Nel silenzio di quella gelida notte, stelle e luna uniche spettatrici, Horus si ritrovò ad essere un bambino. Un bambino insicuro in alto, su una scogliera, il mare burrascoso sotto di lui, ma davanti a sé il Cielo, vicino come mai prima d'ora. Il terrore di precipitare ed infrangersi come cristallo era incredibilmente tangibile, ma l'eccitazione e la gioia di poter saltare e scoprire di poter Volare era altrettanto vicina. E così, stretto a quel piccolo corpo quasi fosse l'unico arpiglio, Horus si lasciava andare, lanciandosi da quella scogliera. Il Vento l'avrebbe sollevato o l'avrebbe schiantato al suolo?
Quel pensiero, lo stesso che a volte si riaffacciava nella sua mente, e l'importanza che assumevano delle semplici parole pronunciate da Mya, tali da giostrare i suoi istanti come un marionettista gioca con le sue bambole, lo fece quasi rabbrividire. Da quando, da quando era diventato così? Così dipendente da lei? Da quando Mya era necessaria a tal punto da poter disporre della vita di Horus fino a quei livelli?
Il Tassino alzò appena il viso dal collo di lei, cercando di respirare, di prendere aria mentre ricacciava dentro di sé il desiderio di voler negare tutto. No, non avrebbe dovuto rischiare così tanto. Non poteva chiedere una cosa del genere alla ragazza, mostrandole fino a quel punto il suo egoismo. E se si fosse spaventata? Se quella richiesta, per quanto sofferta, l'avesse terrorizzata? Strinse gli occhi, le labbra mormorarono atone delle parole insensate, forse delle scuse, forse una semplice negazione, quando Mya, finalmente parlò.
Ricordava? Certo, come poteva dimenticare. Il momento in cui la sua Maschera aveva cominciato a creparsi, l'istante in cui tutto prendeva forma, come goccia d'acqua modellata da mani inumane. Quel profumo, quegli occhi, quel rossore sulle guance, quella tempesta nel petto che minacciava di affondare tutti i suoi buoni propositi e poi quella consapevolezza.
Sì, ricordava.
Horus annuì a malapena alle parole di lei, continuando a chiedersi quanto distava il mare dal suo corpo in caduta libera. Quanti metri? Quanti respiri, ancora, prima di soffocare?
« Dimmi, tu riesci a immaginare un vento stretto in un palmo o chiuso in una scatola, bloccato da sbarre o avvinto da un laccio? Per me è difficile, davvero... »
Che sciocco che era stato. Doveva saperlo, doveva immaginarlo che era da stupidi imprigionare la Libertà stessa in un misero pugno terreno.
Ma questo significava che lei se ne sarebbe andata? Anche lei?
Incapace di parlare, incapace di respirare, incapace di muovere anche un solo muscolo, Horus spostò in alto lo sguardo fissando il manto stellato, la voglia sull'occhio che, reagendo ai suoi sentimenti burrascosi, pizzicava fastidiosamente, tingendosi.
Non avrebbe mai raggiunto neanche Mya?
E di nuovo quella domanda: poteva seriamente sopportare la sua perdita, anche in un futuro lontano? Perché lui, Horus, era incapace di tenere a sé le persone care?
Il pensiero di non avere Mya al proprio fianco, il ricordo di come si era sentito quella sera fino a poco prima quell'incontro, inutile, solo, ritornò prepotentemente a galla, facendo accelerare i battiti del suo cuore che, doloroso, premeva sulla cassa toracica. La presa sulla fanciulla si fece più lenta, quasi Horus avesse perso energie. Una bugia destinata a terminare;
l'impatto con la superficie delle onde era ormai impossibile da evitare.
Ma, una brezza inaspettata e leggera, splendida e tiepida, si palesò ed ecco il suo corpo fragile sollevarsi, sfiorare l'acqua oscura e innalzarlo verso il Cielo. Non più umano, semplicemente parte del Vento stesso.
Il viso di Mya, la sua voce, si erano fatte vicine, tanto che Horus rabbrividì sentendo il respiro caldo sfiorargli l'orecchio. Quella confessione così sincera, così dolce, fu tutto ciò di cui aveva bisogno. Quelle semplici parole, cambiarono completamente la visione che il ragazzo si era fatto delle precedenti affermazioni. E mai promessa fu più sacra di quella.
Il cuore, sempre doloroso, sempre smanioso, continuava a battere, forte, quasi volesse seriamente lasciare il suo corpo e fondersi con quello della giovane. Le sue mani rinsaldarono la presa sulla piccola vita, avvicinando ulteriormente la fanciulla a sé e stringendola forte. Come se fosse qualcosa di estremamente prezioso, qualcosa che era soltanto suo e che non avrebbe mai e poi mai condiviso con nessuno. Horus appoggiò il viso sulla spalla di lei, voltandosi in modo da avere il collo della ragazza a qualche respiro di distanza.
Inevitabile, ormai, come quella consapevolezza l'aveva, nuovamente colpito, con la forza di una tempesta. Come quel giorno in Biblioteca, ancora una volta Horus si era ritrovato a pensare che lei era l'unica cosa in quella terra che potesse sostenerlo, l'unica che potesse mai amare.
Chiuse gli occhi, ignaro di quanto quella stretta potesse risultare forte, sebbene non dolorosa, e baciò ancora una volta la pelle morbida del collo della fanciulla. Il profumo, così intenso e familiare, lo avvolse come un manto. Quante volte si era ritrovato a pensare che il Tempo, in quel frangente, fosse inutile? Quante volte aveva desiderato che si congelasse, che li lasciasse così, stretti l'uno all'altra come una Dama e un Cavaliere di un'opera sempiterna?
Ma, purtroppo, mortali erano e mortali rimanevano, soggetti ai capricci del Signore Crono. Così, allontanando le labbra calde dal collo gelido di Mya, Horus sciolse quell'abbraccio. Ma la distanza, durò poco: davanti a lei, le prese il viso tra le mani, alzandoglielo, appoggiando la sua fronte a quella della fanciulla, chiudendo gli occhi.
« Qualsiasi cosa accada, qualsiasi persona si frapponga tra noi due... io... io sarò tuo. » Quella piccola affermazione, gli costò ogni briciolo di orgoglio e determinazione. Aveva oramai strappato l'ultima Maschera dal suo volto, gettandola a terra senza più rimorsi, senza più averne bisogno.
Rimase in silenzio qualche istante, poi, a fatica, si allontanò, lasciandola andare, resistendo alla tentazione di baciarla ancora una volta.
Lui, proprio lui, quello che detestava i contatti fisici, ora sentiva il bisogno di stabilirne uno, indissolubile.
La mano venne portata a sbottonare la preziosa giacca, la pelle sul palmo che pizzicava a malapena. I graffi che lui stesso si era procurato, ora, tornavano a dolere, ma incredibilmente sembravano essersi allo stesso tempo cicatrizzati. Li ignorò, sfilandosi infine l'indumento e, con un elegante gesto, lo posò sulle spalle infreddolite della fanciulla.
Il gelo, del resto, aveva continuato a colpire i loro corpi, infierendo soprattutto su quella pelle scoperta che la ragazza esibiva, avvolta appena da quell'abito splendido ed impalpabile. Così leggera, così piccola, si ritrovò a pensare Horus, osservandola in quella giacca troppo grande per lei. Eppure, una creatura così fragile aveva il potere di Creare e Distruggere tutto, in lui.
Ormai, si disse, era fatta.
Le sorrise, offrendole la mano con fare galante, sopprimendo appena i brividi che il freddo gli provocava, attraversando la sottile stoffa della camicia e ferendo la pelle.
« Torniamo dentro, Milady? » le disse ironico, cercando di riadattarsi a quel dannato Tempo. Chi mai voleva tornare dentro, se fosse stato possibile?
Il Ballo, le persone, i festeggiamenti, l'alcol, tutto sembrava così caduco, così lontano, appartenente ad un'epoca passata.
Ma ora, ora che poteva dire di avere Mya al proprio fianco, poteva dirsi, quello, un nuovo inizio? Poteva affrontare, così, i fantasmi che lo tormentavano?
Sì; non era più solo, del resto.