icebreaker ~ /ˈaɪsˌbreɪ.kər/, Privata.

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view post Posted on 21/3/2024, 19:38
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Everybody at this party's fucking fake

M
erlino treno merci foriero di caffè, due volte maledetto per ogni chicco a bordo, Haru cantilenò silenziosamente fra sé e sé, quasi stupita da quel suo improvviso guizzo di creatività in trincea.
Quella serata di gala si stava protraendo all’infinito. La breve pausa che si era presa per il cosiddetto “impomatamento del naso” non era (e non sarebbe mai) stata sufficiente a farla riprendere da tutta la small talk e da tutte le lunghe conversazioni sul NIENTE più assoluto che da ore le stavano venendo inflitte a mitragliate da parte di soggetti variamente sgradevoli. Ne era perfettamente consapevole. La tentazione di aleggiare come uno spettro fra quegli esemplari appartenenti a stadi differenti dello spettro dell’ipocrisia più ridicola e stridere come uno pterodattilo nelle loro orecchie quando meno se lo sarebbero aspettati si stava facendo sempre più irresistibile. Haru non era più così tanto sicura di volersi trattenere ancora a lungo dal farlo.

Sospirò piano. Riscivolò veloce nella Sala di Cristallo, gettando solo uno sguardo fugace allo specchio all’ingresso – volutamente insufficiente ad osservare il proprio riflesso nella sua interezza, ma sufficiente a mostrarle un baluginio spudoratamente giallo e a dipingerle un sorrisino obliquo e fossetta-munito in viso.
Poche cose la gratificavano quanto le piccole ribellioni impunibili che amava commettere sfruttando i loopholes più apparentemente introvabili. Più in bella vista il loophole, più gratificante l’infrazione.

Dopotutto, di chi era la colpa se il tema scelto per l’evento di beneficenza organizzato dai suoi genitori era stato “La Belle Époque”? E se gli invitati ora sembravano un ammasso informe di colori neutri e pastello e abiti vaporosi e coprenti, mentre Haru era un trionfo dorato di cutouts? Di chi era la colpa se nessuno aveva pensato di prendere in considerazione il famigerato poster alcolico di Jules Chéret del 1894 a mo’ di moodboard per il proprio outfit?

La fossetta al lato della bocca di Haru si fece più profonda. Dal momento che l’invisibilità incorporea che tanto agognava in quelle occasioni era un sogno impossibile e che la visibilità le veniva invece imposta a forza (e senza che lei se ne potesse sottrarre in alcun modo), tanto valeva affibbiarsela addosso ai propri termini.

Controvoglia, si riscosse dalla sua rêverie. Osservò sconsolata i due calici di vino che stringeva in mano. Negli anni, aveva appreso ed accettato il fatto che la sua partecipazione alle serate di beneficenza organizzate dai suoi fosse un male necessario. Un’altra infelice costante di queste occasioni sociali era la necessità da parte di Haru di fare damage control. La mina vagante di quella particolare serata?
Sir John McAllen, vomitò Haru. Lo gnegnegne era palpabile nella sostanza stessa dei suoi pensieri.
Il vecchio benefattore dell’orfanotrofio era infatti una cornucopia purosangue di pessime abitudini, incompetenza scioccante e — rifletté Haru con orrore — allucinante assenza di buone maniere. Poteva scusare tanti difetti nelle altre persone, ma la maleducazione era una di quelle cose che la mandavano completamente in bestia. E McAllen era un incubo su due gambe. Beh, tre, se uno avesse voluto considerare il bastone che portava sempre con sé, più per mostra che per effettiva necessità.

E ora qualcuno sembrava essere finito nelle grinfie del vecchio dinosauro classista – NO, ASPETTA UN PO’, pensò Haru con uno sbuffo sdegnoso e un’alzata degli occhi al cielo. Quelle maestose creature non meritavano alcun tipo di associazione col poser stantio in questione.

La sua disgraziata vittima designata del momento?

Una giovane dall’aspetto crepuscolare che Haru aveva adocchiato sin dal primo istante e che aveva automaticamente schedato come “Niahndra Alistine”, andando per esclusione rispetto alla lista degli invitati che Haru già conosceva o che aveva imparato a memoria in preparazione per la serata. Man mano che incontrava qualcuno di nuovo, ne spuntava il nome dall’elenco mentale, vi aggiungeva postille ed asterischi, note a piè di pagina e correzioni ad apice o pedice, senza particolare cura a dove li mollasse, ma con estrema dovizia di particolari rispetto a cosa mollasse.

Ripercorse veloce le informazioni che aveva accumulato ed appreso su di lei.

Niahndra Alistine. Studentessa di Hogwarts. Tassorosso.

I suoi genitori adottivi le avevano insegnato che non era mai accettabile consigliabile presentarsi impreparati a questo tipo di occasioni. E, per quanto la gran parte delle credenze genitoriali fossero visceralmente contrarie a tutto ciò che la figlia sapeva di essere, ad Haru non dispiaceva affatto memorizzare preventivamente informazioni quanto più possibile dettagliate e specifiche sui loro ospiti. Anzi.

Niahndra Alistine. Studentessa di Hogwarts. Tassorosso. Cacciatrice di Quidditch.

La sua mente curiosa amava saltare rapida da un dettaglio all’altro, creando un serbatoio ricco e colorato di ritratti abbozzati a cui attingere prontamente in caso di necessità, indugiando quasi gioiosamente su ciascun dettaglio.

Niahndra Alistine. Studentessa di Hogwarts. Tassorosso. Ex Cacciatrice di Quidditch, ora Battitrice, si corresse mentalmente. Inclinò la testa un po’ di lato, com’era solita fare quando era impegnata a navigare tra informazioni dal suo archivio mentale particolarmente difficili da recuperare. Manca ancora qualcosa, pensò, rosa dal nagging feeling che stesse dimenticando un elemento di cruciale importanza.

Il tempo di coprire con falcate marziali la distanza che ancora le separava fu abbastanza per recuperare le informazioni restanti che aveva diligentemente archiviato nella sua mente e per raggelarle il sangue nelle vene. L’orfanotrofio.

“How do you do, darling?”, esordì Haru in direzione della ragazza nella voce più flautata ed expensive che fu in grado di evocare, trascinando la prima sillaba del vezzeggiativo un pizzico più esageratamente del necessario – abbastanza perché chiunque non fosse too posh to function potesse cogliere l’antifona.

Fissò uno sguardo fiammeggiante sulla concasata, cercando di incrociare il suo.
Come on, dahling. Trattenere il ghigno diabolico che minacciava di esploderle in viso da un momento all’altro stava diventando progressivamente più difficile. Gioca con me. Oppure sit back and enjoy the show? Inclinò di poco il capo studiatamente in direzione del vecchiaccio, come a dirle, “You up for some rightful retribution collective bullying of the elderly?”.

Poi si rese conto di essere stata inavvertitamente scorretta nei confronti dell’altra Tassorosso: abituata com’era ad essere perfettamente riconoscibile (e costantemente riconosciuta) in queste cerchie prepotentemente bianche e ossessionate dallo status dell’alta società coi suoi tratti marcatamente asiatici e il suo impressive pedigree, Haru aveva istintivamente dato per scontato che l’altra ragazza sapesse chi era lei. Di una cosa, però, era abbastanza certa: sicuramente, la Tassorosso doveva conoscere i suoi genitori, anche solo di nome e in qualità di organizzatori di quello scempio di serata a cui doveva essere stata invitata. Intenzionata a sanare il potenziale faux pas, poiché non le sembrava giusto sapere piuttosto chiaramente chi avesse di fronte senza che l’altra sapesse chi era lei, aggiunse, “Come ti sembra la ‘festicciola’ dei miei genitori?”. Prestò particolare attenzione ad alzare gli occhi al cielo nel dire “festicciola” con aria infastidita, come a sottolinearne la scala assolutamente unremarkable. Come se né lei né la “sua” dahling fossero minimamente toccate dall’altezza di quei soffitti sontuosi o dal numero impressionante di invitati. E, già che c’era, si augurò che la cosa dissimulasse l’enfasi particolare sulla chiusa della sua domanda alle orecchie del poser.

Quel pallone gonfiato di Sir John McAllen aveva indubbiamente cattive intenzioni, ma “Lady” Min Haru non vedeva l’ora di rilanciare con altre di ben peggiori.

Hopefully, con un po’ d’aiuto da parte della “sua” dahling.


 
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view post Posted on 3/4/2024, 16:04
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All we ever hear from you is blah, blah, blah

O
vviamente qualcuno le aveva preso il soprabito all'entrata, dopo averla salutata con un inchino ed un affettato "miss Alistine" che ancora le prudeva sulla pelle. Ovviamente l'atrio era più spazioso della sua camera nell'appartamento di Londra. Ovviamente sarebbe bastato uno solo dei candelabri nell'ampia sala piena di cristalli per pagare la retta di Hogwarts fino ai M.A.G.O. Ovviamente aveva già attirato più di un'occhiata sconcertata e compatita; strideva lì in mezzo come un'unghia sulla lavagna.
Niahndra aveva notato tutti quei dettagli a labbra strette e con un lampo di odio negli occhi che non era riuscita a camuffare nemmeno sotto gli strati di ombretto e mascara. Avrebbe dovuto aspettarselo, e in effetti era così, ma certe cose non facevano davvero presa finché non le vivevi sulla pelle in prima persona e la serata di beneficenza in questione rientrava a pieno titolo nella categoria.
Si era convinta a presentarsi lì raccontandosi la mezza balla del "do giusto un'occhiata, che male può fare" ed era stata ripagata con una serie infinita di pagliacciate che le avrebbe fatto risalire su pure le tartine al salmone che non aveva toccato (la prima buona idea da quando aveva ricevuto la lettera d'invito). Il primo rospo da ingoiare era stata una presentazione con diapositive di un'ora sull'orfanotrofio in cui lei era cresciuta, raccontato da una signora con le guance rosse, lo scollo volgare ed un trillo insopportabile nella voce che evidentemente non vi aveva mai messo piede in vita sua. Invero, Niahndra dubitava che ciascun singolo ospite a quell'evento di gala si fosse mai spinto oltre i quartieri da bianchi, ricchi sfondati e con la puzza sotto al naso in cui era nata, cresciuta e pasciuta.

L'ultimo rospo, che non sarebbe mai diventato principe, di una lunga lista era invece Sir John McAllen —per servirla, miss.
Fosse stato in suo potere, Niahndra avrebbe continuato ad evitare ogni singola persona lì dentro esattamente come aveva fatto nell'ultima ora e mezzo, ma il viscidone era stato sorprendentemente abile nel metterla all'angolo e chiuderle la via di fuga col bastone tenuto con nonchalance appena appena troppo distante dal corpo. Da allora, erano passati undici minuti e trentasei secondi in cui Niahndra era stata costretta ad ascoltare come l'orfanotrofio fosse il paradiso in terra e che, per come trattavano i bambini lì, era quasi un peccato che non ci fossero più orfanelli nel mondo.
«Un esempio unico di misericordia, davvero», commentò per l'ennesima volta senza che l'altro sembrasse cogliere l'atonicità e l'assoluta mancanza di interesse nella sua voce. «Svolgono il lavoro del Signore, non c'è che dire».
Si chiedeva quale fosse il momento giusto per parlare della morte accidentale di Brigit, così da massimizzarne il potere sconvolgente. Aspettava di cogliere l'attimo. Stava giusto per aprire bocca —solo la smorfia ferina ad anticipare le sue attenzioni— quando una voce nuova s'insinuò con maestria nello spazio tra lei e McAllen.
«How do you do, darling?».
Non era esattamente confusione quella che contagiava i lineamenti di Niahndra, ma forse perplessità, quella sì. Durò un istante o poco più, il tempo di voltare il capo nella direzione della nuova arrivata. I tratti asiatici stonarono immediatamente, così come la nuvola vaporosa che costituiva il suo abito. Giunta come raggio di sole, ad un passo dal temporale.
La perplessità sfumò prima ancora di aver intaccato la smorfia dispettosa che era comparsa sulla bocca di Niah, e lasciò spazio ad una vivace curiosità che ne allargò il sorriso.
«Una delizia», subentrò lei imitando la cadenza della ragazza, appena dopo essersi riscossa dalla sorpresa di essere avvicinata nientemeno che dalla figlia dei padroni di casa. Una figlia che le sembrava familiare. «E così tanti ospiti affascinanti! Sir McAllen stava giusto chiedendomi dei miei genitori, e di come si siano interessati a questa nobile causa».
L'espressione altera tradiva un "can you believe the nerve" inespresso, ma che la giovane avrebbe colto se —come sospettava Niah— l'aveva riconosciuta come "intrusa" in quel circo.

 
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view post Posted on 14/4/2024, 11:03
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Here, hold my morals. got some sketchy shit to deal with first

«
E così tanti ospiti affascinanti! Sir McAllen stava giusto chiedendomi dei miei genitori, e di come si siano interessati a questa nobile causa».
Per tutta risposta, la risata di Haru tintinnò cristallina e incredula, rotolandole fuori dai denti. Denti che si sforzò con tutta se stessa di non digrignare. Con esiti ragionevolmente fallimentari, specie nel notare come il bro avesse materialmente sbarrato la strada all’altra Tassorosso col suo bastone.
Dovette resistere alla tentazione di sciogliere la rigidità innaturale con cui stava tenendo ritta la schiena. Dai, non per molto, sussurrò suadente una vocina nella testa. Rilassala solo un pochino-ino. Sbuffò sottovoce. Giusto quello necessario per mollargli un pugno sui denti. Uno di quelli che ti facevano un male cane alle nocche, ma così bene al cuore quando vedevi i connotati dell’altro riarrangiati in un’inattesa, innovativa composizione. L'espressione sognante di Haru era inequivocabile. Un Pollock inedito? Un Picasso scomposto? Oppure addirittura un Braque rivisitato? The sky was the limit. Il sorriso di Haru si fece bislacco, prendendo la piega di quando un’ottima idea stava per nascere. Inconsapevolmente, si strinse poco più vicina alla concasata. Stai a vedere che in realtà era davvero solo questione di maieutica socratica?

Scoccò un’occhiata indagatrice alla Tassorosso. La laconicità lapidaria delle risposte della semi-sconosciuta che aveva captato nell’avvicinarla la faceva ben sperare. Nel giro di qualche secondo, decise che le probabilità che la concasata avesse condiviso informazioni veritiere su di sé rasentassero lo zero assoluto. Deviazione standard più, deviazione standard meno. Anche perché McAllen non era esattamente il genere di persona disposto a lasciar parlare il proprio interlocutore, specie se sospettava di essere lui stesso quello con l’upper hand sociale.

«Oh, che sciocca!», esalò Haru con fare drammatico. Il suo volto era l’immagine della mortificazione. L’unica cosa che avrebbe potuto tradirla era il baluginio pericoloso che le scintillò repentinamente negli occhi per poi dissolversi altrettanto velocemente. «Non ho neppure fatto gli onori di casa». Lo sguardo le cadde allora sui raffinati calici di vino che ancora reggeva. Oh. Si era ovviamente dimenticata di averli avuti in mano fino ad allora. Classico. Min Haru, dopotutto, era l’incarnazione più perfetta del detto “out of sight, out of mind”. Chi non la conosceva avrebbe forse potuto definire quel suo tratto come tipico di chi è molto “unbothered”, “no-nonsense” e concentrato sull’hic et nunc; Haru, consapevole di quanto assolutamente “bothered”, “pro-nonsense” e persa nell’ille et tunc fosse in realtà, avrebbe pagato oro pur di avere giusto quel briciolo di object permanence in più. Ma tant’era.

Appuntò gli occhi nocciola incandescenti in quelli acquatici della concasata.
«Ninì», disse istintivamente, «Questo è Sir John McAllen. John McAllen». Il fremito compiaciuto che la percorse nel produrre l’omissione di titolo onorifico fu uguale e contrario a quello parallelo del vecchiaccio nel recepirla. Ah, le impareggiabili gioie della dinamica newtoniana...
Fece una pausa pregna di significato. «Ma non crucciarti, il buon vecchio Johnny non è certo uno che bada a sciocchezzuole simili». Haru trascinò talmente tanto la prima sillaba del nome di McAllen da conferirgli quasi una cadenza inutilmente francofona.
Nessun quantitativo di servilismo di facciata sarebbe stato sufficiente a dissimulare l’espressione inorridita di McAllen. Negli anni, Haru si era resa conto che la naturalezza accogliente con cui era in grado di sciorinare assoluti anti-fatti mescolandoli ad ambigue semi-verità sui peggiori esemplari dell’alta società, unita al suo status, sembrava avere un che di disarmante su quegli stessi individui.

Imperterrita, gli lanciò uno sguardo carico di sottintesi. «E beh, lei», inclinò delicatamente il capo verso “Ninì”. «Chi non la conosce, nelle nostre cerchie?», concluse significativamente. Non aggiunse altro. Lasciò che il vecchio si crogiolasse nello sconcerto del turno di presentazione più sfavorevole e nella duplice implicazione terrificante che la giovane accanto a lei fosse un pezzo grosso. L’aura accigliata ed altera di Miss Alistine sarebbe stata d’aiuto in quel senso in ogni caso, rifletté soddisfatta.

«Non ti ho nemmeno chiesto come procedessero i lavori di restaurazione nel tuo vecchio maniero», continuò poi Haru verso l’altra come se non avesse appena droppato una bomba gigantesca. La concasata avrebbe sicuramente colto la reference. Hogwarts, in quei giorni, si era letteralmente trasformato nel sogno erotico del pensionato medio. O, in altre parole, in un fottuto cantiere edile. Studiare in camera era diventato un incubo. Per non parlare dell’infame col suo terrificante flauto traverso alle 4 del mattino che finora nessuna delle inquiline del dormitorio femminile di Tassorosso era ancora stata in grado di identificare. Non appena l’identificazione fosse andata a buon fine, Haru era certa che lei e le altre avrebbero fatto in modo che quel problema non si ripresentasse mai più. Una soluzione pulita ed infiammata di quelle che piacevano a lei. Restava solo da decretare se le lacrime del colpevole sarebbero state indotte naturalmente o previo impiego di lacrimogeni.

«Permettete?», aggiunse in direzione di McAllen. Gli porse entrambi i calici. Il vecchio, sbigottito dall’improvviso favore riservatogli malgrado la presunta gaffe sociale appena commessa, li accettò senza proferire parola. «Sono una squisita annata ‘94 di…», esordì poi Haru.
«Leroy Domaine d'Auvenay Chevalier-Montrachet Grand Cru», completò lui con fare saputo, dopo aver fatto mostra di aspirarne sonoramente l’essenza. Chiaramente spiando l’etichetta di una delle ormai rarissime bottiglie portate in giro dai camerieri. Improvvisamente, pareva essersi ringalluzzito.
«Impressionante. Mi avete tolto le parole di bocca», replicò serafica Haru. Con un cenno grazioso del capo che si sforzò di non disegnare troppo velocemente a mezz’aria, lo congedò unilateralmente. Disrespectfully, le aveva già frantumato le pluffe a sufficienza.
Haru offrì poi il proprio braccio alla Tassorosso, galante. Se la concasata lo avesse accettato, Haru avrebbe messo più distanza possibile fra loro e quel tizio. «Sei pronta al bagno di folla in mezzo agli NPC?». Non poteva promettere di trarla totalmente in salvo da compagnie discutibili perché erano essenzialmente la portata principale di quella serata di gala, ma poteva promettere attività più invitanti di quelle a cui doveva essere stata sottoposta fino a quel punto.
«Sì, quello era Tavernello sgasato», disse sottovoce alla concasata. Il sorriso si fece un ghigno sghembo a tutti gli effetti. «Mi hai beccata nel mezzo di un grosso esperimento sociale, Ninì», aggiunse divertita. Inclinò la testa verso di lei. Aveva almeno quattro (4) ragioni per chiamarla così – una più nonsense dell'altra – e la cosa l'aveva messa incredibilmente su di giri.

Quattro (4) giochi di parole al prezzo di un (1) tiny new fren?
Un affare, davvero.





Edited by ~ En - 14/4/2024, 12:21
 
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view post Posted on 30/4/2024, 16:46
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It's so nice to meet you. let's never meet again

N
iahndra osservò affascinata l'improvvisa durezza che sfiorò con dita di nuvola il volto dolcissimo e fanciullesco della padroncina di casa, intimamente divertita all'idea di star assistendo a qualcosa che sarebbe dovuto rimanere celato. Non che Sir McAllen si fosse reso conto di trovarsi al limite di un precipizio, gli alligatori ad attenderlo nella fossa.
Il sorriso curioso che Niahndra aveva sul volto assunse una sfumatura tra l'enigmatico ed il sornione, la piega intimidatoria di chi sa qualcosa che tu non sai, occhi vivaci sotto le palpebre leggermente abbassate. C'era solo una cosa che preferiva allo sguainare le fauci per rimettere a posto qualcuno, ed era guardare qualcun altro farlo al posto suo e toglierle l'incombenza. Si mise comoda sulla poltroncina in prima fila: lo spettacolo stava per cominciare.
Rimase immobile, il sorriso da Gioconda ancora in posa, mentre l'ultima arrivata prendeva il controllo della situazione calandosi perfettamente nella parte dell'anfitrione. Sperò con tutta sé stessa che mollasse la bomba dei genitori morti così a secco, giusto per godersi l'effetto sorpresa sulla faccia del vecchiardo. Invece, assottigliò gli occhi senza sgretolare l'espressione a quel "Ninì" inaspettato e alzò di poco il mento come a dire che aveva la sua attenzione e che, sì, ovvio che avessero quella confidenza.
*Andiamo, non mi deludere adesso*.
Lo scambio che seguì quasi l'avrebbe demoralizzata per la sua banalità se solo un qualcosa sotto i bordi delle parole non le avesse fatto drizzare le antenne, unico indizio che tradiva una comunicazione diversa e più profonda dalla quale lei era esclusa ma che venne recepita chiara e tonda dal bacucco. Vedere la sua faccia raggrinzire come una prugna secca e assumere una tonalità simile per lo sforzo di contenere l'affronto che sicuramente accusava in quel momento fu senza alcuna ombra di dubbio il momento più alto della serata. E la ragazza non aveva neanche dovuto scomporre la facciata serafica con la quale era arrivata. Niahndra ne fu colpita e avrebbe volentieri preso appunti.
Poi, il colpo di scena.

«E beh, lei. Chi non la conosce, nelle nostre cerchie?».
Il sopracciglio scuro tremò sarcastico, salendo rapido e ridiscendendo come a dire "ah sì?". Anche in questo caso, Niahndra preferì tenere la bocca chiusa, soprattutto perché era consapevole del fatto che vi fossero dei sottintesi in gioco —tra l'ospite di casa e Johnny— che lei non era sicura di aver colto completamente. Era abbastanza certa di poter affermare di aver appena assistito alla versione posh di un burn pazzesco, ma le finezze del caso ahimè le sfuggivano.
Tuttavia, rimanere silente non era più un'opzione improvvisamente.
«Oh, sai come sono queste cose, mia cara». Il timbro era leggermente più acuto del normale, ma Niahndra confidò nel fatto che nessuno ci avrebbe fatto troppo caso. «Ho dovuto licenziare l'intera impresa perché non sono riusciti a localizzare l'origine di quel tremendo fischio di cui ti parlavo». Stava andando bene? Non ne aveva idea. Tendeva a straparlare quando pensava di dover performare senza esserne all'altezza. «Trovare dei professionisti competenti è un lusso, oramai». Lo sdegno, invece, era tutto genuino adesso.
Per fortuna che la pantomima andò avanti senza problemi, con forse quello che era il secondo stereotipo più abusato da tutti i registi e sceneggiatori: l'annusata la degustazione del vino. A Niahndra erano sempre sembrate tutte balle, ma forse era perché era cresciuta a cracker stantii e acqua di rubinetto. McAllen, d'altro canto, pareva al settimo cielo e lei sperò che fosse abbastanza per dimenticarsi di lei.
Il braccio femminile le venne porto come salvagente e lei non poté che aggrapparvisi mentre ancora imitava di riflesso la postura dell'altra.
«Ragazza, —soffiò quasi incredula mentre si allontanavano— Non so cosa è successo, ma so che è stato brutale».
Faceva strano il contatto pelle a pelle con la sconosciuta, ma Alistine avrebbe preferito quel male alla prospettiva peggiore di essere di nuovo gettata in pasto ai lupi senza l'addestramento appropriato.
«Fa differenza se dico di no?».
Aveva avvicinato l'orecchio al volto dell'altra e al commento sul Tavernello le scappò una risata fin troppo somigliante ad un latrato. La bloccò di colpo coprendosi la bocca con la mano, ma ormai aveva già attirato più di un'occhiata di disapprovazione dai cosiddetti NPC. Si schiarì la gola e riacquisì compostezza.
«Che genere di esperimento? Sbugiardare i wannabe sommelier?», inquisì. Poi, si ricordò delle cose importanti. Per gli altri, almeno. «Ma prima rammentami da dove ti conosco».
Se il nomignolo la infastidiva, non lo dette a vedere. Era in debito, dopo tutto.

 
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i do many things solely out of spite. this will be one of them

S
ussultò leggermente quando la concasata accettò il braccio che lei stessa le aveva offerto. Per qualche non poi così strano motivo che Haru preferiva non indagare nel bel mezzo di una serata di gala già di per sé da incubo, il suo corpo sembrava essere stato programmato per reagire d’istinto al contatto fisico come se temesse di essere ghermito da un momento all’altro. Quindi, quando le dita affusolate dell’altra si incurvarono invece sul suo bicipite con una certa delicata determinazione, Haru tirò un sospiro di sollievo appena percettibile. La sensazione tattile di quelli che dovevano essere calli sul palmo dell’altra le strappò un sorriso a metà tra il compiaciuto e l’intenerito. La mazza da Quidditch pareva aver lasciato i segni del suo passaggio. C’era qualcosa di stranamente rassicurante nella normalità di quella mano.

“Grazie dell’assist, sei stata…”, si fermò qualche istante alla ricerca del termine perfetto per descrivere l’intervento dell’altra. Strinse gli occhi, volgendoli al cielo in un’espressione di concentrazione totalizzante. “…sublime!”, decise. La concasata aveva terrorizzato e zittito il viscidone semplicemente esistendo in tutto lo splendore intimidatorio della sua resting bitch face e di qualche commento laconico ben piazzato. Minimo sforzo, massimo risultato. Tanta roba. “Chapeau, davvero. Io me la sogno, un’aura così”.
Quando la ragazza la definì ‘brutale’, Min Haru arrossì dalla punta del naso fino alla radice dei capelli ed alle estremità delle orecchie. “Aw, grazie. È sempre bello veder apprezzato il proprio lavoro sporco”, ammise a bassa voce, in egual misura lusingata e imbarazzata. Era tentata di chiamarla scherzosamente ‘Ninì’ per smorzare l’effetto del complimento appena ricevuto che non sapeva come accettare, ma si trattenne dal farlo. Invece, si crogiolò nel tepore di quella sensazione poco familiare. La risata completamente priva di filtri della Tassorosso la prese alla sprovvista, riscaldandole il petto e facendole crescere il cuore di qualche taglia. Una scintilla giocosa le si accese nello sguardo.

“Fate domande molto pericolose, Miss Alistine”, rimarcò con un sopracciglio inarcato. “Tutto ha un prezzo, qui dentro. Ancora non l’hai capito?”. Fu abbastanza abile da non lasciare che l’amarezza genuina di fondo che aveva colorato le sue considerazioni contaminasse il suo skit. Rimase giusto ad un rispettabile fondente al 70%. Scosse la testa, sconcertata. Diede un colpo di timone ben direzionato alla loro camminata. Quasi volteggiarono sul posto. “Guardati attorno”, esordì col tono solenne da Mufasa che parlava a Simba di tutti i suoi futuri feudi. “Vedi quel copricapo orrendo laggiù, ad esempio?”, disse con un discreto cenno del capo in direzione dell’obbrobrio pluripiumato e superdotato di tripla veletta in testa a Lady Bancroft. Merlino squinternato, che sgorbio inguardabile. “Costa £20,000. Sai quanta cioccolata potremmo comprare con quei soldi? ABBASTANZA DA FARE LA FELICITÀ DI UNA BUONA FETTA DELLA POPOLAZIONE –magica e non, ci tengo a sottolineare– PER UN BEL PO’ DI TEMPO. ECCO QUANTA”. Sbuffò. Il disappunto era innegabile. Choices, veramente. Fece una breve pausa.

Poi, guardò l’altra Tassorosso con un paio di occhioni nocciola spalancati e carichi di speranza. Speranza che il meraviglioso vestito di Niahndra Alistine avesse delle tasche. Molto ampie, possibilmente. Speranza che quelle tasche possibilmente molto ampie contenessero il cibo degli dei. Speranza che il cibo degli dei in questione fosse condivisibile. “A chocolate penny for my thoughts?”. Il sorriso da cerbiatto smarrito che le rivolse avrebbe intenerito chiunque. Proseguì.

“Sono Haru. Min Haru. So chi sei perché siamo concasate e beh, perché è un po’ il mio dovere ricordare chi è chi qui”. Si picchiettò la tempia distrattamente, come ad indicare il quartier generale degli archivi di norme sociali di dubbia sensatezza e di informazioni più o meno curiose che aveva accumulato negli anni. “È l’unico modo per navigare questa gabbia di matti”, ammise. Improvvisamente self-conscious e stranamente consapevole di essersi scoperta gratis con una quasi perfetta sconosciuta, si riaggiustò nervosamente una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio. Per qualche ragione che non le era ancora del tutto chiara, qualcosa in lei aveva istintivamente deciso di giocare a carte scoperte con l’altra Tassorosso. Ancor più strano era il fatto che non si stesse preoccupando minimamente di lasciar scorrere tempo a sufficienza tra un’espressione facciale e l’altra. Curiosità, sdegno, pagliaccitudine, sconcerto, ammirazione si susseguivano ed inseguivano rapide sul suo viso aperto senza lasciar spazio a grandi transizioni o artifici di alcun tipo. Strano. Non era certo quello l’effetto che le serate di gala solitamente sortivano in lei.
Soppesò con attenzione l’altra. Ne squadrò bene il viso, la pioggia di efelidi nel mezzo, le fattezze quasi elfiche, la corporatura tonica e scattante. Anche da ferma, Niahndra Alistine sembrava vibrare di una strana energia sotterranea appena percettibile che Haru aveva difficoltà a nominare. Per ora, pensò risoluta. Poi, sottovoce, “Con tutto il dovuto rispetto, chi sei venuta ad ammazzare stasera?”. Con un cenno vago della mano libera, gesticolò in direzione del suo outfit da urlo a mo’ di spiegazione. Inclinò il capo con fare interrogativo. “Ah e a titolo puramente informativo, per caso accetti committenze o suggerimenti sui target?”, domandò col tono da chiedo-per-un-amico-eh-no-worries. Non di certo perché avesse una lista di potenziali bersagli in ordine alfanumerico, assolutamente.

“Più che il tipo di femme fatale che fa girare teste, sembri quella che le fa rotolare a terra”, chiarì con aria sognante. La nota di ammirazione nella voce e nello sguardo ambrato erano inconfondibili. “Voglio dire che sei molto bella, oltre che lowkey fun-size”, aggiunse infine con semplicità. Annuì, soddisfatta della propria diagnosi. Poi, finalmente e meccanicamente distolse lo sguardo dalla concasata. Whoops. In effetti, era da un po’ che non lo faceva. Se n’era dimenticata, naturalmente. Era particolarmente difficile ricordarsi di spostare i fanali della sua attenzione altrove quando ciò che le capitava a tiro nel campo visivo era così saliente. Però oh, ci mancava solo di intimidire la sciagurata vittima di McAllen con la famigerata intensità targata Min Haru nel giro dei primi loro dieci minuti di interazione.

“Ah, sappi che siamo un pugno negli occhi che cammina per chi ci guarda, cromaticamente parlando”, osservò con un ghigno. Il giallo sgargiante del proprio abito accostato al nero lucido di quello dell’altra Tassorosso dovevano essere uno spettacolo niente male per i coni e i bastoncelli degli altri invitati. L’efficienza pura del fastidio profondo che stavano indubbiamente generando nelle raffinate sensibilità della Londra bene semplicemente esistendo l’una al fianco dell’altra era encomiabile.

Poi si rese conto di non aver ancora risposto alla domanda fondamentale che l’altra ragazza le aveva posto, impegnata com’era a gongolare per i danni che stavano infliggendo passivamente all’alta società, ad ammirare lo strano rompicapo che le si era piazzato davanti in forma di Niahndra Alistine, e a pagliacciare senza ritegno non si sapeva bene per il beneficio di chi. L’esperimento, cominciò, “consiste nel vedere quanti poser con la puzza sotto al naso è possibile oltraggiare senza che se ne rendano conto”. Le sorrise con l’aria di chi ha solo pessime intenzioni e tutto il tempo del mondo per concretizzarle. “Ti va di unirti a me? Ti insegno tutti i trucchi del mestiere”. Haru non si curò minimamente di mascherare la propria approvazione. “Tanto si vede che hai già la stoffa per fare a pezzi i sepolcri imbiancati”. Aveva un debole per i talenti naturali in questa nobile arte.

 
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