L'ultima Maschera, ~privata

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view post Posted on 12/1/2013, 18:52
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Sconfitta.
Fredda come il vento che spirava tra le volte a cielo aperto della grande torre.
La fanciulla aveva le dita intorpidite dal freddo, i capelli imperlati di minuscole gocce di umidità, come preziosi e mortali gioielli. Il suo corpo presto avrebbe iniziato ad avvertire i primi accenni dell'assideramento. Ma un incantesimo le impediva persino di sentire freddo, in realtà non sentiva nulla.
Solo un immenso, indefinito, incontrastato e silenzioso vuoto,


Un'ora prima
Dopo aver lasciato la mano di Random ed essere fuggita come nella peggiore delle fiabe, Mya si era infilata nella folla danzante del ballo, beccandosi imprechi e gomitate là dove passava. In pochi secondi aveva raggiunto il luogo in cui aveva visto Horus, un secondo prima di scomparire. *E se fosse stata un'allucinazione? Cacchio Jill, dovevi pensarci prima di abbandonare Random! *
Girò su se stessa più volte, sollevandosi sulle punte e cercando di avere una visuale migliore dell'intera sala. E se fosse stata davvero un'allucinazione? Aveva senso cercarlo? Forse il malessere che aveva provato, sotto forma di senso di colpa, le aveva mostrato quella figura ingannevole e nulla più. Forse non si era nemmeno presentato al ballo. Un piede calpestò qualcosa di fragile, che si infranse sotto alla sua scarpa. Mya discostò il lungo abito per vedere cosa ci fosse in terra e scorse diversi frammenti di puro cristallo, Si abbassò, rannicchiandosi sulle ginocchia e ne afferrò un frammento. *Lui stava bevendo* Ma poteva essere stato un caso, milioni di bicchieri si infrangevano a terra durante le feste *Era qui* La ragione ormai non l'ascoltava nemmeno più.
Lei che da due settimane non aveva fatto altro che evitarlo in ogni modo possibile ed immaginabile, ora lo cercava disperatamente. Era esilarante e deplorevole allo stesso modo. Forse meritava quell'inquietudine, quel malessere, meritava di vivere in quel modo come unica maniera per espiare alle sue colpe. E la rassegnazione avrebbe presto preso il posto della delusione e il cerchio si sarebbe rimesso in moto, come accadeva ogni volta, E ancora, ancora, ancora.
Ma un "ancora" senza lui era una prospettiva scialba, silenziosa, demotivante e priva di altro senso.
E il vuoto che era venuto ad abitare in lei, dopo che il mattino li aveva sorpresi abbracciati, era diventato insostenibile. Avrebbe sofferto continuando su quella strada? Probabile. Ma non era ciò che stava facendo ugualmente? Allora tutto ciò che aveva creduto importante fino a quel momento diventava inutile, e tutto ciò che aveva considerato pericoloso diventava indispensabile. La vita si stava capovolgendo come una clessidra che terminava i suoi granelli e necessitava di nuova vita, nuova spinta.
Doveva cercarlo. Doveva farsi male nel più profondo, per capire. Perchè in fondo era stupida. E gli stupidi, aveva scoperto, riuscivano ad essere felici in qualche modo.

Uscita in fretta dalla sala grande si era fermata nel bel mezzo dell'atrio, guardandosi a destra e sinistra, senza scorgere la sua figura. Giardino, piani, sotterranei, torri. Era come cercare un ago nel pagliaio. Si avvicinò alle grandi vetrate e buttò un occhio oltre, osservando il pianerottolo e le scale che dal grande battente portavano al giardino. La neve era scesa senza riguardi quel giorno e aveva creato un morbido manto candido e immacolato sul terreno. Nessuna impronta segnava il passaggio di essere umani. Almeno poteva escludere un luogo. Tornò rapida verso le scale, che in quel punto si dividevano in due rami, uno portava verso i piani alti del castello e l'altro verso le sue fondamenta. *Pensa...e veloce...non hai tempo per tornare indietro*
Vide un grifondoro seduto qualche scalino più sù, avvinghiato in maniera poco elegante alla sua "presumibile" ragazza. Il volto di Mya assunse la pura espressione del disgusto. Odiava quel genere di esibizioni pubbliche e la voglia di trasformarli in due lumache viscide fu esagerata. Ma aveva bisogno di un essere senziente e così cercò di trattenersi. In qualche modo la lumaca-ragazzo riuscì a fornirle un'informazione parziale, accertata poi dalla testa della lumaca-ragazza che annuiva con certezza. Un ragazzo alto, coi capelli rossi, vestito come un monsieur della corte di Maria Antonietta, con lo sguardo glaciale, che aveva minacciato di trasformarli in spazzolini per gabinetti qualora non si fossero tolti dalle scatole. *Non c'è dubbio, è lui*
Raccolte le informazioni Mya sollevò il lungo abito, per impedirsi di inciampare e iniziò a salire le scale, fermandosi ogni tanto a chiedere ulteriori notizie ai tizi in transito. Dal terzo piano, fino alla biblioteca, passando per i corridoi del quinto fino a trovare un'anima pia che l'aveva visto dirigersi verso le torri. Più saliva, più il freddo all'interno del castello si faceva pungente. Eppure non aveva nessuna voglia di tornare in sala comune, perdendo tempo inutilmente. Bastò un 'fuocondro' e quel piccolo ostacolo divenne nullo.
All'imbocco della gradinata che portava alla torre di divinazione l'abito le si impigliò nella rachitica zampa di un gargoyle, che faceva da base al corrimano, e strappò in malo modo uno dei petali che componeva il suo velo. Se c'era qualcosa di "divino" in quella torre, di certo non risiedeva nel suo animo, a giudicare dalle colorite imprecazioni che seguirono dall'incidente fino all'ultima rampa. Imprecazione che divenne assoluta quando scoprì che anche quel passo era stato inutile. Avrebbe voluto sedersi, affondare la testa tra le ginocchia e arrendersi, dirsi che Sì, ce l'aveva messa tutta. Ma prima che il torpore potesse annebbiarle ulteriormente i pensieri riprese rapida la discesa, deviando non appena trovò un corridoio che collegava all'altra torre.

Giunta all'ultimo piano della torre di astronomia quasi non si stupì di trovarvi l'assoluto silenzio. Un'altra strada sbagliata, un altro vicolo cieco, un'altra fine. Non aveva nemmeno più la voglia di tornare indietro. Sorrideva, di una tristezza mai provata, osservando la stanza battuta dal gelido freddo. Le assi del pavimento scricchiolarono appena al suo passaggio, mentre lasciava dietro di sè minuscole gocce di rosso scarlatto che in pochi secondi finirono assorbite dal legno stesso.
Come qualcosa di mai accaduto, eppure faceva male.
Fuori, oltre l'arco a volta, le nuvole che avevano imbiancato Hogwarts avevano lasciato il passo al cielo più limpido che Mya avesse mai visto. Milioni di piccoli cristalli si mostravano orgogliosi su un deciso e scuro cielo nero, accompagnati nel viaggio solo dalla sorella luna che risplendeva delicata nella sua bellissima falce.
Quel silenzio, una volta tanto gradito, ora diventava insopportabile, mentre beffardo faceva eco al suo Vuoto.
Mya poggiò una mano sulla neve candida che si era adagiata sul corrimano della balconata, e con un gesto lento la fece scivolare di sotto. Era al traguardo ormai, e aveva perso.
 
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view post Posted on 13/1/2013, 21:16
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mEAuK

Da miliardi di anni minuscole luci osservavano la vita degli esseri umani, brillando apparentemente immobili nella volta celeste. Sogni, divinità, anime, ad ogni Era avevano ispirato la fantasia degli uomini che in loro avevano riposto i propri desideri e credenze. Ma le stelle altro non erano che corpi celesti che bruciavano a milioni di anni luce di distanza dalla Terra. Effimere illusioni che ingannavano l'uomo con il loro bagliore, una scintilla nell'oscurità della notte più tetra per ricordare, in fondo, che ciò che crediamo non sempre rimane lì ad aspettarci. Ciò che resta potrebbe non essere altro che un misero fantasma, il riflesso di un ricordo che è andato perduto da troppo tempo. E ormai, è inafferrabile.
Il ragazzo lasciava che il suo sguardo vagasse da una costellazione ad un'altra, perdendosi in quei cupi pensieri. La Rabbia che fino a quel momento l'aveva avviluppato, si era accucciata in un angolo dentro di lui, di fronte a ciò che quel cielo mostrava al giovane, minuscolo spettatore.
In fondo, non era cambiato molto da quel pomeriggio, quando se ne stava appollaiato alla finestra della Guferia. Alla stessa maniera si era arrampicato sulla balaustra della Torre di Astronomia, scavalcandola e ritrovando sotto di sé il vuoto, nessuna protezione, niente catene a separarlo dal cielo, se non misera pietra. Ma ciò che voleva non era porre fine alla sua vita, come qualche sciocco —e poco fantasioso— passante avrebbe potuto pensare nel vederlo lì, in piedi e da solo oltre la sicurezza della barriera. Ciò che Horus desiderava era il silenzio, la pace che solo le sue amate stelle potevano dargli. E quello era l'unico luogo dove poteva essere al sicuro, dove i suoi sentimenti potevano trovare pace, almeno per qualche istante, dove poteva cercare di avvicinarsi a Loro. Aveva poi dato le spalle a quel vuoto e si era infine seduto sulla balaustra, le gambe penzoloni a qualche centimetro da terra e le mani sulla pietra, lo sguardo perso verso l'alto, tra gli astri millenari.
Il coprifuoco era ancora lontano, nei piani più in basso la festa continuava a svolgersi imperterrita, con i suoi balli, le sue maschere, i suoi stupidi partecipanti. E fra loro, due volti si distinguevano tra la folla danzante. Impressi nelle sue retine come un marchio a fuoco, Mya e Random, stretti l'uno all'altro. Le loro mani, i loro sguardi, tutto della loro esistenza irritava Horus come non mai, facendo tornare a galla l'ira che aveva provato, quell'ira folle che giaceva in lui, che era nata dall'insofferenza, dalla solitudine e semplicemente dall'incredibilità con cui le cose scivolavano via dalle sue mani.

*L'hai voluto tu, Ra...*
Lui? Come aveva potuto volerlo lui? Suo padre, Ra, Sivra e ora Mya. Come poteva essere lui la causa di tutto? Forse sbagliava ad amare, a provare affetto? Era qui, dunque, il suo errore?
No, non era quella la risposta. La realtà era semplicemente che non riusciva a raggiungerla e la cosa lo confondeva enormemente. Incapace di afferrare la mano di quelle persone o di rincorrere quelle ali, esattamente come ora, in quella notte, allungava le sue dita verso l'alto, cercando di ambire infantilmente le stelle. Sul volto di Horus si aprì un sorriso ironico mentre abbassava il braccio e si portava la mano gelida sul viso bollente. La voglia sull'occhio bruciava come mai aveva fatto prima, la testa girava, eppure la consapevolezza a cui stava giungendo era così semplice che anche in quelle condizioni poteva accettarla, piegarsi ad essa come doveva del resto piegarsi a quella Rabbia interiore.
Niente importa realmente.
Non aver bisogno di nessuno.
Questo si era ripetuto quel pomeriggio e questo doveva continuare a credere. Quello stupido intermezzo al Ballo non era stato altro che un piccolo sipario. Mya non era nessuno e quello che lui provava era né più né meno di quello che sentiva per qualsiasi altro estraneo. Già doveva essere così.
Allora perché il tremore alle mani non si arrestava? Perché il cuore martellava forte, perché lo stomaco si stringeva dolorosamente al pensiero di lei stretta tra le braccia di Crowell?
Perché quel distacco faceva così male? Doveva esserci abituato, si era detto, Sivra non aveva fatto la stessa cosa?
Gelosia.” disse una voce dentro di lui. Gelosia tangibile, come quel tradimento. Aveva creduto che lei fosse sua, egoisticamente, aveva pensato di poterle stare accanto, aveva voluto credere che lei avrebbe ucciso la sua solitudine. Era arrivato a convincersi che forse Mya non lo rifiutava, che aveva accettato la sua presenza così come lui aveva accettato la sua. Ma poi, semplicemente, l'aveva vista scappare da lui: il Vento aveva cambiato direzione abbandonando le sue instabili ali, lasciandolo precipitare.
Amavi quel Vento?
Con la mano ancora sul volto per dare sollievo alla pelle rovente, Horus alzò lo sguardo verso l'alto ridendo come un folle.
Eccola la risposta. Brillava immobile nel firmamento, ma probabilmente già morta, come la luce di quelle stelle.

*Anche se fosse, è finita.*
La risata di Horus si perse nella solitaria aula, rimbalzando sui falsi pianeti appesi e sulle pareti, spegnendosi a poco a poco e morendo.

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La mano scivolò all'altezza della bocca, coprendola. Una ventata gelida spazzò un po' della neve che copriva balaustra e pavimento, facendolo rabbrividire. Ormai, anche il freddo aveva perso consistenza e si rimescolava insieme all'alcol che pian piano aveva cominciato il suo corso nel corpo del giovane, scivolando entrambi sulla Maschera che per un attimo aveva pensato di abbandonare, quella sera, tra le braccia di Mya.

Ticchettio di passi, un respiro affannato, un fruscio di vesti. Chi osava?
Quanto tempo era passato? Un'ora? Due? Tre? Quell'ammaliante oceano di stelle l'aveva inghiottito, schermandolo dallo scorrere dei minuti. Un muscolo della mano ebbe uno spasmo mentre Horus apriva lentamente gli occhi, posando il suo sguardo sulla figura che si era appena presentata sulla solitaria Torre appoggiata alla balaustra di fronte a lui, diversi metri più avanti.
Un delicato profilo si stagliava nella notte, un lungo abito il cui candore dei petali finali si mescolava alla neve, un fiore d'inverno che trovava modo di sbocciare anche lì, nonostante rischiasse d'esser sciupato dal freddo. Così si vide Mya, illuminata da un'enorme falce di luna, come in un libro di fiabe.
E lui? Lui chi era in quella favola distorta?
Un ghigno si aprì sul suo volto, spietato come le iridi gelidi che si posavano sul corpo della ragazza e sul suo viso arrossato.

« Tutta sola, principessa? » La sua voce, solitamente calda e controllata, era stata colpita dal freddo e dalla precedente risata e risuonava leggermente roca e profonda.
« Dove avete lasciato il vostro Cavaliere? » disse sprezzante, colmando quelle parole di beffarda ironia, la stessa che si leggeva nei suoi occhi. Si sporse lentamente in avanti, esponendosi alla luce della luna che fino a quel momento non l'aveva illuminato, i capelli che scivolavano sulle spalle e sul viso, il mantello che si agitava pigramente nel vento, la voglia sull'occhio che non aveva smesso di bruciare neanche per un istante, spiccando vivida sulla pelle di un candore quasi innaturale, colpito dal freddo.
La figura di un nero gargoyle che si protende verso il vuoto dal tetto di una cattedrale si sovrappose alla propria, nella mente del ragazzo e il ghigno sul suo viso si allargò.
In fondo non era poi così male, cedere.

 
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view post Posted on 14/1/2013, 00:02
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~melody[click]


Le fredde dita della mano sinistra scivolarono sul marmo della balaustra, come sfiorando invisibili tasti, dando vita alla più sottile e inudibile melodia.
Era quello stesso sentimento lacerante che trasformava il silenzio in una malinconica melodia? Lo stesso silenzio che anni prima le aveva tolto ogni desiderio di far vibrare le corde del piano, perchè esse non riuscivano in alcun modo a dar forma alla sua anima.
E ora quella lenta melodia risuonava in lei, mentre con occhi spenti e assenti osservava la volta celeste. Picchiettava su note leggere, a volte con più forza le note scendevano verso il più cupo dei suoni. E proprio lì attanagliava il suo spirito, quasi togliendole il respiro per poi lasciarla nuovamente cadere nel buio più assoluto. Le dita continuavano a sfiorare la pietra, mentre tutto iniziava a farsi più chiaro. E più comprendeva, più la melodia si faceva intensa, vertiginosa, soffocante, e allo stesso modo non riusciva a non bramarla.
Era quello dunque il sentimento che sgorgava dall'anima, il più vero che ella avesse mai avvertito? Una tristezza tanto forte da tagliare via ogni cosa, come un vento gelido in una landa desolata dove non vi era alcun riparo. E lei poteva solo restare nel suo mezzo, lasciandosi colpire da ogni lato, inerme e senza voglia di combattere. Perchè così era giusto, perchè così era vero. Era sola, nuovamente sola.
Ma non avrebbe potuto incolpare nessuno, come aveva fatto in passato, gettando tutta la frustrazione e l'astio su un individuo, come punizione alla debolezza dimostrata. Questa volta avrebbe dovuto tenere ogni cosa per lei, dalla tristezza all'odio, all'insoddisfazione. Avrebbe ripreso a camminare, forse un po' più lentamente e la neve avrebbe presto lasciato il passo alla primavera. Doveva solamente camminare, un passo dietro l'altro, non era impossibile.
Ma la domanda che dondolava da un angolo all'altro della sua testa sembrava farsi più vivida, ogni secondo che passava. *Perchè questa infinita tristezza?* si chiese, ascoltando solo l'eco del suo pensiero. Lei, non aveva mai sentito il bisogno di relazionare con la terra, il suo habitat naturale era il cielo, dove poteva essere libera da ogni catena o dovere. Era libera di fare e disfare ogni cosa, nella più completa autonomia, senza sopperire al giudizio altrui. Eppure quel suo stesso corpo ora le appariva così pesante, senza voglia alcuna di dispiegare le ali e allontanarsi in volo, lasciando quel sentimento sulla balaustra della torre. La verità è che non aveva nessun posto dove volare, nessun nido ad accoglierla in quel momento. Lontana da casa, lontana dagli affetti e lontana dall'unica cosa che ora desiderava. Lontana come non lo era mai stata.
Troppe volte si era incolpata per quella vicinanza continua e per difesa aveva posto dei limiti, alzato palizzate attorno al suo cuore. Ma quel sentimento era scivolato tra le crepe della sua muraglia, avvelenandola nel più profondo. E l'unico antidoto che aveva per combatterlo era andato in pezzi, come una fiala di cristallo, sul pavimento della sala grande. Era perduta.



*...*
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La musica si era interrotta, così come ogni altro suono. Tutto era avvolto nel bianco più assoluto.
Con il capo chino, la ragazza chiuse gli occhi, assaporando pienamente la vastità di quel sentimento troppo a lungo taciuto. Faceva male, come quelle lacrime che silenziosamente avevano iniziato a rigarle le guance, bruciando a contatto con il gelido viso.
Il sale non avrebbe lavato via nulla, lo sapeva nel più profondo, non aveva senso. Eppure non riusciva a imporsi di smettere. Solo il suo enorme orgoglio teneva a bada i sussulti del corpo, lasciando che fosse solamente la luna a guardarla rammaricata per quella scena penosa.

Poi una voce arrivò al suo orecchio, e dal bianco ogni cosa sembrò riprendere debolmente vita, per poi da esso venir risucchiata nuovamente.
Dall'ombra giunse la voce bagnata di un tono aspro e cupo. Mya si voltò delicatamente, lasciando il suo abito frusciare sul pavimento. E lo vide spuntare dal buio, il suo sguardo gelido illuminato dalla luna, il rosso cremisi che prendeva fuoco sul volto pallido.
La persona che aveva cercato con tanto affanno era là.

La sua frase beffarda le scivolò addosso come un rivolo d'acqua gelata. Era la consapevolezza, la certezza di essere nel torto e non avere alcun modo per negare. Dai continui calci allo stomaco, ai sensi di colpa ogni volta che la sua mano era stata sfiorata da quella del compagno, ogni volta che aveva sentito di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato. Tutto perchè lei non era stata in grado di ammettere a se stessa che l'unica persona che avrebbe voluto al suo fianco, era la stessa da cui era fuggita.
Ringraziò silenziosamente la luna, che quella sera luminosa e alta le sfiorava la schiena, lasciando il suo viso in ombra e non permettendo a lui di scorgere la tristezza infinita che la pervadeva.
- Lui....è andato via - ...Lui, era lì.
Sperò che quel sentimento non avesse alterato anche la sua voce, lasciando trasparire la debole emozione di averlo infine trovato. Ma cosa avrebbe detto o fatto? Non ci aveva minimamente pensato. Sentiva di non meritare perdono, così come lo aveva chiesto a Random.
Non voleva essere perdonata.
*Ormai...
*

 
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view post Posted on 14/1/2013, 17:47
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Al pari di un veleno, la collera scivolava insidiosa nelle sue vene, irrorando i vasi sanguigni, riscaldandolo dall'interno come una fornace incapace di smettere di bruciare, ora che le fiamme divampavano alte, solcando profonde crepe sulla sua Maschera.
Le parole di Mya risuonarono nell'aria, apparentemente immuni al tono usato da Horus, al pari di uno scudo in grado di riflettere quei dardi di ghiaccio. La presa della mano di Horus si rinsaldò, le dita si strinsero sulla pietra quasi volessero distruggerla, stritolarla e mandarla in frantumi.
Lo odiava? Detestava averlo vicino fino a quella maniera, negandogli quelle risposte divertite che prima gli dedicava, nonostante tutto?
Ignorando, sfuggendogli a tal punto da risultare intangibile anche alla sua ironia, intangibile al suo rancore. Un'ombra passò sul viso del ragazzo che serrò la mascella sentendo dentro di sé lo stomaco ribaltarsi, la furia di volerla strappare da quell'armatura che lei si era costruita intorno e chiederle perché.

Più semplicemente, voleva calpestare quel fiore.


*No, io...*
Da qualche parte, nascosta in un'ombra, la coscienza di Horus si rannicchiò, spaventata da quel pensiero. Eppure era incapace di agire, sanguinante giaceva ormai decisa a lasciarsi sommergere da quell'enorme onda che erano i suoi sentimenti impazziti. Stanco dell'abbandono, docile alla solitudine.
Quella furia, forse, era un bene, era una difesa che mai aveva provato prima.

« Ah? » Chinò la testa di lato, incuriosito, mentre i suoi pensieri tornavano nell'oblio. Nonostante i muscoli intorpiditi dal freddo, Horus balzò giù dalla balaustra, gli occhi fissi sulla fanciulla. S'incamminò verso di lei con nelle orecchie solo il rombo dei suoi passi, esasperato dal silenzio che quella coltre di neve offriva loro.
« È andato via eh... E come mai, principessa? È forse fuggito da voi? » allargò le braccia, assumendo un'espressione dispiaciuta che tuttavia durò ben poco.
Il veleno continuava ad alimentarlo, la sua corsa sembrava oramai impossibile da fermare, e in fondo, neanche lo voleva.


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Il ghignò si aprì crudele nuovamente sul suo volto, una nota stonata su una melodia interpretata da mani esperte. Con una lentezza esasperante, Horus si avvicinò pericolosamente a Mya, girandole intorno come se ella fosse una splendida statua e lui solo un mero spettatore, intento a scrutarla nel suo profondo.
« Si è forse punto con le vostre spine? »
Adagio, mormorò quelle parole, maligne, sputando tutto il suo rancore alle spalle della fanciulla. Si voltò, ritrovandosi dietro di lei e allungò una mano, intrecciando le dita su una lunga ciocca castana. Osservò per un istante i capelli brillare al riflesso della luna, facendoli scivolare come seta.
« Il vostro veleno l'ha fatto impazzire? È così che vi divertite? Amate illudere l'essere umano con la vostra bellezza, con la purezza dei vostri petali, prima di ucciderlo, annientarlo? »
Una cupa sghignazzata seguì quelle parole e le dita si strinsero sulla ciocca dei capelli, tirando leggermente la testa della ragazza all'indietro. Horus allungò il collo verso di lei, chiudendo gli occhi.
« Se continuerete a fuggire seminando cadaveri dietro di voi, prima o poi i fantasmi vi divoreranno... principessa. » sussurrò sadico nell'orecchio della fanciulla, scandendo bene le parole come se fosse un importante segreto.
Il cuore palpitò dolorosamente, lanciandogli un'acuta stilettata al petto che, però, venne ignorata. Il rancore, la rabbia erano troppo forti, troppo urgenti da sfamare, che schiacciare la sua Volontà era ormai diventato necessario.
Se solo Horus fosse riuscito ad emergere da quella gabbia egoistica, se solo avesse aperto gli occhi, trovando il modo di rialzarsi da quel buio, avrebbe notato quanto quelle parole facevano male più a lui che a lei.



Per riprendere il codice avevo fatto un casino e ho dovuto ripostare, scusa.
 
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view post Posted on 14/1/2013, 19:36
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- Ah...? -
Fu il primo accenno di risposta che il ragazzo nel buio sembrò concederle. Un tono curioso, fintamente stupito, eppure dolorosamente vero. Non scorgeva più i suoi occhi, tornati a celarsi nell'oscurità della stanza, eppure ne avvertiva ancora il potere, incontrastato che esercitavano sul suo corpo. Ferma e immobile, come un involucro vuoto, in attesa che chiunque ne facesse ciò che voleva.
In quel pensiero quasi non si riconobbe, cercando fra le pieghe della sua anima la ragazza che era stata fino a qualche giorno prima. Sembrava svanita, annientata, proprio quando aveva creduto di aver trovato finalmente se stessa.
Osservò inerme i piedi di Horus che avanzavano dal buio, e ben presto la sua intera figura si mostrò sotto la luce della pallida luna. Mya lo osservò in ogni suo lineamento, in ogni piccola ruga che tradiva le emozioni, in quel sorriso tanto beffardo da far male più delle sue stesse parole.
- È andato via eh... E come mai, principessa? È forse fuggito da voi? -
Mya lo fissò un'ultima volta, con la complicità del buio che nascondeva i suoi occhi, infine il volto cadde debolmente verso il basso. Le braccia tenute sui fianchi, le mani che svanivano tra le pieghe dell'abito, macchiandolo in alcuni punti di vivo scarlatto.
- L'avrei preferito... - rispose alla domanda di lui, voltandosi leggermente verso la zona d'ombra, ora che lo sentiva farsi più vicino.
Agli abbandoni aveva fatto l'abitudine ormai. Eppure l'orgoglio trovava difficile combattere quella volta, quando ogni cosa d'intorno le gridava "colpevole". Aveva sbagliato ogni cosa, fin dal principio.
Cosa era lei in realtà? Anzi, Chi era lei in realtà? Una rosa maledetta così come lui la stava descrivendo?
Forse l'aveva illuso davvero, come lei stessa si era illlusa negli ultimi mesi. Eppure era finita in modo tanto sciocco, ancora prima di inziare.
Una goccia di brina notturna le scivolò giù dai capelli, sfiorandole il collo e rilucendo sulla pelle come un piccolo diamante. Quasi desiderava sentirla ghiacciare sulla pelle, risvegliandola da quel torpore. Ma nulla, era insensibile ad ogni cosa.
Tranne al suo tocco.
Quando Horus le sfiorò una ciocca di capelli, il cuore di Mya per un momento si sentì rinvigorito, quasi cullasse lo sciocco desiderio che ogni pena e ogni dolore sarebbero svaniti così, senza lasciare traccia. La sua felicità si era basata su briciole di affetto, su quei gesti tanto piccoli e insignificanti, che solo nel momento della perdita aveva compreso. E facevano male, come minuscole schegge di vetro.
Con un piccolo strattone il ragazzo il ragazzo la portò più vicina a sè, discostandola da quella sua immobilità apparente. E con parole di ghiaccio disintegrò l'ultima barriera attorno al cuore di Mya.

Era calato il silenzio nella stanza, animato ogni tanto solo dal flebile vento che si incanalava tra le strutture dell'aula. Poi Mya lo infranse, con voce bassa, quasi temesse di rompere quell'idillio.
- Dimmi Horus ... - Quando dischiuse le labbra per parlare, avvertì la pelle delle guance tirare rigidamente. Stava gelando senza rendersene conto - ti sei mai chiesto perché io fossi sola quella volta in treno? - i capelli che continuavano a gocciare sulla sua pelle, come battiti che scandivano un tempo, il suo. - E quella volta in biblioteca, e sul campo e in ogni altro luogo... -
Non aspettava una vera risposta.
Silenziosa lasciò scivolare il viso in direzione del ragazzo, con gli occhi ancora abbassati e coperti dalla lunga frangia. Ma il suo volto, ormai rivolto alla signora luna, non poté più nascondere le guance rigate dalle lacrime, ormai asciutte ma evidenti come fiumi gelati,
- Chi è già solo, non è costretto a provare il dolore dell'abbandono e della solitudine...questo credevo - Rimase di nuovo in silenzio, poi sollevò lo sguardo con innaturale lentezza, mostrando sotto alle lunghe ciglia due grandi occhi viola, lucidi e profondi, feriti come mai erano stati prima.
- Non...non insultare i miei sentimenti - disse infine, non distogliendo di un centimetro lo sguardo da quello di Lui.
Non l'avrebbe distolto mai più, per quanto facesse male. Se era quella la sua punizione, l'avrebbe accettata.
 
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Silenzio.
Intollerabile, crudele silenzio. Non una parola, non un insulto, nemmeno uno schiaffo. Mya continuava a rimanere immobile. Anche se lui era lì, ad un centimetro da lei, anche se le stava riversando contro tutto il suo odio, lei continuava a sfuggirgli. Non cedeva alle sue provocazioni, non si difendeva, non le negava né le confermava. Horus strinse così forte la mascella che i denti stridettero, la mano libera che si chiudeva così violentemente che percepì le unghie penetrare nella carne. Il suo respiro tremava, incontrollabile, e si impattava sulla pelle di lei, il cuore batteva così forte che di lì a poco, probabilmente, si sarebbe sentito solo il suo eco.
La mano di Horus scivolò via dai capelli di Mya e seguì il contorno delle spalle finché non incontrò il suo piccolo collo. Le dita vi si posarono con apparente dolcezza e il ragazzo saggiò tutta la fragilità della ragazza. Un vento che poteva reincarnarsi in un uccellino, forse era questo che era realmente quella giovane.
La Rabbia scalciava dentro di sé, urlava, gridava, lo incitava a strappare le ali a quell'uccellino, a calpestarlo, come lei non aveva esitato a fare con lui.
Ma le parole di lei, improvvisamente, giunsero.

« Dimmi Horus ... »
Lentamente aprì gli occhi e mentre avvertiva il viso di Mya voltarsi, spostò lo sguardo dritto davanti a sé, rifuggendo quel mare ametista che, sapeva, l'avrebbe potuto inghiottire di nuovo, se solo l'avesse osservato in quel momento.
La ascoltò parlare, mentre dentro di sé qualcosa sembrava risvegliarsi.

Cos'era?

Cos'aveva nascosto?

Cos'era quel rumore sordo, come di una goccia nel vuoto? Quel tintinnio?


« - Non...non insultare i miei sentimenti »

Una folata di vento portò via quella frase, la mano di Horus abbandonò il contatto col collo di Mya e il braccio ricadde lungo il fianco, inerte.
D'un tratto la testa del ragazzo vorticò come mai prima d'ora: le pareti, la balaustra, le stelle, la neve, tutto si fuse in un caotico quadro di colori che sfumano via via in nero. Con gli occhi vacui, il giovane sentiva il petto stretto in una morsa senza fine. Respirare? Come si faceva? Sentiva i polmoni gonfiarsi, cercare l'aria, schiuse persino le labbra, ma niente. Un urlo, dentro di sé, lo fece trasalire. Un grido così violento che Horus fu tentato di tapparsi le orecchie con le mani, di cadere in ginocchio e implorare che tutto finisse.
Dentro di sé rivide il bambino nascosto dietro lo stipite di una porta, davanti ai suoi grandi occhi grigi colmi di orrore, la figura di sua madre, dei suoni nonni, in lacrime, quelle parole che crudeli come lame lo trafiggevano allo stesso modo in cui Mya aveva appena fatto, finendo di spezzare le sue certezze.

Lei lo conosceva, quel dolore. Sapeva come nasceva, sapeva come ti prende alla gola, quasi volesse soffocarti, sapeva quando le lacrime vogliono uscire, ma non possono farlo. Sapeva quanto il desiderio di aggrapparsi a qualcuno era necessario, per non sprofondare. Eppure...

« Non... insultare... i tuoi... sentimenti? »
A poco a poco l'aria cominciò a rifluire in lui, riportandolo alla vita. I ricordi si affievolirono e i suoi occhi tornarono lucidi, spietati.

B9P47

Gli angoli della bocca si incurvarono, mentre Horus indietreggiava incredulo, lo sguardo fisso sui capelli della ragazza, cieco alle sue lacrime ormai asciutte e cristallizzate sulle sue gote.
Le spalle si mossero su e giù in una silenziosa risata che poi si liberò nella notte, squarciandola. Una risata folle, esattamente come quella che poco tempo prima l'aveva reso quasi afono, risuonando per tutta la solitaria aula. Continuò a ridere, schernendo le parole della fanciulla, l'argine dei suoi sentimenti ormai prossimo a spezzarsi. Horus diede le spalle alla ragazza, lasciando che il suo riso si consumasse.

« E tu?... Tu non hai pensato ai miei, di sentimenti? »
mormorò di nuovo serio, gli occhi fissi sul pavimento di pietra squadrata.
Sentiva riemergere qualcosa nel profondo, qualcosa che grattava sulla sua trachea per uscire.

*Ho creduto...*
« Non hai pensato forse, che anche io desideravo che i miei sentimenti non venissero insultati... mutilati... come inevitabilmente sei riuscita a fare tu? »
Corrugò le sopracciglia, stringendo nuovamente i pugni, aggrappandosi all'ultimo barlume di quella calma di cui si vantava per controllare la voce.
Ormai, era troppo tardi. Alcol, stanchezza e quell'onda sempre più vicina, lo rendevano vano.

*... che tu potessi essere l'unica... che non mi avrebbe lasciato. *
« Perché... » Incapace di stare fermo, incapace di osservare ancora la nuda pietra, Horus si voltò verso Mya. Il Freddo, improvvisamente, era tornato reale, penetrandogli nelle ossa, congelando il sangue... e la Rabbia. I suoi occhi cercarono Mya e il calore che quella sera gli aveva donato, l'illusione di poter stringersi a qualcuno senza la paura che essa scivoli via, lontana per sempre.
« Se conosci quel dolore... se sai quanto male può fare la solitudine di chi è stato lasciato indietro... perché?... PERCHÉ, MYA, DIMMELO! » Al pari del grido di un falco ferito, il suo urlo spezzò il torpore dell'inverno, quasi volesse giungere alle stelle e confortarsi nella loro luce. Sul viso l'odio e la rabbia erano sfumate in dolore, lo sguardo spaesato di un bambino incapace di trovare la propria casa, o di un uccello che sa che non può più volare.
« Perché mi hai illuso di poterti stare accanto? Perché hai distrutto così la mia speranza? PERCHÉ DIAVOLO CONTINUI A SFUGGIRE DA ME, LASCIANDOMI PRECIPITARE? È FORSE QUESTO IL TUO DIVERTIMENTO? » L'onda era fin troppo alta, fin troppo potente per arrestarla. Tutto ciò che aveva dovuto mandare giù, celare, rassicurare tornò a galla prepotentemente in quelle urla che lo sfinivano, come tante frecce di un cavaliere senza pietà.

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Alzò lo sguardo verso l'alto, cercando qualcosa in quel cielo, tornando ad allungare una mano verso gli astri.

"Anche se sarò lontano, saremo sempre sotto lo stesso cielo, Horus. Quando ti mancherò guarda in alto, e io farò lo stesso. Saremo vicini, sempre."

E anche se ora era lì, a guardare la volta celeste, perché la solitudine non lo abbandonava? Perché non riusciva a rifugiarsi ancora in quel sogno, come faceva ormai da tanti anni? Perché non riusciva ad afferrarlo, forse?


« Dimmi perché... anche tu vuoi andartene. »
Mormorò roco, prima che la voce lo abbandonasse del tutto, la mano gelida che, lasciate le stelle, ricadde verso il basso, posandosi sui suoi occhi, coprendo la voglia sul suo viso rovente e dolorante.

 
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view post Posted on 15/1/2013, 15:08
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Non c'erano giustificazioni.
Le sue almeno, poggiavano su di una superficie labile e inconsistente come un alito di vento. La verità nelle parole di Horus la colse in pieno, continuando a rinfacciarle ogni briciola della sua colpevolezza. E la sua colpa era assoluta, poichè non aveva agito con incoscienza, ma in piena facoltà. Lei conosceva la sofferenza provocata da un addio, la spregevole sensazione di una promessa infranta, delle speranze disciolte come inutile polvere nel mare. Lei, le conosceva.
Eppure l'aveva fatto senza esitazione nei confronti di lui, ma quella scelta in qualche modo aveva fatto male anche a lei.
Strinse forte le mani, serrandole nei pugni, lasciando che un nuovo rivoletto rosso scivolasse giù dal suo palmo chiuso, per poi perdessi sul pavimento. Provò a parlare, ma la voce sembrò morirle in gola, maledicendosi con tutta se stessa. Si sforzò di reprimere quel senso di nausea e si sporse in avanti, senza più temere la luce della luna. Che aveva ormai da nascondere che lui non avesse già compreso da sè?
- HO AVUTO PAURA - gridò, lasciando che la sua voce rimbalzasse sul muro, poi oltre il parapetto e che si perdesse nella valle. *Salvami!*
Riecheggiò il grido tremante nella sua mente, rimproverandosi per quell'ignobile desiderio. Sollevò entrambe le mani, cingendosi la vita come nel timore che anche l'ultima stilla di coraggio in lei l'abbandonasse. -...ne ho tuttora... -
Il capo chino. Non guardava più Horus, ma il pavimento che li divideva in quel frangente. La luna alle spalle del ragazzo proiettava in avanti l'ombra di lui, nera e senza forma si stagliava sul pavimento, quasi raggiungendo il suo abito. Poi si interrompeva ad un soffio da lei e restava immobile. Non aveva lineamenti, non aveva anima, non rideva di scherno come poco prima lui aveva fatto, non si rattristava. Era un'ombra, una proiezione di un corpo, ma non del suo spirito.
Era così vicina che sarebbe bastato un solo passo perchè si congiungesse alla sua, così poco.
Voleva andare via, lasciarlo col suo dolore pregando perchè si cicatrizzasse in fretta. Lei non meritava la sua vicinanza, aveva inzuppato le ali del falco di sangue e reso il suo volo difficile. Non meritava nulla più che quell'odio incontrastato. Doveva allontanarsi prima che il peso della sua stupidità, distruggesse del tutto quell'essere meraviglioso. Ma per quanto quella convinzione fosse forte, i suoi piedi non accennavano a spostarsi.
La ragazzina sollevò la testa seguendo lo sguardo di Horus fino al cielo, là dove la luna silenziosa stava calando verso l'orizzonte. Per quanto importante e forte fosse quel loro incontro, al mondo e alla vita importava ben poco. Il tempo scorreva senza posa.
Lo sguardo tornò basso, verso l'ombra che l'aveva attirata poco prima. E con stupore la vide protendersi in avanti, scomparendo sotto i veli del suo vestito. Con fare innocente ne afferrò un petalo con la mano sinistra e lo sollevò, scoprendo l'ombra di lui che le sfiorava i piedi. E la bloccava lì, come una catena, ma non faceva male. Forse il dolore sarebbe iniziato se lei avesse mosso un piede per allontanarsi, portando gli anelli a tendersi e al ferro graffiarle la carne, stringendo sulla caviglia.
Il silenzio ormai era sceso tra loro. Mya non sapeva se era il suo turno di dire qualcosa o se quello fosse solo l'ntermezzo giusto per tacere. Non aveva idea di cosa dire, di come esprimere ciò che aveva dentro, senza apparire sciocca ed egoista. *Lo sei Jill...*
Poi tutto le apparve più chiaro.
Un ricordo. Una domanda. E una risposta che lei non aveva mai dato.
Girò leggermente il volto verso la volta celeste, inspirando profondamente e avvertendo il gelo della sera pervaderle il corpo.
- Ricordi, di quella volta che ti chiesi dove iniziasse il cielo? - quasi si stupì di quanto la sua voce fosse ferma e calma, senza l'ombra di paura che l'aveva attanagliata qualche attimo prima. Poi continuò - La tua risposta non mi soddisfò per nulla. Perchè per quanto forte fosse l'illusione, non c'era luogo dove la terra non reclamasse il suo tributo e mi ancorasse a sè con forza. Ci ho messo un po', però credo di averlo trovato, sai? -
Si interruppe voltando la testa verso il ragazzo, scoprendolo ancora a testa bassa e con la mano sul viso. La stava ascoltando? O forse, più probabilmente non aveva alcuna voglia di ascoltarla? Ma lei doveva dirglielo ugualmente, gettando via quel'ultimo frammento di maschera che ancora li divideva. Poi avrebbe accettato il suo scherno, la sua infamia e persino il suo silenzio.
Camminò silenziosa lungo l'ombra, quasi cercando di restarne all'interno per paura di perdersi, finchè giunse davanti a lui. Aprì finalmente il pugno della mano destra, lasciando scivolare via il frammento di cristallo che da un'ora ormai si era incastrato tra le pieghe del suo palmo. Il piccolo pezzo di vetro tintinnò impercettibilmente sul pavimento, tanto che Mya nemmeno se ne accorse. La mano si sollevò fino a che le esili e gelatissime dita non sfiorarono la mano di lui, tenuta sull'occhio. Con delicatezza spostò le dita di lui costringendolo a guardarla, e allo stesso tempo a sfiorare quella voglia rosata che lei tanto amava.
- Il mio cielo inizia Qui - disse sfiorando la palpebra del ragazzo senza più alcun timore, senza veleni o alcol ad irretire i sensi. La voce si fece più dolce, al pensiero di averlo infine trovato.
Il suo Cielo in terra.

 
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view post Posted on 16/1/2013, 19:34
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Un ticchettio scandiva ritmicamente il tempo che scorreva fra le due figure che, nel terrazzo della Torre di Astronomia, avevano deciso di incontrarsi come due personaggi di un'opera teatrale.
Dramma, Tragedia, Commedia o Poema? Cos'è che stavano interpretando?
Agli spettatori, luna, stelle e gli astri dell'aula, non importava. In fondo l'opera era così confusa, torbida come i sentimenti dei due giovani, che capire il filo che seguiva la vicenda era impossibile.
O forse, un filo c'era. Sottile, scarlatto come le gocce che la fanciulla lasciava dietro di sé: un lungo nastro che legato dal Destino ai mignoli delle mani dei due ragazzi, tanto fragile a quegli scossoni fatti di parole crudeli tanto forte per resistere alla tensione di quei muri che si erano posti davanti come protezione.
Nel silenzio che seguì alle sue parole, Horus poté sentire solo quel ticchettare, riconoscendolo per il battito del suo cuore. La mano che copriva il viso ebbe un tremito, forse per il freddo, forse per la paura di scoprire cosa ci fosse oltre quell'ostile mutismo di Mya.
Stava trovando le parole giuste per dirgli il motivo di quell'abbandono? C'era davvero una giustificazione che lui poteva accettare?
L'orgoglio mormorava un perentorio “NO”: non poteva. Era successo troppe volte. E Sivra aveva fatto la stessa cosa, scrivendogli una patetica lettera, giustificando così la sua dipartita.
L'aveva fatto per lui, per proteggerlo, perché lei era un mostro, un'assassina, aveva detto. Come poteva affermare una cosa simile? Per chi l'aveva preso, per un infante incapace di difendersi? Perché non aveva provato a dargli un po' più di fiducia?

Ma la coscienza, colei che giaceva nell'oblio e che ora si andava risvegliando a poco a poco, sussurrò che Horus, in fondo, non aveva fatto nulla per impedirlo. Come poteva Sivra richiedere il suo aiuto se lui per primo non si era impegnato per offrirglielo?

In fondo, lui era più egoista di quanto credesse. Perché sì, lui era stato abbandonato, lasciato indietro, ma ora poteva accettarlo senza fare niente? Probabilmente poteva anche accettare la motivazione di Mya. Per quanto dolorosa, per quanto deleteria per l'orgoglio e per l'anima, poteva. Fin da bambino si era abituato ad accettare la realtà dei fatti, così come capitava, piegandosi docile al Fato. Ma questa volta l'idea di chinare il capo nuovamente risultava insopportabile. Più dell'orgoglio ferito dal comportamento della ragazza. Non era solo perché lui aveva bisogno di lei, per quanto l'avesse negato in passato e l'avesse negato ora con il suo rancore. Era anche un senso di stanchezza, lo stesso che aveva contribuito a far nascere quella rabbia. Cosa aveva fatto, lui, per riprendersi ciò che amava? Rinchiudersi in sé stesso, attendendo il proseguire degli eventi, attendendo il loro ritorno, tutto qui. A questo si limitava dopo dieci anni.
Le unghie della mano stretta a pugno continuavano a penetrare nella carne finché Horus non avvertì il sangue cominciare lentamente a fuoriuscire, bagnandogli il palmo.
Era ancora in tempo per fuggire, per scappare da quella risposta, ma non lo fece. Rimase immobile come congelato incapace di fare un misero passo indietro. Sarebbe bastato solo quello. Ma quelle domande, quei dubbi lo inchiodavano a terra, rendendo le sue membra pesanti, fin troppo. Sarebbe rimasto schiacciato, inevitabilmente, se l'urlo di Mya giunto dopo quel tempo interminabile, non fece eco alle sue precedenti grida.

PAURA.

Questa era la risposta? Lei aveva paura? E di cosa? Di chi?
Le dita strinsero la presa sul viso, quasi volessero penetrare la carne e strapparla via, come la Maschera che a poco a poco sembrava sfaldarsi. Troppi quesiti e nessuna risposta; la via per impazzire era decisamente vicina e quasi allettante.
Il respiro accelerò nuovamente, condensandosi in piccole nuvolette che svanivano ancor prima che potessero essere rintracciate. La voce di Mya si era spenta, attendeva, e Horus continuava nella sua religiosa omertà. Anche volendo, non poteva parlare. La sua voce l'aveva consumata in quella disperata richiesta, così come tutte le barriere che si era costruito intorno. Le mura di un fortino che cadevano giù sotto gli attacchi nemici. E quell'avversario era lui stesso. Ciò che celava nel cuore, ciò che identificava nella sua coscienza e il cui nome era difficile da definire, difficile da accettare.


« Ricordi, di quella volta che ti chiesi dove iniziasse il cielo? »

*Eh?*
Horus, involontariamente, trattenne il respiro a quella domanda. Cosa diamine c'entrava?
Il coraggio di alzare lo sguardo, di osservare la sua schiena era un'utopia. Il freddo continuava la sua avanzata, intorpidendolo, congelando la sua mano.

« La tua risposta non mi soddisfò per nulla. Perché per quanto forte fosse l'illusione, non c'era luogo dove la terra non reclamasse il suo tributo e mi ancorasse a sé con forza. Ci ho messo un po', però credo di averlo trovato, sai?»
Quanto tempo era passato da quel giorno? Nel buio che lo circondava, le palpebre serrate, il ricordo di quelle sensazioni lo investì in pieno, come il vento che ogni tanto li sferzava.
Le provocazioni che lei gli lanciava divertita, i graffi della Foresta e poi il tramonto sul promontorio. Nella sua testa le immagini scorsero come in un libro illustrato: rivide i sorrisi ironici, rivide il suo viso a qualche centimetro dal suo, le sue labbra e i suoi occhi, e quel tocco sulla voglia sul suo volto che l'aveva fatto sentire, per la prima volta, accettato.
Ed ora? Cos'aveva trovato lei?
Forse voleva dirgli che era quell'idiota di Crowell? Certo, poteva funzionare. Lei aveva conosciuto lui ed ecco lì che ciò spiegava il suo allontanamento, ecco perché quel tradimento bruciava.
E quasi come se aspettasse quella debolezza, quella breccia, la Rabbia tornò con violenza.
Cosa quindi rispondeva a fare? Non voleva saperlo.


« Non... »

Ma, d'improvviso, la Rabbia si sciolse. Sparì come neve al sole, riscaldata dal tocco di quelle dita che si poggiavano delicate sulla sua mano.
Per quanto fossero fredde, sulla pelle di Horus sembravano irradiassero un calore inimmaginabile. Così forte, così reale che tutto svanì. Docile, lasciò che Mya spostasse la sua mano tremante dal viso, il braccio che ricadde inerme lungo il fianco. La dolcezza con cui lei l'aveva ora sfiorato, lo riportò indietro al loro primo incontro. Lei sembrava l'unica che amasse quell'arcano simbolo sul suo volto. L'unica che non l'aveva rifuggito per la sua stranezza, semplicemente l'unica che aveva avuto l'ardire di infrangere così la sua ultima Maschera.


« Il mio cielo inizia Qui »

La voce di Mya mormorò quelle parole e il cuore di Horus perse un colpo, rallentando il Tempo.
Aprì gli occhi, specchiandosi in quel viola così profondo che l'aveva incatenato a lei non appena l'argento delle sue iridi l'aveva sfiorato. Il suo sguardo vagò per il viso arrossato della ragazza, il fantasma delle lacrime ancora sulle gote, le labbra appena schiuse.

Poteva davvero lasciare che lei scappasse da lui?
Voleva davvero rinunciare alla dolcezza di quel Vento che cullava ancora le sue ali, nonostante il sangue che sgorgava fra le piume spezzate? A terra giaceva il cristallo del vetro che lui aveva infranto, qualche vita prima in Sala da Ballo, che Mya fino a quel momento aveva tenuto stretto nel suo palmo, come il più prezioso dei tesori, fino a ferirla. Eppure, era lì. Nonostante lo stesso identico dolore che, inevitabilmente, aveva animato entrambi, chi in un modo e chi nell'altro.

Poteva lasciarla abbandonare a quella Paura? Poteva lui abbandonarsi nuovamente al Destino, negando ciò che desiderava realmente?


Senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Mya, da quell'espressione così decisa e fragile allo stesso tempo, Horus alzò il braccio, afferrando il polso della ragazza e discostando la sua mano dal suo viso. Poi, tutti quei quesiti persero forma e significato. La consapevolezza dell'identità di quel sentimento lo travolse, ammutolendo qualsiasi altra cosa lì intorno, compreso il cuore che aveva ricominciato la sua folle corsa.
Con uno strattone, tirò Mya verso di sé, mentre la mano destra le afferrava il piccolo mento e tirava su il suo viso. Poi, come se avesse vissuto per quell'istante, si chinò su di lei, chiudendo gli occhi, e la baciò. La baciò come aveva sempre voluto fare, come se quello fosse ciò a cui loro erano destinati. Il braccio le circondò la piccola vita, stringendola più verso di sé, impedendole di fuggire ancora. Più si perdeva su quelle labbra, più comprendeva che la risposta era sempre stata lì.
Non era più il bacio che, dodicenne, aveva dato a Sivra, sfiorando la sua bocca con vergogna, il sapore di una consolazione in fondo.
Era il bacio di qualcuno che aveva celato dei sentimenti devastanti, nati da quell'incontro sul treno e poi tenuti nascosti, sopiti nella propria coscienza per anni. Ma a poco a poco erano cresciuti, si erano rafforzati nei meandri di quell'oscurità, cullati dagli attimi che lui e Mya avevano passato insieme tra apparenti insulti e involontarie carezze. Sentimenti che erano stati accuditi, come se fossero una creatura. E forse creatura lo era davvero: nata dalla solitudine di un ego troppo spesso avvolto in una pesante maschera di ghiaccio. Semplicemente era nata, come speranza. O come amore.
Dopo qualche istante, durato un'eternità, Horus si distaccò appena, quel tanto che bastava affinché le sue parole potessero sfiorarla.


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« Ti amo. » sussurrò ad un filo dalle labbra di lei, prima di farle di nuovo sue.

 
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view post Posted on 17/1/2013, 16:50
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Il vento aveva iniziato a farsi più insistente, ma non batteva i loro corpi, ne smuoveva i loro capelli. Era un vento in subbuglio che risuonava solamente nelle orecchie della ragazza, e fischiava attraversando il suo intero corpo. Incurvò leggermente gli angoli della bocca, in una smorfia irritata, e il gesto le procurò una piccola spaccatura sul labbro inferiore. La sera stava gelando il suo corpo e i segni del dolore iniziavano a farsi sentire, segnando l'indebolimento del suo incantesimo. Il primo soffio freddo che avvertì fu sul collo, là dove i capelli si intrecciavano morbidi su una spalla e lasciavano scoperta la pelle. Ma non era nulla al confronto del freddo che avvertiva dentro.

Un freddo scaturito dall'indifferenza, da quel silenzio che segnava il baratro infinito tra quelle due persone. Anche se li dividevano poco più di due respiri, la voragine che lei aveva generato con le sue scelte sbagliate era immensa. E il suo limitare così instabile.
Si sentì stupida al pensiero di aver creduto che bastasse entrare nell'ombra di lui, perchè questo li unisse. Che questo facesse arrivare a lui tutto il rammarico per quella situazione, e tutto il desiderio di stargli accanto. Non era bastato.

*Il dolore che gli ho arrecato è tanto vasto?* La mano tremò impercettibilmente, ma non si discostò dal viso di lui, nella viva convinzione che se avesse mollato la presa sarebbe scivolata giù dal dirupo, senza più alcun appiglio. Lui era il suo cielo, l'unico luogo in cui si sentisse serena e libera, anche restando con i piedi sulla terra ferma. Ma quel cielo la stava rifiutando, l'avrebbe allontanata con raffiche e tempeste, le avrebbe strappato le ali e l'avrebbe rigettata sull'umida terra, così come lei aveva fatto con lui. L'immensità di quel desiderio si riversò all'interno del suo corpo, come un fiume in piena, ormai libero dagli argini forzati che lei aveva creato. Gli occhi tornarono lucidi e cristallini, seppure sembrasse sul punto di piangere, si sentiva ricolma di rabbia e frustrazione.
Perchè lui non capiva?
Lei si era abbassata al più umile dei sentimenti, gli aveva mostrato la pagina più interna del suo libro, la piega più nascosta della sua anima. E aveva mostrato la sua paura. Eppure lui non capiva, o non voleva capire?
Mya lasciò cadere anche l'ultima briciola di orgoglio, e fece scivolare la mano dall'occhio alla guancia di lui, godendo di quel piccolo e insignificante contatto. - Insomma! - la voce irata e incrinata al tempo stesso - è Qui che voglio essere, Qui... -
La voce si abbassò, quasi seguendo il movimento della testa, fino a scomparire agli occhi di lui.


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Era arrivata ad elemosinare un sentimento? Quasi non si riconosceva più. Da quando quel cielo era diventato tanto vasto in lei, da non scorgerne più i confini? Si scoprì senza risposta, e ne sorrise amaramente.

* Vedere il cielo attraverso gli steli di ferro di una gabbia.. è questo che sono diventata?*

Ma che importanza aveva ormai? Poteva annullare il contatto, lasciarlo libero dalla sua presenza, solo con il suo rancore, ma non ci riusciva. Egoisticamente restava legata a lui, finchè la Notte glielo avrebbe concesso. Poi avvertì forte la presa di lui sul suo polso, le dita che irrimediabilmente si distaccavano dal pallido volto. E fu pervasa dal terrore dell'abbandono, come mai l'aveva provato prima. Era come se la sua anima stesse tentando in tutti i modi di tornare a lui, di avvinghiarsi a quella figura, accettando anche l'idea di lasciare il suo precedente corpo, vuoto come un sacco inerme. Quel corpo pesante che l'aveva imprigionata a terra per tutti quegli anni, nell'insoddisfazione e nella beffa degli uomini nei suoi confronti.
Poi il tocco di Horus sulla sua pelle, la sua mano che, sollevandole il mento, portava nuovamente i loro occhi ad incontrarsi. E quando le loro labbra si incontrarono il mondo perse ogni forma e colore. Quel tocco inaspettato, come acqua fresca nel deserto arido che si era formato nel suo cuore. Quel nettare che tante volte l'aveva portata alla follia, ma da cui fato e indecisione l'avevano allontanata, era là.
La mano di Horus lasciò il suo polso e scivolò oltre la sua schiena, avvicinandola ulteriormente al suo corpo. Dov'era il gelo della sera? Se quello che sentiva sulla pelle era un calore forte come quello di un fuoco? Le sue guance si colorarono di un rosso più intenso, di quello dipinto dal freddo. Presa alla sprovvista e completamente digiuna di contatti fisici, la ragazzina era rimasta inerme tra la braccia di lui, con le mani ancora a mezz'aria e i gomiti piegati, incerti su quale fosse la loro funzione. Eppure nulla su quella terrazza aveva più senso di quel gesto. Chiuse gli occhi e abbandonò ogni cosa.

Dubbi, litigi, insulti, compassione, paura, aiuto, tristezza, felicità.

Tutto aveva portato a quell'esatto momento, che avessero sbagliato le scelte o meno, che avessero intrapreso strade più lunghe o percorsi tortuosi, erano là. Finalmente vicini, come le due ombre che aveva visto poco prima. Senza lineamenti, ne brutture. Un unico essere.
Poi sentì le labbra di lui discostarsi impercettibilmente, e da esse la sua anima fluiva via, attratta dal suo corpo. Ma tornarono poco dopo, più dolci che mai, accompagnate dalla promessa più delicata che Mya avesse mai udito. Le mani scivolarono ai fianchi di lui, avvinghiandosi alle pieghe della sua giacca e così restò per tutto il tempo di quel lungo bacio. Forse l'indomani avrebbe portato nuove domande, ancora più confuse di quelle che si era posta fino a quel giorno. Forse avrebbe portato gelosia, forse confusione. Forse altre tiepide carezze.
Forse l'indomani semplicemente non aveva più alcun valore.

 
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view post Posted on 22/1/2013, 23:19
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Per quanto il sangue scorresse rumoroso nelle vene e per quanto il cuore che lo pompava sembrava voler assordare Horus, una pace lo irradiava gradatamente, facendolo cadere nell'oblio. Ma, a differenza di quello doloroso che fino a poco prima lo aveva avviluppato, quel Vuoto era piacevole, pacifico e decisamente tutto fuorché nemico.
Come una panacea universale, quel bacio e quelle parole confessate avevano contribuito a lasciare che le pesanti catene che lo circondavano cadessero con un sonoro tonfo dentro di lui, rendendolo finalmente libero per una volta dalla sua Maschera.
L'idea che forse aveva travisato, che forse quello non era ciò che lei voleva, lo sfiorò solo per un istante, ma Horus si scoprì troppo egoista per accettare un rifiuto, incapace di lasciare quelle labbra e quel piccolo corpo.
La consapevolezza, ormai, aveva raggiunto un livello tale che, bianca ed abbacinante, accecava qualsiasi dubbio. Correre nuovamente a riprendersi quelle labbra, prima di sentire qualsiasi altra risposta, era stato un gesto tanto involontario quanto istintivo. Forse la risposta di Mya a quel sentimento che lui le aveva svelato, non voleva saperla. Eppure, improvvisamente arrivò. Ma non furono parole, né scuse, né schiaffi.
La risposta della fanciulla giunse semplicemente quando lei corrispose al suo bacio; ciò che Mya desiderava si palesò attraverso le sue mani infreddolite che corsero ad aggrapparsi alla giacca del ragazzo quasi ella temesse che lui la lasciasse andare. Quel piccolo gesto, quella minuscola reazione fu più appagante di qualsiasi altra parola. Le dita di Horus lasciarono il mento di Mya e scivolarono lentamente sulla sua pelle, accarezzando la guancia bollente ed umida di lacrime della ragazza per poi tuffarsi fra i suoi capelli, afferrandole il viso, mentre lui la baciava con più intensità, quasi non potesse farne a meno.
Scioccamente si ritrovò a pensare che avrebbe voluto rimanere così, per sempre. Pur non credendo all'Eternità, pur sapendo che tutto, prima o poi, ha una fine, Horus pensò che quell'Eternità avrebbe voluto crearla. Solo per stare con lei.
Ma, purtroppo, il Tempo era implacabile e impossibile da controllare, anche in quei minuscoli frangenti. Fu a malincuore che il ragazzo si separò dalle labbra di lei, discostandosi gradualmente, come se un distacco troppo netto l'avrebbe ucciso. Sospirò, sfinito, e appoggiò la fronte a quella di lei, gli occhi chiusi. Ora che si erano separati da quel legame, l'imbarazzo cominciò ad avvolgerlo come una calda coperta. Sentì le guance avvampare, il dolore alla voglia sull'occhio che sì, scemava, ma che lasciava scivolare il suo calore a tutto il suo corpo. Rimase così, in silenzio per qualche istante, mentre tutto ciò che lo circondava prendeva colore e consistenza.
Il vento era diventato una costante man a mano che la notte proseguiva, scompigliando i capelli, agitando le stoffe dei loro sottili abiti. Fino a che punto era giunto il Ballo? Erano ancora in tempo o il coprifuoco era già scattato?
Scoprire che quelle stupide domande, che in un'altra occasione l'avrebbero preoccupato, importavano meno di zero nella sua testa, non era più una novità. Eppure dei quesiti che poco prima aveva posto, più a se stesso che alla ragazza, galleggiarono pigramente nella sua testa. La Rabbia non li accompagnava più come un fido compagno, eppure un pizzicore, una minuscola irritazione pungeva Horus come il freddo invernale faceva con la sua pelle. Deglutì, mandando giù quella stilla di veleno che stava risalendo, suo malgrado, e tornò a concentrarsi su quell'istante.

« Ricordi... » Esordì a fatica, tra vergogna e incapacità di ricordare come si articolavano le parole « Quel giorno sul promontorio? Ti dissi... che non eri più sola. Forse, non sono stato sincero in tutto e per tutto. Perché... in realtà... » Diamine, parlare era davvero così difficile?
Mettere a nudo così i suoi sentimenti con una semplice frase, per giunta anche breve, era stato decisamente più semplice, pochi attimi prima. Perché ora doveva temere così l'esporsi una seconda volta?
Horus prese un bel respiro e si allontanò dalla fronte della fanciulla.
La mano venne allontanata dal viso di lei e andò a cercare la destra della fanciulla. La trovò e, gentilmente, l'allontanò dalla propria giacca; le sue dita cercarono quelle di Mya e quando le trovarono vi si intrecciarono, stringendola.

W2TAAcN
« In realtà... mi riferivo ad entrambi. Il Falco e il Vento sono una cosa sola, un unico frammento dello stesso Cielo. » Le iridi si posarono sul viso della giovane, trovando finalmente il coraggio di rituffarsi nello sguardo profondo di Mya, pronte a perdersi.
Era incredibile quanto lui, che detestava con tutte le forze l'essere umano, fuggendo impaurito dai contatti con le altre persone, cercasse la compagnia di quella ragazza, come sentisse il bisogno di starle accanto, di sfiorarla, di stringerla a sé, quasi fosse l'eccezione che conferma la regola.
Tempo addietro, le mani di Sivra si aggrappavano alla sua schiena e, nonostante l'affetto che ella provava per lui, il Tassorosso aveva sempre riconosciuto in quelle mani un peso che l'arpionava e lo trascinava a fondo. Eppure, il tocco di Mya era leggero, delicato, quasi timoroso di afferrarlo e anziché intrappolarlo, lo liberava con una naturalezza disarmante.
Horus volse lo sguardo verso le loro mani intrecciate e d'improvviso l'immagine della propria mano sfumò, sovrapponendosi a quella di Random che, qualche ora prima l'aveva stretta esattamente come lui ora la stava stringendo. Le sue dita ebbero un tremito, un pizzicore all'orgoglio gli intimò di lasciarla andare, che forse Mya lo stava prendendo in giro. Ma i suoi occhi rimasero fermi, immobili su quella mano piccina che stringeva la sua.
*La MIA e di nessun altro.* pensò deciso, rinsaldando quella presa.
Tuttavia, ormai, la serpe della gelosia si era risvegliata in lui, affievolendo il calore che il bacio gli aveva donato.
Certo, Mya aveva corrisposto. Del resto lei non era quel tipo di persona frivola che mente su certe cose, difficile com'era nella sua stentorea decisione di voler apparire sempre forte e sfuggente. Eppure...

« Cos'è Crowell per te? Perché eri con lui al ballo? » *E non con me?* «... È per quello che è successo l'altra sera sera... al dormitorio? » Aggiunse poi, imbarazzato.
Inevitabilmente corrugò le sopracciglia, lasciando che le emozioni si dipingessero sul suo volto con una sincerità impressionante. Abbassò gli occhi, puntandoli ostinatamente verso terra, assomigliando d'improvviso ad un bambino imbronciato. Quelle domande bruciavano, inevitabilmente, e bruciava ancor di più averle sputate così, senza un apparente motivo. Tacerle ancora, però, avrebbe significato sovrapporre un'ulteriore barriera di diffidenza per nascondere la paura di una qualsiasi risposta e così aveva scelto il male minore, lasciando che quei dubbi tornassero a tormentarlo e intaccassero la sacralità di quei momenti.
Eppure la sua mano rimase lì, stretta a quella della fanciulla. E non aveva intenzione di lasciare che qualcun altro si intromettesse, qualunque fosse stata la sentenza di Mya.

 
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view post Posted on 11/2/2013, 14:00
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Quel bacio sembrava rubarle il tempo e la vita.
Tutto perdeva significato, si assottigliava, svaniva e prendeva la consistenza del nulla. Un velo leggero che avvolgeva ogni cosa, congelava le lancette del tempo e allontanava la mente. Non udiva più nemmeno la voce interiore che era solita accompagnare ogni sua scelta, giusta o sbagliata che fosse. Non c'era nemmeno Eupheus, volato chissà dove in quel mondo così vago e silenzioso. Sembravano non esserci certezze, eppure non importava.
Quel profumo, era l'unica cosa che la incatenava a se stessa, impedendole di perdersi. Lo stesso profumo che una notte l'aveva svegliata di soprassalto.


"Si era alzata di scatto dal cuscino, pronta a lanciare pantofole, perchè quel profumo segnava la presenza di un individuo estraneo alla camerata. E si era sentita doppiamente sciocca nel ritrovarsi nel buio vuoto della sua stanza, rendendosi infine conto che quel particolare odore, semplicemente, era rimasto intrappolato sul tessuto del suo pigiama. Aveva sbuffato inviperita per quel sonno interrotto e si era rituffata sotto alle coperte. E senza rendersene conto aveva trascorso tutta la notte con il viso nascosto vicino ai polsi, là dove il profumo sembrava farsi più intenso, senza muoversi di un centimetro. Aveva scoperto che quel delicato odore, aveva su di lei l'effetto di una camomilla.
E per alcune notti gli incubi del passato non erano venuti a farle visita, lasciandola ancora più stupita.
Ma poi, una volta svanito il profumo, tutto era tornato alla normalità. Risvegli tremanti nel cuore della notte, un'ombra nera nella testa, la sensazione di aver corso per miglia senza una meta. Tutto era tornato alla normalità e lei non ci aveva più fatto caso.
"

Ma ora che si ritrovava così vicina a lui capiva. Quel ragazzo aveva un potere particolare su di lei, e per quanto potesse essere inaccettabile l'idea di lasciarsi travolgere a quel modo, non riusciva a non desiderarlo. La sua vicinanza la calmava, allontanava i pensieri, e ogni cosa, creandole un mondo in cui si sentiva libera, persino da se stessa.
Poi la mano di lui scivolò via dal mento, sfiorandole il collo e perdendosi nei morbidi capelli che ricadevano sulla spalla sinistra. Sentì la presa rinsaldarsi sul suo corpo, le dita afferrare con più decisione la sua pelle e quel bacio che si faceva più audace, quasi spaventandola. Più del desiderio, e più della passione, c'era qualcosa di profondo che Mya non riusciva a scorgere, ma di cui avvertiva tutta la vibrante intensità.
Una paura forse?
Come quella che aveva provato lei fino a pochi attimi prima? A quel pensiero le sue mani si strinsero maggiormente attorno alla stoffa della giacca del ragazzo.
La mano di Horus sciolse leggermente la presa sul suo viso, e così fecero le sue labbra. Mya riaprì lentamente gli occhi, chiedendosi per quanto tempo fossero rimasti così.
Non trovò risposta.
La fronte di Horus si poggiò delicatamente alla sua, arruffandole la frangetta castana. Sembrava sfinito, come devastato da quel vento tumultuoso, carico di sentimenti contrastanti che aveva spirato sino a quel momento sulla torre. Mya sollevò lo sguardo e cercò i suoi occhi nel buio. Sembrava in pensiero e la ragazza rispettò quel suo silenzio.
Un rossore deciso spiccava sulle guance di lui, solitamente avvolte dal pallore quasi etereo. Mya si domandò di che colore fossero le sue, e quale fosse l'espressione idiota che si era stampata sul viso dopo quell'episodio. Si sentiva strana, imbarazzata, eppure felice, come se quel bacio avesse allontanato da lei anche l'ultimo, tenace, infido, dubbio.
La voce di Horus le arrivò sottile, un ricordo o una confessione. La mente la riportò a quel pomeriggio di un anno prima, al termine di un giorno come tanti altri.
Quando aveva contratto quella strana malattia? Che fossero state le sue parole?

Il cuore si strinse leggermente, quasi a volerle comunicare che la risposta non era tanto lontana. Anzi, non lo era per nulla, era stretta alla sua mano destra e cercava di richiamare la sua attenzione stringendola più forte. Mya seguì lo sguardo di Horus e osservò le loro due mani intrecciate, mentre una nota nuova si faceva strada nel suo tono di voce. E la domanda che aveva temuto fin dal principio si palesò a lei, lasciandola confusa e incerta su quale fosse la risposta migliore. Non aveva scusanti, e questo era un dato di fatto. Forse delle attenuanti, ma sentiva di non voler intavolare una discussione ora che era arrivata tanto vicina a lui. Ma da qualche parte avrebbe dovuto pur cominciare.
- No...forse...insomma - come inizio non era male. Era pessimo. - ero così confusa fino a pochi minuti fa, e probabilmente domani lo sarò ancora più di oggi, dopo quello che mi hai detto. - Si accigliò leggermente, tornando a quella che era la sua più comune espressione. Ma il rossore che ora si spandeva all'intero viso era in completo contrasto con quello sguardo nervoso.
Era semplicemente imbarazzata, come non lo era mai stata.
Ma più che parlare di quella notte al dormitorio, ora aveva un altro dubbio da sfaldare, quello che probabilmente aveva messo fondamenta nella testa del ragazzo. - Random è...un amico. In questi anni mi è stato più vicino di altri, ma io non mi sono comportata bene nei suoi confronti e...volevo chiarire con lui, tutto qua. -
Tralasciò gran parte dei particolari, scoprendo come quell'argomento la imbarazzasse più del bacio stesso. Poi lo sguardo di lui mutò nuovamente, mentre si spostava dalle mani al pavimento, o a qualsiasi cosa che sembrava poter essere più interessante di lei. Perché rifuggiva il suo sguardo? La sua risposta non gli era stata gradita? Non che avesse mai riposto grande fiducia nelle parole, e lei da essere umano, non faceva differenza. Le parole erano solo insiemi di suoni, che forse non arrivavano nemmeno a sfiorare l'anima.

Come potevano comunicare due anime?

Mya allontanò ogni pensiero e la risposta le venne spontanea. Lasciò la presa della mano dalla giacca di lui e la portò in alto, sfiorando la guancia del prefetto. Si sollevò sulle punte dei piedi, cercando di abbattere il divario che c'era tra le loro altezze, e lo baciò sulla guancia con ingenua dolcezza.




Nella mente un flash. Un bambino seduto su un prato.
Il viso abbassato, lo sguardo triste e corrucciato.
Fissava gli steli d'erba che ondeggiavano sotto il tocco del vento.
Un falco che inclinava la testa incuriosito.
Poi lasciava cadere un petalo viola sulle gambe del ragazzino.
Un dono.
O forse un seme,
lasciato cadere con innocenza.


 
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view post Posted on 10/3/2013, 20:30
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Poteva dire di avere paura?
Se quel dolore acuto al petto, quel tempo dilaniato, trasformato in un'enorme bolla che lo intrappolava, rallentando qualsiasi cosa lo circondasse e quella sensazione di aver sbagliato, di aver esagerato, di essersi abbandonato del tutto ad un Vento che poteva improvvisamente ribellarsi e schiantarlo a terra con violenza, se tutto questo poteva esser definito come sintomo di un terrore puro e cieco, allora sì. Horus aveva paura. E non era la prima volta. Solleticata da quel sentimento di dubbio, la Rabbia tornò a bussare alle porte del suo animo, pronta a sussurrare parole di fiele, cercando di riportarlo alla ragione.
Ma la presa sulla mano di Mya lo faceva desistere dal cedere nuovamente a quell'incoscienza di furia. Strinse ancor di più le dita, arpionandosi a quel contatto, forse per farsi coraggio o forse, semplicemente, per puro egoismo, per darsi l'illusione di poter avere la fanciulla sempre vicino a sé. Era davvero un inutile sogno destinato a svanire?
Mentre ella parlava, lo sguardo del giovane continuava a scrutare le grosse pietre squadrate del pavimento, incapace di alzare il viso e osservare l'espressione di Mya. O più probabilmente incapace di mostrarle le ombre che passavano sul suo, di volto.

Lei era confusa? E perché?
Per quello che aveva detto?
Suonava così strana quella dichiarazione?
Era stato sincero, per la prima volta. Perché questo doveva procurare confusione? Forse lei non sapeva che dirgli e aveva ricambiato quel bacio per pietà, incapace di trovare altra risposta?

Horus deglutì, il terrore che cominciava ad afferrargli la gola, rendendolo quasi incapace di respirare, allontanandolo da quella sensazione di benessere che fino a poco prima l'aveva riscaldato, stretto al corpo della ragazza.
Alzò con timore lo sguardo, incrociando in un istante gli occhi di lei e il suo viso rosso di vergogna, scrutandola oltre le parole. Ma quando il nome di Random venne pronunciato dalle sue labbra, il Prefetto riabbassò ostinatamente il viso a terra, chiudendo gli occhi e aspettando una sorta di sentenza.
Il termine "amico" riecheggiò con tono innaturale nelle sue orecchie. Una parte del suo cuore si sentì sollevata a quella sottospecie di confessione, seppur un po' titubante, ma una vocina insidiosa mormorava nella sua testa: "gli occhi di Crowell non erano gli occhi di un amico, Ra. La mano sul suo fianco non era la mano di qualcuno che sta solo giocando. Lui vuole portartela via, e tu in fondo chi sei per poter prevalere su un amico tanto caro? Lasciala andare prima che ti ferisca."

Quel pensiero, rapido, lo trafisse da parte a parte provocandogli un dolore secco al petto, tanto forte che egli fu costretto a portarsi la mano libera all'altezza del cuore, stringendo la stoffa della giacca con forza.
La Gabbia in cui era sempre cresciuto tornò a manifestarsi intorno a lui, pronta a lasciar fuori dalle sue cristalline sbarre chiunque o qualsiasi cosa avesse potuto procurargli dolore.
La presa sulla mano della ragazza si allentò, le dita cominciarono a scivolare, il palmo insanguinato bruciava, mentre il calore di quella pelle scemava lasciando insinuare il freddo vento invernale.
Ma poi, un fruscio lo fece destare da quel turbamento, un tocco morbido e gentile sulla guancia gli fece alzare il viso, incontrando quello di Mya, sempre più vicino. Horus si sentì improvvisamente spaesato, pietrificato dal terrore, ma il bacio di Mya giunse ancor prima di qualsiasi sua parola. Dolci e infantili, quelle labbra sfiorarono la sua pelle gelida quasi a voler essere una conferma oltre le solite frasi terrene, infrangendo definitivamente quelle sottili sbarre che l'avevano sempre circondato. Una rassicurazione valida più di mille inutili discorsi che riscaldò nuovamente il ragazzo, dissipando la nebbia di quei dubbi.
Cosa importava se Random voleva portargli via Mya o se fosse solo un amico, come lei diceva. Evitare di soffrire per un abbandono compensava la sofferenza di non poterla avere accanto?
No, non poteva. E quel gesto che lei aveva appena compiuto era la risposta che tanto aveva cercato.

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Le braccia del ragazzo si allungarono oltre le spalle della fanciulla, cingendole poi con forza e stringendola a sé mentre le dita affondavano sulla sua pelle vellutata. Horus abbassò il viso, chinandosi abbastanza per poter affondare il volto nell'incavo tra il collo e la spalla della ragazza, libero dai capelli. Lì, a contatto con la nuda pelle, il profumo di lei si faceva più intenso, un'odore che aveva imparato ad amare ancor prima di quell'aspetto delicato e di quel carattere forte. Era il profumo di un Vento libero dalle catene e dalle persone, semplicemente libero dalle Gabbie. E lì, Horus sfiorò con un leggero bacio quella pelle e quel profumo, scoprendo che mai e poi mai ne avrebbe potuto farne a meno.

« Lo so... che è chiederti tanto, ma... ti prego... » mormorò poi, nascosto agli occhi di lei, mentre quel desiderio cominciava ad esser articolato e risaliva rapido alla sua voce. Un desiderio che troppo a lungo aveva taciuto e che ora, conscio del suo egoismo non poteva più nascondere.
« ... Vorrei che tu... appartenessi solo a me. E a nessun altro. » formulò infine, imbarazzato dalla sua stessa cupidigia.
Poteva davvero sperare di rinchiudere Mya? Era uno sciocco ed un illuso, lo sapeva bene. Ma il solo pensiero di poterla dividere con qualcuno, che altri potessero vederla come lui la vedeva e che lei potesse esser sfiorata da un amore diverso dal suo, lo faceva impazzire.

Forse, in fondo, la sua non era solo paura di venir ferito. Forse aveva solo paura di perderla ora che aveva ritrovato il Vento che tanto a lungo aveva desiderato.

Così, come il Falco chiude le ali, l'aria ancora tra le piume.

 
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view post Posted on 18/3/2013, 19:12
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Lì, in quello spazio che, ormai nullo, li teneva vicini, Mya riuscì a sentirlo.
Non era il battito di un cuore conosciuto, non era il calore di un respiro, nè i brividi di un corpo ormai noto. Era la risonanza di due anime, che troppo a lungo si erano sfuggite, nell'incapacità di accettarsi forse.
Ognuna con le proprie insicurezze, le proprie diffidenze e il proprio ostinatissimo orgoglio.
Affini ma inafferrabili, lontani ma indissolubilmente legati.
Era stato uno strano e beffardo fato a condurre le loro vite fino a quel momento, muovendo come un goffo marionettista i fili in mille direzioni diverse, avanti e indietro, superandosi, saltando, sfuggendo e tornando. Finchè quei fili non avevano fatto altro che intrecciarsi fra loro, filamento dopo filamento, annodandosi irrimediabilmente. Forse col tempo sarebbe riuscita a sciogliere anche le matasse più ostinate, forse ci sarebbe voluta tutta una vita. Mya pensò che non le sarebbe dispiaciuto impegnare il tempo in quel modo, se nello stesso ingarbugliato pasticcio c'erano finiti insieme.
Avrebbero fatto a gara a chi ne scioglieva in maggior numero, e riso di chi, sciogliendone uno ne avrebbe formati altri venti. Non avrebbero avuto tempo per pensare, nè per fuggire. Forse era solo un pensiero egoistico, forse solo paura, forse solo una verità che oramai era diventata tangibile e innegabile.

Guidate da quel pensiero, le labbra di Mya si schiusero leggermente allontanandosi dalla pelle gelida di Horus, mentre un sorriso si affacciava sul suo visino arrossato. Doveva essere il freddo ad averle intorpidito la mente, a lasciarle quel senso di euforia inspiegabile e quella sottile sensazione di tranquillità apparente. Dove erano finiti i dubbi che l'avevano mossa fino a quel momento? La rabbia per quel silenzio e l'insoddisfazione per quella condizione? Dove era finita la paura?
Un secondo dopo il viso di Horus scivolava via da quel contatto, sprofondando sulla sua spalla e nascondendosi alla vista. Sentì le sue braccia avvolgersi nuovamente intorno al suo corpo, facendola sussultare appena ma non di stupore. Era un contatto nuovo per lei. A nessuno aveva mai permesso di superare il suo cerchio a quel modo, ma in quella vicinanza non c'era nulla di sbagliato, lo sentiva. Nulla che non desiderasse lei in prima persona.
Sentì le mani fremere, come incandescenti raccolte vicine al petto del compagno, desiderose di ricambiare quel contatto e riempire quel poco spazio che divideva i loro corpi. Non si riconosceva, non sembrava avere più alcun controllo sulla propria mente, e ora nemmeno sul corpo. Le sue mani risalirono verso l'alto sfiorando i capelli del ragazzo e perdendosi oltre le sue spalle, in un abbraccio che gli cingeva il collo. Strinse un poco la presa e abbassò il viso, sprofondando tra le pieghe della giacca di lui.
Sentiva distintamente il cuore di lui a contatto col suo corpo, a volte risuonava agitato, altre volte si faceva silenzioso e incomprensibile, un po' come i suoi pensieri. Tutto il resto taceva.

Dove era finito il tempo, sovrano assoluto di quella terra? Gli impegni? Il ballo?
Dove era finita la vita stessa? Tiepida, ora viveva lì, racchiusa in quell'abbraccio che sembrava non voler avere fine e a Mya tanto bastava.

Accolse con un brivido il leggero bacio di Horus sulla pelle, sentendosi completamente scoperta sotto il suo gioco. Inclinò leggermente il viso verso sinistra ritrovandosi a vivo contatto con il suo collo, mentre all'orecchio arrivavano flebili le sue parole. Una richiesta importante la sua, appartenenza. Un impegno che gestito nel modo sbagliato sarebbe divenuto facilmente un peso e una condanna.
Poteva lei davvero siglare, attraverso parole umane, un simile patto?
Lui lo sapeva, aveva messo in conto ogni cosa, eppure non si era impedito di esternare un simile desiderio, anche nel timore che questo potesse solamente generare un effetto contrario. E conoscendosi Mya non dubitava che sarebbe potuto accadere. Ma in ballo ora c'erano anche i suoi sentimenti, che per quanto timorosi fossero, oramai erano più nitidi di un cielo di tramontana.
E non poteva ignorarli.
Ma nemmeno affidarli a lui con tanta sicurezza o, temeva, ne avrebbe pagato le conseguenze. Doveva solamente trovare il giusto modo per dirlo, e lei con le parole non ci si era mai districata molto bene.
Un po' come per i nodi.

Si discostò leggermente da quel contatto, quel tanto che le permise di aprir bocca per lasciar fluire fuori la sua risposta.
- Tu mi hai definita "Vento" un giorno, ricordi? - Tacque un momento per permettere al ragazzo di riportare alla mente l'episodio della biblioteca, di quello strano pomeriggio che aveva fatto nascere tante piccole crepe sulle loro belle maschere. Riprese un leggero respiro e il profumo di Horus le riempì le narici, la mente e prepotentemente anche il cuore. Forse il modo che aveva scelto non era il più diretto, ma sperava che il ragazzo comprendesse il suo punto di vista e lo rispettasse come tale.
L'alternativa in fondo era ovvia, per quanto più dolorosa da immaginare.
- Dimmi, tu riesci a immaginare un vento stretto in un palmo o chiuso in una scatola, bloccato da sbarre o avvinto da un laccio? Per me è difficile, davvero... - ammise con un tono che tradiva un certo divertimento nell'immaginare un bimbo che armato di retino per farfalle cercava di catturare una folata di vento. Però l'euforia svanì quasi subito, nel timore che quel gioco potesse facilmente sfuggirle di mano, ancor prima di aver detto ciò che contava. Essere fraintesi in quel frangente sarebbe stato facilissimo, e ferire Horus ancora di più.
Mya strinse maggiormente la presa attorno al collo del ragazzo, andando quasi in totale disaccordo con le parole appena pronunciate. - ...il vento sfuggirà sempre, e sempre, ad ogni legame terreno, sempre. - Le sue labbra si avvicinarono maggiormente all'orecchio del compagno, quasi desiderando che quella confessione divenisse sua e sua soltanto. Nemmeno le pietre del castello, ne le stelle del cielo meritavano di udire quella confessione.
- ....perchè appartiene al Cielo e a lui sempre tornerà, non è così? - Nessuno a parte lui avrebbe potuto sentire, nessuno a parte lui avrebbe potuto Capire. Andava bene così, non c'era vergogna o imbarazzo in quelle parole, solo un grande desiderio di venir accettata, nel bene o nel male.

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Poggiò la fronte sulla spalla del prefetto e si nascose alla pallida luce della luna, che curiosa non distoglieva il suo sguardo, come madre apprensiva. Puoi andare, voleva dirle Mya, lascia calare il buio, chiudi gli occhi al Tempo e lasciaci qui.
- Non c'è un altro luogo dove vorrei essere.... - aggiunse a voce bassa, mentre un certo torpore iniziava ad espandersi in tutto il suo corpo, ignaro del freddo. Chiuse gli occhi e ripensò ad ogni singola parola detta.
Doveva essere la stanchezza, disse l'orgoglio.

 
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view post Posted on 17/4/2013, 23:46
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Nel silenzio di quella gelida notte, stelle e luna uniche spettatrici, Horus si ritrovò ad essere un bambino. Un bambino insicuro in alto, su una scogliera, il mare burrascoso sotto di lui, ma davanti a sé il Cielo, vicino come mai prima d'ora. Il terrore di precipitare ed infrangersi come cristallo era incredibilmente tangibile, ma l'eccitazione e la gioia di poter saltare e scoprire di poter Volare era altrettanto vicina. E così, stretto a quel piccolo corpo quasi fosse l'unico arpiglio, Horus si lasciava andare, lanciandosi da quella scogliera. Il Vento l'avrebbe sollevato o l'avrebbe schiantato al suolo?
Quel pensiero, lo stesso che a volte si riaffacciava nella sua mente, e l'importanza che assumevano delle semplici parole pronunciate da Mya, tali da giostrare i suoi istanti come un marionettista gioca con le sue bambole, lo fece quasi rabbrividire. Da quando, da quando era diventato così? Così dipendente da lei? Da quando Mya era necessaria a tal punto da poter disporre della vita di Horus fino a quei livelli?
Il Tassino alzò appena il viso dal collo di lei, cercando di respirare, di prendere aria mentre ricacciava dentro di sé il desiderio di voler negare tutto. No, non avrebbe dovuto rischiare così tanto. Non poteva chiedere una cosa del genere alla ragazza, mostrandole fino a quel punto il suo egoismo. E se si fosse spaventata? Se quella richiesta, per quanto sofferta, l'avesse terrorizzata? Strinse gli occhi, le labbra mormorarono atone delle parole insensate, forse delle scuse, forse una semplice negazione, quando Mya, finalmente parlò.
Ricordava? Certo, come poteva dimenticare. Il momento in cui la sua Maschera aveva cominciato a creparsi, l'istante in cui tutto prendeva forma, come goccia d'acqua modellata da mani inumane. Quel profumo, quegli occhi, quel rossore sulle guance, quella tempesta nel petto che minacciava di affondare tutti i suoi buoni propositi e poi quella consapevolezza.
Sì, ricordava.
Horus annuì a malapena alle parole di lei, continuando a chiedersi quanto distava il mare dal suo corpo in caduta libera. Quanti metri? Quanti respiri, ancora, prima di soffocare?

« Dimmi, tu riesci a immaginare un vento stretto in un palmo o chiuso in una scatola, bloccato da sbarre o avvinto da un laccio? Per me è difficile, davvero... »
Che sciocco che era stato. Doveva saperlo, doveva immaginarlo che era da stupidi imprigionare la Libertà stessa in un misero pugno terreno.
Ma questo significava che lei se ne sarebbe andata? Anche lei?
Incapace di parlare, incapace di respirare, incapace di muovere anche un solo muscolo, Horus spostò in alto lo sguardo fissando il manto stellato, la voglia sull'occhio che, reagendo ai suoi sentimenti burrascosi, pizzicava fastidiosamente, tingendosi.
Non avrebbe mai raggiunto neanche Mya?
E di nuovo quella domanda: poteva seriamente sopportare la sua perdita, anche in un futuro lontano? Perché lui, Horus, era incapace di tenere a sé le persone care?
Il pensiero di non avere Mya al proprio fianco, il ricordo di come si era sentito quella sera fino a poco prima quell'incontro, inutile, solo, ritornò prepotentemente a galla, facendo accelerare i battiti del suo cuore che, doloroso, premeva sulla cassa toracica. La presa sulla fanciulla si fece più lenta, quasi Horus avesse perso energie. Una bugia destinata a terminare;
l'impatto con la superficie delle onde era ormai impossibile da evitare.
Ma, una brezza inaspettata e leggera, splendida e tiepida, si palesò ed ecco il suo corpo fragile sollevarsi, sfiorare l'acqua oscura e innalzarlo verso il Cielo. Non più umano, semplicemente parte del Vento stesso.
Il viso di Mya, la sua voce, si erano fatte vicine, tanto che Horus rabbrividì sentendo il respiro caldo sfiorargli l'orecchio. Quella confessione così sincera, così dolce, fu tutto ciò di cui aveva bisogno. Quelle semplici parole, cambiarono completamente la visione che il ragazzo si era fatto delle precedenti affermazioni. E mai promessa fu più sacra di quella.

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Il cuore, sempre doloroso, sempre smanioso, continuava a battere, forte, quasi volesse seriamente lasciare il suo corpo e fondersi con quello della giovane. Le sue mani rinsaldarono la presa sulla piccola vita, avvicinando ulteriormente la fanciulla a sé e stringendola forte. Come se fosse qualcosa di estremamente prezioso, qualcosa che era soltanto suo e che non avrebbe mai e poi mai condiviso con nessuno. Horus appoggiò il viso sulla spalla di lei, voltandosi in modo da avere il collo della ragazza a qualche respiro di distanza.
Inevitabile, ormai, come quella consapevolezza l'aveva, nuovamente colpito, con la forza di una tempesta. Come quel giorno in Biblioteca, ancora una volta Horus si era ritrovato a pensare che lei era l'unica cosa in quella terra che potesse sostenerlo, l'unica che potesse mai amare.
Chiuse gli occhi, ignaro di quanto quella stretta potesse risultare forte, sebbene non dolorosa, e baciò ancora una volta la pelle morbida del collo della fanciulla. Il profumo, così intenso e familiare, lo avvolse come un manto. Quante volte si era ritrovato a pensare che il Tempo, in quel frangente, fosse inutile? Quante volte aveva desiderato che si congelasse, che li lasciasse così, stretti l'uno all'altra come una Dama e un Cavaliere di un'opera sempiterna?
Ma, purtroppo, mortali erano e mortali rimanevano, soggetti ai capricci del Signore Crono. Così, allontanando le labbra calde dal collo gelido di Mya, Horus sciolse quell'abbraccio. Ma la distanza, durò poco: davanti a lei, le prese il viso tra le mani, alzandoglielo, appoggiando la sua fronte a quella della fanciulla, chiudendo gli occhi.

« Qualsiasi cosa accada, qualsiasi persona si frapponga tra noi due... io... io sarò tuo. » Quella piccola affermazione, gli costò ogni briciolo di orgoglio e determinazione. Aveva oramai strappato l'ultima Maschera dal suo volto, gettandola a terra senza più rimorsi, senza più averne bisogno.
Rimase in silenzio qualche istante, poi, a fatica, si allontanò, lasciandola andare, resistendo alla tentazione di baciarla ancora una volta.
Lui, proprio lui, quello che detestava i contatti fisici, ora sentiva il bisogno di stabilirne uno, indissolubile.
La mano venne portata a sbottonare la preziosa giacca, la pelle sul palmo che pizzicava a malapena. I graffi che lui stesso si era procurato, ora, tornavano a dolere, ma incredibilmente sembravano essersi allo stesso tempo cicatrizzati. Li ignorò, sfilandosi infine l'indumento e, con un elegante gesto, lo posò sulle spalle infreddolite della fanciulla.
Il gelo, del resto, aveva continuato a colpire i loro corpi, infierendo soprattutto su quella pelle scoperta che la ragazza esibiva, avvolta appena da quell'abito splendido ed impalpabile. Così leggera, così piccola, si ritrovò a pensare Horus, osservandola in quella giacca troppo grande per lei. Eppure, una creatura così fragile aveva il potere di Creare e Distruggere tutto, in lui.
Ormai, si disse, era fatta.
Le sorrise, offrendole la mano con fare galante, sopprimendo appena i brividi che il freddo gli provocava, attraversando la sottile stoffa della camicia e ferendo la pelle.

« Torniamo dentro, Milady? » le disse ironico, cercando di riadattarsi a quel dannato Tempo. Chi mai voleva tornare dentro, se fosse stato possibile?
Il Ballo, le persone, i festeggiamenti, l'alcol, tutto sembrava così caduco, così lontano, appartenente ad un'epoca passata.
Ma ora, ora che poteva dire di avere Mya al proprio fianco, poteva dirsi, quello, un nuovo inizio? Poteva affrontare, così, i fantasmi che lo tormentavano?
Sì; non era più solo, del resto.

 
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view post Posted on 19/4/2013, 00:19
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Ogni sensazione, ogni certezza, ogni paura o rabbia provata da Horus, le arrivava dentro più chiara, più sincera di ogni altra parola che avrebbe mai potuto udire. Quando la sua presa a tratti si faceva più lenta, quasi stesse per abbandonarla, quando l'abbraccio si faceva nuovamente deciso, quando il tocco delicato delle sue labbra colmava ogni vuoto e silenzio, quando ogni suo respiro o sospiro scandiva il loro tempo, come Dio assoluto.
Mya si meraviglió di come le fosse facile avvertire ogni più piccola variazione d'umore, come se quel corpo e quel contatto instaurato da così poco tempo, le avessero permesso di comprendere cose che in due anni non aveva nemmeno sfiorato. Il corpo umano era una macchina meravigliosa, piena di ricettacoli e sensori, che captavano ed elaboravano ogni gesto trasformandolo in informazioni.
Ma a Mya poco importava capire cosa fosse a generare una simile comunione, tutto ció che voleva conoscere era lì in pieno contatto col suo cuore, che a dispetto della situazione sembrava estremamente calmo. Poggiata al corpo del ragazzo si accorse appena di come ogni sua percezione stava lentamente affievolendosi, come candela sul punto di spegnersi. Il corpo pesante sorretto inconsciamente dal ragazzo, gli occhi gonfi da pianto e stanchezza, il respiro rovente che le tornava in viso, così premuto contro la stoffa della giacca. Quelle sensazioni le ricordarono di un rigido inverno a Inis Mor, quando uno stupido litigio con il padre non l'aveva portata a trascorrere un intero pomeriggio su un'altura isolata.

Avevano litigato per qualcosa che faticava persino a ricordare, domandandosi quante volte per la sua irrequietezza avesse procurato preoccupazione e dispiacere nei suoi cari. Sciocca e impulsiva aveva cercato la solitudine, ma in quel silenzio aveva continuato a gridare silenziosamente affinchè qualcuno giungesse a cercarla. E aveva sentito quel torpore appagante avvolgerla come una coperta di lana, la neve sotto al suo corpo invitarla come fosse un morbido letto e il cuore rallentare i battiti, in un lento walzer che le portava tranquillità.
Poi si era risvegliata nel letto di casa, con una pezzetta umida sulla fronte, due coperte addosso che l'avevano fatta sudare come pochi e un fastidioso prurito sulla guancia sinistra. Salvo scoprire il mattino dopo che il prurito aveva assunto una forma rossastra allungata, con il chiaro stampo di cinque dita affusolate, quelle di suo padre.

Ed ora quello stesso torpore tornava a farle visita, come se tra loro ci fosse stata una sfida mai conclusa. Stava per morire? No di certo, ma un bel malanno non gliel'avrebbe tolto nessuno.
Quando Horus si allontanó di colpo, le vertigini iniziarono a farsi sentire prepotentemente. Mya fece scivolare le braccia dal collo del prefetto e si arpionó saldamente alla sua giacca, cercando di tornare lucida e presente. Ma non ci riuscì, ogni senso sembrava rallentato, dall'udito alla vista, fino alla capacità di elaborare una frase di senso compiuto. L'unica cosa che le riuscì di rispondere alla dolce promessa del ragazzo fu un mugolo sommesso, condito dal vivo rossore che aveva colto le sue guance. Si sentiva strana, ma felice, e un po' stava odiando quella condizione tanto instabile.
Eppure un letto, al momento, era ció che più desiderava, magari dividendo il poco spazio assieme al ragazzo, come aveva fatto qualche sera prima. Stretta tra le sue braccia avrebbe riposato nella tranquillità di quel profumo, e al mattino l'avrebbe trovato ancora al suo fianco, convincendosi così che quella serata era stata reale.
Accettó senza troppe storie la giacca che lui le poggió sulle spalle, riscoprendo il piacere dell'abbraccio caldo sulla pelle infreddolita, e tese la mano gelida verso quella di Horus.

L'avrebbe stretta, e da lui si sarebbe fatta guidare verso quel futuro ignoto e ancora pieno di insidie. Ostacoli, timori, prove.
Eppure nulla faceva più tanta paura.

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~end



Edited by ~mya~ - 19/4/2013, 10:59
 
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