PS: 456 PC: 378 PM: 445 EXP: 107
“
Ma Ra, io…”
Tu cosa, Ly?
Tu non lo faresti mai?
Sì, so che è così non ho ragione di dubitarlo e di non crederti.
Eppure mi fa così incazzare. Mi fa così incazzare pensare che tutto questo sia stato inutile, sciocco. Se non fossi così stanco e non mi trovassi in questo tempio, sferrerei un pugno contro il muro per la rabbia che sento montarmi dentro. Non nei tuoi confronti, Emily, ma nei miei. Più il tempo, così prezioso, scivola via dalle nostre mani, più mi rendo conto che l’averti lasciata indietro solo per permettere a me di andare avanti più capisco quanto ridicolo sia stato a pensare che potessimo scamparla così.
La Lesnicky lo aveva visto: gli artigli del falco su una schiena bianca, le spine che nascevano dalla pelle nivea: non potevamo evitarlo. I destini che avevo cercato di spezzare, alla fine, sono sempre stati lì, in fondo ai cocci che avevo lasciato dietro di me: radicati.
Tu davvero lasceresti aperto quel luogo, se davvero le mie supposizioni fossero giuste?
Tu saresti
davvero pronta a morire per permettermi di ricongiungermi con mio padre?
Ti guardo affondando così forte le unghie nel glifo di Seth da farmi male; la polvere scende a piccoli granelli giù dalla parete, sbriciola sul pavimento. Tu, invece, ti stringi nelle braccia, non so se per timore o paura.
Mi rispondo di no, non lo faresti.
Io non mi sacrificherei mai per te e lo sai. Ora, dopo tutto quello che è successo, dubito che faresti altrettanto per me e faresti bene. Allora il labbro ha un impercettibile spasmo che tuttavia non si tramuta in un sorriso: forse, tutto questo, è servito in fondo.
Non a te, probabilmente, ma a me, per capire che, sì, sbagliavo.
Ho sbagliato tutto.
Ma non su una cosa.
« Non ti ho mai detto che non ti credo. » Rispondo stanco, staccandomi dal sostegno della parete.
« Sono sicuro che il Signore Oscuro abbia lo Djed. Non ci avrebbe mandato mio padre, altrimenti. » Mandato come un agnello al macello. Arriccio il naso con sdegno, ricordando la tua espressione di rimprovero quando ho pronunciato il nome di Voldemort. Te lo risparmio, ma vorrei in realtà sputarlo fuori con tutta la furia che provo.
Sono irrequieto e il mio sguardo, quando ti avvicini, saetta su mia nonna; i suoi occhi d’ardesia seguono ogni nostro più piccolo gesto e così fanno quelli perlacei del mio leone.
Sdraiato a terra, il Patronus si rialza, improvvisamente nervoso, entrando in risonanza con la mia agitazione. Ogni parte di me, infatti, si paralizza ad ogni tuo passo, rendendomi impossibile muovermi. Solo le dita si protendono a cercare la criniera dell’animale che posso a malapena percepire nella consistenza di uno sbuffo di luce. Non sono ancora abituato a saperlo così e quasi prego gli Dei affinché lo rendano tangibile, anche solo per permettermi di crederci davvero.
Perché il Suo era così.
Trattengo il respiro quando ce n’è a malapena un paio a separarci.
Oltre il dispiacere che leggo nell’incrinarsi del tuo volto, rivedo gli stessi fantasmi che infestano la mia testa: sono i ricordi di ciò che siamo stati e le loro impronte rimangono qui, nelle nostre mani, nei nostri muscoli, nelle nostre anime.
Una volta ti avrei presa per un braccio e ti avrei attirata a me.
Una volta ti avrei stretta forte, ti avrei accarezzato i capelli appoggiando una guancia sulla tua testa.
Una volta ti avrei promesso che nessuno si sarebbe sacrificato, che
noi ce l’avremmo fatta.
Una volta ti avrei detto che non esistevamo altro che noi.
Una volta.
Una volta, io non sapevo che Lui fosse vivo.
Una volta, io non avevo sentito la Sua voce.
Una volta, io non avevo visto il Suo dolore.
Una volta, Lui non veniva prima di te.
Ora sì.L’ossigeno ritrova la strada per i miei polmoni, ma lo fa in modo doloroso, come un pugno in pieno petto, quando l’aria si sposta per il tuo movimento. Afferri così un cuscino e per un folle, sciocco momento ho pensato avresti afferrato la mia manica. Ti ho visto fare questo gesto così tante volte, in passato, che ho percepito l’ombra del tuo tocco adagiarsi sul mio braccio.
Quasi sospiro, perché mi chiedo cosa avrei fatto se tu avessi davvero cercato il contatto con me. Cosa avrei provato? Anche tu ti saresti pentita come mi sono pentito io nel cingerti il polso così improvvisamente, con così tanta assopita naturalezza?
Quando però tu ti siedi, io non seguo il tuo movimento; il Patronus, invece, lo fa. Si siede al mio fianco con il muso in tua direzione, come fosse il prolungamento di una volontà che sto tenendo a freno.
Vorrei seguire il suo e il tuo esempio: riposare, finalmente,
accogliendo il tuo invito. In fondo capisco che sei stanca anche tu, lo so. Sei braccata, con le spalle al muro tanto quanto me. Forse di più.
« Perdonami, ma non riesco a stare fermo… » Sussurro e quasi me ne vergognassi, distolgo imbarazzato lo sguardo da te.
È che il cuore subisce impennate così forti da drenarmi di ogni stilla di pazienza. Lo hai visto, del resto, il mio muovermi agitato, il passo costante, lo sguardo che saetta dal tuo viso, ai geroglifici incisi sul muro, al Patronus, a mia nonna.
Ogni granello di sabbia che scivola via in questa gigantesca clessidra, è un minuto perso; è un minuto in più che mio padre passa rinchiuso in quel posto che gli sta togliendo la vita. Così in questo cruciale istante, non posso semplicemente fermarmi. Se ho dormito, l’ho fatto solo perché non sarei potuto andare da nessuna parte, conciato com’ero. Ma se avessi potuto, non avrei esitato un istante .
Quando vedo emergere la testa dell’Uas, un’espressione di stupore si anima sul mio volto pallido.
Vederlo reale e tangibile mi fa scorrere un brivido lungo la spina dorsale. Non è paura, questa, ma è devozione e… indignazione.
« Lo hanno rubato. » Lo dico improvvisamente, percependo mia nonna tesa come me. Non la guardo direttamente, ma sto fissando il profilo dello scettro. So che non lo hai rubato tu, Emily, forse nemmeno la tua famiglia.
Ma non vi appartiene.
Non è vostro.
È
nostro.
Tutto questo appartiene a noi. Anzi, mi correggo biasimandomi per la mia bestemmia: appartiene a Loro. Appartiene agli Dei.
Vedendo l’Uas, tutto ciò di cui abbiamo parlato assume consistenza, si fa ancora più reale e fa male come uno schiaffo tirato in piena faccia.
Come l’urlo che udiamo.
È il mio corpo a muoversi prima ancora che la mia testa possa identificare a chi possa appartenere la voce.
Dopo quello che è successo all’accampamento, qualsiasi suono, rumore, movimento improvviso mi fa scattare. La mano corre immediatamente alla bacchetta, la sfilo dalla cintura e il cuore mi balza in gola quando sento in lontananza il metallo stridere sulla pietra. Il leone balza in piedi e si fionda in avanti, precedendomi, sfiorando la veste di mia nonna. Io faccio lo stesso, l’agitazione che mi squassa i polmoni.
« Sitra?! »Esco dalla stanza cercando, immediatamente, la sua figura; la paura che possa essere successo qualcosa di simile all’agguato sul terrazzo mi prende e mi rivolta le viscere. Ma la scena che mi trovo davanti gli occhi è, forse, più inquietante.
Le schiene delle Leonesse non riescono a coprire il bagliore glaciale degli occhi del Cavendish che viene riflesso dai bordi delle lance acuminate delle sacerdotesse. Ogni fibra dei miei muscoli si contrae per il ricordo del dolore che li hanno attraversati. La presa sulla bacchetta si fa convulsa mentre io muovo un passo alla volta, gli occhi fissi sull’uomo che giace a terra, costretto contro un muro dalle leonesse.
Sitra si avvicina piano e così faccio anch’io, con la stessa circospezione. So già, però, cos’ho davanti.
E allora la paura mi assale, legandosi indissolubilmente ad una furia cieca che rischia di farmi perdere il contatto col Patronus. Stringo i denti mentre guardo il volto di Sekhmet davanti a me: solo un secondo, un attimo soltanto, in cui mi appello a tutta la sua forza per non perdere il controllo dentro la Sua casa. Ed è il fatto di trovarmi qui, sotto gli occhi degli Dei, nel mio branco, a non permettere all’Odio di fluire e prendere possesso del mio spirito. È quel sangue che macchia le mie mani a ricordarmi chi sono e
cosa sono.
"Adesso puoi essere ciò che sei nato per essere.”
"Sei tu il Maahes, adesso.".
« Il Lethifold. È un ibrido anche lui. » Dichiaro e la mia voce si fa di piombo, gli occhi ora fissi su John. L’ombra che esala il suo corpo e
quelle iridi non lasciano alcun dubbio. Stendo il braccio in avanti, la bacchetta contro di lui.
Eppure non eseguo nessun incantesimo, per quanto l’anima scalpiti e la furia faccia tremare il sangue nelle mie vene. Amon solo sa cosa farei se perdessi il controllo, se mi permettessi di disobbedire alla Nostra Signora.
Lo faccio per guidare il Patronus in avanti, verso di lui, e raggiungere così le sue leonesse; lui scopre le zanne in un ringhio basso, ma si avvicina piano, in difesa.
È chiaro che qualsiasi cosa questo stronzo sia, è sensibile alla loro luce.
« Tu lo sapevi. » La mia voce, ora, risuona sulle stesse corde di quella del leone.
Sai che mi sto rivolgendo a te, Emily, quando mi giro per un istante a cercare il tuo viso. Forse ti aspetteresti di vedere il volto trasfigurato dalla stessa rabbia che ti ho riservato nel momento in cui le reliquie ci hanno posto uno davanti all’altra e io ti avevo vista proprio con lui, avvelenato dal sospetto del tradimento.
Quello sguardo addolcito che ti ha osservato finora, non c’è più. È svanito, sostituito dal granito e dal gelo tagliente della mia voce.
Il mio viso è pietra, come i mille volti di Colei che ti osserva, ma lo senti, come lo sento io.
Io lo sento il dolore che si fa strada e brucia ciò che incontra, ciò che era cresciuto tra i ricordi.
Li incendia.
« Tu lo sapevi e hai taciuto. Tu lo sapevi e lo hai portato qui. »Non ho bisogno di gridare perché ogni lettera è permeata dalla delusione che rimbomba tra queste sacre pareti.
Vorrei poter dire che non hai tradito la nostra fiducia e forse è così, ma il tuo silenzio ha giocato un ruolo troppo importante.
Questo silenzio almeno: tutto ciò che importava.
Lui è come Marco, come Celsius: lui è uno di quegli esperimenti di cui soli pochi, maledetti minuti fa abbiamo parlato.
Perché non puoi non aver saputo: così come avevi quei documenti, così come vi siete guardati, così come tu hai… garantito per lui. Dio, che stupido.
Che coglione che sei, Horus.Cavendish si accartoccia su se stesso, le sue unghie scavano la carne del viso e rivoli di sangue scorrono sul collo. Potrei godere di questa visione, se non provassi l’allarme di una consapevolezza che giunge sulle vibrazioni della sua voce disperata.
E qui il mio cuore si ferma.
« E lo sa… lo sa lui. » Sussurro, sbarrando gli occhi.
So che John non sta rispondendo a nessuna domanda che
noi gli abbiamo posto.
So che quel che
è nella sua testa non è il Lethifold. Solo una persona può varcare le protezioni di questo luogo…
Cerco gli occhi di Sitra mentre un brivido mi mozza il respiro.
”Lui ce l’ha!”Lui, chi? Chi?
« … L’Ankh. »