Il mondo è un guscio d'ombra, non può essere altrimenti. Intrappola il respiro, spezza il battito del cuore. Ti svegli con un mal di testa lancinante, hai l'impressione d'essere capitombolato altrove – un mondo vecchio, divorato dalla memoria. La mente, oggi, fa parto d'orrori che non hai dimenticato, e la frenesia ti appare un paradosso. Ti muovi di scatto, dapprima come controllato da un sortilegio impercettibile, e poi con una furia che lascia presto i segni peggiori. Hai il volto granitico di chi non ha dormito, di chi non ha più forza. Ogni passo, benché affrettato da chissà quale segreto, ti costa una fatica immensa. I muscoli sono doloranti, ti sembra di camminare su frammenti di vetro... forse, ti ripeti, è esattamente così. Sotto di te, infatti, si consumano i resti di un litigio – non hai certezza, tuttavia, sui dettagli. Potresti aver combattuto contro te stesso, in un acceso, atipico ritrovo che hai temuto per lungo tempo. Potresti aver preso d'assalto il dormitorio, malgrado ora tutto ti risulti velato dall'inconsapevolezza. Cerchi un contatto, un punto d'arresto. Hai bisogno di sederti, di tornare a letto, di misurare l'equilibrio di cui senti,
sai d'essere privo. Miserabile, così appelli il tuo nome. Miserabile, codardo, perdente. Comincia a palesarsi una schiera di demoni, gli uni a braccetto con gli altri. Formerebbero una scena bizzarra, una giravolta, e un nascondino, e un gioco cui tu, ahimè, non sei stato invitato. Invece, lo sai, tremi di paura. Il comodino cui ti affidi, accanto, è scheggiato. Il legno è divelto, reca l'impronta del tuo maleficio. Penzola un filo di perle, una collana. O forse, ti dici, è
pelle. Quando ti specchi, involontariamente, credi d'essere in confusione, di essere in un limbo che è palesemente sbagliato. La tempesta si spezza con un battito di ciglia. Ombre nuove, imprevedibili, ti si accostano con finta, illusoria gentilezza. Cos'è che temi, Oliver?
Il tuo incedere. Spalanchi gli occhi, ti strappi rapidamente all'incubo. Hai freddo, ti stringi in un cappotto che non ti appartiene... lasci scivolare il cappello sulla fronte, spuntano dei ricci che per un attimo, soltanto uno, ti si tingono di sangue. Strofini la mano sulla superficie gelida della panchina vicina, dove fermarti ti è stato necessario. Avanzi. Avanzi lentamente. Hai la bocca asciutta, l'incarnato del volto è pallido. Passeresti per uno spettro, uno qualsiasi, ma ti basta pizzicare le guance affinché torni un rivolo vermiglio. Quando accedi alla saletta da tè, scendi a patti con te stesso. Il soffio zuccherino che aleggia tutto intorno ti infastidisce, eppure... ti abbandoni alle sensazioni familiari, all'idea di ritrovare lei, oltre il bancone.
Ti adagi al desiderio – Piediburro è casa.
«Ciao Viv, soltanto un milkshake del ghiro.» Sorridi, piegando la bocca in una smorfia leggera. Ti mostri più stabile, in verità... cerchi il primo posto libero, al bancone principale. Hai bisogno di sederti, di fermarti. Hai bisogno di una voce familiare. Eppure, sei in tensione. Lo si percepisce, e in te potrebbe apparire come un campanello d'allarme. Ti sfili il cappello, lo osservi con tale attenzione, come un tesoro. Sei grato di non scrutarne gocce di ferita. Il sangue, ti dici, è in attesa.
«Questo è per te, è Polvere Buiopesto Peruviana. Ne hai mai sentito parlare?» Stringi ancora il cappello di lana, ma ti lasci il cappotto. Potresti avere caldo, la saletta è un'alcova tiepida. Il tuo corpo, però, è di ghiaccio. Passi un sacchetto di tela, all'interno brilla polvere color carbone.
Osservi Vivienne, oltre il presente.
E tremi, tremi, tremi.
Cos'è che non dici, Oliver?Colpa mia. Se ti va qualche scambio, mi farebbe piacere.