Ci sono cose che non si possono scordare, nemmeno se lo desideriamo con tutto il nostro cuore.
Un volto, un sorriso, uno sguardo.
Un odore, un sospiro, una parola.
Un amore, un figlio, una madre.
Aryadne sedeva su una delle panche di pietra che a intervalli regolari spezzavano la linearità del corridoio del primo piano, la schiena appoggiata al muro, le ferite su di esse ormai rimarginate. Lo sguardo, cristallino e chiaro, liquido come le turbolente acque di un fiume in piena, annaspava sul luminoso cielo di Maggio, Hogwarts salutava splendente una nuova stagione, il tepore del primo pomeriggio calmo e rilassante. L'anno stava volgendo al termine coi suoi calori e le sue fredde attese. Ogni giovane che percorreva i corridoi del castello non poteva fare a meno che guardare ogni angolo, ogni scala, ricordando con terrore ciò che era avvenuto solo il mese prima. L'invasione, la fuga, la morte di molti.
Come un fulmine, le immagini di quell'avvenimento le si pararono di fronte, costringendo il suo corpo a tremare brevemente. I sotterranei, Raven che veniva più e più volte ferito nel tentativo di proteggerla. Il mostro dalle mille forme, Mokushi.
Poi Lucas Scott e i Mangiamorte.
La maschera dorata e il volto di suo padre.
Il labbro inferiore, carnoso e rosso a causa dei denti che lo stringevano in una morsa d'acciaio, vibrò visibilmente e la giovane si costrinse ad abbassare lo sguardo sulle proprie mani in grembo. Tra le lunghe dita pallide, stringeva delle fotografie magiche, di quelle in cui le persone ritratte si muovono, le tipiche foto lontane e sconosciute al mondo babbano.
Erano tre e le teneva una sopra l'altra. La prima, raffigurava i suoi genitori, lei che doveva essere appena nata tra le braccia di sua madre e suo fratello, che avrà avuto 12 o 13 anni, i capelli biondi arruffati sventolavano per il vento del giardino della loro villa, vicino a Londra. Lo sguardo si soffermò sul volto di suo padre, giovane e meno rigido, meno teso di ora, gli occhi grigi privi della crudeltà di ora, privi dell'ira, privi dell'odio che tante volte gli aveva visto sopra. Sorrideva, ed era sincero.
Spostò la fotografia in fondo, dietro l'ultima e guardò la seconda.
Rappresentava la famiglia di sua madre. I suoi nonni paterni sedevano in mezzo ai loro figli, sorridenti e giocondi, come se parlassero tra di loro, complici. Sua madre, i lunghi capelli rossi identici ai suoi e i luminosi occhi ambrati le sorridevano mentre teneva la mano a sua nonna. Accanto a lei, un'altra ragazza dai capelli rossi, più giovane di sua madre, i brillanti occhi verdi, intelligenti e vispi la guardavano mentre il viso si inclinava curioso. Era sua zia, Lilian Anne, la più piccola di tutti i Gordon, che non vedeva...da moltissimi anni, non se la ricordava nemmeno più. Accanto a quest'ultima, un volto gentile e pacato, una giovane chioma rossa come fuoco e intensi occhi chiari, la quarta figlia Gordon, Louisa Emily, purtroppo morta qualche tempo prima di sua madre, le avevano raccontato. Ella era la madre di Emily Rose, più piccola di lei di qualche anno, arrivata da poco a Serpeverde. Accanto al nonno invece, vi erano i due maschi maggiori: Robert, il più grande, era alto e dai riccioli biondi, gli occhi verdi e l'aria angelica lo facevano sembrare un principe venuto da lontano per salvarti, mentre Julius, il secondogenito...lui si vedeva che era un bel birichino. Julius aveva i lineamenti marcati tipici della famiglia Levitt, quella della nonna, la mascella squadrata, i capelli color sabbia e gli occhi sottili, chiari e intriganti, mentre un sottile sorrisetto ammiccava da sotto le prime pelurie rossicce.
Coi capelli rossi, constatò Aryadne, erano solo le femmine, tutte e tre coi capelli molto lunghi e molto rossi, tutte bellissime, tutte radiose. Dai racconti che ne faceva nonna Elizabeth, litigavano molto da piccole, forse per la somiglianza dei caratteri e doveva esserci sempre qualcuno a dividerle, solitamente il fratello maggiore, Robert, il più responsabile.
Parevano davvero felici. Le labbra di Arya si strinsero ancora di più. Perché lei non poteva aver avuto quella gioia?
Chiuse gli occhi per un istante e alla cieca spostò la foto in fondo, posando lo sguardo sull'ultima fotografia che aveva. Erano quattro persone, due uomini e due donne.
Erano tutti intorno a un tavolo rotondo, pareva una cena dall'apparecchiatura. Riconobbe le due donne, e uno degli uomini. I lunghi capelli rossi e gli sguardi erano inconfondibili. Le due sorelle Gordon, la più grande e la più piccola, entrambe intorno alla ventina, salutavano con la mano sorridendo felici, mentre l'uomo accanto a sua madre, suo padre John Sr, beveva da un calice un liquido violaceo facendo ogni tanto scattare lo sguardo arguto e impenetrabile verso la macchina fotografica, il braccio libero intorno alle spalle di Audrey. Era visibile la mano che sbucava dalla spalla della donna e Aryadne sorrise lievemente vedendo che le dita la stringevano accarezzandola con dolcezza, tutta la durezza di quello sguardo eliminata dalla morbidezza del gesto. Dall'altra parte, accanto alla sorella minore di sua madre, Lilian Anne, vi era un uomo dai lineamenti fini, i capelli biondi pettinati con ordine di lato, gli occhi scuri, intensi, che sorridevano alla macchina fotografica. Arya seguì la sua mano appoggiata sul tavolo e vide che stringeva quella di sua zia, mentre una fede dorata splendeva all'anulare. Ah, suo zio, quindi. Nemmeno se lo ricordava più...
Suo padre, d'altra parte, non le permetteva più di vedere la famiglia di sua madre, dopo che sua nonna aveva provato a portarla via da quell'inferno. Sospirò mentre l'indice della mano destra andava ad accarezzare l'immagine di sua madre. Quanto avrebbe voluto averla vicino a sé, a consigliarla, a darle manforte, a salvarla...