alzo per un istante gli occhi al soffitto. Potrei mentire, potrei dirti che l’ho buttata lì così, tanto per trovare una spiegazione al motivo per cui non ti ricordi di me. Ma non voglio farlo, Urania: non voglio dirti una cazzata solo per pulirmi la coscienza.
Butto fuori l’aria in un altro sospiro agitato. Non mi piace come mi sono comportato: non avevi nulla da nascondere, no?
« Per un periodo non ci siamo sentiti. O meglio… mi hai evitato o almeno ho pensato così. Ti ho scritto dei gufo, ti ho chiesto di vederci, ma tu non hai mai risposto. Sapevo non fossi in missione perché ci siamo visti ad una festa. » Comincio a parlare cercando di ficcare in un angolo remoto della memoria le sensazioni che avevo provato in quei giorni. La frustrazione assoluta, il dispiacere, l’orgoglio ferito, la mancanza di una spiegazione che, quantomeno, avrebbe potuto darmi pace.
Ci tenevo a te.
Vorrei dirtelo, ma tu mi chiederesti perché ed io non saprei darti una risposta.
Ti osservo e leggo nel tuo viso un’apprensione, uno smarrimento che vorrei cancellare come la nebbia che avvolge la tua mente. Vorrei aiutarti, davvero. Invece, ti faccio sprofondare di più con delle domande che anziché favorire la memoria, la oscurano di più.
« Tu… ecco… quella sera… » Non so come dirlo così mi schiarisco la voce.
Avanti, Horus, non fare il ragazzino.
« C’era una donna, non so se era la tua ragazza. Forse sì, insomma, vi baciavate. Non che sia un problema! » Mi affretto a dire, alzando la mano libera. Abbozzo un sorriso.
« È che è stato tutto molto improvviso, sembrava quasi fosse stato fatto apposta per mandarmi via. Poi non ci siamo più sentiti fino a quando non ti ho vista in quel corridoio ad Hogwarts. Sembravi molto dispiaciuta. »
Ed anch’io.
« Stavi per dirmi qualcosa di importante, penso, ma poi è arrivato un gufo improvviso per te e sei scappata via. Non ti ho più né vista né sentita… fino ad oggi. »
Lascio cadere le ultime parole come dei sassi; fanno un tonfo sordo nelle mie orecchie, ma ora che ho espresso a voce questa storia, mi rendo conto di quanto in effetti fosse palese che io non fossi il benvenuto quella sera alla festa di Halloween.
« Sicuramente non c’entra nulla. Di certo non può essere un trauma una cosa simile. Al massimo un’incomprensione, ecco! » Sorrido di nuovo, mi affretto a sminuire per dimenticare la spiacevole parola che ho usato.
« Forse volevi solo dirmi che la tua ragazza era gelosa e per questo motivo era meglio non sentirci. Non saprei. » Mi stringo nelle spalle, il sorriso si fa più debole e schiudo le labbra come a voler aggiungere qualcos’altro che però lascio disperdersi sull’orlo della mia bocca. Stavo per dirti che in tal caso mi sarebbe dispiaciuto, ma che sarebbe stato meglio di esser stato trattato come uno spasimante particolarmente appiccicoso. Tuttavia sono costretto a mordermi la lingua: l’ho sepolto tempo fa, questo sentimento. Non importa, non serve che rispondi. Non rispondermi, va bene così, dimentica.

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view post Posted on 14/2/2024, 17:41
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Forse
non ero pronta a lasciare andare via la mano di Horus. Una parte di me si era abituata a quella forza delicata che mi stava trasmettendo. Una sicurezza dolce, in altre parole. Ma, tant'è, niente dura in eterno - ed è anche giusto così. Quel frangente che ci vedeva sospesi dal tempo nel corridoio del Quartier Generale Auror, come se in quel luogo silenzioso ci fossimo solo noi due - e, per qualche motivo, in quei minuti era davvero così - be', quel frangente fu interrotto da un flusso di parole inaspettato che lasciarono la bocca di Horus. Inaspettato, totalmente. Per quello che avevo intravisto, per quello che avevo imparato a ri-conoscere, quell'uomo non era un gran chiacchierone. Ecco perché mi aspettavo che liquidasse la mia domanda con un sorriso, magari, sviando un po' il discorso e tornando a concentrarsi sulla ricerca di Hughes. E invece... sorpresa totale. Ascoltai perciò in silenzio tutto il tempo, facendo scorrere le mie iridi tra quelle di Horus, scivolando ogni tanto sulle sue labbra per captare qualche incertezza, qualche ricordo ormai lontano o qualche confidenza.

Sentirlo parlare di un gufo a cui mai avevo risposto, di un'incomprensione, di una festa, di una ipotetica mia ragazza, di un bacio, un pub e quant'altro, all'inizio, mi stranii. Tante, troppe informazioni che riguardavano una vita che non sentivo più mia - ma che disperatamente cercavo di riacchiappare. Una vita lontana anni, sepolta dal destino, lasciata indietro, dimenticata. Ma una vita che era mia, in qualche modo. Che era stata mia. Anzi, che altri dicevano fosse mia... ma che io sentivo come accaduta a qualcun'altro. Ecco, era quella la sensazione maggiore che mi accompagnava da quando mi ero risvegliata: sentirmi raccontare la mia vita da sconosciuti senza riconoscerla come tale. Potevo condensare così il mio spaesamento. E anche quella volta, ascoltando il racconto di Horus, provai la stessa sensazione. Corrucciai la fronte, cercando di restare concentrata sul presente. Cercando di assimilare le informazioni che mi stava dando senza andare nel panico, senza sentire quella dissociazione che continuava a ripetermi nella testa ''ma di chi sta parlando?''.

Esorcizzai tutto, infine, con un sorriso. Abbassai lo sguardo scuotendo appena la testa. Ci misi qualche istante a rispondere. «Che io ricordi non ho mai avuto né mai voluto una relazione... stabile, per così dire. Sono un po' uno spirito libero» dissi infine, alzando gli occhi nei suoi.

Aspettai giusto un secondo per continuare. Ripensai per un istante a quello che eravamo o a quello che saremmo potuti essere. C'era stato sicuramente qualcosa tra noi e le sue parole me lo avevano confermato. E, prima o poi, l'avrei capito, l'avrei ricordato. Avrei unito i pezzetti del puzzle anche lì, anche tra me e Horus. Cercai di calmare l'ansia e il cuore che batteva fortissimo al pensiero di quella mole di informazioni che mi erano piovute nella testa. Ed era assurdo perché avrei supplicato in cinque lingue pur di sapere tutto di me, del mio passato, di quello che avevo rimosso, di quello che mi ero persa perfino nei 3 anni di coma... ma poi quando lo ottenevo ne restavo abbagliata, come un cervo spaventato da un lumos lanciato senza preavviso.

«Ma quello che mi dispiace, anche se non lo ricordo, è pensare di averti fatto qualche torto. Insomma, spero non sia stato così» ragionai un po' persa in quel flusso di sensazioni che a volte si confondevano con il presente. E la mia unica ancora, alla fine, erano sempre le mie stesse parole. La mia unica ancora, il mio unico punto fermo, alla fine, ero sempre io. Non è la vita di qualcun altro quella che stai ascoltando. E' la tua.

«E mi dispiace se, in qualche modo, ti ho allontanato da me» aggiunsi, senza guardarlo, forse nemmeno consapevole di quello che stavo dicendo a voce alta. Guardavo un punto imprecisato quasi come se, in quel momento, fossi da sola. Poi tornai.

«Spero di poter ricordare tutto» dissi guardandolo negli occhi. «E, nel frattempo, prendiamola come un'occasione per ricominciare» dissi infine, con un leggero sorriso, tendendogli una mano in segno di pace.


 
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view post Posted on 1/3/2024, 12:26
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L’eco delle mie parole rimbomba ancora nel corridoio, come se ci fosse una folla pronta a ripetere passo per passo tutto ciò che ho appena buttato fuori dal mio cuore. Dirlo ad alta voce avrebbe dovuto aiutarmi o almeno così dice la gente: “parlarne fa bene!”, soprattutto quando si tratta di qualcosa taciuto per anni e che, inizialmente, ci ha procurato un certo dispiacere.
Non posso negarlo: Urania mi ha ferito. Quel senso di abbandono che per tanti anni mi ha accompagnato, che io ne fossi o meno consapevole, è stato riattivato da un comportamento improvviso, senza spiegazione. Ho provato astio per la donna che ora mi è davanti e mi guarda smarrita, debole. Ricambio i suoi occhi, accenno un sorriso.
« Per quel che mi riguarda, ti comprendo. Sono uno spirito libero anche io… » Lo dico stringendomi nelle spalle, con apparente noncuranza, quasi volessi rassicurarti che nemmeno io cerco relazioni, stabili o meno. Ma un’ombra adombra il mio sguardo. « …ora. » Aggiungo in un soffio, ma faccio presto ad accigliarmi. Muovo involontariamente un passo indietro, solo uno, come se volessi confermare ciò che ho appena ammesso. Io di relazioni stabili ne ho avute due: la prima, con Mya, era troppo infantile per poter essere considerata tale. Ero ingenuo, convinto di provare dei sentimenti che solo dopo esser stato con Emily ho capito essere falsi, innocentemente superficiali.
Ma con Lei… con Lei è stato diverso. Quel sentimento si è ancorato al mio petto per così tanti anni che ho cercato disperatamente di strapparlo via. Benché quel simbolo sia ancora con me –nell’orecchino che indosso–, ho tentato di cancellare qualsiasi tipo di emozione semplicemente rifugiandosi in avventure fugaci, quasi sempre da una sola notte. Nieve non fa eccezioni, nonostante la regolarità con cui ci vediamo, non c’è altro che esuli il mio letto.
Non sono sicuro mi sia servito. Non dal punto di vista emotivo, almeno, ma mi sta bene così. Non voglio stare con nessuno, altrimenti che senso avrebbe avuto lasciarla indietro?
Butto fuori l’aria in un respiro profondo, pentendomi infine del mio racconto. So che non avresti voluto farmi del male, Urania, ma come posso crederlo ora che nemmeno ricordi chi sono o sono stato?
Ti studio, adesso, e mi rendo conto che conosco bene il tuo viso, quasi a memoria, nonostante siano passati anni dall’ultima volta in cui ci siamo visti. L’elettricità che hai lasciato sulla mia pelle, con la tua mano e la tua vicinanza, comincia ad acquietarsi.
Piuttosto buffo come l’attrazione che ho provato in passato si sia per un attimo ripresa solamente col tuo tocco, non trovi?
Eppure, mi dico ascoltandomi: meglio così.
Non sei più l’Urania che conoscevo e io non sono più l’Horus che conoscevi; tu, almeno, puoi ricominciare da capo ed io tentenno sulla tua mano tesa. La guardo come fosse appartenente ad un’estranea.
Quella delusione che mi aveva avviluppato lo stomaco torna a farsi largo stringendo le sue spire e io sento una morsa alla gola.
«Nessun torto.» Mi sento rispondere, fingendo che quel malessere che mi prese in quei mesi di tanti anni fa non sia mai esistito.
Va bene così, ora posso seppellire definitivamente anche te, non è vero?
Va bene così, mi ripeto: non sono altro che un’ombra e, del resto, non posso permettermi di essere altro con te.
Anche se forse non vorrei davvero esserlo.
Infine, tendo la mano libera verso la tua, stringo le dita attorno al tuo palmo.
« Certo, ricominciamo. » Mi sfugge un sospiro quando le nostre pelli si toccano ancora e la ritraggo in fretta, nel desiderio di non indugiare un secondo di più. Perché la tentazione di farlo è troppo grande e, per l’appunto, non posso farlo, a maggior ragione con te.
Vorrei allora buttarla a ridere, fare una battuta e dirti: “Piacere, sono Horus.”, ma ho la mascella così serrata che a malapena respiro. Faccio un sorriso tirato, giusto per cercare di non passare l’idea che non mi faccia piacere, poi mi giro con lentezza.
Sento il bisogno di allontanarmi da te e, allo stesso tempo, di rimanere qui.
Vorrei capire cosa ti è successo, provare ad aiutarti a ricominciare, ma non posso.
È con uno strano senso di sollievo e fastidio che vedo comparire in fondo al corridoio due uomini. Come se fossi stato scoperto a frugare in un armadio che non mi appartiene sussulto a malapena e mi sposto bruscamente dal tuo raggio di azione.
« Hughes? » Lo dico con un tono di speranza, guardando l’uomo più alto con degli occhiali rettangolari e i capelli mandati all’indietro. L’altro, più basso, mi studia, poi ti saluta con un cenno del capo.
« Sekhmeth, giusto? » Chiede il primo, confermando la mia supposizione.
Annuisco e gli occhi di Hughes si posano sullo scrigno che tengo sottobraccio.
« Vieni pure, Pineswine mi ha avvisato. Salve Donovan!» Fa un sorriso cordiale, di circostanza, a entrambi, poi con la mano mi invita a seguirlo. Il secondo si infila in un ufficio dopo essersi congedato, mentre Hughes prosegue.
Io indugio solo un momento, gli occhi rivolti verso la sua schiena.
Infine mi incammino, salvo fermarmi di nuovo dopo soli due passi.
Stavolta guardo te, lascio che le iridi si posino su ogni centimetro del tuo viso –per ricordarlo– e si, infine, fissino nelle tue.
« Allora ci vediamoRueUrania.»
Mi allontano senza più girarmi.

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view post Posted on 20/3/2024, 13:39
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Che
parola assurda a pensarci, no? Così usuale eppure così strana. Ricominciare. Cominciare d'accapo, cominciare di nuovo. Ma già il cominciare è qualcosa che abbandona un precedente status per dare inizio ad uno nuovo, no? E allora ha veramente senso logico ricominciare? Si può ricominciare?

Nel mentre che Horus mi lasciò andare la mano che gli avevo offerto - quasi bruscamente - indugiai a guardare le sue dite lunghe. Anche quella volta non era stato un contatto vuoto, per me. Sentirlo così vicino mi portava ad avere forti vibrazioni ed ero sempre più ansiosa di ricostruire anche quel puzzle, anzi, anche quella parte di puzzle che era piena di pezzi mancanti. Sentirsi le memoria come uno scolapasta non era il massimo della vita.

Sorrisi anch'io, sorrisi di rimando, cercando poi di aggiungere qualcosa per mantenere fede a quella promessa di leggerezza, di rinascita, senza portare ulteriori nubi sulla nostra conversazione. Nel frattempo, inutile negarlo, in quel momento i miei pensieri si soffermarono anche molto sulle due parole che eravamo stati concordi nel pronunciare: spirito libero. E non potevo nemmeno tenere troppo a freno i pensieri e le fantasie che in quel momento fecero varie capriole impossibili da esplicitare a voce alta. E quindi un leggero rossore s'impossessò delle mie guance, nonostante non fossi più una ragazzina alle prime esperienze. Ma, nonostante ciò, immaginare il corpo nudo di Horus intrecciato al mio non fu cosa da poco.

Dischiusi la bocca per dire altro, sicuramente, qualcosa che mi portasse via da quei pensieri per nulla adatti al contesto - quando Horus guardò un punto preciso oltre le mie spalle.

« Hughes? »

Mi voltai e trovai due uomini, tra cui Hughes per l'appunto, venire nella nostra direzione. Una visione quasi provvidenziale, a pensarci. Forse era davvero il momento di prendersi una pausa l'uno dell'altra: il momento di assimilare quanto accaduto e rivedersi in un altro contesto lasciandosi quelle premesse alle spalle. Forse. Perché non mi era del tutto digeribile il fatto che stessi per salutare Horus.

«Hughes» lo appellai con un sorriso di saluto. Ficcai le mani in tasca, restando per un attimo spettatrice del loro breve scambio di battute. Mi concessi di indugiare ancora qualche istante sul profilo di Horus, sulle sue ciglia lunghe, sui lineamenti del viso, la linea delle spalle, le gambe affusolate. E i pensieri scivolarono ancora una volta troppo avanti. Sorrisi di me stessa, cercando di non colpevolizzarmi troppo se, dopo tutto quello che mi era successo, dopo tutto quello che dovevo cercare di capire, dopo tutto il caos che strideva nella mia testa, in quel momento il mio corpo e la mia mente cercavano solo un po' di sana leggerezza.

Dopo aver seguito Hughes di qualche passo, Horus si voltò di nuovo verso di me. Ci scambiammo uno sguardo che sperai davvero fosse una sorta di promessa. La promessa di non tornare ad essere due sconosciuti.

«A presto» gli sorrisi, le mani ancora ficcate in tasca, restando ferma anche quando si voltò e restando in quel corridoio soleggiato anche quando le loro sagome scomparirono del tutto.

Restai più di qualche minuto a riflettere su me stessa, su ciò che quell'incontro inaspettato aveva significato per me. Per il mio passato, per il mio futuro. I pensieri balzarono improvvisamente ad un attimo prima di vedere Horus. Ero di nuovo nell'ufficio del Capo a chiedere di poter prendere parte alle indagini. Alla concessione che mi aveva fatto permettendomi, almeno, di non starmene a casa a vegetare riprendendo il lavoro sul mio caso - dall'ufficio. Ma poi sorrisi quando riascoltai nei miei ricordi le sue parole - Non ti voglio di nuovo in servizio finché non riuscirai a correre tre volte l'isolato senza farti venire il fiatone.

Forse in ufficio avevo ancora una tuta.



 
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