Oblivion, Per Hope

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Cuore d'inchiostro
view post Posted on 3/5/2013, 22:34





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Ci sono cose che non si possono scordare, nemmeno se lo desideriamo con tutto il nostro cuore.
Un volto, un sorriso, uno sguardo.
Un odore, un sospiro, una parola.
Un amore, un figlio, una madre.
Aryadne sedeva su una delle panche di pietra che a intervalli regolari spezzavano la linearità del corridoio del primo piano, la schiena appoggiata al muro, le ferite su di esse ormai rimarginate. Lo sguardo, cristallino e chiaro, liquido come le turbolente acque di un fiume in piena, annaspava sul luminoso cielo di Maggio, Hogwarts salutava splendente una nuova stagione, il tepore del primo pomeriggio calmo e rilassante. L'anno stava volgendo al termine coi suoi calori e le sue fredde attese. Ogni giovane che percorreva i corridoi del castello non poteva fare a meno che guardare ogni angolo, ogni scala, ricordando con terrore ciò che era avvenuto solo il mese prima. L'invasione, la fuga, la morte di molti.
Come un fulmine, le immagini di quell'avvenimento le si pararono di fronte, costringendo il suo corpo a tremare brevemente. I sotterranei, Raven che veniva più e più volte ferito nel tentativo di proteggerla. Il mostro dalle mille forme, Mokushi.
Poi Lucas Scott e i Mangiamorte.
La maschera dorata e il volto di suo padre.
Il labbro inferiore, carnoso e rosso a causa dei denti che lo stringevano in una morsa d'acciaio, vibrò visibilmente e la giovane si costrinse ad abbassare lo sguardo sulle proprie mani in grembo. Tra le lunghe dita pallide, stringeva delle fotografie magiche, di quelle in cui le persone ritratte si muovono, le tipiche foto lontane e sconosciute al mondo babbano.
Erano tre e le teneva una sopra l'altra. La prima, raffigurava i suoi genitori, lei che doveva essere appena nata tra le braccia di sua madre e suo fratello, che avrà avuto 12 o 13 anni, i capelli biondi arruffati sventolavano per il vento del giardino della loro villa, vicino a Londra. Lo sguardo si soffermò sul volto di suo padre, giovane e meno rigido, meno teso di ora, gli occhi grigi privi della crudeltà di ora, privi dell'ira, privi dell'odio che tante volte gli aveva visto sopra. Sorrideva, ed era sincero.
Spostò la fotografia in fondo, dietro l'ultima e guardò la seconda.
Rappresentava la famiglia di sua madre. I suoi nonni paterni sedevano in mezzo ai loro figli, sorridenti e giocondi, come se parlassero tra di loro, complici. Sua madre, i lunghi capelli rossi identici ai suoi e i luminosi occhi ambrati le sorridevano mentre teneva la mano a sua nonna. Accanto a lei, un'altra ragazza dai capelli rossi, più giovane di sua madre, i brillanti occhi verdi, intelligenti e vispi la guardavano mentre il viso si inclinava curioso. Era sua zia, Lilian Anne, la più piccola di tutti i Gordon, che non vedeva...da moltissimi anni, non se la ricordava nemmeno più. Accanto a quest'ultima, un volto gentile e pacato, una giovane chioma rossa come fuoco e intensi occhi chiari, la quarta figlia Gordon, Louisa Emily, purtroppo morta qualche tempo prima di sua madre, le avevano raccontato. Ella era la madre di Emily Rose, più piccola di lei di qualche anno, arrivata da poco a Serpeverde. Accanto al nonno invece, vi erano i due maschi maggiori: Robert, il più grande, era alto e dai riccioli biondi, gli occhi verdi e l'aria angelica lo facevano sembrare un principe venuto da lontano per salvarti, mentre Julius, il secondogenito...lui si vedeva che era un bel birichino. Julius aveva i lineamenti marcati tipici della famiglia Levitt, quella della nonna, la mascella squadrata, i capelli color sabbia e gli occhi sottili, chiari e intriganti, mentre un sottile sorrisetto ammiccava da sotto le prime pelurie rossicce.
Coi capelli rossi, constatò Aryadne, erano solo le femmine, tutte e tre coi capelli molto lunghi e molto rossi, tutte bellissime, tutte radiose. Dai racconti che ne faceva nonna Elizabeth, litigavano molto da piccole, forse per la somiglianza dei caratteri e doveva esserci sempre qualcuno a dividerle, solitamente il fratello maggiore, Robert, il più responsabile.
Parevano davvero felici. Le labbra di Arya si strinsero ancora di più. Perché lei non poteva aver avuto quella gioia?
Chiuse gli occhi per un istante e alla cieca spostò la foto in fondo, posando lo sguardo sull'ultima fotografia che aveva. Erano quattro persone, due uomini e due donne.
Erano tutti intorno a un tavolo rotondo, pareva una cena dall'apparecchiatura. Riconobbe le due donne, e uno degli uomini. I lunghi capelli rossi e gli sguardi erano inconfondibili. Le due sorelle Gordon, la più grande e la più piccola, entrambe intorno alla ventina, salutavano con la mano sorridendo felici, mentre l'uomo accanto a sua madre, suo padre John Sr, beveva da un calice un liquido violaceo facendo ogni tanto scattare lo sguardo arguto e impenetrabile verso la macchina fotografica, il braccio libero intorno alle spalle di Audrey. Era visibile la mano che sbucava dalla spalla della donna e Aryadne sorrise lievemente vedendo che le dita la stringevano accarezzandola con dolcezza, tutta la durezza di quello sguardo eliminata dalla morbidezza del gesto. Dall'altra parte, accanto alla sorella minore di sua madre, Lilian Anne, vi era un uomo dai lineamenti fini, i capelli biondi pettinati con ordine di lato, gli occhi scuri, intensi, che sorridevano alla macchina fotografica. Arya seguì la sua mano appoggiata sul tavolo e vide che stringeva quella di sua zia, mentre una fede dorata splendeva all'anulare. Ah, suo zio, quindi. Nemmeno se lo ricordava più...
Suo padre, d'altra parte, non le permetteva più di vedere la famiglia di sua madre, dopo che sua nonna aveva provato a portarla via da quell'inferno. Sospirò mentre l'indice della mano destra andava ad accarezzare l'immagine di sua madre. Quanto avrebbe voluto averla vicino a sé, a consigliarla, a darle manforte, a salvarla...


Edited by Cuore d'inchiostro - 10/5/2013, 23:34
 
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~Hope™
view post Posted on 5/5/2013, 09:39





Lo sguardo di Hope si perse per un attimo, rapito dallo splendore del primo sole di Maggio. La donna, con le mani adagiate sul davanzale di pietra del suo ufficio, rimirava l’orizzonte, scrutava le leggere increspature che il vento produceva di tanto in tanto sulla superficie liscia del lago, il muoversi delle chiome più alte degli alberi secolari presenti nel giardino della scuola, dove gli studenti, rapiti del primo caldo primaverile, si rincorrevano, mettendo ormai da parte i voluminosi libri che per tutto l’inverno avevano accompagnato i loro pomeriggi. C’era un qualcosa di strano in quell’atmosfera, tranquilla, a tratti spensierata, qualcosa che allontanava di miglia e miglia il ricordo dell’orrore che come una lama, soltanto qualche settimana prima, aveva trafitto in pieno petto il cuore del castello. Molte vite erano state perse, e sangue a fiumi si era riversato sul pavimento secolare della scuola; studenti, auror, morti nel tentativo di proteggere i più deboli, o soltanto svolgendo il proprio lavoro. Hope guardò con amarezza i giovani studenti continuare spensierati a muoversi nel grande giardino poi si lasciò cadere indietro finché il tacco sottile della sua scarpa non ruppe il silenzio che fino a quell’istante aveva avvolto completamente il suo ufficio. Girò lo sguardo finché l’immagine riflessa allo specchio non attirò la sua attenzione. Cautamente si avvicinò ad esso ed inclinando di poco la testa si concentrò su quell’immagine. Vi era riflessa una ragazza, o forse una donna, cresciuta troppo rapidamente negli anni; il viso sottile, gli occhi verdi intensi, mentre i lunghi capelli biondi, morbidi e ribelli, incorniciavano tutto, donandole qualche anno in meno. Sollevò la mano destra afferrando un singolo boccolo e con gesti delicati lo avvolse sull’indice constatandone la morbidezza. Benché facesse il possibile per allontanarli dai suoi pensieri, Frederick e Lilian Anne erano li, vivevano in lei, nei suoi lineamenti delicati, nei suoi colori intensi e luminosi; solo il cuore e la mente erano esclusi da quel miscuglio di caratteristiche che facevano di lei Hope, la loro unica figlia. Fece qualche passo indietro, osservò la gonna che a tubino le avvolgeva le gambe fino alle ginocchia e la sottile camicetta bianca che aderente le delineava il fisico minuto e delicato. Senza esitare oltre, afferrò il lungo mantello nero ed , adagiandolo sulle spalle, lasciò che ricadesse morbidamente dietro di se. Non aveva voglia quel pomeriggio di restare chiusa nel piccolo ufficio, voleva camminare, distrarsi magari dai numerosi pensieri che continuavano a percuotere il suo stato d’animo, senza darle tregua. Aprì dunque la grossa porta di legno e dopo averla richiusa alle spalle, prese a camminare sicura per il lungo corridoio del primo piano apparentemente deserto. I capelli fluttuavano seguendo i movimenti leggeri del mantello e lo sguardo, fiero e sicuro, era proteso in avanti, o forse, ancora più lontano, fuori da quelle quattro mura. D’improvviso però un folto cespuglio di capelli rossi attirò la sua attenzione e il volto della giovane Caposcuola Cavendish la costrinse a fermarsi. Era strano in quei giorni trovare uno studente fermo nei corridoi e quella scena stuzzicò la curiosità della donna. Aveva già avuto modo di confrontarsi con l’animo focoso e ribelle della giovane Serpeverde, che spesso e volentieri prestava servizio alla locanda Tre Manici di Scopa giù a Hogsmeade, e in parte riusciva a vedere in lei, la sua immagine riflessa ad specchio, fatta eccezione per i colori ben più accesi ed intensi. Continuò a scrutarla con attenzione, lo sguardo perso probabilmente nei ricordi che le piccole immagini che aveva tra le mani, le procuravano. Si decise dunque a richiamare l’attenzione della giovane parlando.

-Cosa ci fa una studentessa rinchiusa tra quattro mura in una bella giornata di sole?-

Chiese e un sorriso si allargò sulle sue labbra. Non era il tempo per lasciarsi cullare dai ricordi, ne per lei, ne per la giovane studentessa.



 
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Cuore d'inchiostro
view post Posted on 12/5/2013, 21:17





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Nell'ultima foto, il volto di sua madre, fresco e pieno, sorridente e vero, si girava ogni tanto ad osservare la sorella accanto a lei, così incredibilmente simile a lei, per poi tornare a sorridere a chi guardava la fotografia in bianco e nero. Lo sguardo attento di Arya scandagliò ogni particolare di quel volto cercando tratti comuni ai suoi, e forse l'anima e il carattere simile al suo. Era possibile da uno sguardo, da un'espressione stampata sulla magica carta, capire una persona che non si era mai conosciuto veramente? Non si ricordava di sua madre, solo ogni tanto rimembrava dei flash di vita trascorsa, ma non era mai sicura che appartenessero alla sua memoria, tanto più che alla sua fantasia e ai suoi desideri. Un raggio di sole penetrato impunemente dai vetri le colpì il viso e lei si scansò di pochi centimetro scivolando sulla lucida pietra per evitarlo come si evita un raggio della morte. Non era dell'umore giusto, quel giorno, per farsi venire il cancro alla pelle.
Al viso di sua madre si sovrapponeva quello di Raven che la guardava con dolcezza per poi tornare duro in fotogrammi successivi lì, nei sotterranei, tra le macerie e i tetti che crollavano, tra i mostri ed Hogwarts che bruciava. Le mani le tremarono un secondo e quando sentì una voce cristallina interrompere il flusso dei suoi pensieri sobbalzò, spaventata da quella repentina intrusione. Sollevò repentino lo sguardo fulgido e le dita strinsero la carta tra le mani, posando gli occhi di cristallo lucente sulla persona proprietaria di quella voce, di quella semplice domanda. Cascata di biondi capelli, altezza considerevole, brillanti occhi sorridenti. Inconfondibile, era Hope Lancaster, insegnante di Difesa contro le arti oscure ad Hogwarts e, correva voce tra le mura del castello, Auror. L'ultima volta che l'aveva vista, purtroppo, era ai Tre manici di Scopa, in compagnia di Callum Blue. Lui aveva intanto lasciato l'insegnamento, cosa che aveva addolorato tremendamente la ragazza. Che fosse per colpa di quella donna?
Una sorta di ira cocente le infiammò il cuore facendole dolere il petto per un attimo ma il suo sguardo si fece fisso e gelido come ghiaccio. La donna sorrideva, ma a lei non andava affatto. No, non a lei, non a chi così impudente le rubava ciò che aveva deciso di prendere. Quando voleva un biscotto, non le andava che qualcuno si sporcasse le labbra col suo zucchero.
Amava il sole, ma non quel giorno. Rimase per un lungo istante zitta ad osservarla, a guardare quelle labbra perfette e i denti dritti e candidi, la pelle chiara, gli occhi intensi, sorridenti, liberi. Le ricordavano qualcuno quegli occhi, ma non capiva chi. Le sue mani, senza che lei lo notasse, accarezzarono per un istante le foto sul suo grembo.
-Non ho voglia oggi di sole, preferisco la quiete dell'ombra.- disse con lentezza, poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani per poi passarlo sulla fresca pietra della panchina, osservando il posto vuoto. Risollevò lo sguardo, dicendosi che non era buona educazione rivolgersi in quel modo ad una sua insegnante. Dopotutto l'anno successivo avrebbe iniziato la materia per cui era supplente, Divinazione, era il caso di farsi conoscere meglio, di far capire chi avrebbe tenuto le briglia della carrozza. Sorrise molto lievemente, il massimo che il suo umore nero le concedeva.
-Si vuole sedere accanto a me?-
tornò ad osservarla, chiedendosi, come auror, che ruolo avesse avuto nella battaglia avvenuta poche settimane prima ad Hogwarts. Cosa aveva fatto lei per la scuola? E per tutti quei ragazzi morti? E per tutti quelli vivi?
Aveva salvato qualcuno, o si era limitata a guardarli morire, senza fare niente? Oppure, perché no, era rimasta al calduccio in casa sua, a sentire alla radio gli speaker che urlavano di un attacco ad Hogwarts, a sentire i notiziari con l'elenco dei morti, quei numerosi nomi scanditi con greve voce, urlati con grande pianto.


Edited by Cuore d'inchiostro - 12/5/2013, 22:46
 
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~Hope™
view post Posted on 20/5/2013, 17:57





Non ho voglia oggi di sole, preferisco la quiete dell'ombra

A quelle parole Hope sollevò perplessa le affusolate sopracciglia bionde e scrutò il volto della ragazza. Era difficile intuire cosa balenasse nella mente della giovane Caposcuola, che sin dal loro primo incontro ai Tre Manici di Scopa aveva mostrato una sorta di astio nei suoi confronti. Rapidamente ripercorse tutte le sequenze che vedevano protagonista la bella rossa, senza però riuscire a comprendere cosa, del suo atteggiamento, avesse potuto turbarla a quel modo; non era solita atteggiarsi con gli studenti, ne tantomeno parlar loro con astio o severità, tutt’altro. Hope adorava trovarsi a discutere con loro, cogliere i diversi pensieri, le loro impressioni a fine lezione o anche solo scambiare qualche chiacchiera alla fine delle stesse. Ne osservò i luminosi occhi azzurri e i lineamenti fini e fanciulleschi; benché il volto apparisse duro e contratto, la giovane studentessa risultava bellissima ed estremamente dolce agli occhi di Hope, in alcuni tratti così simile a sua madre, in quei pochi istanti di serenità, che era solita guardarla con affetto, quando era ancora una bambina. La sua attenzione fu poi catturata dai sottili raggi del sole che filtravano attraverso le enormi vetrate poste alle spalle della giovane e che andavano ad infrangersi sulle le foto che stringeva tra le mani, come un tesoro dal valore inestimabile; impossibile decifrarne il soggetto o i soggetti in esse ritratti. Strano come potesse risultare piacevole a molti cullarsi nei ricordi passati, riviverli con la mente, o anche solo ricordarli; Hope non aveva foto della sua famiglia nel suo ufficio, ne immagini che la ritraessero ancora piccola nella grande casa nel DerbyShire, poiché di sua spontanea volontà aveva scelto di allontanare quei ricordi dolorosi dalla sua mente, e rinchiuderli in un cassetto, lasciandoli riemergere di tanto in tanto per ricordarle quanto fosse stato difficile crescere.

Si vuole sedere accanto a me?

Di nuovo la voce della ragazza attirò la sua attenzione costringendola ad adagiare i grandi occhi verdi sulla figura esile e minuta della caposcuola. Lo sguardo stizzito ed adirato aveva lasciato il posto a un mezzo sorriso di circostanza, nato probabilmente dalla consapevolezza del ruolo ricoperto dalla donna all’interno della scuola. Annuendo scelse di accettare l’invito della giovane e dopo aver sciolto la chiusa del mantello, ed averlo adagiato li affianco, si sedette vicino alla ragazza, lasciando che i tenui raggi del sole le scaldassero la schiena, riscaldandola.


-Devi essere molto affezionata a quelle foto se ti hanno portata a scegliere la quiete piuttosto che la compagnia dei tuoi compagni.-

Evitò di intercettare lo sguardo di lei, e lasciò che gli occhi scrutassero con poca attenzione, le pietre levigate del pavimento. Era difficile provare a portare avanti quella discussione facendo finta di non aver letto quella vena di astio nella voce e nello sguardo della giovane, eppure Hope sapeva che non era il momento per fare domande, e benché l’esser diretti, nel suo caso, era sempre servito a sciogliere ogni dubbi, in quel momento sarebbe risultata la strana meno adatta da intraprendere per la conoscenza. Girò lentamente il viso verso Aryadne intercettandone lo sguardo perplesso; era di nuovo li intenta a pensare a qualcosa, magari qualcosa che riguardava proprio lei, Hope. Rimase immobile, lasciando che lei scrutasse i suoi occhi, il suo sguardo, nel tentativo di cogliere qualche altro dettaglio su quei pensieri. Poi di nuovo un movimento leggero, proveniente da quei sottili pezzi di carta, attirò l’attenzione di Hope che subito abbassò lo sguardo individuando quelle che apparivano come miniature in movimento, e benché fosse impossibile valutarne i dettagli, la giovane donna immaginò quella che poteva essere un’allegra famiglia unita in qualche festeggiamento e perché no.. felice. Rimase quindi in silenzio attendendo che fosse la giovane, nel caso, ad introdurre l’argomento, senza toppe forzature.


 
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Cuore d'inchiostro
view post Posted on 29/5/2013, 19:58





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La donna accettò senza una parola il suo invito ad accomodarsi accanto a lei, ma il suo volto era così espressivo da far notare quanto stesse cercando di capirla.
Aryadne riteneva che l'insegnamento non fosse da tutti, e se qualcuno avesse scoperto di avere la vocazione, avrebbe dovuto approfittarne per inculcare maggior nozioni possibili in quegli scellerati che erano gli studenti.
Lei non avrebbe mai potuto fare l'insegnante. Insegnare cosa, poi? "Scienza degli errori" non era una delle materie più insegnate ad Hogwarts.
Sollevò per un brevissimo istante un sopracciglio nell'immaginarsi in cattedra a cercare di donare conoscenza ad una testa vuota qualunque. Patetico, terribile. Una pessima, pessima insegnante. Una pessima, pessima persona.
Tornò a concentrarsi sulla donna che posava con grazia il suo mantello sulla pietra per poi accomodarsi accanto a lei, osservandola coi grandi occhi azzurri attenti ad ogni dettaglio, come se cercasse di capire cosa la incuriosisse di più in lei.
Forse voleva sapere come era andata col professor Blue. Forse voleva sapere cosa provava per lui. Forse non voleva saperlo, ma quei pensieri bussavano con insistenza sulla sua scatola cranica invadendole poi lo stomaco di rodimenti, come una gastrite cronica in persone molto nervose e turbate.
Chiuse gli occhi scacciando l'immagine delle carnose labbra di quella bionda che si posavano con voracità su quelle sottili ed enigmatiche di Callum. Non poteva sopportarlo, No, non poteva. Il volto sorridente di sua madre, che ora stringeva tra le dita attraverso le vecchie fotografie, le si parò di fronte alla mente come dolce e rilassante isola, come una pallina anti-stress ghermita fino all'estremo.
L'aria umida della pietra intorno a loro le entrò nelle narici e il dolce tepore del sole sulla schiena le diede sollievo, come una carezza, come uno di quegli abbracci che aveva letto nei libri e raramente vissuto. Aprì gli occhi con la gelida calma negli occhi, uno sguardo che, lei non se ne rendeva conto, ma era uguale a quello di suo padre. Freddo, privo di sentimenti, lontano dall'umanità. Una tormenta agitava la sua anima, ma mentre sondava gli occhi verdi della donna non si disturbò a mostrarlo, ponendo sul suo volto la maschera che solitamente portava. I suoi occhi, però, nel freddo mostravano la pesantezza di una coltre di neve, la durezza del ghiaccio che probabilmente mostrava, senza volerlo, il dolore dei suoi pensieri.
Vide lo sguardo della donna abbassarsi verso le foto che stringeva tra le dita, ma lei non seguì il suo sguardo, conosceva bene quei volti. Senza distogliere nemmeno per un istante lo sguardo da lei, lasciando che quegli occhi così inquietanti soggiornassero sulla sua anima pura, Aryadne prese con la mano sinistra l'ultima foto che aveva guardato e la tese verso la donna, mostrandole quei volti sorridenti.
Socchiuse le carnose labbra e le inumidì con la lingua prima di parlare, come se cercasse le parole più appropriate. -E' sbagliato nascondersi nel passato, lo so, ma in tempi così difficili e duri cercare il conforto dei propri cari forse potrebbe far bene...- Indicò con un cenno del magro volto (forse particolarmente dimagrito negli ultimi giorni) le persone ritratte -Sono i miei genitori, insieme alla sorella di mia madre e a suo marito. Io non ero ancora nata.- proseguì spiegando le loro identità. Non sapeva perché lo diceva. Forse per gentilezza non aveva risposto "sono affari miei a chi sono affezionata, brutta ficcanaso.", o forse aveva bisogno di dire qualcosa di sé stessa a qualcuno che non conosceva. Si sa, a volte è più semplice mostrare la propria anima a chi non si conosce, piuttosto che ai propri amici.
 
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~Hope™
view post Posted on 4/6/2013, 09:21





I suoi occhi incontrarono quelli azzurri ed intensi di lei. Ancora astio, incomprensibile astio che costrinse Hope ad inclinare lievemente il volto, sorpresa, confusa da quell’atteggiamento tanto chiaro quanto incomprensibile. Cosa aveva fatto per sollevare determinate emozioni nella studentessa? Si portò le dita sottili ed affusate sul viso, in parte sulle labbra e continuò a fissarla pensierosa. Ai Tre manici non era avvenuto nulla di importante da giustificare tal reazione; ricordava esattamente le parole della giovane e i modi gentili ed educati di Callum nel porsi, e ancora la grossa bottiglia di vino sbattuta pesantemente sul tavolo di legno intagliato, accompagnata da un rossore virginale sulle gote pallide di lei. Allargò leggermente le labbra carnose, illuminandosi, mentre l’idea di una qualche remota gelosia verso il bel docente ormai ex di Trasfigurazione le balenava in mente lasciandola interdetta. In quei brevi istanti non era riuscita a distogliere lo sguardo dal volto di lei, poiché c’era qualcosa di strano in quei lineamenti, qualcosa di famiglia che la costringeva a fissarla, così come uno spettatore osserverebbe il quadro di un grande artista in museo, con la convinzione di riuscire a coglierne il significato più profondo. Ed era quello che ormai Hope si ostinava a cercare nel viso e negli occhi di Aryadne. Quei pensieri furono però turbati da un raggio di sole che prepotentemente prese a sfiorarle il viso, non più protetto dalle fronde alte degli alberi del giardino, mentre una sensazione intensa di calore le invase il corpo, riportandola alla realtà, costringendola a vivere quell’attimo. La ragazza abbassò i grandi occhi azzurri, tornando a guardare le immagini in movimento proposte dalle fotografie che ancora stringeva tra le dita e le parole, chiare e decise, fuoriuscirono dalle sue labbra giungendo all’orecchio di Hope che ne restò quasi sorpresa. Quella giovane donna dimostrava più della reale età, troppo matura ed adulta nei ragionamenti da apparire ancora una ragazzina, ma al contempo poco esperta della vita. Sorrise dunque e rispose a quelle parole.

-I tempi sono bui, ma non temere, qualcosa dovrà cambiare ne sono certa. Il conforto possiamo si cercarlo nei nostri cari, ma immagina anche che ci sia qualcuno che dalla famiglia può trarre solo sofferenza, ed è quindi costretto a ricercando il conforto in se stesso

Non era straniera a quei pensieri, poco naturarli certo, ma così forti e reali da lasciare scampo. Quale conforto avrebbe potuto trarre lei dalle foto dei suoi genitori? Il conforto di un amore mai vissuto, un affetto mai ricambiato e un odio crescente che lacerava l’interno dell’anima senza dar tregua. Per quanto vere fossero le parole della rossa, non apparivano vere per la donna che riusciva a trovare conforto solo in se stessa. Ancora una volta si trovò a fissare quelle immagini muoversi all’interno della fotografia, vedeva senza però guardare. Furono le parole di Aryadne a costringerla a prestare più attenzione ai volti che sorridenti, salutavano dall’interno dell’immagine e per la prima volta da quando si era seduta, spalancò gli occhi incredula poiché riconobbe in quella foto le figure dei suoi genitori, il viso fresco e sorridente di Lilian e quello burbero e contratto di Frederick, insieme ad altre due persone che non aveva mai visto in vita sua. Sollevò la mano sinistra ed adagiò le dita sull’immagine costringendo la ragazza a sollevarla ed avvicinarla ai suoi occhi, inconsapevolmente. Voleva capire, voleva rendersi conto di aver visto bene e di non aver trascurato alcun dettaglio di quella scena che come in un film si ripeteva continuamente allo stesso modo.


-La sorella di tua madre e suo marito? I tuoi zii dunque?-

Chiese senza però distogliere lo sguardo dall’immagine, spostando però l’attenzione sul viso dell’altra donna assai simile a quello di sua madre e rossa di capelli in ugual modo. Nuovamente sollevò gli intensi occhi verdi sul viso della studentessa e sui suoi capelli rossi, nell’esasperata ricerca di risposte alle numerose domande che in un attimo le avevano invaso la mente.



 
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